Le stronzate di Pulcinella

RACCONTIAMO NAPOLI E I NAPOLETANI (usi,costumi,tradizioni di un popolo e di una citta')

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view post Posted on 25/8/2008, 14:58
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risate122
SIGNO' ...' a sigaretta
Napoli, Mergellina, metà agosto, ore quattordici. Il piazzale è vuoto. Un tram è fermo al capolinea: un vecchio tram, di quelli aperti, col trolley.

Un signore esce dal bar, estrae dalla tasca della maglietta una sigaretta, l’accende, aspira lentamente la prima boccata. Poi, a passi lenti, sul selciato rovente, si avvia al tram fermo.

Sale sul predellino, saluta con un gesto il bigliettaio accaldato e scamiciato, unico abitante della carrozza. Si ferma sulla piattaforma, continuando la sua sigaretta.

- Signo’, ‘a sigaretta!, esclama con voce fiacca il tranviere.

Il signore continua a fumare, lentamente.

- Signo’, ‘a sigaretta!!!, esclama con voce appena un po’ più ferma il tranviere.

Il signore continua, ancora qualche boccata. Raccogliendo tutte le sue forze, il tranviere ammonisce:

- Signo’, ma nun ‘o sapite ch’in tram nun se po’ fumma’!

- Ma comme, io ‘mo ‘mo aggio pigliato ‘o ccafe’!, replica il signore con gli occhi spalancati e la bocca delusa.

- Ah, quann’è cussi’ scusate tanto, esclama conclusivamente il tranviere.

PE GHI' 'O CARDARELLI
Un'anziana signora alla fermata del tram cerca di decifrare l'illegibili indicazioni delle linee. Passa un giovanotto.

La signora: - Scusate, c'aggio piglia' pe' ghi' 'e Cardarelli?

Il giovanotto, guardandola: - Signo', 'a trubeccolose!

Edited by Pulcinella291 - 5/4/2019, 18:38
 
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view post Posted on 2/9/2008, 10:25
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'A NUTRICCIA (la balia da latte)
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Oggi il problema dell’allattamento non esiste, anzi le donne, anche se ampiamente fornite di latte, fanno ricorso sempre più frequentemente a quello artificiale.
Lo fanno per comodità, per non sciupare il seno e perché devono recarsi al lavoro.
.Fino agli anni ’50, invece, non avere latte era un’autentica disgrazia ed era necessario ingaggiare ‘na nutriccia (una balia).
In virtù del loro seno prosperoso, erano preferite le ciociare ed erano facilmente riconoscibili, oltre che per le caratteristiche fisiche appena citate, per l’abbondanza di ori che ostentavano.
I genitori che erano costretti ad affidarsi ad una nutriccia, infatti, 0per ingraziarsela e per assicurare al loro pargolo un buon trattamento, erano di solito molto prodighi ed elargivano a piene mani costose “attenzioni”.
Logicamente, le nutrici erano sottoposte ad assidua sorveglianza perché eventuali loro eccessi potevano incidere sulla qualità del latte con il quale il rampollo era cibato.
La balia non doveva fumare (ma all’epoca erano poche le donne del popolo che lo facevano), non doveva eccedere con l’alcol, non doveva mangiare cibi indigesti, non doveva andare a letto tardi…
Non doveva litigare, non doveva arrabbiarsi perché il latte di una donna arrabbiata si “inacidiva” e danneggiava il pargolo.
Insomma, doveva condurre una vita quasi monacale.
Lo facevano?
Di solito erano ospiti dei genitori del bambino, ma le famiglie meno abbienti affidavano, spesso, il piccolo alla nutriccia che lo allevava come un suo figlio fino a quando non si svezzava.
Nasceva perciò, spesso, un tenero rapporto, che durava tutta la vita, tra queste prosperose donne di campagna ed i bambini che avevano allattato che, spesso, conservavano anche da adulti l’accento ed il dialetto del paese della loro “Tata”.
Non di rado nasceva, addirittura, una sorta di gelosia e di competizione tra la mamma e la nutriccia e la letteratura del secolo scorso ha tratto notevoli spunti da questi contrasti e dalle vicende ad essi legati.
Il mestiere di nutriccia, in effetti, coinvolgendo i sentimenti, era un mestiere difficile perché una donna raramente dimentica un bambino che ha stretto al seno ed al quale ha dato il proprio latte.
Per concludere, voglio ricordare come era chiamata la nutrice dal popolino che, nella sua semplicità, riesce di solito a cogliere e sintetizzare meglio dei letterati situazioni e sentimenti: mammazezzélla.
(da antichi mestieri)

LA PIZZA AD OGGI A OTTO
In alcuni vicoli di Napoli questa usanza è ancora in vigore.Mangi la pizza oggi e la paghi fra otto giorni, quando cioè hai preso " a summana" (la settimana)cioè la paga ad ogni fine settimana.Il pizzaiolo porta la contabilita' "signando" su un quaderno.

una poesia di eduardo
Napule è nu paese curioso
è nu teatro antico sempe apierto,
ce nasce gente che senza cuncierto
scenne pe strade e sapè recità.

Nun è ca o' ffanno apposta
ma pe loro o panorama è na scenografia,
o popolo è na bella compagnia,
l'elettricista e Dio che fa campà,
ognuno fa na parte na macchietta,
se sceglio o tipo o nomme a truccatura
l'intercalare na cammenatura
pe fa successo e pe se fa guardà.

Edited by Pulcinella291 - 17/9/2009, 10:58
 
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O Capo e Pusilleco (capo di Posillipo)
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Quante canzoni e quante poesie ha ispirato questo luogo di rara bellezza che chiude ad ovest il territorio della città di Napoli e si prolunga verso il mare dividendo la baia di Napoli da quella di Pozzuoli.
Le sue gialle pareti di tufo si innalzano ripide sul mare ma digradano dolcemente verso il centro della città, offrendo una affascinante e multiforme combinazione di scorci panoramici sulla costa che ha sempre attirato grandi personalità della nobiltà e dell'arte, che qui sono venute a costruire le proprie ville rifugio o a ispirarsi.
Il termine deriva da "Pausylipon" che in greco significa "Pausa dal dolore" e che era il nome della sontuosa villa romana che sorgeva proprio su Capo Posillipo e di cui restano oggi visibili i resti del teatro, dell'Odeon, delle terme e di un ninfeo. La villa apparteneva a Publio Vedio Pollione, uno dei principali sostenitori di Ottaviano Augusto e protagonista della vita politica di Roma nel periodo della sua transizione verso l'impero. Alla sua morte la villa passò sotto la proprietà dell'imperatore e divenne una delle più belle e ricche tra quelle conosciute.

La villa del Pausylipon si estendeva tra Marechiaro e Nisida, che oggi delimitano l'oasi naturale protetta del "Parco sommerso della Gaiola", dal nome degli isolotti al centro dell'area, proprio sulla punta estrema meridionale del promontorio. Marechiaro è un affascinante piccolo borgo marinaro rivolto verso il centro del Golfo di Napoli, il Vesuvio e la Penisola Sorrentina, che ha ispirato una delle più belle canzoni classiche napoletane, "A Marechiaro" scritta da Salvatore Di Giacomo. Alle spalle del borgo si trova la caratteristica chiesetta di Santa Maria del Faro, che contiene alcuni resti della villa romana e che la tradizione sorgesse sul luogo dell'antico faro romano.
La collina di Posillipo è sicuramente una delle zone più incantevoli e prestigiose della città.
Le ville sontuose e nascoste, le discese a mare, i costoni a strapiombo sull'acqua, gli edifici eleganti, il panorama mozzafiato ne fanno al contempo una tappa obbligata per i turisti, e un sogno per gli abitanti della città.
Posillipo è senza dubbio il colle più noto di Napoli e anche il più celebrato per le sue bellezze; già nel nome sono contenute tutte le sue virtù: Pausilypon significa "riposo dagli affanni".
Percorrendo la via Posillipo a partire da Mergellina, cominciano le curve e i palazzi nobiliari, Palazzo Donn'Anna, più avanti la chiesa di S.Maria del Faro. Risalendo verso la parte più alta del colle, lo sguardo si perde in un panorama mozzafiato, di un quartiere ormai residenziale. Via mare si possono però ammirare ancor meglio le meraviglie di tale zona: da Mergellina fino a Nisida, con due punti di approdo (raggiungibili anche da terra) a Marechiaro e alla Gaiola, che si distinguono per la relativa ricchezza delle sopravvivenze archeologiche. Al largo di Capo Posillipo (di fronte a Villa Rosbery, attuale residenza napoletana del Presidente della Repubblica) giacciono i resti, ormai sommersi, di una villa marittima che si protendeva in mare grazie a costruzioni artificiali; dei suoi porticati si sono recentemente recuperate alcune colonne. A Marechiaro, prospicienti la spiaggia, vi sono i probabili resti di una domus. La grotta di Seiano, da poco riaperta al pubblico, collega Coroglio alla baia di Trentaremi, meravigliosa insenatura nella costa posillipina. Su tale baia si ergono i resti di un grande teatro romano. Sulla punta del Capo Posillipo, il Parco Virgiliano, ristrutturato e profondamente rinnovato nel 2002, offre terrazze da cui godere di panorami sensazionali su due golfi (quello di Napoli e quello di Pozzuoli) e su Nisida, tranquillità, aria pulita e possibilità di fare sport.
Le strade della parte alta del colle (via Manzoni, via Stazio, via Orazio) sono decisamente più residenziali e metropolitane, ma non per questo meno suggestive e panoramiche.

Edited by Pulcinella291 - 25/5/2009, 13:49
 
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LO DICEVAMO DA GIOVANI



guagliù chi scenne prima passa a cchiammà all'ate!

facimme 5 e 5 a purtiere volante.

amma giucà a mamme e figlie?

papà s'accattate a 127 nova ....blù!

guagliù apparamme e solde pò pallone.

o triciclo de zeppole e panzarotte!

nun t'assettà ncoppe o pallone , se fà a cucuzziello!!!

me daje 10 figurine si te dongo a maradona?

mammà a fatte a pasta co furmaggino!

e 5 accumencie holly e benji....

so nu mostro a nascondino!!!

papà ha affitate a casa a mondragone a agosto!

o vuò nu poco e turtaniello?

uà o supertele và a viento!

vuò domandà a mammeta si può durmì a casa mia?

o tiene o commodore 64 ?

frateme tene o SI priparate!!!

o cane mio è na BESTIA!

a mamma a chi nun allucca fa e ........! Uè Uè!!! ancora una volta, Uè Uè .ancora più forte Ué Ué!!!!

o piglio teleAkery a casa toja?


PREGHIERA DI ALTRI TEMPI

Preghiera della sera

IO ME COCCO A LIETTO


E CU L'ANGELO PERFETTO.
.

E CU L'ANGELO PREGANNO,
,

GESU' CRISTO PRERICAMMO.


O ME COCCO E NUN ME ADDORMO,


L'ANEMA MIA 'A LASCIO 'A MARONNA,

IO ME COCCO E NUN M'ADDORMESSE,
,
L'ANEMA MIA 'A LASCIO 'A GESU' CRISTO,
,
IO ME COCCO E NUN ME NE VENE,

TRE COSE A CHIESA TENE:

CUNFESSIONE, CUMMUNIONE E UOGLIO SANTO

E LU CANTO 'O SPIRITUSSANTO,
,
AIUTACI MARIA, A TUTTI QUANTI
.

Edited by Pulcinella291 - 26/5/2009, 04:48
 
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SEI DI NAPOLI SE....

Sei di Napoli se hai esclamato almeno una volta nella vita 'UAGLIù
TUTT'APPOST?'

TUTT'APPOST?'
Sei di Napoli se in disco o in qualsiasi altra situazione in cui stai bene
dici' STO PARIANN A PAZZ''

sei di napoli se almeno na vota sei stato a Gragnano a te mangia' o panuozzo

Sei di Napoli se dici lacchiesa con la doppia c...

Sei di Napoli se dici l'INTER e la Juventus con l'accento rispettivamente sulla E e sulla U

Sei di Napoli se chiami il tuo scooter 'o mezz'

Sei di Napoli se trovi normale chi và in scooter minimo a trè

Sei di Napoli se quando non ti viene un termine in italiano e lo sbagli,
poi ti giustifichi dicendo che volevi dirlo in dialetto

Sei di Napoli se parcheggi in 5^ fila e ti lamenti quando al ritorno trovi
una multa

Sei di Napoli se a volte chiami 'lote' gli amici che ti hanno fatto un torto

Sei di Napoli se spendi tutto in un giorno e dici : 'diman' Dio penz''

Sei di Napoli se ci rimani male quando il resto d'Italia pensa che ci sia
solo Monnezza............e tu sai che non è così!


sei di ´Napoli se almeno una volta al giorno nomini ´´a cazzimma

sei Napoli se quando parli con un amico e dici"o frate tuoio"

sei di Napoli se dici spesso "modestamente simme gente che sapimme campa´"

sei di Napoli se ti piacciono e sacicci e friarielli

sei di Napoli se del pane ti piace "o cuzzettiello"


[color=red]sei di napoli se dici chella nu n´´e´na macchina e´´ nu mostro o frate tuoio!

sei di Napoli se dici "guagliu´´ jammece a mangia´´ quaccosa[/color]

sei di Napoli se parlando di tua suocera dici ´´a gnora mia


Edited by Pulcinella291 - 24/9/2008, 01:47
 
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IL CIMITERO DELLE FONTANELLE
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Si trova nel quartiere popolare della Sanita' ,fu utilizzata, sin dal '600, come ossario della città, per ospitare i resti mortali di tutti coloro che non potevano permettersi una degna sepoltura e le vittime delle varie epidemie che hanno flagellato la città nel corso della sua storia: il risultato è uno straordinario mix di storia, antropologia, cultura, spiritualità sacra e profana e leggende popolari.
Già prima del '600, le antiche cave erano spesso utilizzate per le sepolture dei cittadini più poveri, ma il Cimitero delle Fontanelle diventò tale solo in occasione della peste del 1656, che decimò la popolazione di Napoli, rendendo necessario trovare nuovi camposanti. Da quell’anno, e successivamente in occasioni simili nei due secoli successivi, un gran numero di spoglie mortali furono stipate nelle grotte tufacee delle Fontanelle.Durante la peste del 1656, che dimezzò la popolazione locale al ritmo di 1.500 morti al giorno, ci si vide nella necessità di trovare un posto per depositare tutti i cadaveri, e per fare questo si usarono tutti i luoghi possibili… persino delle fosse comuni scavate al centro delle piazze.

Uno dei luoghi in cui furono accumulati i corpi era una delle varie cave di tufo che c’erano nella zona periferica al rione Sanità: la cava delle Fontanelle appunto. In questa vennero deposti migliaia di corpi, tutti senza nome tranne due : quello del conte Filippo Carafa di Cerreto dei duchi di Maddaloni e sua moglie, che pare fosse stata uccisa e non morta di peste.

Sono gli unici due corpi deposti in una bara con un nome e la cosa che più sconvolge chi visita questi luoghi è che dopo tutti questi secoli i tratti somatici della contessa siano ancora riconoscibili.
Nella tradizione popolare vi è a volte tanta magia e bontà… ed anche qui accadde uno speciale “miracolo”, la gente comune cominciò ad andare nella cava e iniziò a prendersi cura delle ossa di quei poveri morti senza nome, adottandole.

Ognuno aveva il suo scheletro preferito, lo puliva, gli accendeva lumini, gli recitava preghiere nella convinzione che quest’anima, come le altre avesse trovato un posto nel purgatorio e che pregando gli si sarebbe resa più facile la via d’accesso al paradiso.

Credo che pochi napoletani non siano mai andati al cimitero delle Fontanelle, pochi si, ma tutti lo conoscono!

Edited by Pulcinella291 - 25/5/2009, 13:51
 
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RAIMONDO di SANGRO Principe di San Severo
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Dei tanti Principi di San Severo vissuti a Napoli il più vivo nella
fantasia popolare è sicuramente Raimondo, un personaggio davvero sorprendente
vissuto nel XVIII secolo e più precisamente tra il 17 10 e il 1771. Di lui si è detto che fu
naturalista, filosofo, astronomo, poeta, scrittore, soldato, mecenate. Una personalità
poliedrica, entrò a far parte della confraternita dei Rosa-Croce, dove venne iniziato agli
antichi riti alchemici. Egli amava praticare di persona ogni genere di esperimenti. ...di
notte non era raro vedere strani fumi colorati o sentire odori particolari, da qui l’appel
lativo di stregone, che gli attribuì il popolo napoletano. Raimondo Di Sangro affermava
di aver inventato una lampada perpetua; e qualcuno ritiene che avesse realizzato una
carrozza che poteva muoversi per brevi tratti senza bisogno di cavalli. Inoltre - e ciò è
documentato - Di Sangro progettò una sorta di carrozza anfibia in grado di attraversare
gli specchi d'acqua. In particolare il principe Raimondo era affascinato dall'anatomia e
dalla fisiologia del corpo umano. Ancora di più, voleva trovare il modo di diventare im
mortale. Fu così che arrivò alla creazione di un prodotto dalla composizione misteriosa,
che nelle intenzioni dei principe sarebbe stato addirittura in grado di resuscitare i morti.
Narra la leggenda che Ralmondo, dopo aver ordinato ad un servo di fare a pezzi il suo
cadavere e di riporlo in un baule, decise il momento della propria dipartita ed assunse la
misteriosa sostanza. Il corpo dei principe avrebbe dovuto rimanere nel baule per un certo periodo di tempo, dopodiché egli sarebbe tornato in vita. Ma i familiari del principe, venuti a sapere dell'esistenza del baule e credendo che in esso si celasse un favoloso tesoro, si fecero prendere dall'avidità. il baule fu aperto anzitempo. Lo spettacolo che ne segui è degno diun film dell'orrore. Era di nuovo "vivo", ma il processo di saldatura degli arti non aveva potuto completarsi, e il principe era divenuto una creatura orripilante e grottesca. In mezzo al terrore dei presenti, ciò che era stato Raimondo di Sangro urlò e si accasciò nuovamente nel baule, cadendo a pezzi. Di fatto, morì una seconda volta, definitivamente.


LA CAPPELLA SAN SEVERO

La Cappella Sansevero dei Sangro racchiude le spoglie dei membri della famiglia si trova in Piazza San Domenico Maggiore in via Francesco de Sanctis n. 17. Tra il 1744 e il 1766, quella che in origine era una semplice chiesetta, divenne con Raimondo uno dei luoghi più misteriosi di Napoli. Egli chiamò presso di sé i più rinomati scultori e pittori perché dessero vita a un progetto tutto particolare. Gli artisti che lavorarono nella cappella seguirono le precise istruzioni del principe e riferirono che egli fornì strani colori e un tipo di mastice che una volta asciutto assomigliava in tutto e per tutto al marmo. Il risultato è un piccolo gioiello del tardo barocco con statue, stucchi, marmi e oro. Ogni cosa ha un suo preciso significato, le statue che sono quasi tutte femminili, lanciano il loro messaggio attraverso i vari oggetti che tengono in mano o che giacciono ai loro piedi. Libri, compassi, fiori, cornucopie, caducei fiammelle e cuori. La statua dedicata alla madre è "La Pudicizia"di A. Corradini e rappresenta una donna nuda coperta da un velo. Osservando questo velo scolpito si ha l’impressione che sia stato steso solo in seguito al completamento del corpo di donna. Il monumento funebre dedicato al padre, Antonio di Sangro, è "Il Disinganno"di F.Queirolo e rappresenta un uomo che lotta per liberarsi di una rete. E il famoso"Cristo velato" di G. Sammartino, una scultura che lascia il segno per il suo eccezionale realismo. Sia il velo che la rete fanno pensare all’uso di quel mastice-marmo descritto dagli artisti che lavorarono al restauro della Cappella.
Forse è vero che il principe aveva creato un materiale estremamente malleabile che una volta asciutto diventava uguale al marmo. Oppure, un liquido capace di cristallizzare qualsiasi materia rendendola simile al marmo. Materiali di natura alchemica? Può essere.
Quando si parla del principe Raimondo di Sangro sovviene immediatamente anche un altro celebre aneddoto, che riguarda la vicenda delle cosiddette macchine anatomiche. E' ancora possibile vedere questi strani e macabri oggetti nella già citata Cappella Sansevero a Napoli. Due corpi, uno maschile e uno femminile: sono composti dallo scheletro e dal groviglio inestricabile delle vene e dei capillari che avvolgono le ossa come un reticolo fittissimo. L’intero apparato cardiocircolatorio che avvolge lo scheletro è stato, in pratica, pietrificato e ancora oggi non è chiaro come sia stato ottenuto un simile risultato. Particolare impressionante è che la donna era incinta. Sono ben visibili i resti del feto ai suoi piedi.

Edited by Pulcinella291 - 25/5/2009, 13:55
 
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N´Faccia pisciature


Jette apiscià dint’’a nu pisciaturo


fetente e spuorco ‘a parte ‘e vascio ‘o muolo.

Steve azzeccato a lato a lat’’o muro

‘nu manifesto pe’ sanà lu scolo



E mentre ca pisciavo a sghizzo a sghizzo,

io, me leggevo buono l’indirizzo!

Sapite ca chi pisce fa’ sei cose:

piscia, s’alliggerisce, s’arreposa



astregne ‘e pacche, ‘o scutelea e ll’apposa.

Aveo appena fernuto ‘e fa ‘sti ccose

e chianu chiano e senza ghj’ de fretta

‘o stavo ‘nfuderanno ‘int’’a vrachetta



quanno ‘na vespa, puttana e rotta ‘e mazzo

me va a chiavà nu muorzo ‘ncopp’’o cazzo,

jette pe ‘na caccià cu ‘na carocchia

e me facette tanto ‘na capocchia!!



Ma comme, dicett’io, ‘sta sfaccemmosa

ca putarria zucà ‘ncopp’’a ‘na rosa

‘e tanta massarie, ciardine ‘e uorte

vene a zucà ‘stu cazzo miezo muorto!!??





Edited by Pulcinella291 - 28/5/2009, 01:09
 
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SPUTALO N´FACCIA
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Pecché t'adduorme sempe mmiez' 'e ccosce
e nun te scite manco quanno pisce?
E si ch' ire nu cazzo tuosto e liscio!
Mo te si' fatto arrepicchiato e muscio ...

Apprimma t' arrezzave, ire fucuso,
specie sentenno 'addore d"a pucchiacca ...
Mo duorme 'ncopp"e palle, appucundruso,
e nun te scite manco mmiez"e ppacche.

Povero cazzo mio! T'aggio perduto,
e chistu core mio ne soffre tanto;
Povero cazzo mio! Te ne si' gghiuto
comm'a nu murticiello a 'o campusanto.

Mentre 'sti ccose suspirava Errico,
parlanno sulo, comme fa nu pazzo,
io Ile dicette: - Erri, sai che te dico?
Spùtalo 'nfaccia, a 'sta schifezza 'e cazzo.


Edited by Pulcinella291 - 26/5/2009, 05:00
 
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I GIOCHI CHE FACEVAMO DA BAMBINI
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UNO A MONTE A LUNA

Veniva prevalentemente praticato da ragazzi di sesso maschile in età pre adolescenziale. Lo svolgimento è molto semplice: prestabilito mediante una "conta" il giocatore che farà da "cavallina" (colui che restando fermo con le mani poggiate alle ginocchia e la testa in giù ben coperta da eventuali contatti con i saltatori, assume la posizione del noto attrezzo ginnico), fungendo come appoggio, attende i compagni di gioco, che, eseguita una breve corsa, poggiandogli le mani sulla schiena si danno slancio per scavalcarlo mediante un salto a gambe divaricate. Per non essere penalizzati a fare la "cavallina", i saltatori non devono toccare l'avversario in nessun altro modo. Ciò che però rende questo gioco caratteristico, distinguendolo da una qualsiasi prova ginnica, è la "voce" che ciascun saltatore è tenuto a dare come accompagnamento al proprio salto. La "voce", data prettamente in dialetto, differisce a secondo del turno e descrive in che modo verrà eseguito il salto. Nel corso degli anni questo gioco ha subito innumerevoli modifiche, per cui di seguito illustriamo una delle tante versioni di "Uno 'a luna", descrivendo le voci che caratterizzano i sedici turni:
Uno 'a luna (in alcune versioni: Uno monte da' luna);

Ddoie Bubbù (Bubbù e Bubbà sono tipiche esclamazioni dialettali);

Tre 'a Regginella (forse doverosa dedica ad una regnante d'epoca);

Quatte surece e jatte (probabilmente solo per una questione di rime);

Cinche furmelle cu 'e mane pe' terra (scavalcata la "cavallina" all'atterraggio ci si accoscia toccando con le mani il suolo);

Seje incroci tu (il saltatore atterra con i piedi incrociati e resta fermo, viene seguito allo stesso modo da tutti i saltatori, ben attenti a non toccarsi per evitare la penalità);

Sette Giorgette 'o cavece e 'a chianetta (al momento dello stacco il saltatore dà la cosiddetta "chianetta", ossia un calcetto sul sedere della "cavallina";

Otto 'o fravulare (ciascun saltatore effettua il salto con un oggetto personale mantenuto tra i denti: fazzoletto, chiavi, orologio ecc. ecc., che depositerà a terra in una posizione a scelta;

Nove andiamo a raccogliere (completamento del turno precedente in cui ciascun giocatore deve raccogliere con i denti l'oggetto personale precedentemente depositato);

Dieci 'o palo 'e fierro (scavalcata la "cavallina" il saltatore deve atterrare dritto, cioè in posizione perfettamente verticale);

Undici 'e statuine (a differenza del precedente turno il saltatore al momento dell'atterraggio deve restare immobile anche se è in posizione precaria ed attendere il salto dei compagni, assumendo in tal modo la postura di una statuina);

Durece quel che si vuole (il saltatore effettua un salto a stile libero, cioè di fantasia: stacca con una mano, scavalca facendo forte pressione sulla schiena che in alcuni casi provoca il tracollo della stessa "cavallina", ecc. ecc.);

Tridece 'e riavule (al contatto con le mani sulla schiena il saltatore è autorizzato a pizzicare, per cui la sfortunata "cavallina" di turno, si raccomanda di andarci piano);

Quattuordece 'a lettera (ogni saltatore dedica una frase spiritosa alla "cavallina" che si appresta alla fine del gioco, ad esempio: caro amico stai per avere un bel paliatone);

Quinnece 'o paliatone (il giocatore che a questo punto del gioco, riveste il ruolo di "cavallina", deve passare sotto il cosiddetto "ponte d''e mazzate");

Sidece 'o fuja fuja (in questo turno si decide chi sarà la prossima "cavallina", infatti, ogni giocatore al fine di prendere un buon vantaggio, effettua il proprio salto cercando di atterrare il più lontano possibile e a restare in questa posizione, fino a quando, all'atterraggio dell'ultimo saltatore, la "cavallina", in un totale fuggi fuggi generale, dovrà rincorrere ed acchiappare un compagno che farà da "cavallina" nel nuovo gioco).

Edited by Pulcinella291 - 26/5/2009, 05:04
 
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Napoli: individuata cellula di terroristi islamici.
Sconvolgenti sviluppi delle indagini condotte negli ambienti islamici napoletani. Individuata una vera e propria rete terroristica. Al centro delle indagini un potenziale attentatore suicida votato al sacrificio personale, Saddam Urì, e il suo mandante, Oman Ammurì. Capo del commando sarebbe, invece, Omar Eshall. Sospettati anche l'ambulante Omar Ukkin, l'agente immobiliare Nabel Abarak, l'apprendista Saddam Parhà, il pregiudicato Arraff Alì (già indagato per furto), il garzone Oman Accà e suo fratello Oman Allà. Accertata la pericolosità di tali soggetti. Qualsiasi oggetto nelle loro mani, sostiene Omar Tiell, terrorista dissociato, può trasformarsi in un'arma da guerriglia. Numerosi i collegamenti all'estero. Di chiare origini francesi Omar Sigliese; non meglio identificate, invece, le origini di Omar Zian. Accertata pure la loro tenace avversione nei confronti del mondo occidentale: Nun Mullah e Saddam Usha i più accesi fomentatori in tal senso. Interpellato in proposito, il diplomatico Oman Affhankul non si è rivelato disponibile. Le indagini non hanno risparmiato neppure gli ambienti medici. Sospettato il noto chirurgo plastico Mustafà Nabel Aziz e la sua paziente Arifatt, successivamente rivelatasi essere un uomo, Mush Al Salam, con gravi turbe sessuali. Inoltre sarebbe stato individuato anche un insediamento arabo nei pressi di Scampia, centro periferico di Napoli con a capo due sauditi: Nabarak Alì e Nabarak Alà. Tutte le piste finora individuate conducono a un unico leader: Osam enth.

Edited by Pulcinella291 - 28/5/2009, 01:12
 
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Vera _e_basta
view post Posted on 7/10/2008, 13:30




absolutely amazing hahahahahhaha
 
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view post Posted on 8/10/2008, 19:37
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LA LEGGENDA DELLA PASTIERA

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Leggendaria e mitologica è la storia della sirena Partenope che incantata dalla bellezza del golfo, disteso tra Posillipo ed il Vesuvio, avesse fissato lì la sua dimora. Ogni primavera la bella sirena emergeva dalle acque per salutare le genti felici che popolavano il golfo, allietandole con canti d'amore e di gioia.
Una volta la sua voce fu così melodiosa e soave che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti: accorsero verso il mare commossi dalla dolcezza del canto e delle parole d'amore che la sirena aveva loro dedicato. Per ringraziarla di un così grande diletto, decisero di offrirle quanto di più prezioso avessero.
Sette fra le più belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnare i doni alla bella Partenope: la farina, forza e ricchezza della campagna; la ricotta, omaggio di pastori e pecorelle; le uova, simbolo della vita che sempre si rinnova; il grano tenero, bollito nel latte, a prova dei due regni della natura; l'acqua di fiori d'arancio, perché anche i profumi della terra solevano rendere omaggio; le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo; infine lo zucchero, per esprimere l'ineffabile dolcezza profusa dal canto di Partenope in cielo, in terra, ed in tutto l'universo.
La sirena, felice per tanti doni, si inabissò per fare ritorno alla sua dimora cristallina e depose le offerte preziose ai piedi degli dei. Questi, inebriati anche essi dal soavissimo canto, riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.

Currite, giuvinò! Ce stà 'a pastiera!"


E' nu sciore ca sboccia a primmavera,


e con inimitabile fragranza


soddisfa primm 'o naso,e dopp'a panza.


Pasqua senza pastiera niente vale:


è 'a Vigilia senz'albero 'e Natale,


è comm 'o Ferragosto senza sole.


Guagliò,chest'è 'a pastiera.Chi ne vuole?


Ll' ingrediente so' buone e genuine:


ova,ricotta,zucchero e farina


(e' o ggrano ca mmiscato all'acqua e' fiori


arricchisce e moltiplica i sapori).


'E ttruove facilmente a tutte parte:


ma quanno i' à fà l'imposto,ce vò ll'arte!


A Napule Partenope,'a sirena,


c'a pastiera faceva pranzo e cena.


Il suo grande segreto 'o ssai qual'è?


Stu dolce pò ghì pure annanz' o Rre.


E difatti ce jette. Alludo a quando


il grande Re Borbone Ferdinando


fece nu' monumento alla pastiera,


perchè facette ridere 'a mugliera.


Mò tiene voglia e ne pruvà na' fetta?


Fattèlla: ccà ce stà pur' a ricetta.


A può truvà muovendo un solo dito:


te serve pe cliccà ncopp ' a stu sito.


Màngiat sta pastiera,e ncopp' a posta


dimme cumm'era: aspetto na' risposta.


Che sarà certamente"Oj mamma mia!


Chest nunn'è nu dolce: è na' poesia!"

Edited by Pulcinella291 - 26/5/2009, 05:19
 
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view post Posted on 26/10/2008, 20:38
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IL TESCHIO DEL CAPITANO
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Nel famoso cimitero delle Fontanelle, antico ossiario, nascosto nel cuore del rione Sanita',usato fino dal dal 1656, anno della peste, flagello che provocò almeno trecentomila morti, fino all’epidemia di colera del 1836,c'è un teschio. La particolarità di tale teschio, posto all'interno di una teca, è la sua lucidatura: mentre gli altri crani sono ricoperti di polvere quest'ultimo è infatti sempre ben lucidato, forse perché raccoglie meglio l'umidità del luogo sotterraneo, che è stata sempre interpretata come sudore: "Se domandate ai devoti vi diranno che quell'umidità è sudore delle anime del Purgatorio".
Gli umori che si depositano su questi resti sono ritenuti dai fedeli acqua purificatrice, emanazione dell’aldilà in quanto rappresentazione delle fatiche e delle sofferenze cui sono sottoposte le anime.
Quteso cranio viene chiamato il teschio del capitano. Ma come nasce questa leggenda.Una prima versione racconta che una giovane promessa sposa era molto devota al teschio del capitano, e che si recava spesso a pregarlo ed a chiedergli grazie. Una volta il di lei fidanzato, scettico e forse un po' geloso delle attenzioni che la sua futura moglie dedicava a quel teschio, volle accompagnarla; portandosi dietro un bastone di bambù, l'uomo usò il bastone per conficcarlo nell'occhio del teschio, mentre, deridendolo, lo invitava a partecipare al loro prossimo matrimonio.

Il giorno delle nozze apparve tra gli ospiti un uomo vestito da carabiniere. Incuriosito di tale presenza lo sposo chiese chi fosse, e questi gli rispose che proprio lui lo aveva invitato, accecandogli un occhio; detto ciò si spogliò mostrandosi per quel che era... uno scheletro! I due sposi e chissà quanti altri invitati morirono sul colpo.
L'altra versione raccolta da Roberto De Simone [2], mette in scena una leggenda nera popolare: un giovane camorrista, donnaiolo e spergiuro, aveva osato profanare il Cimitero delle Fontanelle, ivi facendo l'amore con una ragazza. Ad un tratto sentì la voce del capitano che lo rimproverava ed egli, ridendosene, rispose di non aver paura di un morto. Alle nuove imprecazioni del capitano, il temerario giovane lo aveva sfidato a presentarsi di persona, giurando ironicamente di aspettarlo il giorno del suo matrimonio (e intanto giurando in cuor suo di non sposarsi mai). Però il giovane, dimentico del giuramento, dopo qualche tempo si sposò. Al banchetto di nozze si presentò tra gli invitati un personaggio vestito di nero che nessuno conosceva e che spiccava per la sua figura severa e taciturna. Alla fine del pranzo, invitato a dichiarare la sua identità, rispose di avere un dono per gli sposi, ma di volersi mostrare solo a loro.
Gli sposi lo ricevettero nella camera attigua, ma quando il giovane riconobbe il capitano fu solo questione di un attimo: il capitano tese loro le mani e dal suo contatto infuocato gli sposi caddero morti all'istante

Edited by Pulcinella291 - 26/5/2009, 05:25
 
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view post Posted on 27/10/2008, 17:37
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VASA' O PESCE A SAN RAFFAELE
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In una chiesa del quartiere Sanita' c'è la statua di S. Raffele aracangelo con il pesce pescato nel Tigri ,orbene a Napoli c'è una vecchia usanza secondo al quale il 24 ottobre festa del santo , le donne che cercano marito vanno a " vasa' o pesce a San Rafele baciano il pesce di San Raffaele.


'O SANGIUVANNE

Il 24 Giugno si festeggia san Giovanni battista.A Napoli questo è uno dei giorni preferiti per celebrare le prime comunioni.E sempre a Napoli ,ancora oggi,tra i genitori di un battezzato ed il padrino (o la madrina) di quest'ultimo si usa reciprocamente definirsi "san Giuvanne".

IL PIOMBO FUSO
Sempre la notte di S. Giovanni una volta , prima di questa ricorrenza,le bambine si divertivano a lasciare fuori dalla finestra un recipiente d'acqua in cui avevano versato del piombo fuso.La forma che il metallo avrebbe assunto sarebbe stato,all'indomani,rivelatrice del mestiere che il futuro, ipotetico sposo avrebbe svolto.

L'ONOMASTICO

Un'altra usanza tutta napoletana che forse ancora debolmente resiste,era quella di preparare, in occasione di un onomastico (soprattutto dei capifamiglia) una buona dose di cioccolato liquido ed offrirne ai vicini per renderli partecipi della festività.Nel giorno del proprio onomastico ognuno doveva fare le "cacciate"ovvero doveva necessariamente offrire qualcosa di buono.Oggi, ad amici e colleghi, soprattutto se si ricordano di farti gli auguri, si usa offrire almeno un caffè."jammece a piglia' o' ccafè ca oggi è 'o nommo mio!"(da vongole napoletane)

La Notte del 1 novembre


La sera dell'uno novembre, prima di andare a letto, le massaie erano solite apparecchiare la tavola con la tovaglia migliore in quanto, nella notte, i defunti sarebbero tornati in visita in quella che era stata la loro dimora terrena.
A mezzanotte, chiunque avesse avuto necessità di levarsi dal letto avrebbe scorto numerose papocchiole (falene) agitarsi sulla tavola. Erano queste le anime del purgatorio.

I Napoletani e la luna

La luna poteva essere una preziosa alleata dell'uomo se se ne conoscevano i cicli. A tal fine, in Campania ed in particolare nell'entroterra napoletano , c'erano sempre uno o più individui attenti alle evoluzioni lunari, a cui far ricorso prima di intraprendere particolari attività. I ritmi di vita venivano, così, regolati dalle lunazioni.Il viandante programmava il proprio viaggio per la notte in cui la luna piena gli avrebbe illuminato il cammino e fugato le tenebre, predilette dal maligno; mentre il contadino doveva evitare di dissotterrare le patate nel periodo del plenilunio o, comunque, se costretto, doveva immediatamente ricoprire i tuberi in quanto, se esposti al chiarore lunare, pigliavano re luna, ne subivano cioè un influsso negativo che li rendeva verdognoli e non commestibili.

La chioccia veniva messa alla cova tenendo conto che la schiusa delle uova, dopo ventuno giorni, avvenisse in fase di luna crescente, il che propiziava una rapida crescita della covata.

Parimenti, semine e piantagioni andavano effettuate re crescenza, cioè in fase di luna crescente, in quanto ciò favoriva la crescita del raccolto.

E così, re mancanza, cioè in fase di luna calante, bisognava evitare di panificare in quanto la lievitazione ne sarebbe risultata compromessa.

Al contrario, il maiale doveva essere ammazzato in fase di luna calante poiché il sopraggiungere del plenilunio avrebbe esercitato influssi negativi sulla lavorazione delle carni e sulla preparazione della sugna.


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Edited by Pulcinella291 - 20/1/2010, 03:26
 
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