| PERCHÉ SI DICE: JIRSENE CU 'NA MANA ANNANZE E N'ATA ARRETO.
PERCHÉ SI DICE: JIRSENE CU 'NA MANA ANNANZE E N'ATA ARRETO. Se ne andavano cu ‘na mano annanze e ‘n ‘ata arreto i debitori che si allontanavano dal luogo dove avevano eseguito la cessio bonorum innanzi al tribunale della Vicaria di Napoli, dimostrando con la nudità, di non aver piú niente per saldare i suoi debiti. Oggi si dice di chi, non avendo concluso nulla di buono da offrire, perché non ha più un quattrino, non può fare altro che abbandonare, con una mano davanti ed una di dietro (cioè senza più nulla da portare), il quartiere, la città dove ha vissuto, con la speranza di ricominciare senza più vergogna. La Gran Corte della Vicaria, che nacque dalla fusione del Tribunale del Vicario con la Gran Corte, fu istituita da Carlo II d'Angiò: Il castello era dunque sede di esecuzioni capitali che avvenivano dinanzi la parte settentrionale dell’edificio e le teste, nonché varie parti del corpo dei condannati, venivano esposte all’angolo del castello di fronte via Carbonara. Davanti alla porta principale del Castello, invece, si svolgeva Il procedimento della “zitabbona”, dal latino “cedo bonis”, riferito ad un’analoga condizione debitoria in uso nell’antica Roma, su quella che era definita “la pietra dello scandalo”. A Napoli il debitore insolvente saliva su una colonna bianca di marmo chiamata “culonna ‘nfame d’ â Vicaria” (colonna infame della Vicaria, come quella manzoniana, destinata agli untori della peste). Calate le brache, l’insolvente doveva mostrare il deretano alla folla pronunciando il “Cedo bonis” (o “Cedo bona”, svendo tutti i miei beni, cioè nulla) dopo di che i creditori non potevano più rivalersi su di lui. Da questa macabra usanza si originano due locuzioni napoletane: a) Mannaggia â culonna, una maledizione rivolta alla colonna che stigmatizza le condizioni debitorie; b) “ha mmustato ‘o culo â culonna”, che si dice di persona piena di debiti, anche oggi che la colonna alla Vicaria non c’è più. Ma la Colonna non è sparita: è conservata nell'androne delle Carrozze della Certosa di San Martino ed è visibile nel celebre dipinto di ignoto del Seicento Il Tribunale della Vicaria esposto nello stesso Museo, come indica la freccia in rosso. NOTA … FISIOLOGICA Il mostrare il deretano costituiva la condizione di sottomissione completa agli eventi e poteva durare a lungo, tanto che il debitore era giocoforza costretto a fare i suoi bisogni pubblicamente. Per questo motivo, il deretano era spesso bagnato e da qui l’espressione “stà cu ‘e ppacche int’ all’acqua” che significa essere squattrinato, al pari dei debitori della Colonna Infame. Questa ipotesi è -però- controversa, perché molti studiosi (es. R. Bracale) l’attribuiscono allo stare in mare per pescare con la sciabica (sciaveca in napoletano, dall’arabo shabaka), imbarcazione sulla quale i marinai dovevano calarsi in mare per le manovre più difficili; ma non si capisce -però- il nesso dell’operazione faticosa con il significato dell’espressione che è quello che in italiano corrisponde ad “essere sul lastrico” (da latino medievale astrăcum, dal greco. ὄστρακον, ostraco, cioè il coccio/ conchiglia con cui si rivestivano i terrazzi, incrociato con lastra) in senso figurato essere ridotti in miseria.
Dalle ricerche di Bracale
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