Le stronzate di Pulcinella

NON E' VERO MA CI CREDO (Superstizioni e credenze popolari )

« Older   Newer »
  Share  
Pulcinella291
view post Posted on 19/5/2010, 08:19 by: Pulcinella291
Avatar

Pulcinella291 Forum

Group:
AMMINISTRAZIONE
Posts:
42,055

Status:


GLI ANIMALI CHE PRESAGIVANO LA MORTE SECONDO LE CREDENZE

Considerato che era molto nota alla comunità la caratteristica degli animali di percepire molto prima dell'uomo il verificarsi di molti eventi naturali, l'elaborazione culturale pervenne a "codificare" una serie di "segni premonitori", che si pensava annunciassero la scomparsa di qualche membro della comunità stessa. In primo luogo gli uccelli, e soprattutto quelli notturni (era naturale che l'immagine della Morte si sovrapponesse con quella della Notte, la civetta ,il gufo erano ritenuti nunzi di Morte qualora si posassero sul tetto di casa, o verso la casa rivolgessero il loro verso. Comunque, presagivano la Morte di qualche abitante della zona ove il loro canto si diffondeva. Erano infatti animali ritenuti in grado di "sentire l'odore della Morte". Anche il cane, considerato da tutti "l'avviso dell'anima", perchè vedeva e comunicava con i suoi ululati la presenza di morti fra i vivi, aveva la capacità di presentire la Morte, in quanto i morti che vagano sono segno di Morte. Al presagio dato dalla gallina era invece possibile rimediare :la gallina che canta deve essere rimossa.Se dopo uno strepito notturno nel pollaio si rinveniva la mattina una gallina morta, si riteneva allora che la Morte fosse passata nottetempo ma avesse preferito colpire un animale anzichè un uomo. Altri presagi erano costituiti dal gallo che cantava prima di mezzanotte.


IL FUOCO
Il fuoco, tradizionalmente, ha il significato simbolico di purificazione e di energia vitale. Perciò in molte parti d'Italia specialmente in Sardegna le partorienti cercavano di far nascere le loro creature presso il focolare, e un po' dovunque si accendono i falò per il calendimaggio, o per le feste di S. Antonio, S. Giuseppe, Capodanno e l'Epifania.




LA GRAVIDANZA E IL PARTO SECONDO LE VECCHIE CREDENZE POPOLARI

Per secoli la gravidanza e il parto, nell’Italia contadina e popolare in genere, fuono giudicati materia da “donnette”; fabbricar bambini era considerata una mera “funzione corporale” delle femmine e dal Medioevo sino al XVIII sec. ai medici era addirittura vietato assistere alle nascite, a meno che non si trattasse di partorienti nobili, fornitrici quindi di “patrimoni dell’Umanità” e non di banali infanti. Il corpo femminile era qualcosa di impuro, la gravidanza qualcosa di animalesco; perciò tutte le cure erano affidate a “esperte” locali dispensatrici spesso di regole “salutistiche” che più d’una volta, in tempi bui, fecero loro meritare il rogo come streghe.

S’iniziava dal concepimento; meglio non concepire nei giorni ventosi o troppo vicini a una festività solenne come il Natale o la Pasqua (Toscana), ché il bebè sarebbe cresciuto violento e superbo.
In Veneto per favorire la fecondità le sposine indossavano senza mai lavarla e sino al momento della fecondazione, la camicia da notte di una donna pluripara; in Emilia Romagna ingurgitavano chili di “crescia”, focaccia fatta con farine di 9 mulini diversi, mentre i mariti arrivavano a spaventare le mogliettine sparando a tradimento vicino a loro una fucilata o gettando loro addosso secchiate d’acqua ghiacciata per “rivegliarne la Natura”.

Una volta riuscite ad evitare dermatiti, infarti o polmoniti e rimanere finalmente incinte, le donne dovevano prestare massima attenzione a cosa facevano, onde evitare che i figli nascessero affetti da morbi e difetti fisici vari. Ad esempio dappertutto vigeva la prescrizione di non guardare persone o animali deformi o semplicemente brutti, ché altrimenti il pupo sarebe nato uguale a loro.
Ovunque s’intimava di non passare sotto il muso d’una cavalla, sennò la gravidanza sarebbe durata 12 mesi; mai bere direttamente dal secchio del pozzo, per evitare un fantolino con la bocca larga e andare sempre a letto presto, per evitargli la testa grossa. Guai ad indossare collane, si sarebbe strozzato col cordone ombelicale; anatema a chi col pancione teneva gatti in braccio (Val Trebbia) rischiando di farlo nascere con le manine a zampa di gatto, prive di falangine e falangette; sciagurata colei che lavorava piegata in avanti (Marche), ché la creatura avrebbe avuto il naso schiacciato.

Occorreva invece procurar subito alla puerpera ogni cibo o bevanda da lei desiderato, per evitare che l’erede avesse sul corpo una macchia (voglia) del colore dell’alimento negato. Però esistevano dei cibi vietati: le anguille (Lazio) sennò il piccolo sarebbe annegato, lepri o conigli (Piemonte) causa di labbro leporino, lumache (Mantova), perché sarebbe nato con la bava alla bocca e gravi problemi di dentizione.
Bere vino bianco se si desiderava un bimbetto biondo, nero se lo si preferiva moro (Friuli); guardare spesso un’immaginetta di Gesù (Puglia) per farlo bello come Lui e soprattutto non prendere mai a calci un maiale (Abruzzo) se non si voleva che il figlio russasse per tutta la vita.

 
Web  Top
100 replies since 25/3/2010, 10:20   485193 views
  Share