Le stronzate di Pulcinella

NON E' VERO MA CI CREDO (Superstizioni e credenze popolari )

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view post Posted on 14/10/2010, 11:15
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Pulcinella291 Forum

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CREDENZE TREVIGIANE

il "Matharol"
il "Matharol" un folletto vestito di rosso che girava incessantemente per i boschi ed era molto dispettoso nei confronti degli uomini.
Si diceva che il "Matharol" rapiva i bimbi, li portava nel bosco, li rimpinzava di frutti di bosco, di polenta intinta nel latte oppure di croste di polenta, poi, dopo un paio di giorni i bambini erano rimandati a casa.
Bisognava stare molto attenti nei boschi, perché mettere un piede sull'impronta del "Matharol" significava perdere la cognizione del tempo e dello spazio; quando qualcuno nella vita era molto sfortunato, si diceva. " el à balegà sulla peca del Matharol", cioè: ha calpestato l' impronta del Matharol, e da qui la sfortuna l'avrebbe perseguitato per sempre.
Il Matharol faceva poi altri dispetti, come mungere la mucche di nascosto, poi la mattina non davano più latte, oppure era malizioso con le ragazze, si trasformava in un gomitolo di lana pregiata, la fanciulla che lo trovava lo poneva nell' ampia camicia allora il Matharol saltava dalla scollatura canzonando la fanciulla: "Ti ho toccato le tettine, ti ho toccato le tettine..."


il "Martorel",
Era una specie di lupo che di notte aggrediva gli uomini e li rapinava, così quando l' uomo arrivava a casa sconvolto e senza soldi, con la scusa di aver incontrato "il Martorel" giustificava il fatto di aver scialato i pochi soldi in bicchieri di vino all' osteria, però provvidenziale questo Martorel, arrivava sempre nel momento giusto!


Le streghe che ballavano

Un'altra credenza era quelle delle streghe che di notte ballavano nelle radure e se qualche malcapitato le scorgeva, poi lo rapivano e non tornava più, si racconta di un boscaiolo che dopo aver assistito ad una danza delle streghe, era stato scorto da una strega bellissima che voleva portarlo via, ma il boscaiolo furbo, le disse; Vengo volentieri con te, ma prima devo finire di aprire questo tronco, se mi aiuti, facciamo presto, tu devi mettere le mani nella fessura e divaricare mentre io metto un altro cuneo.
La strega prontamente mise le mani nella fessura, allora il boscaiolo con un colpo bene assestato fece volare il cuneo che teneva aperto il tronco, la fessura si richiuse imprigionando dolorosamente le mani della strega che urlando dal dolore si trasformò in una vecchia laida, però il boscaiolo riuscì a scappare scendendo a valle e mettendosi in salvo.


IL LAGO DELL'ACCESA E IL SUO DRAGO
(maremma)


Una ventina di anni fa si narrava che il lago dell'Accesa fosse abitato da un grosso coccodrillo. La ragione non disconosceva la possibilità logica che un simile “mostro” potesse realmente abitare realmente il lago che altre leggende dicono nasconda un villaggio sprofondato, e di campane di cui periodicamente si sentirebbero i rintocchi. Qualche amante di anomali esotici avrebbe importato un piccolo rettile dai paesi caldi, e una volta cresciuto oltre le aspettative, nell'impossibilità di mantenerlo in ambiente domestico, lo avrebbe abbandonato sulle rive del lago dalle carsiche caratteristiche.
Si narra pure che il lago che in realta' e un laghetto ogni anno il 26 luglio in alcuni momenti della giornata , solitamente di un verde cupo, si accende di una luce misteriosa che sembra provenire dalle profondità e che emana bagliori rossastri.
 
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view post Posted on 15/10/2010, 09:47
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L'ARCOBALENO NELLE CREDENZE POPOLARI

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Senza andare a scomodare i miti sudamericani in cui l’arcobaleno è all’origine di malattie o del veleno, le tradizioni popolari dell’Italia meridionale testimoniano il rapporto molto stretto fra l’arcobaleno e l’itterizia, tanto che questa malattia viene popolarmente chiamata male dell’arco e simili. Nel folklore europeo è nota la credenza secondo cui chi passa sotto l’arcobaleno da femmina diventa maschio e
viceversa; inoltre l’espressione it. passar sotto l’arcobaleno equivale a ‘mutar sesso’. In Grecia si cambia di sesso se si salta oltre l’arcobaleno. Il ‘mutar sesso’ è dunque una punizione che infligge l’arcobaleno a chi infrange un tabù; in questo caso, sembrerebbe, di tipo sessuale: incesto, sodomia, endogamia clanica, nelle culture in cui questa è interdetta


LA TARANTOLA E IL SUO MORSO

secondo le stesse credenze popolari, dal morso della tarantola si guariva solo grazie all’ausilio della musica: la “pizzica”.
Il rito terapeutico si svolgeva per lo più nelle proprie case dove con l’aiuto della musica, i tarantati, ipnotizzati dal ritmo musicale, entravano in uno stato di incoscienza e ballavano per ore ed ore fino a cadere stremati a terra e portando alla morte la tarantola. La musica quindi, ha un’importanza notevole in questo processo, infatti solo grazie alla “pizzica”, suonata con un violino e un tamburello, la vittima si scatenava e riusciva a superare il suo stato di malessere.

La nascita di questo fenomeno nel Salento si fa risalire al 1.100 (anche se alcuni studiosi sono propensi ad anticipare notevolmente la datazione) e si manifesta in maniera diffusa almeno sino a tutto l’ottocento.


IL QUARZO ROSA
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Il quarzo rosa è un quarzo contenente silicio, più precisamente biossido di silicio. È traslucido, di colore rosa pallido, ma puo' essere anche cristallino, sino ad essere quasi trasparente o traslucido nelle varietà più pregiate e ricercate; il colore della polvere è bianco, mentre presenta una lucentezza vitrea ed un'ottima diffusione della luce (è sempre meglio non tenerlo troppo a lungo sotto il sole: potrebbe sbiadirsi e perdere la sua particolare lucentezza
Il quarzo rosa è considerato, in modo figurato, la pietra della fertilità e perciò il simbolo della femminilità; è associato a tutto ciò che è legato al cuore, a livello fisico ed emozionale.
Il suo chakra è il quarto, il cuore appunto, e dunque si pensa che possa donare pace interiore e gioia, oltre che dare un senso di equilibrio e tranquillità. (tali virtù non sono supportate da nessuna prova scientifica, trattasi di credenze popolari)
Secondo alcuni, è la pietra per eccellenza da portare quando si cerca l'amore. (tali virtù non sono supportate da nessuna prova scientifica, trattasi di credenze popolari)
Secondo la tradizione, sul piano fisico, il quarzo rosa aiuterebbe il sistema circolatorio, il cuore e gli organi sessuali. (tali virtù non sono supportate da nessuna prova scientifica, trattasi di credenze popolari)



LE PIETRE DEL FULMINE NEL BASSO PIEMONTE
Sono pietre di colorazione verdastra e forma affusolata ritenute dalla credenza popolare esito della caduta dei fulmini e per questo utilizzate fino a tempi recentissimi come difesa dai danni alle coltivazioni provocati dai temporali. Si tratta in realtà di lame di asce risalenti al neolitico la cui produzione fu particolarmente abbondante nel basso Piemonte da dove venivano esportate in gran parte d’Europa. Ancora oggi oggetti in tutto simili vengono prodotti in Nuova Guinea da popolazioni che vivono secondo costumi simili a quelli . Nel basso Piemonte c'è la credenza che si ispira alla leggenda che attribuisce l’origine delle sfolgorine, strani oggetti in pietra di forma affusolata ritrovati talvolta nel terreno dai contadini, alla caduta dei fulmini sulla terra.


MISTERI E CREDENZE POPOLARI DELLA VAL BREMBANA
Il Drago volante di Santa Brigida
Il Drago Volante (cosi' chiamato) abitava nei dintorni di Santa Brigida oggi luogo di villeggiatura, ben noto a tanti. Nessuno sapeva pero' dove avesse la sua tana, quando appariva come una furia, scoperchiava i tetti delle case con lo sbattere delle ali e poi spariva non dimenticandosi pero' di portarsi via qualche agnello o capretto. Quando poi il drago decideva di avventurarsi sulle sue prede di notte, si calava dal cielo tenendo tra le zampe 2 grosse gemme che utilizzava per illuminarsi il cammino. Un giorno un certo Bulgher, uomo forte e astuto, decise di sfidare il drago. Il Bulgher di Santa Brigida riusci' a scoprire dove il drago si rifugiava: le pendici del Monte Pugna

L'autostoppista fantasma della Val Serina
Di leggende metropolitane ce ne sono tante non estranea a queste tendenze è la Valle Brembana, dove da tempo si parla dell'autostoppista fantasma .
Un giovane di nome Luca ,uscendo da una discoteca di sera tardi, fa salire una ragazza che gli chiede un passaggio . Dopo poco cominciamo a parlare e viene a sapere che la ragazza si chiama Cristina . Luca si accorge che non ha molta voglia di parlare , quando la stessa gli dice :""Lasciami qui sono arrivata". Luca accostò l'auto al marciapiedi e si fermò, ma non poté fare a meno di manifestare la propria sorpresa: in quella zona, a parte lo stabilimento, non c'erano costruzioni, nessuna casa d'abitazione, lui lo sapeva bene, perché ci aveva lavorato, alla Bracca, per un paio di estati, tra un anno scolastico e l'altro. Nessun altro edificio, salvo il piccolo cimitero di Ambria, quasi soffocato dall'impianto industriale. "Ma dove abiti? Qui non ci sono case. Non è che ti sei sbagliata?". "Ciao, buona notte" fece la ragazza per tutta risposta".
La mattina del giorno dopo, quando tirò fuori l'auto dal box per andare in paese, noto' che da sotto sedile laterale sporgevano i manici di una piccola borsetta nera, certamente dimenticata dalla ragazza della sera prima. Per niente entusiasta della prospettiva di dover consegnare la borsetta alla legittima proprietaria, cercò tra gli oggetti che vi erano contenuti i documenti, li trovò e così poté risalire all'identità e al domicilio della ragazza. Ma quello che vide sulla carta di identità non mancò di sorprenderlo un'altra volta: Cristina era nata il 10 agosto 1965, aveva quindi trentaquattro anni e questo gli sembrava incomprensibile, dato che all'apparenza la ragazza ne dimostrava a malapena venti. Con fastidio ripose i documenti nella borsetta, la gettò in malo modo sul sedile della vettura, mise in moto, uscì dal box e partì . Pochi minuti dopo l'auto si arrestò davanti a una villetta unifamiliare di Ambria, circondata da un bel giardino delimitato da una bassa inferriata. Luca scese dall'auto tenendo in mano la borsetta, si diresse verso il cancello, premette il pulsante del citofono e rimase in attesa. Dopo un attimo si affacciò alla porta una donna di bassa statura, dalla folta capigliatura brizzolata e dall'aria interrogativa. "Buongiorno, signora, abita qui Cristina? Ieri sera mi ha chiesto un passaggio e ha dimenticato la borsetta sulla mia macchina, eccola, gliel'ho riportata".
"Arda che me gh'o miga òia de schersà! Va' a ca tò, vilàno, e laga sta la me tusa". Questa fu la risposta risentita e angosciata della donna che subito rientrò in casa sbattendo la porta. Convinto di essere incappato in una famiglia di matti, ma comunque desideroso di chiudere questa faccenda, Luca premette di nuovo e a lungo il pulsante. Questa volta apparvero sul pianerottolo due uomini, uno magro, sulla sessantina, certamente il marito della donna di prima, e l'altro giovane e robusto, probabilmente il figlio. I due raggiunsero quasi correndo il cancello, l'aprirono e si avvicinarono con fare minaccioso a Luca. "De che banda ègnela chèla bursèta? Famla 'mpó èt a me!" chiese bruscamente quello che sembrava il padre. Luca, alquanto preoccupato per la piega che stava prendendo quello strano incontro, fece del suo meglio per apparire credibile e raccontò come la sera precedente avesse dato un passaggio a una ragazza di nome Cristina, descrivendone meticolosamente l'aspetto e l'abbigliamento e come costei si fosse poi bruscamente congedata all'altezza del cimitero di Ambria senza dare spiegazioni, infine mostrò la borsetta dimenticata in macchina ."Io sono venuto solo per restituire la borsetta e ho dovuto aprirla per trovare l'indirizzo di quella che penso sia vostra figlia, chiedete a lei se non è vero. Ecco, prendete - proseguì porgendo la borsetta all'uomo più anziano - verificate che non manchi niente". "Mi ricordo che aveva una borsetta come questa - singhiozzò la madre che nel frattempo si era avvicinata ai tre ed era rimasta ad ascoltare in silenzio il racconto di Luca - ma non può essere sua, comunque la ragazza non poteva certo essere la mia Cristina". Poi prese la borsetta dalle mani del marito e cominciò a rovistarne affannosamente il contenuto, quindi, trovata la carta d'identità, la aprì con le mani tremanti per l'emozione. Impallidì e quasi perse l'equilibrio, poi, appoggiandosi al marito, esclamò con un filo di voce: "Madóna me, l'è pròpe le Arda 'n po a' te. Com'el pusìbel se la me Cristina l'è morta quìndes àgn fa?". E così Luca venne a sapere che la misteriosa ragazza era morta quindici anni prima in un incidente stradale, verificatosi proprio all'uscita dell'orrido di Bracca, mentre stava rincasando in autostop dopo una serata trascorsa nella discoteca Snoopy di Serina. E la sua tomba era nel piccolo cimitero davanti al quale aveva chiesto di scendere dall'auto.




Edited by Pulcinella291 - 15/10/2010, 19:30
 
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IL TYRUS IL DRAGO DI TERNI

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Tra storia e leggenda, l’ Umbria non è solo culla di santi, ma anche custode di antiche credenze che hanno dato luogo a miti e leggende.

Lo stemma della città di Terni raffigura un drago, il Thyrus, cui è legata una leggenda: parecchi secoli fa, nei dintorni di Terni, un orribile essere dall’ alito mefitico si aggirava tra le paludi delle zone di campagna del ternano,seminando terrore e morte, aggredendo i viandanti e, a volte, spingendosi anche ad un passo dal centro abitato, costringendo pertanto gli abitanti a vivere nel terrore, rinchiusi nelle proprie abitazioni.Nessuno era mai riuscito se non a distruggere, neppure ad allontanare il pericoloso drago. Ogni consiglio degli anziani che si svolgeva a Terni, aveva come ordine del giorno la lotta a Thyrus. Ma gli abitanti del borgo temevano il drago e non avevano il coraggio di affrontarlo. Un giorno un giovane valoroso, stanco di assistere alla morte dei suoi concittadini e allo spopolamento di Terni, affronto il drago e lo uccise.
Ogni leggenda ha un fondo di verità e affonda le sue radici nelle vicende storiche del territorio in cui nasce. Quando non ci si spiega un determinato fenomeno naturale, quando l'esperienza non è sufficiente a trovare la verità, quando le paure sono troppo grandi per essere razionalizzate, là sorgono le leggende in Umbria come in ogni parte d'Italia e del mondo.

Il drago, con il suo alito pestilenziale che uccideva gli abitanti di Terni è probabilmente la personificazione di quanto poco salubri fossero le paludi nei dintorni, a quell'epoca. Prolificavano infatti ogni tipo di insetti, portatori di gravi malattie, come le zanzare della malaria. Thyrus era solo il nome con il quale i ternani chiamavano la malattia, e, non sapendo come questa si contagiava e da dove provenisse il mortale morbo, imputavano la causa ad un animale sconosciuto e leggendario, famoso per essere portatore di disgrazie: il drago


LA FONTANA DEI MATTI DI GUBBIO

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Gubbio è tradizionalmente definita la “città dei matti“, riferito alla proverbiale imprevedibilità degli eugubini. Una usanza tradizionale è il conferire la “patente di matto” a chi compie tre giri di corsa intorno alla cinquecentesca “Fontana dei Matti”, situata nel largo Bargello, dopo essere stati bagnati da un "investitore" con l'acqua della fontana stessa.

TRIORA(Imperia) E LE SUE STREGHE
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Nel 1587 una terribile carestia martorio’ Triora e la sua vallata uccidendo il bestiame, rovinando il raccolto e facendo impazzire la popolazione. Per questo motivo cominciò a serpeggiare nella mente della gente, che una simile situazione non poteva essere altro che opera del demonio e delle streghe che lo aiutavano.Cominciarono così le persecuzioni, le catture e le torture di tutte quelle donne che non rispondevano a determinati canoni prestabiliti. Questa follia collettiva continuò fino al 1589 quando, grazie all’intervento del Governatore di Genova, si chiuse questo terribile capitolo. Ogni anno, l’ultimo week end di agosto, viene organizzata una grande festa chiamata Strigora che rievoca quei momenti. Molto divertente anche per i bambini.Nella città sono ancora visibili i luoghi dove, secondo la tradizione, le streghe si radunavano, presso le mura del borgo e la fortezza della Cabotina.

CREDENZE POPOLARI SUI FUNGHI(riguardo alla loro commestibilità )


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La rapida crescita e la velenosità di alcune specie di funghi hanno suscitato da sempre la curiosità dell'uomo, favorendo il sorgere di un'infinità di credenze, pregiudizi, errati metodi empirici nella determinazione delle specie commestibili.Una delle credenze popolari più diffuse riguardo alla commestibilità dei funghi è quella che dichiara velenosi quelli cresciuti a contatto con ferri arrugginiti e quelli morsi da vipere; naturalmente tutto ciò è falso, sia perché la ruggine non è di per sé una sostanza velenosa, sia perché è molto raro, se non impossibile, che una vipera morda un fungo. Originariamente questa credenza era dovuta al fatto che il fungo veniva ritenuto una emanazione del terreno e di che gli stava vicino, non il frutto di una ben determinata pianta, per cui avrebbe dovuto acquistare gli stessi pregi e gli stessi difetti dell'habitat che lo circonda. Infatti, sebbene la tradizione ha tramandato fino a oggi la storiella delle vipere e dei chiodi arrugginiti, una volta questa credenza dell'habitat velenoso abbracciava qualsiasi cosa fosse ritenuta tossica o dotata di misteriosi poteri come certe erbe, il marciume, le tane di alcuni animali o insetti, pietre ritenute magiche e guardate con sospetto. Oggigiorno, pur essendo ormai accertato che certi funghi sono tossici a causa di determinate sostanze che li compongono, è ancora difficile convincere molte persone che un chiodo o una vipera non possono alterare le virtù alimentari di un fungo mangereccio.
Questa ingenua credenza non crea tuttavia dei danni: ben più pericolosi sono invece quei metodi che stabiliscono la commestibilità dei funghi in base ai più svariati e falsi pregiudizi. Tra i più diffusi ricordiamo quelli del prezzemolo e dell'argento; non è vero, infatti, che se si cuociono dei funghi tossici insieme con del prezzemolo (o con la mollica del pane, la cipolla, l'aglio) questo annerisce: tant'è vero che il

prezzemolo cucinato insieme con l'Amanita phalloides conserva il suo belcolore verde.

Ne è vero che un cucchiaino o una moneta d'argento anneriscano se immersi nel liquido di cottura di un fungo tossico: anche in questo caso, la prova con l'Amanita phalloides dimostra che cucchiaino o moneta non subiscono

alterazioni di sorta. La serie di metodi popolari errati è tuttavia quasi infinita:

non è vero che i funghi che crescono sui ceppi o sui tronchi di alberi vivi sono tutti buoni, tanto è vero che la Clitocybe olearia, fungo velenoso in forma abbastanza grave, cresce sul legno degli ulivi e di altre latifoglie.

Non è vero che i funghi di prato non sono mai velenosi: la famigerata Amanita phalloides cresce spesso sui prati perché il suo micelio o le radici della pianta simbionte si prolungano notevolmente sotto terra o perché sotto terra ci sono resti vivi di una latifoglia; ne mancano, del resto, specie tipiche di prato tossiche, per esempio la Psalliota xanthoderma.

Non è vero che dando da mangiare un fungo a un gatto o ad un altro animale, se questo non muore possiamo consumare tranquillamente quel tipo di funghi: tralasciando la crudeltà insita in un tale metodo, va infatti ricordato che l'organismo degli animali è spesso assai diverso dal nostro, per cui certi principi tossici potrebbero essere innocui su di loro e invece mortali sull'uomo; inoltre, il veleno di certi funghi fa effetto anche dopo 14 giorni, per cui l'attesa si prolungherebbe per un lasso di tempo davvero eccessivo.

Non è vero che i funghi invasi da larve, insetti o lumache siano tutti buoni, mentre quelli intatti siano da sfuggire: l'Amanita phalloides per esempio è nutrimento (ed anche tana abituale) di certe lumache, mentre numerose specie fungine ottime da mangiare non sono mai attaccate da insetti o altri animali; non ci risulta, per esempio, di aver mai visto un'Orecchietta invasa da larve.

Non è vero che i funghi che profumano di farina siano tutti buoni: l'Entoloma lividum ha un gradevole profumo di farina ed è uno dei funghi più velenosi; anzi, i francesi proprio per questo motivo l'hanno chiamato il"perfido".

Non è vero che i funghi che non fanno coagulare il bianco dell'uovo o il latte sono buoni, un'Amanita normale e un'ottima Amanita caesarea introdotte in una tazza di latte provocano identica reazione.

Ancora più pericolose sono le credenze che ritengono che i veleni fungini possano essere eliminati con adeguati procedimenti, dai più semplici come la sbollentatura o l'essiccamento, a quelli più complicati come la conservazione sotto sale, la macerazione in acqua e limone o acqua e aceto, oppure una serie di sbollentature prima con acqua e sale, poi acqua e aceto, poi acqua e limone. Addirittura si è ritenuto che bastasse cucinarli insieme con una pera per rendere innocuo il loro veleno. Certamente molti funghi tossici diventano buoni con la cottura o l'essiccamento, ma non tutti.

Non è vero, come quasi ovunque si crede, che siano tossici tutti i funghi con la carne che cambia colore al taglio.

Non è vero che siano tossici tutti i funghi viscidi (è ottimo,per esempio, il viscidissimo Boletus luteus).

Non è vero che siano tossici tutti i funghi piccanti: molti di essi, a cottura ultimata, hanno perso le sostanze che li rendevano acri e sono diventati appetibili e per nulla pericolosi.

Non è vero che tutti i funghi bianchi siano velenosi, come credono in alcune zone pedemontane dove mangiano solo poche specie pregiate.

Non è vero che siano tossici i funghi di colore viola: anzi, sono quasi tutti tra i migliori. Alcune credenze popolari non riguardano la commestibilità dei funghi, ma l'epoca di raccolta, il modo con cui i funghi crescono eccetera.

Non è vero, ad esempio, che i funghi crescono subito dopo la pioggia: alcune specie crescono dopo la pioggia, ma non tutte, ed in ogni caso ci vogliono sempre 2 o 3 giorni.

Non è vero che un fungo nasca e muoia all'improvviso, nello spazio di una notte: in realtà la maggioranza dei funghi ha un processo di maturazione che dura parecchi giorni, anche se a volte tale maturazione avviene sotto terra. La credenza popolare più curiosa è quella che attribuisce al fungo una certa... timidezza: cioè afferma che quando un fungo viene visto da un essere umano interrompe la crescita. In realtà, se si calpesta e si smuove troppo il terreno presso un fungo, si rischia di rompere il micelio che si sviluppa sotto terra e siccome chi vede un fungo deve per forza essergli passato vicino, ecco nascere la leggenda.
 
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CREDENZE POPOLARI ROMAGNOLE


Lom a Mèrz (lume a marzo)
Molte sono le località dove si tramanda questa usanza che ha origini Celtiche.
Per le campagne, sulle colline, ma anche in molte piazze cittadine verso sera si accendono fuochi propiziatori per fare lume alla primavera in arrivo.
In alcune località gli ultimi tre giorni di febbraio sono anche conosciuti come e come "i dè dla canucéra". Secondo la tradizione si credeva che in questi giorni vi fosse un'ora sconosciuta a tutti in cui ogni cosa riusciva male.
Nelle campagne in questi giorni i contadini se ne stavano senza far nulla per paura che andasse loro a male il futuro raccolto.



Il ritorno del cuculo (aprile)

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L'inizio della buona stagione era annunciato dal canto del Cuculo( uccello migratore che sverna in Africa) , che doveva arrivare entro l'8 del mese, in caso contrario la stagione non prometteva niente di buono.
Se l'ot d'avril un sé sentì canté e choc o ch l'é mort o ch l'é cot.
Se l'otto di aprile non si è sentito cantare il cucolo, o che è morto e che è cotto.
Inoltre se al primo canto del cuculo non si aveva almeno una moneta in tasca, l'annata si preannunciava carica di ristrettezze economiche



Santa Lucia 13 dicembre
Dimenticando la riforma Gregoriana del calendario che ha portato il solstizio invernale al 22 dicembre, in tutta la Romagna si continua a dire:
Sénta Luzìa l’è e dè piò curt ch’us sia
S. Lucia è il giorno più corto che ci sia.
Inoltre la credenza popolare riteneva che nella notte di Santa Lucia gli animali acquistassero la momentanea facoltà di parlare.



CREDENZE E SUPERSTIZIONI DEI SOLDATI NELLA GRANDE GUERRA

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Diverse erano le superstizioni e credenze popolari che i soldati della grande guerra portavano con loro a seconda del loro paese di provenienza. Nelle trincee ,quindi, nacquero riti e scaramanzie che piano piano diventavano i riti e le scaramanzie di tutti.
La propagazione di tali riti fu favorita dall’intima coesione che caratterizzava .
La tipologia di questi atti variava da semplici credenze popolari a vere e proprie formule magiche fino alla creazione di veri e propri amuleti conservati gelosamente.
Le preghiere indirizzate a determinati santi- magari quelli venerati nel proprio paese- poco prima di un attacco, i vari gesti scaramantici dei soldati , riuscivano a dare al soldato tranquillità e sicurezza.
Fu abolito per esempio il grido di battaglia e ad ogni assalto si sentirono le invocazioni più strane, come: Sant’ Antonio! Madonna d’o Carmine ! San Damiano. Il proprio fucile, soprattutto se già aveva ucciso un nemico, rappresentò un amuleto molto comune in trincea. Molte volte il confine tra la superstizione e eccessiva religiosità veniva meno; molte furono le croci scolpiti sul parapetto, poste lì con la convinzione che la pallottola nemica prima di colpire il soldato avrebbe dovuto colpire il Crocifisso, che ovviamente l’ avrebbe protetto.
Sicuramente l’assalto rappresentava il momento più drammatico per il soldato; proprio in questo frangente il fante si lasciava andare a riti scaramantici abbastanza semplici come baciare le lettere, immagini o medagliette sacre ricevute da casa.Era un imperversare di immagini sacre. I soldati ne portavano al collo, al polso, sul berretto nelle dita a foggia di anello .
La superstizione non era un fenomeno circoscritto ai soli meridionali. Accadeva spesso che i soldati piemontesi pronunciassero al momento del pericolo una formula magica.I soldati abruzzesi, portavano sul petto un sacchetto contenente un po’ di terra del paese natale; al momento del pericolo…prendevano un pizzico di quella terra e la gettavano dietro le spalle.Altra forma di superstizione molto diffusa in trincea era la jettatura, cioè l’idea che individuo, che poteva essere sia fante che ufficiale, portasse male. Famosa è la vicenda del generale d’armata Ettore Mambretti, che fu perseguitato dal pregiudizio della jettatura, su di lui scrive il generale Gatti:”E’ una persona tutt’altro che antipatica, ma in tutto l’esercito, quando si parla di lui, si fanno gli scongiuri. Tutte le azioni alle quali ha preso parte sono andate male.
Il parapetto della trincea diventò il luogo preferito dai soldati, dove porre immagini religiose o oggetti scaramantici .Altri ancora, per salvarsi dai colpi nemici,…portavano tre piselli rotti in tre pezzi, racchiusi in tre sacchetti, riposti in tre diverse tasche e, come se non fosse bastato, spostati ogni giorno dall’una all’ altra tasca.Altri, prima di sparare, sputavano tre volte in terra e, puntando il fucile, pronunciavano tre parole: Metor, Saler, Palar.
L’essere superstiziosi non era una caratteristica solo del fante o dell’ufficiale inferiore, ma anche di alti ufficiali come il generale Diaz :” Il generale s’abbandonava ad una leggera mania che era quella di raccogliere quanto trovava per strada; spaghi, chiodi, bottoni, aghi, ferri di cavallo…ne riempiva i suoi cassetti, nei quali sapeva mettere le mani solo lui. Diceva che quegli oggetti portavano fortuna.
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view post Posted on 25/10/2010, 09:28
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L'ACQUA MIRACOLOSA DI LISCIA (provincia edi Chieti)

Nei pressi del fiume Treste ad un’altezza di 740 metri sorge il comune di Liscia in provincia di Chieti, un tipico borgo medioevale che nel XII secolo entrò a far parte del territorio di Monteodorisio.

Nei dintorni del paese si trova l’eremo di San Michele Arcangelo, il quale protegge una grotta con una sorgente naturale dove si recano i devoti di San Michele per bere un po’ d’acqua che si ritiene che abbia proprietà miracolose.La leggenda racconta che un mandriano di Palmoli, portando la sua mandria al fiume per l’abbeverata, notò un torello che scompariva ogni giorno per ritornare solo a sera. Incuriosito decise di seguirlo e scoprì, con grande sorpresa, che l’animale arrivava fino a una grotta nascosta nella vegetazione e lì si inginocchiava in adorazione di San Michele. Preso da devozione anche il pastore si inginocchiò e l’Arcangelo compì il miracolo di far sgorgare l’acqua per dissetarlo.
Una variante al racconto vuole invece che fosse San Michele stesso ad assumere le sembianze del torello e, fatto oggetto di un colpo di fucile, avrebbe prodigiosamente fermato il proiettile.
Due volte l’anno si ripete l’antico rito di bere l’acqua che sgorga dalla grotta: l’8 maggio e il 29 settembre di ogni anno centinaia di pellegrini dopo aver strofinato fazzoletti e oggetti sacri sulle pareti della grotta in cui apparve San Michele, bevono l’acqua di sorgente, ritenuta miracolosa per curare diversi mali.


FRIULI:TAGLIARE UN TRONCO DOPO IL MATRIMONIO

Il Friuli Venezia Giulia trascina nel suo flusso temporale un lungo susseguirsi di popoli eterogenei ognuno dei quali ha lasciato un qualcosa nelle menti e nella quotidianità della gente. Gli usi e costumi di questa terra risentono molto della cultura montanara, basti pensare che per tradizione una coppia di sposi dopo la cerimonia deve tagliare un tronco d'albero utilizzando la sega da boscaioli doppia. Questo piccolo rito sta a simboleggiare come d'ora in poi marito e moglie debbano "collaborare" insieme nello sforzo comune di affrontare gli impegni e le difficoltà che la vita comporta, riuscire a tagliare completamente il pezzo di legno è sicuramente di buon auspicio per la loro vita matrimoniale.


SUL MATRIMONIO CREDENZE EBOLITANE

Ancora oggi molti genitori pensano al matrimonio delle figlie come un atto da farsi per dare ad elle un futuro. Infatti secondo loro sposarsi è una necessità per la donna. I genitori hanno un solo obiettivo: trovare alla figlia un marito con i soldi o che lavora in modo che la possa mantenere.
La prima cosa da fare è fidanzarsi e bisogna stare attenti perchè fare il primo passo è una cosa molto importante. Il passo, però, non è proporsi ma difendersi dal malocchio, dall’invidia e dalla sfortuna. Non è, però, vietato fare qualcosa per agevolare la fortuna. E’ consentito, come ad esempio mettere sul davanzale della finestra un paio di scarpe rosse, lucide e con il tacco in modo che il giorno dopo di sicuro, la giovane, trova il fidanzato che sarà il futuro marito.
Se, invece, la ragazza vuol sapere chi sposerà, basta farsi dare da una sposa tre confetti che si devono mettere sotto il cuscino ed ella sognerà il futuro marito.
Una volta che il fidanzamento è avvenuto, si devono usare delle accortezze, ad esempio se i due innamorati dicono la stessa parola contemporaneamente ci si deve toccare il naso perchè se no non si sposano più tra loro. Sempre la ragazza deve stare attenta a non mettere in una tazza prima lo zucchero e poi il caffé, di certo resterà zitella. Il ragazzo, invece, non deve scopare sui piedi della fidanzata. Se capita, di certo non potranno più sposarsi tra loro.

IL MALOCCHIO NEL MATRIMONIO
La cosa più tragica è stare attenti alle fatture. Possono essere eseguite fatture d’amore ed anche di morte ma questo solo da rivali d’amore. La maggior parte dei casi accade se il ragazzo lascia la ragazza e questa, tramite una “fattucchiara”, gli fa la fattura d’amore. Ad esempio, con la complicità di amici o parenti, viene recapitato al ragazzo una pizza od altro da mangiare che contiene una lozione d’amore fatta con “intrugli” arcaici che non è il caso di spiegare in queste pagine per correttezza verso chi è delicato di stomaco. Il giovane dopo aver mangiato tale cibo s’infatua della giovane che ha commissionato la fattura. In seguito se questo cibo vien mangiato anche da altri, a questi la fattura non fa effetto. Nel frattempo se il giovane non percepisce chi sia la donna che l’ha fatto innamorare, può anche subire dei danni morali fino a portarlo alla pazzia. Tutto ciò può capitare anche alle ragazze se la fattura è commissionata da un uomo. Al fine di risolvere tali incidenti, i giovani vengono accompagnati dai “ma-ari” (maghi).
Arrivati al matrimonio ci sono altre precauzioni da prendere. Non bisogna sposarsi né di Martedì e né di Venerdì. Un altro problema sta nel fare il letto. Se il matrimonio avviene di domenica il letto si fa di sabato, se invece, si celebra di sabato il letto deve essere fatto il giovedì perchè il venerdì porta sfortuna e questo si deve fare di nascosto senza farlo vedere a nessuno, neanche agli sposi.
Non è da meravigliarsi se i consuoceri nel preparare il letto matrimoniale sistemano sotto ad esso una falce in modo che nessuna fattura e nessun male vi possa attecchire. Altri, invece, mettono delle forbici aperte, altri ancora dei chicchi di grano o un pizzico di sale sotto il cuscino.
In alcuni luoghi ancora oggi la sposa dopo il matrimonio resta in casa per una settimana e può uscire la prima volta, solo per andare a messa. In molti paesi i genitori, la mattina dopo il matrimonio, si recano in casa degli sposi. In quell’occasione oltre a portar loro il cibo gia preparato, rifanno il letto e prelevano il lenzuolo macchiato di sangue o lo appendono al balcone o alla finestra o addirittura eseguono a mo’ di processione, una sfilata mostrando il lenzuolo.


TRADIZIONI POPOLARI TRA RELIGIONE, POLITICA E MAGIALe tradizioni popolari a San Fruttuoso non sono mai state molto differenti da quelle del
resto della Brianza. E’ evidente l’intreccio, non sempre facilmente decifrabile, tra devozione
religiosa, credenze esoteriche, miti e leggende.
La ricorrenza di Sant’Antonio
La festa di Sant'Antonio abate, celebrata ogni anno il 17 gennaio, in passato una delle
ricorrenze più sentite dai contadini, anche oggi è piuttosto diffusa nel nostro quartiere.
Nella cultura popolare, Sant'Antonio abate viene raffigurato con accanto un porcellino. I
contadini lo chiamano Sant'Antoni del purscell. E’ considerato il protettore del
bestiame, dei porcai, dei pompieri, dei macellai, dei fornai e dei salumieri. La sua effigie
era collocata sulla porta delle stalle. Il santo veniva invocato per scongiurare gli incendi e il
suo nome è legato al fuoco di Sant'Antonio. Era supplicato dalle ragazze da marito che
cantavano: Sant'Antoni gluriùs, damm la grazia de fa 'l murùs, damm la grazia de
fal bèll, Sant'Antoni del purscell". La festa di Sant'Antonio la si celebra tra frittelle e
vino brûlé, e soprattutto tra i falò , che hanno una funzione purificatrice e fecondatrice,
come tutti i fuochi che segnavano il passaggio da un stagione sterile ad una fertile.
La ricorrenza di San Biagio
San Biagio, medico e vescovo, si festeggia il 3 febbraio Viene invocato contro i dolori
e le malattie della gola. La tradizione vuole che si conservi un pezzo del panettone di
Natale fino al 3 febbraio, detto appunto panettone di San Biagio e consumarlo la
mattina a digiuno, per benedì la gùla.
La gamba rossa
Fin dalla prima metà dell’800, a San Fruttuoso non era molto diffusa la Festa della
Gibiana, sorta di strega malefica, rappresentata da un fantoccio di paglia rivestito di
stracci, che veniva bruciato l’ultimo giovedì di gennaio. Era invece sostituita da la Gamba
Rùsa (gamba rossa): una robusta calza rossa da donna fortemente imbottita con paglia
triturata. La usavano gli uomini per “richiamare” le donne al loro “dovere” di mogli.
Durante le feste tipicamente femminili (S. Agnese, S. Agata, ecc) le donne maritate
erano solite ritrovarsi a cena senza la presenza degli uomini. Questi allo scadere della
mezzanotte, calavano dal soffitto la Gamba Rùsa, pronunciando una cantilena
minacciosa: “O donne, donne devote, andate a letto che è mezzanotte, l’è San Pèdar che
comanda, se non volete credere, guardì questa gamba”. Le donne intimorite si ritiravano
nelle stanze nuziali, dove i mariti erano ben disposte a consolarle.
San Paganèen e San Martèn
Celebre è la vicenda di San Martino che, incontrato un povero infreddolito dal gelo, non
esitò a tagliare in due il suo mantello per dividerlo col povero. Meno conosciuta è la
vicenda di San Paganèn, poiché non lo si trova né in paradiso, né sui calendari e
neppure nell’elenco dei santi. E’ un’invenzione dei contadini. E non si sa il giorno in cui lo
si celebra. Si sa solo che, in settembre, il giorno in cui i padroni delle terre tornavano dalle
vacanze e si presentavano a raccogliere le decime, gli affitti e altre ingiuste tasse ai
contadini, era il giorno di San Paganèn: un giorno pieno di bestemmie, di “sacrament
de fa drizzà in pèe la cùa anca al diàvul”. Le rivolte contadine del 1885 e 1886
migliorarono le condizioni dei coltivatori e di San Paganèn non se ne sentì più parlare.
Anche San Martino, 11 novembre, era un giorno temuto dal contadino: idoveva
pagare l’affitto. Il contratto di locazione poteva prevedere un pagamento in denaro oppure
in denaro e frumento o bachi da seta; comunque e richieste dei padroni erano spesso
scorrette e arroganti, come sottolineava anche il direttore de “il Cittadino”, don Pietro
Bosisio.
 
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view post Posted on 27/10/2010, 09:57
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CREDENZE LEGATE ALLE SCENE DEL PRESEPE NAPOLETANO

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Il pozzo, la fontana, il mulino, il ponte, il fiume, la taverna, il castello , la grotta sono legati , al di la' dell'aspetto scenografico del presepe , a vere e proprie credenze tradizionali legate al Natale e alle feste natalizie.

IL POZZOè uno degli elementi più ricorrenti nella tradizione perché rappresenta il collegamento tra la superficie e le acque sotterranee.
Ad esso si associa la Madonna, per cui in Campania diverse chiese si intitolano alla Madonna del pozzo venerata a Somma Vesuviana.Alla figura del pozzo si richiamano, inoltre, molte altre credenze e leggende natalizie.
Una volta ci si guardava bene dall'attingere acqua dal pozzo nella notte di Natale.
Si credeva, infatti, che quell'acqua contenesse spiriti diabolici capaci di possedere la persona che l'avesse bevuta.
Secondo un'altra superstizione si affermava che nei riflessi dell'acqua attinta apparissero le teste di tutti coloro che sarebbero morti entro l'anno.Nell'Avellinese, inoltre, si raccomanda ai bambini di tenersi lontani dai pozzi nelle sere delle festività natalizie, perché in quel periodo è in agguato un essere demoniaco detto «Maria 'a manilonga» la quale allunga le mani dal pozzo, cattura gli incauti bambini e li trascina nelle profondità delle acque sotterranee.Sempre nella stessa zona si racconta che alla mezzanotte della vigilia di Natale sui ferri dei pozzi appare «'a papera cugliuta» ossia un'oca con smisurati attributi mascolini, la quale spaventa a morte coloro che hanno la sventura di guardarla.


LA FONTANAnelle credenze popolari è luogo di apparizioni fantastiche o di incontri amorosi.
La donna alla fontana, inoltre, è attinente alla figura della Madonna che, secondo varie tradizioni, avrebbe ricevuto l'Annunciazione mentre attingeva acqua alla fonte.


IL PONTE è altro elemento ricorrente nella rappresentazione presepiale, è noto simbolo di passaggio ed è collegato alla magia.
Alcune favole raccontano di ponti costruiti in una sola notte per opera dei diavoli; in altre, si narra di tre bambini, di nome Pietro, uccisi e seppelliti nelle fondamenta della costruzione allo scopo di tenere magicamente salde le arcate.
Esso è perciò transito e limite che collega il mondo dei vivi a quello dei defunti, è luogo di spaventosi incontri notturni che si verificano in special modo nel periodo natalizio.
Vi appaiono il lupo mannaro, la monaca con la testa mozza dell'amante decapitato, i suicidi che da lí si sono gettati, i morti giustiziati, gli impiccati ecc.

In riferimento al segno del ponte, a Grottaglie e a Napoli, nel giorno dell'Epifania il presepe si arricchiva di una singolare scena. Vale a dire che lí, dove è situato un ponte fra due dirupi si collocavano dodici figurine di confrati scalzi e incappucciati, che mostravano il pollice della mano sinistra fiammeggiante: essi rappresentavano i mesi morti o i dodici giorni del periodo natalizio, che, al seguito dei Magi, ritornavano nell'Aldilà.


IL MULINO vuole rappresentare lo scorrere del tempo.Chiara è l'allusione al nuovo anno, immaginato come una ruota che riprende a girare.La farina bianca è il simbolo della purezza.

IL FIUMEsul presepe si rapporta alla sacralità dell'acqua che scorre: segno presente in tutte le mitologie legate alla morte e alla nascita divina.
Le acque rinviano, innanzitutto, al liquido che avvolge il bambino nel seno materno, ma rimandano anche all'Aldilà, ai fiumi inferi sui quali vengono traghettate le anime dei defunti.
Per tale motivo l'elemento fluviale ricorre liturgicamente nel culti mitriaci e presso i santuari di San Michele il cui culto è associato alle grotte e ai fiumi sotterranei.
Pertanto, non c'è struttura di presepe a Napoli dove il fiume non sia rappresentato con cascate impetuose che precipitano da fenditure della roccia, e dove esso non scorra addirittura con acqua autentica attivata da meccanismi tradizionali.
LA TAVERNA O OSTERIA,che assomma in sé una complessità di significati, riconduce, in primo luogo, ai rischi del viaggiare. Infatti, anticamente, percorrendo lunghi e faticosi itinerari in carrozza, a cavallo o a piedi, si era obbligati a sostare di notte presso un'osteria per rifocillarsi e riposare.
Nel repertorio narrativo ricorrono figure di albergatori malvagi che avvelenano o uccidono nel sonno gli sventurati viaggiatori.
In una leggenda napoletana si narra di un oste che nei giorni precedenti il Natale ammazzò tre bambini, li tagliò a pezzi e li mise in una botte, con l'intento di servirne le carni agli avventori, spacciandole per filetti di tonno. Ma giunse all'osteria san Nicola che ricusò di mangiare, benedisse quei miseri resti e resuscitò i tre bambini.Inoltre, l'osteria del presepe allude al viaggio di Giuseppe e di Maria in cerca di un alloggio, episodio che nella Cantata dei Pastori si sviluppa con il diavolo Belfagor, travestito da oste, il quale tenta di adescare la sacra coppia per sopprimere la Madre vergine. Alla taverna si associa poi il significato rituale del mangiare che, come osserva Propp per il Natale russo, è relativo al banchetto del culto dei morti.
Ma l'osteria contigua alla grotta della nascita esprime anche il rischio che corre il Bambino divino partorito tra i mostri divoranti dell'angoscia, il quale sfugge miracolosamente al pericolo di essere ucciso o divorato appena nato.
Né si dimentichi che il Bambino Gesú giace di solito in una MANGIATOIA
.

al CASTELLOsi associano fantasmi di personaggi spaventosi e terribili storie di sacrifici umani (si fa esplicito riferimento alla possibilità di appropriarsi di ingenti tesori ivi nascosti, mediante l'uccisione di un neonato).
Ma la raffigurazione presepiale ha attinenza con Erode e con la strage degli innocenti.
Per tale motivo il castello viene collocato su uno dei punti più alti del presepe, dove fanno spicco una dozzina di soldati di epoca romana che impugnano una spada nella mano destra e stringono con la sinistra il piede di un bambino a testa in giú. Gli evidenti significati inferi qui giustificano pienamente il diffuso culto alla «Madonna del Castello


LA GROTTAdove nasce il Bambino è illuminata unicamente da teofanie celesti, quali astri splendenti che improvvisamente appaiono a rischiarare le tenebre.

Essa è chiaramente collegata al mondo degli inferi, secondo la simbologia dei miti più antichi, ma è anche interpretabile come una linea di demarcazione tra l'inconscio e il razionale, tra la coscienza e il limbo dove sono presenti i mostri del buio e dell'irrazionale.
La grotta rappresenta, insomma, quel limite crepuscolare fra la luce e le tenebre, fra la nascita e l'informe mondo che la precede, è segno femminile per eccellenza ed è soglia di accesso al mistero, al caos, alla morte, all'incomprensibile, al divino.
Per la sua pregnanza significativa la grotta, come simbolo del Natale, è il luogo che meglio di ogni altro esprime il senso della nascita divina
 
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I TRE SOLI NEL CIELO DI BERGAMO

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Donato Calvi, prelato agostiniano della congregazione della Lombardia ed edito in Milano nell’anno 1676, parlo' di strani fenomeni astronomici nel cielo di Bergamo, tra cui la pretesa osservazione di tre soli contemporaneamente visibili nel cielo.
In altre parole il Sole fu visibile circondato da tre aloni di luce i quali si evolsero lasciando visibili 3 Soli (di cui quello in mezzo era quello vero).
Questo fenomeno inusuale secondo la credenza fu presagio di grande sventura e di illustri morti, cosi come per secoli si penso' delle comete.
Si tratto'di un misto tra astrologia e superstizione, fantasia e paura.E’ curioso leggere di gran pestilenze, un bambino nato con due denti, serpenti che volavano, cavalli che parlavano, visioni animali antropomorfi, terremoti, statue che volavano, incendi, carestie, pestilenze, disastri, morte di regnanti e tanto tanto altro, delle morti di Papi , Imperatori e Regine.


I FENOMENI STRANI (Tra la costa di Caronia e le isole Eolie)

Non chiamateli dischi volanti perché ingegneri, ammiragli e generali, architetti, geologi e fisici da quattro anni a caccia del mistero dell’acqua e del fuoco potrebbero decidere di continuare a tacere. E lasciare il top secret su una blindatissima banca dati con 350 eventi fra avvistamenti, rilievi di campi magnetici, bolle marine dal diametro di un chilometro, distese di melanzane colore arcobaleno e così via fino ad alcune inedite, ancora inspiegabili, foto mozzafiato con oggetti circolari sospesi sull’isola di Vulcano. Tutti strani fenomeni concentrati fra le Eolie e la costa di Caronia, quella segnata dall’angoscia di una piccola comunità di abitanti a partire dal 2004 strabiliati e allarmati davanti a incendi improvvisi, a Tv ed elettrodomestici che si accendevano da soli o prendevano fuoco, come le lampade e i materassi, mentre i cellulari si ricaricavano senza essere collegati a niente e sui display apparivano strambi caratteri.
Non chiamateli dischi volanti nemmeno con i carabinieri che hanno dovuto verbalizzare un collega testimone di una accecante “luce” in cielo, o l’altro al quale prese fuoco una scarpa. Vietata la tipica terminologia da ufologi anche con protezione civile, esercito, aeronautica e marina, università e vulcanologi, tutti timorosi di passare per matti e dubbiosi su cause e ipotesi, ma convinti di un solo dato comune: la concentrazione di fenomeni elettromagnetici in un’area ristretta.


Appunto, quella di Canneto, un pugno di case sul mare, cinquanta residenti, una striscia stretta fra la costa e la linea ferroviaria Palermo-Messina, un rettangolo sottoposto ai raggi X di servizi segreti e sentinelle elettroniche. Tutti impegnati a scoprire perché, soprattutto nell’inverno e nella primavera 2004, proprio in questo buco nero, si smagnetizzavano le pen drive, impazzivano le bussole, si aprivano e chiudevano senza impulsi i cancelli automatici e gli allarmi delle automobili, con sensori e rivelatori di fumo attivati anche senza scosse e fiamme, fino all’implosione dei vetri di una utilitaria e al foro su un parabrezza, «colpito dalla punta di un trapano invisibile», come dichiarò il proprietario e portavoce degli abitanti di Canneto, Nino Pezzino.

Anomalie elettromagnetiche ufficialmente spazzate via da una archiviazione della magistratura che nel 2007 ha impresso al caso il bollo di “un fenomeno di natura dolosa e umana”. Come dire che si sarebbe trattato di un piromane. Però, ancora ignoto. Spiegazione inaccettabile per le “vittime”di Canneto, con intere famiglie evacuate per mesi dalle loro case. Spiegazione insufficiente per gli abitanti fra i quali Antonino Spinnato, un agricoltore con la passione delle foto, tanti scatti finiti alla banca dati, certo di aver visto fino a metà agosto strani oggetti volanti fotografati come gli è capitato di fare con quello che seguiva un elicottero della Protezione civile costretto a un atterraggio per avaria alle pale.

Spiegazione precaria anche per chi scansa i termini da ufologo, ma continua a studiare i fenomeni da un osservatorio istituito con decreto della presidenza del Consiglio nel 2005, il cosiddetto “Gruppo interistituzionale” (vedi box a pag. 60). Una task force che ha come quartier generale un ufficio della Regione siciliana in pieno centro a Palermo, ottavo piano di un edificio moderno, le vetrate sulla cupola del Teatro Massimo e una banca dati che ha già interessato pure i servizi segreti perché un primo riservato fascicolo consegnato a Protezione civile e Palazzo Chigi avanza anche l’ipotesi di “test militari segreti o esperimenti alieni”.

Il tutto con mille dubbi legati a documenti mai pubblicati. È il caso di una foto scattata da un mezzo militare nelle acque di Vulcano il 2 agosto del 2004. Una clamorosa immagine che lascia interdetti perché sul profilo dell’isola sembrano sospesi due oggetti che fanno subito pensare ai dischi volanti. Ingrandito il fotogramma e studiato ogni dettaglio dell’istantanea con sofisticate attrezzature, i tecnici dei diversi enti presenti nel Gruppo hanno solo potuto escludere l’ipotesi del fotomontaggio. «Proprio perché sembrano due dischi volanti procediamo con i piedi di piombo in assenza di conclusioni scientificamente definite », commenta a denti stretti il coordinatore del Gruppo, Francesco Venerando, quando scopre che la foto è comunque arrivata al Corriere della Sera Magazine superando dopo quattro anni la barriera del top secret.

Nei documenti ufficiali si continua a parlare di “due Ovni”, termine che sta per “oggetti volanti non identificati”. Ma si aggiunge che quello stesso 2 agosto del 2004 un Ovni di forma analoga fu osservato nel cielo di Trapani, mentre il 29 luglio, appena quattro giorni prima, un altro dello stesso tipo era stato avvistato su Rometta Marea, a pochi chilometri da Caronia. Informazioni queste ultime arrivate dal Centro ufologico nazionale. Dati incamerati da Venerando con cautela: «Il Gruppo nasce per fare luce sui fenomeni, non per catalogare l’avvistamento di “Ovni”. Ma abbiamo dovuto applicarci anche a questo. E per ogni segnalazione abbiamo ovviamente cercato di controllare le registrazioni radar...», ammette Venerando, anche lui sorpreso perché gli “oggetti” non lasciano tracce. Bisogna però fare i conti con la magistratura che parla di ignoti “piromani” o con l’analogo parere di Enzo Boschi, il presidente dell’Istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia: «Penso che dietro ci sia un bel dolo...».

Non tutti comunque conoscono i contenuti di una banca dati con foto celate da vistosi “Riservato”. Come è accaduto per gran parte degli oltre trecento eventi. Tutti elencati su paginate elettroniche a colori. Pagine in viola per malesseri e morie di animali, a decine. In azzurro, gli avvistamenti di “Ovni”, più di 100. In giallo, gli incendi, 40. In verde, fenomeni di origine elettronica e elettromagnetica, 100. Non a caso una relazione tecnica fresca di stampa elenca «numerose testimonianze di avvistamenti diurni e notturni di Ovni, di improvvisi bagliori e scie, di forti luminescenze nello specchio di mare compreso tra le Eolie, in particolare le Isole Alicudi, Filicudi e la costa di Caronia, che iniziano nel 2004 e si ripetono abbastanza spesso, fino a oggi...».

Cauto, Venerando si limita a parlare di “una origine artificiale dei fenomeni”, di “emissioni elettromagnetiche impulsive” capaci di generare “una grande potenza concentrata in frazioni di tempo estremamente ridotte”. E quale sorgente potrebbe mai assicurare sto po’ po’ di roba? Sulla “fonte” o sul “soggetto” allarga le braccia: «Potrebbe anche trattarsi di applicazioni sperimentali di tecnologie industriali, non escludendo quelle finalizzate a recenti sistemi d’arma a energia elettromagnetica... ». Un modo forse per lasciar trapelare la possibilità di esperimenti da parte di una potenza militare. Ignota comunque la posizione della “fonte”. Forse, il mare. Forse, sott’acqua. Mistero profondo. Per questo si decise di installare una rete di telecamere e termocamere a infrarossi tutt’intorno a Canneto e diversi sensori sulla costa e sulle isole Eolie nel tentativo di dare la caccia non solo all’eventuale piromane mai trovato, ma a quello che nei rapporti riservati viene definito “l’impulso sorgente proveniente dal mare”.

Telecamere e sensori sono stati collegati per tre anni in tempo reale con i computer del “Gruppo” da una sala regia collocata sull’attico più vicino al mare, l’appartamento di una delle “vittime” di Cannetto, Antonio Caico, un signore stanco che però ha mollato e venduto la proprietà. Per continuare l’attività sarebbe bastato spostare le attrezzature costate 150 mila euro in un prefabbricato sul mare, come chiese Venerando. E invece stop, tutti “accecati”. Con le apparecchiature adesso ammassate in un magazzino del Comune di Caronia. Come rivela Venerando, irritato dall’interruzione del monitoraggio: «Non possiamo più controllare l’area, come facevamo a qualsiasi ora, via Intranet». Il tutto a costo zero, assicura, perché ogni componente del Gruppo opera senza rimborsi, senza budget, come dipendenti degli enti rappresentati. «Il sistema consentiva di rilevare molteplici dati attorno ai fenomeni », si rammarica Venerando. «Volevamo installare altri sensori anche alle spalle di Caronia, sulle vallate interne, a Lipari e Salina, per creare una rete capace di individuare il “punto sorgente”». Sarebbe stata così interrotta un’esperienza unica in Italia, «in un’area geografica oggettivamente sensibile», stando a Venerando che parla di «un’attività d’interpretazione scientifica coniugata con gli studi e le recenti esperienze della ricerca cosiddetta “di confine” ». E dire che sulle telecamere abbandonate in magazzino, sulla necessità di ripristinare il monitoraggio c’è pure un’interpellanza bipartisan in Senato presentata l’anno scorso da 17 parlamentari.
 
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I Petroglifi misteriosi della val Camonica

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La valle, come testimonia la presenza di un numero rilevantissimo di petroglifi che partono dal neolitico (IV millennio a.C.) per finire a tempi storici (Medioevo), era probabilmente il sacro luogo dove si poteva celebrare a giusto diritto la confricazione primordiale, l’atto di nascita della razza umana.
E proprio nella valle troviamo a dialogare con gli umani, strani esseri “diversi” o per abbigliamento o per morfologia inspiegabile. Si tratta di graffiti, tra i più antichi, che mostrano figure umanoidi con grandissime teste a occhi globulari, impostate su fisici filiformi, assai simili al tipo di extraterrestre proposto da Steven Spielberg nei film “Incontri ravvicinati del terzo tipo” (3) ed “E.T.” (4). Stupisce molto trovare tra figure umane ben leggibili e attive nelle opere dell’umanità neolitica, queste icone indecifrabili come allusioni misteriose a presenze ignote, ma accostate a quelle note. Tali personaggi presenti un po’ dovunque non sono molti ma sufficienti per lasciar capire che si tratta di un qualcosa di visto e classificato da occhi attenti.
Inoltre per le loro caratteristiche costanti nelle varie aree della valle non dovrebbero essere considerati come capricci grafici o parti di fantasia. Ricordo, uno per tutti, un campione nel sito di Luine. Nessuno studioso è riuscito ancora a fornirne una spiegazione accettabile e tra pochi anni quelle immagini andranno purtroppo perse. Scolpiti su rocce in pendio, se privati della protezione millenaria della terra, sono facile preda del dilavamento delle acque. Una piccola parte di essi però attraversò la storia esposta agli occhi di tutti gli uomini che si susseguirono nelle generazioni e che assai probabilmente guardavano a quelle antichissime espressioni di pietas con occhio religioso, intuendo la sapienza che trasmettevano. Forse fu così che donne capaci di usare le erbe e di conoscere le leggi della natura feconda, sagge di antichissima scienza, proliferarono in quella valle più che in altre.
Esse erano chiamate streghe. Sapevano fare gli incantesimi e scatenare le saette, veneravano una signora spesso chiamata Diana o Erodiade, volavano veloci verso il Tonale dove in certe notti di Luna si radunavano a migliaia per celebrare i sabba. Delle prime streghe si ha notizia nel Medioevo ma a guardar bene oltre la barriera dei documenti, cercando negli archivi delle tracce antropologiche, le streghe in valle ci dovevano essere state sempre. Dalle sciamane danzanti intorno al morto per invocare l’aiuto degli spiriti familiari, che lo guidassero verso le vette della pace e dell’abbondanza, alle adoratrici del dio cornuto scambiato in età cristiana per Satana, il filo diretto non può essere negato



ALCUNE CREDENZE E SUPERSTIZIONI DEL NORD ITALIA

Nelle tradizioni e nelle credenze, fin dall'antichità, la superstizione nell'interpretare segni della natura o nel prevedere il futuro, ha svolto un ruolo determinante nella vita e nei costumi popolari. Nelle superstizioni si ritrovano spesso credenze popolari, religiose o scientifiche antiche e del passato, non più accettate dalla cultura e dalle religioni ufficiali, ma tuttora vive, specie nei piccoli paesi e nei borghi.
Ogni regione italiana custodisce antiche credenze legate il più delle volte al soprannaturale, che vengono tramandate di generazione in generazione attraverso i "consigli della nonna"; quella che segue è una piccola carrellata delle superstizioni nostrane. In Val D’Aosta, il 2 novembre, le famiglie lasciano la tavola imbandita e si recano a far visita al cimitero. I valdostani credono che dimenticare questa abitudine significhi provocare tra le anime un fragoroso tzarivàri (baccano).
La superstizione piemontese attribuisce alle foglioline di rosmarino utilizzate per profumare il “Castagnaccio”, un significato amoroso. Si credeva, infatti, che se un giovane le avesse mangiate contenute nel “Castagnaccio” offertogli da una ragazza o dalla sua famiglia, egli si sarebbe immediatamente innamorato di lei e l’avrebbe chiesta in sposa. Nella superstizione lombarda i ceci hanno un forte valore propiziatorio perché conserverebbero gli spiriti.
Secondo una vecchia credenza delle Alpi venete un rimedio pratico per calmare il dolore provocato dalle punture delle api e degli insetti in genere era quello di mettere sulla ferita una gallina nera.
In Liguria non si regala mai un coltello: "taglierebbe l'amicizia". Il donatore può tuttavia evitare tale conseguenza, facendosi consegnare dall'interessato una monetina: in tal caso l'azione assume i connotati d'una vendita.
Secondo la superstizione delle valli trentine "se uno muore a occhi aperti, ne chiama un altro fra i parenti". Non potevano mancare le credenze e i pregiudizi legati al cibo, in Friuli giurano che le pesche sbucciate siano indigeste mentre mangiarne sette noccioli non solo farebbe passare la sbronza, ma ne eviterebbe anche di future.
Molte superstizioni romagnole sono collegate al rosmarino, si credeva che se una pianticella di rosmarino affidata al terreno avesse attecchito sarebbe morta la persona che l'aveva piantata: tuttavia l'interessato poteva sfuggire al funesto evento orinando sopra la pianta per tre mattine consecutive all'alba.
Secondo un'antica superstizione toscana chi, la mattina del giorno consacrato a San Giovanni Battista (24 giugno), si lava nell’acqua di una bacinella lasciata all’aria aperta durante la notte, con dentro una gran varietà di erbe aromatiche, diventa bello.
La notte di Natale è da sempre definita “magica” a causa dei vari riti che vi si compiono unendo sacro e profano. In Umbria si pensa che a mezzanotte esatta le corna degli animali si illuminino sulla punta, e che tutti gli asini si inginocchino per salutare il Bambinello. Infine si crede che chi nasce la notte di Natale abbia il potere di tener lontane le disgrazie dalla sua famiglia e da quella dei suoi amici.
Il potere di guarire il mal di pancia dei bambini tramite la semplice imposizione delle mani, secondo una credenza marchigiana, era concesso a chi avesse ucciso una talpa con le proprie mani. Secondo una superstizione abruzzese per guarire il mal di milza, invece, bisogna appendere una milza di agnello sotto il camino in questo modo il male regredisce man mano che si dissecca.
 
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LE MONETINE AGLI SPOSI

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In molti paesi del meridione, all'uscita dalla chiesa, si usa ancora gettare agli sposi riso misto a monetine in segno di prosperita' , benessere e fecondita'. In alcuni paesi della sardegna , invece, oltre alle monetine,a cerimonia avvenuta la madre della sposa e il padre dello sposo offrono ai neo-sposi un bicchiere di acqua da bere e spargono su di loro e sugli invitati "sa gratzia", petali di rose, chicchi di grano, granellini di sale, : un augurio di felicità, benessere, prosperità per la nuova famiglia; le madri poi rompono il piatto che conteneva "sa gratzia". Si ritorna alla casa della sposa dove avverrà il banchetto nuziale.Nella piazza del paese si festeggerà dal tardo pomeriggio sino alla notte con balli folcloristici, musica e canti offerti dai gruppi folk provenienti da vari paesi della Sardegna.

 
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IL RAGNO LUPO (LA TARANTOLA)
Nell’immaginario generale, la tarantola, è un ragno gigante , in Puglia questo ragno lupo, che ha preso il suo nome dalla città di Taranto , è famoso, perché, secondo le leggende popolari, il suo morso provocava crisi epilettiche e pazzia, e l’unico rimedio era una danza purificatrice “La Tarantella”, ballo locale Pugliese, noto anche col nome di “Pizzica”. Di vero ovviamente nella leggenda c’è ben poco, ma è la leggenda che più si avvicina a questo splendido ragno mediterraneo, ed ancora oggi sono diffuse nel nostro paese espressioni del tipo: stai un po’ fermo sembri un “tarantolato”, oppure, che ti ha morso la tarantola, riferito soprattutto a bambini molto vivaci o irrequieti.In effetti la credenza nasce dal fatto che il morso o pizzico di questo ragno è molto doloroso e chi ne è colpito è incentivato a danzare facendo salti di dolore.

IL CAGURO(folletto pugliese)
</b>
<b>Il Gaguro è un essere notturno, è un fantasma, un giustiziere, uno spirito che viene a difendere i deboli e schiacciare i cattivi.
Ma è anche uno che fa dispetti.
E' piccolo, tutto nero e peloso, e porta in testa un cappello che per lui è molto prezioso.
Entra dalla finestra e si mette ai piedi del letto, a guardarti mentre dormi.
A seconda dell'espressione che fai, può decidere di attaccarti, o semplicemente sorvegliare il tuo sonno.
Se ti sveglia, devi cercare di togliergli il cappello, perchè se riesci a toglierli il cappello puoi chiedergli quello che vuoi, perchè per lui il cappello è molto prezioso.
Una volta è successo a mio cognato di incontrarlo.
Siccome picchiava la moglie, il gaguro andò per dirgli di smetterla.
Dice che il gaguro gli andò sul petto e lo stava schiacciando, dicendogli " se la tocchi di nuovo, ti ammazzo, hai capito? Tu a tua moglie non la devi picchiare più!!"
Lui non riusciva a respirare e cercava di toglierselo dal petto, gridando e dimenandosi nel sonno.
La moglie, che si era svegliata, non riusciva a capire perchè il marito si muovesse così tanto, e dice che non vedeva niente, nessun gaguro, nessun rumore, a parte il marito che si dimenava nel sonno.
Il giorno dopo, il marito le raccontò del gaguro, e promise di non picchiarla più."

 
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IL PONTE DEL DIAVOLO A CIVIDALE FRIULI

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A Cividale del Friuli si trova un ponte soprannominato “Ponte Del Diavolo”. Tale nomina deriva dalla tradizione popolare che in epoca antica associò la costruzione del ponte alla mano del diavolo. Si riteneva infatti, che il ponte fosse stato costruito in una sola notte dal maligno, il quale, in cambio, contrattò l’anima di chi per primo fosse passato sopra la sua opera. Gli abitanti, con molta furbizia, fecero passare per primo un gatto, burlandosi in questo modo del demonio e salvaguardando l’anima di tutti i cittadini


LA CARREGA DEL DIAVOLO e la Montagna del REOPASSO:

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Il Reopasso è indubbiamente la montagna più caratteristica della Valle Scrivia per le sue molteplici leggende che la rendono magica agli occhi di qualsiasi visitatore.
La vetta nord è stata denominata Carrega del Diavolo e si trova a quasi 957 metri di altezza!
Come abbiamo già detto, numerose sono le leggende create attorno ai personaggi che hanno legato la memoria della propria esistenza proprio a questa montagna.
Basti ricordare, Filippin il suicida, forse vissuto alla fine del medioevo la cui anima pare vagasse senza sosta sulla Carrega del Diavolo.
Anche alcuni abitanti del posto nel periodo ottocentesco, sembra abbiano giurato di aver spesso incontrato, la sera, tornando a casa, un cane dagli occhi roventi, come carboni accesi che fuggiva alla loro vista, mentre l'eco del suo lamento risuonava contro le pareti della montagna.
Un'altra anima vagante sembra essere quella di Rafaelin, un uomo vissuto tra i peggiori espedienti, che lasciò come ultima volontà quella di essere sepolto in un posto inaccessibile: venne accontentato facendone precipitare i resti in uno strapiombo.
Nel bosco di Bellomo, si racconta che un boscaiolo, di nome Ometto, abbia chiamato il diavolo in aiuto per risalire i ripidi sentieri con il suo pesante fardello di legna e si dice ancora che fantasmi, spiriti e fate si diano convegno nei valloni del Fobè.
Una notizia certa è che l'ultimo eremita di del Reopasso su sicuramente Pajarito, uno strano emigrante tornato, senza aver avuto fortuna, dall'America Latina, intorno agli anni venti.
Visse come un eremita nella capanna del Romito, mangiando quanto la natura gli offriva spontaneamente!
Morto alcuni anni fa, all'età di 83 anni, sembra che alcuni lo abbiano visto girare per la montagna alla ricerca di erbe preziose per la sua salute e cibo per il suo stomaco!


La Casa delle Anime di Voltri:

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A pochi chilometri da Voltri, sull'antica Via dei Giovi si trova la " Casa delle Anime" alla quale è legata una leggenda molto antica! Si narra, infatti, che questa palazzina di due piani anticamente fosse stata una locanda dove i viandanti si fermavano a riposare ed a far rifocillare i cavalli.
I proprietari della locanda avevano trovato una fonte molto redditizia da aggiungere ai proventi ricavati dalla loro ospitalità!
Sembra, infatti, che facessero soggiornare i viaggiatori più ricchi in stanze molto appartate dove di notte penetravano per ucciderli a scopo di rapina per poi gettare i loro cadaveri in un pozzo ben nascosto.
Dopo la seconda Guerra Mondiale, una famiglia spinta dalla miseria prese abitazione in questa palazzina malgrado circolassero strane voci circa una presunta infestazione all'interno della stessa.
Questi poveri inquilini vissero ore di terrore! Pentole che cadevano dalla credenza, bicchieri spostati nell'acquaio per arrivare, un giorno, ad un fatto che mise in serio pericolo la loro sanità mentale!
Improvvisamente, davanti ai loro occhi apparve una fanciulla vestita di bianco, che errava nei dintorni alla ricerca del proprio fidanzato, il quale era stato ospite della locanda senza più tornare a casa. Sembra, inoltre, che la povera giovane ancora vaghi senza staccarsi da lì e che interroghi chiunque incontri sul suo camino, per poi sparire lasciando un profumo di rose! -



LE CASE MALEDETTE
Molti luoghi o case sono diventati maledetti un po' dalla fantasia popolare e un po' da avvenimenti che ivi sono accaduti in quanto scenari di delitti, tragedie, avvenimenti inspiegabilie misteriosi.
A La Spezia, si trova la Casa del violino. Appartenuta a un musicista, dopo la sua morte lo strumento cominciò a suonare da solo, accompagnato da terrificanti urla provenienti dai muri. Testimoni molte persone che si vi passarono la notte. Per questo motivo, anche questa casa non è più stata venduta né abitata.
Tra Padova e Venezia, vicino a Mira lungo il canale del fiume Brenta si trova invece Villa Foscari, conosciuta con l'appellativo de La Malcontenta. In essa si aggira lo spettro della più famosa "Dama Bianca" d'Italia, vista spesso passeggiare nei giardini retrostanti la villa e nelle sue stanze. Le cronache raccontano che lo spettro appartenga ad una certa Elisabetta, aristocratica del '700. A causa della sua indole libertina, venne rinchiusa nella villa che pare aver eletto a sua eterna dimora. Secondo alcuni comparirebbe indossando un lungo vestito nero con le spalle scoperte; secondo altri completamente vestita di bianco. Tutti sono concordi nell'affermare che si tratti di una donna stupenda dai capelli rossi…vedere per credere!
Vicino a Ferrara, a Cona, si trova Villa Magnoni. Il suo aspetto è molto cupo, visto che tutte le finestre, eccetto una, sono state murate. La causa è un incidente avvenuto verso la fine degli anni '80 nel quale morirono tre ragazzi. Si trattava di un gruppo di quattro amici, che dopo essere entrati nella villa alla ricerca di emozioni udirono canti di bambini provenire dal giardino. Usciti, non trovarono nessuno ma guardando le finestre, videro una vecchia signora affacciata che diceva loro di andarsene, ricoprendoli di insulti. I quattro scapparono terrorizzati e poco dopo ebbero un incidente, nel quale morirono in tre. Il comune fece murare tutte le finestre, tranne una perché mancava il pavimento. Misteriosamente, il sopravvissuto narrò che la vecchia signora era apparsa proprio da quella.
A Bologna si trova Villa Clara, altro luogo cult maledetto. Nome popolare del cinquecentesco Palazzo Malvasia, situato al n. 449 di Via Zanardi, a poca distanza dalla località Trebbo di Reno La casa è oggi fatiscente, circondata da un giardino incolto e in essa si aggirerebbe inquieto il fantasma di una bimba che piange e chiede aiuto. Si tratterebbe della piccola Clara, abitante delle villa nei primi del '900 e fatta murare viva da suo padre, terrorizzato dai poteri di chiaroveggenza della piccola, che indovinava fatti che sarebbero accaduti a breve. Le voci che circolano dicono che in certe notti la si sente piangere,cantare, lamentarsi oppure girovagare in giardino. Un'altra versione vorrebbe Clara non bambina ma adolescente, figliastra del padrone della villa, un nobile, che l’avrebbe poi murata viva per punirla di una tresca che aveva con un sottoposto del casato.

Sempre vicino a Bologna un altro mistero fitto è quello della scuola elementare della Croara a San Lazzaro di Savena, chiusa dopo la morte tragica di un alunnno, che spinto da un compagno giù per le scale si ruppe l'osso del collo. Dopo la tragedia, improvvisi malori colpirono come un epidemia insegnanti e bambini e cominciarono a verificarsi strani incidenti, come allagamenti improvvisi dei bagni, bidelli bloccati all'interno dell'aula del ragazzo morto e rumore di pianto proveniente dal fondo delle scale teatro dell'incidente. Il preside si licenziò e si trasfeì, la scuola chiuse. In certi giorni, all' ora della sua morte, nel silenzio si sente un pianto di bambino accompagnato dal suono di una palla che rimbalza

Arriviamo a quella che è forse la villa maledetta per antonomasia, nel nord Italia. Ovvero Cà Dario, a Venezia. Magnifico palazzo del Canal Grande, dalla struttura sbilenca e le mura ornate di marmi policromi, ha fama di maledetta perché tutti i suoi proprietari sono morti di morte violenta. La figlia costruttore Giovanni Dario, Marietta, nel 1479 si suicidò in seguito al fallimento economico del marito, che a sua volta morì assassinato. La dimora passò nelle mani di un gioielliere armeno che perdette tutti i suoi averi, morendo in povertà. Il palazzo fu poi acquistato da un inglese, che vi si suicidò assieme al suo amante, dopo che la loro relazione era stata scoperta. Subentrò un americano, che a sua volta accusato di omosessualità, fuggì in Messico, dove il compagno si suicidò. Nel 1964 le trattative per la vendita al tenore Del Monaco si interruppero quando rimase vittima di un gravissimo incidente stradale mentre si stava recando a Venezia per chiudere l’affare. L'acquistò poi un conte che venne trovato morto, con la testa fracassata da un vaso. L’assassino, un marinaio diciottenne che viveva con lui, fuggì a Londra e fu a sua volta ucciso. Cristopher «Kit» Lambert, manager della band inglese “The Who”, morì poco tempo dopo aver comprato il palazzo: apparentemente cadde dalle scale, ma qualcuno parlò di suicidio. Ca’ Dario fu allora comprata da un affarista veneziano, che finì quasi subito in bancarotta, mentre la sorella, che viveva con lui, morì in uno strano incidente d’auto. Alla fine degli anni Ottanta, fu acquistata dal finanziere Raul Gardini che travolto nel 1993 dalla tempesta giudiziaria di "Mani Pulite", morì suicida in circostanze mai chiarite.

 
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view post Posted on 5/12/2010, 10:36
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Seppe u Padreterno’

Fu un personaggio mitico morto nel 1955, conosciuto in tutto il Salento.Era nato a Ceglie e abitava nel suo trullo in campagna a Pascarosa, sin da bambino si era appassionato alla ricerca di erbe medicinali, durante la prima guerra mondiale fu impiegato in una infermeria dove immagazzinò tante nozioni mediche. Tornato a Pascarosa si dedicò ad aiutare i suoi concittadini con unguenti, decotti ed erbe ricevendo in cambio solo doni in natura. In pochi anni la sua fama di guaritore varcò i confini della Puglia tanto che nel periodo fascista, persino il regime si interessò di lui, alcuni gerarchi si recavano da lui per un consulto e il ‘Padreterno’ ottenne in cambio un’apposita fermata ferroviaria a Pascarosa


Maschio o femmina? con il metodo cinese si sa.


Un antico metodo cinese promette di indovinare il sesso del nascituro incrociando l’età della madre e mese del concepimento.
In più le statistiche a lato indicano, in base all’età della madre al momento del concepimento, le percentuali di probabilità di avere un figlio maschio o femmina.
Il Totale in basso indicano le stesse percentuali in base al mese di concepimento

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RIMEDI CALABRESI CONTRO LE MALATTIE
In Calabria si ricorreva ad una vasta gerarchia di magare che avevano il compito non solo di neutralizzare le cause che avrebbero determinato la malattia, come la iettatura e il malaugurio, ma anche gli effetti cioè la malattia stessa.
La medicina popolare riprendeva antichi riti terapeutici di carattere magico-religioso che operavano per suggestione ed erano talvolta interessanti reminiscenze di una medicina primitiva di cui il popolo è sempre stato il depositario. Si ha così l'uso di bere il vino con l'infusione di tizzoni ardenti scavati la notte di San Lorenzo, o di ligare al paziente i rospi, le lucertole, e le noci e di accostargli alcune piante o animali sulla milza o di mangiare teste di vipere fritte con l'assenzio. Il popolo, insomma, non ebbe ripugnanza a mettere a profitto le più schifose indicazioni pur di liberarsi di un male che minava tutti gli organismi: a freve d'ogni hiurne accire l'omme e lu lione, si legge nei proverbi delle zone malariche. Non ci fu bevanda o preparazione che fosse ritenuta troppo nauseabonda da propinare e tutto fu tentato con la più cieca fede. A Reggio Calabria si facevano deglutire tre cimici da letto vive avvolte in ostia o carta velina; a Cassano allo Ionio e Bisignano si adoperavano i boli di ragnatele fuligginose o si faceva bere l'urina del febbricitante stesso o il succo di alcuni insetti. Fra i contadini era frequente per sette mattine bere in un bicchiere di vino il sangue polverizzato ed infornato di lepre oppure affidarsi alla credenza che se una persona affetta da quartana nella sera di Natale, senza farsi riconoscere, elemosinasse per nove porte e consumasse essa sola tutto il raccolto nei giorni successivi, sarebbe sicuramente guarita.
Nelle pratiche antimalariche avevano un ruolo importante anche le preghiere rivolte ai santi taumaturgici e ai protettori specifici della febbre. Si svolgevano così pellegrinaggi e processioni soprattutto nei periodi di massimo contagio quasi ad invocare la protezione divina sulla stagione apportatrice di epidemia: così accadeva a Cosenza dove si venerava la Madonna della Febbre.



Edited by Pulcinella291 - 6/12/2010, 09:03
 
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view post Posted on 14/12/2010, 11:33
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STORIE E LEGGENDE PIEMONTESI

[size=7]Il pilun gambalasa
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Si narra che nel paese di Peveragno un lupo sbrano' un uomo lacerandogli una gamba , tanto da staccargliela dal colpo.Quando gli abitanti videro la gamba vicino al pilone lo chiamarono “IL PILUN GAMBA LASA” (= il pilone della gamba lasciata)

L’OROSCOPO

Nel 1630 Carlo Emanuele I di Savoia era a Savigliano col suo esercito per combattere i francesi perché avevano invaso le terre del marchese di Saluzzo . Non lo sfiorava, malgrado l’età, la guerra e l’estendersi della pestilenza per la penisola, né il pensiero della morte. Anni prima, sulla via di Gerusalemme , un astrologo gliela aveva predetta. Lui la credeva lontana e non se ne curava. Il 23, ebbe una violente febbre e dolori, dovette stare a letto nel palazzo Cravetta. I medici gli diagnosticarono una pleurite e lo curarono senza ottenere risultati. Il Duca, confidando nell’oroscopo, era convinto di guarire. Infatti pensava che la sua ultima ora sarebbe giunta in Terra Santa, non nelle sue terre. Il terzo giorno, folgorato da una triste idea, domandò in che via sorgesse il palazzo che l’ospitava. Gli fu detto: via Gerusalemme! In piedi vi moriva, dopo essersi comunicato, poche ore dopo.

Il ponte creato da un drago

Una volta a Villafaletto, un paese molto tranquillo, venne un drago con sette teste. Quel drago veniva ogni giorno al paese e voleva una persona da mangiare. Il re mando’ un messaggio a tutto il mondo, nel quale chiedeva se ci fosse una persona così coraggiosa da uccidere il drago che stava seminando il panico nel suo regno. Questo messaggio arrivo’ in un paese molto povero chiamato vignolo. Un piccolo orfanello senti’ il messaggio,prese la sua spada e parti’ per Villafaletto. Arrivato ando’ dal re e gli disse: “é questo il paese infestato dal drago?” Il re rispose: “si é questo”.

Arrivate le ore 8:00 si presento’ il drago e l’orfanello gli taglio’ la pancia e al posto di uscire sangue usci’ un ponte. I cittadini lo festeggiarono per la morte del drago e per avere creato il ponte di Villafaletto.

LEGGENDE E MISTERI DI LUCEDIO E LA SUA ABBAZIA

Lucedio, luogo estremamente suggestivo e di antichissime origini, sorge nel cuore della campagna
di Vercelli in prossimità del comune di Trino Vercellese.
La sua storia e le sue leggende sono famose a livello
europeo e la fama del luogo ha varcato l’oceano tanto
che, verso la fine del 2000, gli americani della Triagenic
sono arrivati nel principato per girare una puntata di “
The Scariest Placet on Earth” per conto della Fox Family
Channel.
Cerchiamo di capire quali sono i misteri e da dove hanno
origine, attraverso un’analisi storica, architettonica e
culturale, concentrandoci anche su alcuni luoghi che
sorgono in prossimità e che sono collegati da una trama
di oscure leggende al principato stesso.
Uno storico inglese che visitò le terre di Lucedio
all’inizio del XIII secolo, descrisse così il luogo: ”la
vista di un impiccato, appeso al ramo di un’albero che si intravede nelle nebbie della palude, non
guasterebbe di certo il paesaggio”.
LEGGENDE STORICHE

Origini storiche
Il toponimo è già attestato nel 904 e pare che vi fosse già un insediamento romano.
La data di costruzione di Lucedio è l’anno 1123, ad opera di Ranieri marchese del Monferrato, il quale vi chiamò i monaci Cistercensi.
Tuttavia tra gli storici il 1123 non è la data certa in quanto esiste un’altra corrente di pensiero che identifica il 1124 come anno di edificazione.
Dopo attenti ed approfonditi studi si è invece appurato che la data esatta è proprio il 1123.
La scoperta del riso.
I monaci Cistercensi, iniziando la coltivazione del riso, fecero un’opera grandiosa e geniale da un punto di vista economico e sociale che molti definirono (e definiscono) miracolosa.
Nel medioevo la pianura vercellese era malsana, inospitale e vi cresceva una fitta boscaglia.
I monaci, con grande fatica e dedizione, disboscarono e dissodarono il terreno, incanalarono l’acqua per permettere la coltivazione del riso, pianta allora semisconosciuta, che in seguito andò persino a
sostituire il grano, molto più costoso e con un minor apporto nutritivo.
Inutile ribadire che questo lavoro fu di fondamentale importanza per l’economia di Vercelli.
Il nome Lucedio
In molti notano l’assonanza Lucedio-Luce di Dio ma, considerate le occulte leggende, la teoria seppur plausibile sembra del tutto fuori luogo.
Considerando il contesto si può interpretare Luce di Dio come Lucifero, mitico portatore di luce che, una volta cacciato dalle sfere celesti, si è trasmutato nel temuto demonio.
Le teorie che cercano di dare un significato al nome sono numerose e non sempre in accordo tra di loro. La radice in “Lucus” potrebbe avere un preciso significato in quanto il territorio era una palude immersa nella boscaglia.Moltissime leggende affermano che sotto Lucedio scorrano una serie di tunnels che lo collegano con svariate località di importanza strategica.
Sembra che in ogni paese nelle vicinanze e addirittura in alcune località del Monferrato esistano cunicoli di collegamento con il principato.
Se così fosse esisterebbe una rete sotterranea da far invidia alla metropolitana di Londra.
Alcuni testimoni affermano di aver percorso le gallerie sotterranee fino ad un certo punto, altri dicono che tali ambienti siano addirittura carrozzabili, ma nessuno ha mai percorso un cunicolo per
intero tanto da poter arrivare a Lucedio.
 
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view post Posted on 23/12/2010, 08:29
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LE CREDENZE DI ALCUNE REGIONI SUL NATALE
Sul Gargano allo scocco della mezzanotte di Natale, i vecchi insegnano ai giovani gli scongiuri per evitare le tempeste, o il “pater noster verde” che allontanerà i tifoni e distruggerà il malocchio.Anche in tante altre Regioni d’Italia la notte di Natale sembra la più propizia per “passare il mestolo”. Questa è un’espressione che deriva dalla seguente tradizione: nel cuneese le “masche” pronunciano la seguente frase rivolte a una giovane di casa: “Ti lascio il mestolo” e colei che lo riceve in eredità viene iniziata dall’anziana ai misteriosi scongiuri.
Anche in Veneto, la notte di S.Giovanni e la notte di Natale sono quelle preferite dalle donne sagge e sapienti per insegnare i segreti alle ragazze.
E nelle vostre regioni?

La formula magica per togliere il malocchio a Caprarica di Lecce, per es., è segreta e viene tramandata in queste notti da madre in figlia; la masciara fa il segno della croce, mette un piattino vuoto sulla testa dell’ affascinato, ripete il segno di croce e recita la formula segreta, che “potrebbe” essere simile a questa: "Patrunu te li Celi e de la Terra: /famme all'occhi Toi stu giurnu degna; / sse pozza ssoscire /stu nnutu te lu malignu, / ca st'ànima criatura ete nnucente nfacce llu Patre, lu Figliu e llu Spiritu Santu”. Versa dell’acqua nel piattino, immerge l’ago della pasta in una bottiglia d’olio, fa cadere tre gocce nel piattino con l’acqua, se l’olio si spande non c’è lu nfascinu, se l’olio scompare subito è nfascinu recente, se l’olio scompare piano piano lasciando quasi un alone, è un malocchio vecchio. La donna fa ancora il segno della croce e sparge il contenuto del piattino nelle quattro direzioni. Ripete il rito per tre volte; l’ultima volta nel piattino aggiunge del sale, lo lascia sciogliere e poi getta il contenuto nella pianta più rigogliosa del giardino, mentre pronuncia: “Ieu te tau li mei dolori, tie me tai li toi ardori!” Il rito viene ripetuto a distanza di qualche giorno, affinchè la persona colpita dal malocchio sia completamente liberata.
Altre credenze del folklore popolare riguardano la sfera amorosa. Se una ragazza la notte del Natale si guardava allo specchio con i capelli disciolti poteva immaginare di vedere, invece della sua immagine, quella del suo futuro sposo. Sempre durante queste feste, per sapere se si sarebbe sposata entro l’anno, la ragazza poteva praticare delle semplici “divinazioni” il 31 dicembre: “La festa di San Silvestro, prendi la tua scarpa sinistra e lanciala tra i rami di un cespuglio. Se lo zoccolo resta impigliato, ti sposerai entro l’anno. Se invece dopo che l’avrai lanciato per nove volte, sarà sempre ricaduto, passeranno diversi anni prima che ti si conduca all’altare.” Oppure, sempre a S.Silvestro: “Getta con la mano sx una pantofola dietro la schiena; se la punta sarà in direzione della porta, ti sposerai entro l’anno, sennò dovrai attendere ancora.”
“Dopo il 31 dicembre, la prima sera in cui vedi la luna piena in cielo, lavora sodo per tutto il giorno al fine di stancarti. Dopo cena lavati le mani, la bocca, gli occhi , i capelli, che saranno tirati dietro la nuca. Esci, recati in un luogo tranquillo e solitario, come il recinto di un campo, appoggiati a un albero o un palo di sostegno e guarda la luna, chiedendole di rivelarti chi sposerai; torna in silenzio a dormire. Se il tuo cuore è sincero, sognerai sicuramente del marito che verrà.”


UN ELENCO DELLE COSE PORTA SFORTUNA

In vari paesi, soprattutto di tradizione anglosassone, il venerdì 13 (perché venerdì è il giorno in cui fu crocifisso Gesù); in altri il venerdì 17 (in Italia), o il martedì 13 (Spagna, Grecia, Sudamerica);
Il motivo della presunta sfortuna associata al 13 deriva dal fatto che 13 era il numero dei partecipanti all'ultima cena, proprio per questo riferimento sarebbe deprecabile sedersi a tavola in 13 perché il tredicesimo convitato sarebbe destinato a morire entro l'anno. Un'altra teoria vuole invece che un venerdì 13 del 1307 Filippo il Bello diede ordine di sterminare i cavalieri templari per impadronirsi delle loro ricchezze: da allora la nomea riguardo questo numero.
Anche riguardo l'origine del 17 sfortunato sussistono diverse ipotesi: una delle più avvalorate riconduce la credenza alla latino in quanto il numero 17 si scrive XVII, che anagrammato diventa VIXI (sono vissuto in italiano) quindi se ho vissuto vuole dire che ora sono morto; altri sostengono risalga ad una delle più gravi sconfitte dell'esercito: la battaglia della Foresta di Teutoburgo nell'anno 9 d.C, in quella sfortunata occasione furono annientate tre intere legioni (la XVII, la XVIII e la XIX), episodio che creò un enorme turbamento a Roma e la cui eco rimase a lungo nel mondo romano. La sfortuna del 17 potrebbe essere di origine biblica: nella Genesi (7,11) è indicato che il Diluvio universale ebbe inizio il 17 del 2º mese nell'anno seicentesimo della vita di Noè.
In Giappone, il quattro è considerato un numero sfortunato per via del fatto che, benché si scriva diversamente, il numero, che si pronuncia "shi", ha la medesima pronuncia dell'ideogramma usato per rappresentare la morte (死).
Si dice che rompere uno specchio porti sette anni di disgrazie: già prima dell’invenzione dello specchio si riteneva che ogni superficie riflettente fosse dotata di proprietà magiche. L’uomo preistorico che vedeva la propria immagine riflessa nell’acqua di un lago o di uno stagno poteva pensare che si trattasse di un altro sé. Di conseguenza, qualunque disturbo arrecato al riflesso poteva significare un pericolo per la propria salute. La credenza si rinforzò con l’arrivo degli specchi: qui, vedendo la propria immagine distorta e spezzata nei frammenti di uno specchio rotto, diventava anche più facile credere a possibili conseguenze negative. Furono gli antichi Romani a decidere che uno specchio rotto avrebbe causato sette anni di guai: esisteva infatti all’epoca una credenza secondo cui la vita si rinnoverebbe ogni sette anni. Poiché uno specchio rotto significava che la salute era stata spezzata, si concluse che sarebbero stati necessari sette anni prima di tornare sani come prima. Inoltre lo specchio era un oggetto molto prezioso, pertanto la sua rottura avrebbe comportato una grande spesa per poterlo sostituire.
È considerato sfortunato anche far cadere il sale o il recipiente che lo contiene, pure nel caso in cui questa caduta non ne comporta lo spargimento sul tavolo o per terra; questo perché in antichità il sale era una merce rara e preziosa (il termine "salario" deriva anche da una forma di pagamento in sale presso l'antica Roma) e sprecarlo gettandolo per terra era considerato di cattivo auspicio. Tuttavia, la sfortuna si ritiene scongiurata gettandone un pizzico dietro le spalle.
Aprire un ombrello in casa è considerato un cattivo presagio, questo perché indicherebbe che il tetto lasci passare la pioggia, simboleggiando una casa ridotta in miseria.
Si ritiene che appoggiare un cappello sul letto possa portare un lutto in famiglia; probabilmente deriva dal fatto che spesso gli indumenti di ospiti improvvisati o in soprannumero vengono adagiati sul letto per mancanza di altro spazio e per comodità. Uno degli eventi che può creare questa situazione è proprio un funerale. Questa è un'altra caratteristica della superstizione: tutto ciò che può evocare, anche solo lontanamente, situazioni non piacevoli viene considerato come un cattivo presagio.
Si dice porti sfortuna uccidere una coccinella, in quanto insetto molto utile agli agricoltori.
Per i marinai, non rispettare un albatros porta sventura e maledizioni, come accade al protagonista di The Rhyme of the Ancient Mariner. In Marina anche il blu è considerato sfortunato, così come invitare una donna a bordo di una nave. D'altronde, tutto il mondo legato al mare è considerato generalmente molto superstizioso: un retaggio del passato, quando prima di fare un viaggio si tendeva addirittura a fare testamento, a causa dei grandi pericoli legati alla navigazione.
Si considerano sfortunati gli atti di augurare «buona fortuna» o «auguri» prima di un evento importante, e similmente «buona caccia» a un cacciatore (il quale viene invece salutato con «in bocca al lupo») o «buona pesca» a un pescatore, per via della credenza scaramantica per cui che se si parla di un evento questo non accadrà.
Il colore viola è considerato tabù per molti artisti, perché, nel medioevo, nel periodo della Quaresima (durante il quale i sacerdoti indossavano una stola viola), erano vietati gli spettacoli teatrali e, quindi, attori e saltimbanchi erano costretti ad un'inattività forzata. Nonostante tale motivazione sia decaduta (e sia sconosciuta alla maggior parte degli artisti moderni) ancora oggi il viola viene volutamente evitato, ad esempio da alcuni cantanti durante le loro esibizioni, e soprattutto in televisione, se non, appunto, come una sorta di provocazione contro chi crede nelle superstizioni. In passato il Teatro Regio di Torino ha visto molti grandi interpreti, tra cui Luciano Pavarotti, rinunciare ad esibirsi, per via del suo soffitto viola.
Nelle regioni del centro Italia è solito dire che far cadere la sabbia nelle lattine porti sfortuna.
Uno dei più tipici eventi sfortunati è rappresentato dal gatto nero che attraversa la strada, in particolar modo se da sinistra. Questo deriva dal fatto che i gatti neri venivano imbarcati sulle navi dei pirati perché considerati più abili nel dare la caccia ai topi; vederne uno per strada significava dunque che una nave pirata era nei paraggi. Inoltre, nel medioevo, i gatti neri per via della loro colorazione scura che si adattava alla notte (e degli occhi che riflettevano inquietantemente la luce nel buio) erano associati al diavolo e ai sortilegi, tanto che bastava possedere un gatto nero per poter essere accusati di stregoneria e quindi condannati al rogo.
Il passare sotto una scala è considerato di cattivo auspicio e questa credenza ci arriva direttamente dagli antichi egiziani. Ritenevano infatti la figura del triangolo una figura sacra (es.le piramidi o simboli come l'occhio all'interno del triangolo).Una scala appoggiata ad una parete forma infatti con la parete stessa e il pavimento proprio un triangolo. Varcare questa figura (passando quindi sotto la scala) voleva dire inimicarsi la volontà degli dei.
Si pensa che incrociare un'auto guidata da suore possa essere sfavorevole, probabilmente per via dell'immaginario collettivo, creato soprattutto dal cinema, che le vede sempre alle prese con problemi con la loro automobile. L'effetto viene amplificato se le suore sono alla guida di una NSU Prinz, specie se verde, altro oggetto a cui si attribuiscono influssi negativi.
Accendere tre sigarette con un fiammifero porta male, la credenza risale ai tempi della Prima guerra mondiale, perché si dava il tempo ad un eventuale cecchino di prendere la mira nel buio; secondo altre interpretazioni tale gesto porta particolarmente sfortuna al fumatore più giovane in quanto chi accendeva il fiammifero era, per tradizione, il più basso in grado e, di conseguenza, spesso anche il più piccolo d'età.
Quando quattro persone si salutano stringendosi la mano porta male se nel farlo le due strette di mano si incrociano.
In generale gli anni bisestili sono considerati sfortunati, perché capitano non comunemente. Il detto dice infatti Anno bisesto, anno funesto. Tuttavia, le monete coniate nell'anno bisestile portano fortuna.
Altri eventi considerati sfortunati sono:
Cominciare qualcosa di martedì o venerdì. Si può trattare di una costruzione di una casa, come di un viaggio, comunque di un qualsiasi progetto concreto o di vita. Il detto di riferimento è " Né di Venere né di Marte, non si sposa non si parte, né si da principio all'arte". Una spiegazione plausibile può venire dal fatto che Marte fosse il Dio della guerra e Venere della femminilità, lussuriosa e ingannatrice.
Incontrare per la strada un carro funebre senza la bara. La spiegazione è chiaramente la possibilità per chi lo veda di riempirlo presto.
Fare gli auguri o festeggiare un compleanno prima del giorno effettivo. Si rischia di non arrivare a compierli veramente.
Appoggiare il filone di pane dalla parte rigonfia e non quella piatta, perché si dice che sulla parte superiore ci sia la faccia di Cristo e quindi non debba essere coperta.
Avere tatuaggi in numero pari. Di solito se se ne vuole aggiungere uno si fa anche un puntino di inchiostro in una parte non visibile. La superstizione pare provenga dall'usanza dei marinai di farsi un tatuaggio alla partenza, uno al porto di arrivo ed un altro ancora al ritorno, e averne pari significherebbe essere lontani da casa o comunque non aver terminato il viaggio.
 
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view post Posted on 30/12/2010, 10:06
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CREDENZE POPOLARI LEGATE ALLA LUNA

Nella sfera religiosa l'importanza della Luna è legata soprattuto ai mutamenti periodici del suo aspetto e dalle connessioni stabilite tra essa e il mondo animale e vegetale. Il periodico scomparire e ricomparire dell'astro viene spesso assimilato a una vicenda di morte e rinascita: dal contrasto che si crea osservando che l'uomo una volta morto non rinasce si attribuisce alla Luna l'origine della morte. Secondo molti miti, soprattutto africani, le condizioni in cui versava l'umanità vennero radicalmente mutate da un messaggio mandato dalla Luna per mezzo di un animale (lepre, lucertola, etc.) che avrebbe dovuto annunciare agli uomini che essi morirarnno e risorgeranno ciclicamente come la Luna, ma ch eper errore annunciò loro il contrario: da quel momento gli uomini sono irrevocabilmente soggetti alla morte. Anche nelle religioni della Polinesia e della Grecia antica la Luna viene associata alla morte; si credeva che essa fosse la sede dei morti.
Molte culture stabiliscono una relazione tra ciclo lunare e mestruale e successivamente una stretta relazione con la sfera sessuale. A volte la Luna è un essere maschile che provoca le mestruazioni (come in Sudamerica, Polinesia ed Indonesia), altre volte è un essere femminile ed altre ancora un essere bisessuale (Nord America, Africa). Nella cultura europea, ma anche nelle culture primitive, si trova una valenza "vegetale" alla Luna, messa in relazione alla crescita delle piante; molto spesso alcune divinità, nelle culture più progrdite, sono simultaneamente in relazione con la Luna da una parte e con la vegetazione e la fecondità dall'altra.


L' eclissi lunare risulta essere fondamentale per la spiegazione di alcuni miti presenti nelle culture primitive: spesso il fenomeno è spiegato con il fatto che un animale o un essere mitico tenta di divorare l'astro (eschimesi, Noed e Centro America, Africa) e in genere si reagisce provocando rumori per allontanare l'essere che minaccia la Luna. Nell'ambito delle "religioni superiori" si può ricordare la divinità greca Selene, personificazione della Luna poi identificata con Artemide, che pure assunse un carattere lunare. In Egitto il carattere lunare era attribuito a Osiri e Isi (che poi diventa Selene in età ellenistica). Molte divinità centrali per le culture mesopotamiche sono in qualche modo legate alla Luna.

Un importante collegamento viene poi istituito tra la Luna ed il calendario, dovuto principalmente alla periodicità. La regolare celebrazione di novilunio e plenilunio rappresentò per molti popoli un riferimento cardine per il computo del tempo. Esistono calendari lunari, basati sulle lunazioni, come quello momettano; altri lunisolari, che cercano di far coincidere i mesi con le lunazioni e le stagioni (solari), come quello ebraico.



Più luna, più bebè?


La fantasia popolare vuole che con la luna piena aumentino le nascite di bebè. Ma a sfatare il mito dell`influenza del nostro satellite della Terra sul via vai delle cicogne arriva una ricerca dello scienziato tedesco Oliver Kuss che ha realizzato la più ampia analisi statistica sul fenomeno.
Se fin dall`antica Grecia la dea Artemide, divinità di riferimento per l`astro notturno, viene considerata patrona delle nascite, i ricercatori dell`Università di Halle sono convinti del contrario. “Non c`è alcun legame – ha dichiarato Kuss al quotidiano Die Welt - tra le fasi lunari e le nascite dei bambini”. Per cui, continua, “la leggenda secondo cui le le nascite aumenterebbero durante determinate fasi lunari, come luna piena, è assolutamente falsa”.
Vista la coincidenza tra le fasi lunari e la durata media del ciclo mestruale femminile, da sempre si crede la luna sia in grado di influenzare anche le nascite. Secondo la credenza popolare, ad esempio, le nascite aumenterebbero durante i giorni di luna crescente, con un picco nei giorni di luna piena, ma nessuno studio aveva mai dato una dimostrazione scientifica.


LA CAMPAGNA E LA LUNA
La gente di campagna le ha sempre riconosciuto influssi sulle coltivazioni e gli allevamenti. Alcune credenze popolari e tradizioni contadine del nostro Paese riportano che chi è nato di lunedì (giorno della luna) sia lunatico; mentre chi è imbronciato si dice abbia la luna.
In inglese lunatic indica una persona pazza, forse perché si credeva che la pazzia fosse provocata dall’aver dormito con la testa esposta ai raggi lunari.
Nella vita agricola tradizionale moltissimi comportamenti erano governati dall’alternanza delle fasi del nostro satellite. Non per niente su molti mercati di paese verso la fine dell’anno erano diffusi i lunari che indicavano, oltre al calendario, le fasi della luna.
Molto importanti meteorologicamente erano due lune, quella di marzo e quella di settembre: La luna de marso la de governa sete (La luna di marzo ne controlla sette), ovvero il tempo che fa durante la luna di marzo lo farà per sette successive lune. Altro proverbio popolare recita: A la luna settembrina, sete lune se ghe inchina (Alla luna settembrina, sette lune le si inchinano). In Abruzzo si crede che basti sfregare con una mano dei porri ed essi scompariranno nel preciso momento della luna nuova.
Chi ha la faccia macchiata da una voglia di vino, caffelatte, o da lentiggini, basta che guardi fisso la luna per un’intera lunazione, facendo il gesto di pulire la voglia con la mano e al sorgere della luna nuova tutte le macchie saranno sparite.
In Friuli, per far sparire i calli si dice di raschiarli con un osso nel minuto preciso in cui si fa la luna nuova, e gettar via l’osso senza guardare dove va a cadere: entro dodici-quindici giorni il callo sarà guarito. Anche i capelli vanno tagliati a luna vecchia, se si vuole evitare che ricrescano in fretta.
Si credeva inoltre che la luna fosse abitata. Prima che gli astronauti vi ponessero piede, la gente vedeva nelle macchie lunari l’immagine di Caino con un fascio di spini sulle spalle. Lo ricorda anche Dante (1265-1321) al secondo canto del Paradiso: “Ma ditemi, che son li segni bui di questo corpo che laggiuso in terra fan di Cain favoleggiare altrui?”. Altri dicevano di vedervi distintamente Adamo ed Eva che Dio mandò spersi sulla luna e che portavano un mazzo di spini in mano. Altri meno religiosi vi avvistavano un avaro che era andato sulla luna a nascondere un sacco di denari. Tutte cose molto più romantiche di quello che la scienza con le immagini di una superficie brulla tormentata da crateri ci ha inesorabilmente mostrato


LA LUNA INFLUISCE SULLO SPIRITO UMANO?
Molte credenze attribuiscono alla luna influssi che condizionerebbero lo spirito e l'animo umano e sull'umore delle persone,sulla fisiologia umana (condizioni di salute, ciclo mestruale femminile, numero delle nascite, crescita delle unghie e dei capelli), ecc. Nel passato molte patologie venivano associate agli influssi lunari. L'esempio più noto è quello dell'epilessia, che veniva chiamata mal della Luna.
Retaggi di queste antiche credenze si ritrovano ancora nel linguaggio attuale: un tipo volubile è detto lunatico e il cattivo umore viene indicato come Luna storta. La medicina moderna ha destituito di ogni fondamento queste antiche credenze.
Tutte le presunte influenze della Luna sopra citate non sono mai state dimostrate e rimane estremamente difficile accettarne l'esistenza sulla base delle nostre conoscenze scientifiche.



La luna nei miti
Sole e Luna sono stati i primi astri adorati come divinità fin dalle civiltà più antiche. E mentre al Sole è stato attribuito quasi sempre un connotato maschile e positivo, o comunque benefico, la Luna ha assunto le caratteristiche più diverse, da serena e femminile dolcezza a cupa e infernale potenza. Molti popoli, come Greci, Romani, Cinesi, Celti, Maya e Aztechi, identificavano la Luna con una dea, probabilmente sia per il suo aspetto più diafano ed etereo rispetto al Sole sia per l'analogia tra il mese lunare di 28 giorni e il ciclo femminile. Mentre in altre civiltà, curiosamente, la Luna era impersonata da un dio. È il caso fra gli altri di Sumeri, Egizi, Giapponesi, e degli antichi popoli Scandinavi. Anzi proprio da Mani, il dio della Luna nel pantheon nordico, derivano il termine inglese moon e quello tedesco mond, che infatti è maschile (mentre in tedesco il Sole è die Sonne, femminile).

Maschile era anche la divinità lunare per i Sumeri, che la chiamavano Sin. Il nome si ritrova in quello del monte Sinai, collocato proprio all'inizio delle pianure mediorientali. Sin era raffigurato come un toro fiero e muscoloso, con barba blu, e sovrintendeva al regno dei morti. Nanna invece era il nome della Luna crescente, e Ashimbar o Asimbabbar quello della Luna nuova. Il nome significa "viaggiatore delle lande celesti" e il dio era visualizzato come una nave d'argento che solcava i cieli, carico delle anime delle persone che erano vissute rettamente, sostando ogni tanto per raccogliere nuovi viaggiatori
Anche per gli Egizi la Luna era maschile: si trattava del dio Khons o Khonsu, figlio di Amon e della dea Mut. Khons era raffigurato come un giovane, spesso con la testa di falco e il disco lunare sulla testa.

In Grecia, la Luna fu inizialmente chiamata Selene. Esiodo narra che Selene era figlia dei Titani Iperione e Theia, e sorella di Helios, il dio del Sole, e di Eos, la dea dell'aurora. Come si legge negli Inni omerici, Selene era innamorata del bellissimo Endimione e per potere unirsi a lui ogni notte gli regalò l'eterna giovinezza attraverso un sonno perpetuo a occhi aperti. Selene ed Endimione ebbero 50 figlie (i mesi tra due giochi olimpici). Più tardi la Luna fu identificata con Artemide e suo fratello Helios con Apollo. Il nome Luna fu coniato invece dai Romani e tratto dalla parola lux, cioè luce.

L'associazione della Luna con l'oltretomba, presente nei popoli mesopotamici (e in alcuni periodi dell'antica Grecia col nome di Ecate, divinità degli inferi), si ritrova anche in civiltà molto distanti. Anche gli Hindu, per esempio, ritenevano che le anime dei morti dimorassero nella Luna in attesa della reincarnazione, mentre i Tartari dell'Asia centrale la chiamavano "Regina della vita e della morte". Ma è nelle civiltà precolombiane che l'astro della notte assunse i connotati più cupi e terribili. I Maya la chiamavano Ix Chel e la raffiguravano come una vecchia brutta e arcigna, accompagnata da un serpente. La dea sovrintendeva alle nascite e alla tessitura, ma era responsabile anche delle inondazioni (in effetti anche nella realtà il legame tra la Luna e le maree è strettissimo). Sognare Ix Chel, secondo i Maya, avrebbe fatto morire a breve il malcapitato. Nella mitologia azteca una delle divinità lunari era detta Mictecacihuàtl ed era la regina del Mictlàn, l'Oltretomba, dato che era stata sacrificata subito dopo la nascita. Il suo compito era sorvegliare le ossa dei defunti e sovrintendere al "Giorno dei morti". Anche per i Maori della Nuova Zelanda la Luna era una divinità spaventosa, tanto da essere soprannominata "La cannibale". Una rappresentazione decisamente diversa da quella che ebbe nell'antica Grecia. Lo sconosciuto autore dell'Inno omerico XXXI descrive infatti Selene quando "indossata la veste lucente, aggiogati i bianchi puledri dal collo robusto, lancia in avanti il cocchio splendente e appare, dopo il tramonto, al culmine del mese". E Saffo, nel frammento XXXXVII delle Poesie, canta: "Selene dalle dita di rosa vince tutte le stelle". Ampio rilievo occupa la Luna nelle credenze popolari: per i pescatori bisogna pescare sempre nelle notti di Luna piena perché la Luna attira i pesci in superficie, mentre i contadini sostengono che il mosto vada messo nelle botti durante il novilunio, per farlo diventare vino. Negli orti, poi, la Luna occupa un ruolo importantissimo: bisogna sempre seminare in Luna calante. Ad esempio la lattuga non farebbe il maschio (il fiore). È tuttora diffusa anche la credenza dell'aumento delle nascite in fase di Luna crescente. Anche gli antichi proverbi popolari si occupano estesamente dell'influenza della Luna su tutti gli aspetti della vita contadina, basti pensare al proverbio: «Luna di grappoli a gennaio luna di racimoli a febbraio»

Nella mitologia medioevale, la Luna piena occupa una posizione importante: i lupi mannari si trasformano alla luce della Luna e le streghe si riuniscono per i loro Esbat (feste minori che celebrano le fasi lunari. Solitamente si festeggia la fase di Luna piena, poiché l'energia è maggiore).



 
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