Le stronzate di Pulcinella

Gli Italiani partono per il Brasile e l'Argentina, storia e foto del nostro passato di emigranti

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view post Posted on 7/9/2010, 12:18
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Pulcinella291 Forum

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Il nostro paese è stata interessata al fenomeno dell'emigrazione soprattutto nei secoli XIX e XX. Il fenomeno ha riguardato dapprima il Settentrione (Piemonte, Veneto e Friuli in particolare) e, dopo l'unita' d'Italia verso il 1880, anche il Mezzogiorno una volta piu' ricco e florido.
Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni italiane. Tra il 1876 e il 1900 l'esodo interessò prevalentemente le regioni settentrionali con tre regioni che fornirono da sole il 47 per cento dell'intero contingente migratorio: il Veneto (17,9), il Friuli-Venezia Giulia (16,1 per cento) ed il Piemonte (12,5 per cento). Nei due decenni successivi il primato migratorio passò alle regioni meridionali. Con quasi tre milioni di persone emigrate soltanto da Calabria, Campania e Sicilia, e quasi nove milioni da tutta Italia.
Essa ebbe come destinazioni soprattutto l'America del sud e gli Stati Uniti . Negli Stati Uniti e in Brasile si caratterizzò prevalentemente come un'emigrazione di lungo periodo, spesso priva di progetti concreti di ritorno in Italia, mentre in Argentina ed Uruguay fu sia stabile che temporanea .
Nelle pagine faremo un viaggio nella emigrazione del Sud America per scoprire una parte della nostra storia corredata di notizie ed immagini che ci aiuteranno a scoprire il piu' grande esodo migratorio della storia moderna. Nell’arco di poco più di un secolo, a partire dal 1861, sono state registrate più di ventiquattro milioni di partenze, un numero quasi equivalente all’ammontare della popolazione al momento dell’Unità.

La maggior parte degli italiani si trasferirono in Brasile, Argentina dove attualmente vi sono circa 55 milioni di discendenti di emigrati italiani. Quote consistenti di emigranti italiani si diressero anche in Venezuela , ma vi furono anche nutrite colonie di emigranti italiani in Cile, Peru, Messico, Paraguay, Cuba e Costa Rica ed Uruguay dove i discendenti di Italiani nel 1976 erano 1.300.000 (oltre il 40% della popolazione, per via della ridotta dimensione dello Stato.


GLI ITALIANI IN BRASILE

Il Brasile ha oggi la più grande popolazione italiana fuori dell'Italia. Secondo l'ambasciata d'Italia a Brasilia, vivrebbero nel paese circa 25 milioni di italiani o discendenti di immigrati italiani.Altre fonti parlano di 28 o addirittura di 32 milioni di persone[6], includendo i numerosi figli illegittimi e rifacendosi all'emigrazione (specialmente di marinai e commercianti liguri) durante l'Impero portoghese nel Seicento e Settecento. A differenza che in Argentina e negli Stati Uniti, dove la maggioranza degli immigrati erano meridionali, in Brasile, fra il 1870 e il 1950, il 53,3% degli immigrati proveniva dall'Italia settentrionale, il 14,6% dalle regioni centrali e il 32,1% dal Sud (mentre negli Stati Uniti i meridionali erano circa il 90%). In Brasile il maggiore afflusso di immigrati proveniva dal Veneto, con il 26,6% del totale, seguito dalla Campania con il 12,1% e la Calabria con il 8,2%. Agli ultimi posti la Liguria con solo il 0,7% degli immigrati, Sardegna con il 0,4% .
]La prima colonia italiana organizzata nello Stato ebbe luogo a Porto Real dove giunsero nell'estate del 1874 un gruppo di famiglie italiane.

Alla fine del XIX secolo, nell'ambito della “immigrazione programmata” dal governo brasiliano dopo l'abolizione della schiavitù (1888), furono le grandi "fazendas" la meta di agricoltori e braccianti italiani dove si lavorava la canna da zucchero ma sopratutto il caffe'.Il lavoro era duro, dove lavorava tutto il gruppo familiare. Non sono state poche le sofferenze in un ambiente abbastanza estraneo.

I primi immigrati italiani arrivarono in massa nel Brasile nel 1875. Erano contadini veneti attirati dal lavoro come piccoli coltivatori nel sud del paese.

GLI ITALIANI E IL CINEMA
L'emigrazione italiana in Brasile segna una vera e propria svolta nella storia brasiliana.Dagli esordi (Rio de Janeiro, 8 luglio 1896) alle prime decadi del Novecento la lingua ufficiale del cinema brasiliano è, soprattutto, l`italiano.A Paschoal Segreto, emigrante italiano, si deve la creazione, nel 1897, della prima sala cinematografica fissa in Brasile. Il Salão de Novidades Paris di Rio de Janeiro fu inaugurato il 31 luglio del 1897, promovendo l'interesse per l'invenzione dei fratelli Lumiére con una ricca programmazione di filmati provenienti, soprattutto, dall'Europa. I Segreto erano un gruppo di fratelli arrivati dall'Italia in momenti diversi, all'epoca della fondazione del Salão Paris erano quattro fratelli: Gaetano, Afonso e Luiz e Paschoal. Gaetano doveva essere il più vecchio, lo si può dedurre dal fatto di non avere il nome tradotto e di essere arrivato .Al napoletano Vittorio di Maio (1852-1926), tra i primi a installare sale cinematografiche, si deve una notevole opera divulgativa del cinema, avendo montato, già all'inizio del 1897 a Petrópolis (Stato di Rio de Janeiro) un proiettore all'interno del Cassino Fluminense con cui aveva mostrato brevi pellicole dei Lumière e di Edison. Dal 1908 s'affacciano al mercato cinematografico brasiliano nuovi impresari tra cui gli italiani Jácomo Roiario Staffa e José Labanca.

IL PICCO MASSIMO DELLA EMIGRAZIONE
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Il picco massimo dell'emigrazione italiana in Brasile si ebbe tra il 1880 e il 1920. La maggior parte degli italiani trovarono lavoro nelle piantagioni di caffè brasiliane negli stati di São Paulo, Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paraná, Minas Gerais e Espírito Santo.
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La ragione di questa particolarità risiede nella mancanza di una vera e propria classe media in un paese che solo dieci anni prima era ancora legato ad un`economia rurale e schiavista e ad un sistema politico monarchico .
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Santos era il principale porto d'entrata dato che era il porto di São Paulo.
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Genova é stato il principale porto d'imbarco del flusso di immigranti per il Brasile, dato che i primi grandi contingenti érano oriundi dal Veneto.
Il volume del flusso emigratorio fece con che diverse compagnie di navigazione fossero create. La societá dei produttori di caffé di São Paulo come incentivo sussidiava i biglietti nel senso di motivare l'emigrazione.
La traversata atlantica era molto penosa, si riscontravano molti casi di epidemie ed incidenti come il naufragio del "Sirio" il 4/6/1906 con 219 vittime incluso il vescovo di São Paulo.

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Appena arrivati gli immigranti erano transferiti giá nel porto sui treni che salivano il massicio atlantico fino a São Paulo quota 700m
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Da qui erano sistemati in alberghi nel centro di São Paulo, accoglieva provisoriamente gli immigranti che aspettavano lo smistamento per le fattorie di caffé all interno di tutto lo stato.
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Dove le famiglie vivevano nelle fattorie molte volte creando un piccolo villaggio denominato nucleo coloniale. L'obbiettivo era risparmiare per comperare la propria terra, e questo contribui' alla modernizzazione del Brasilesi creo', infatti, una agricoltura diversificata moderna e fornendo una base per assicurare lo sviluppo industriale.
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Altri Italiani gli italiani venivano indirizzati nel Minas Gerais o nell’Espirito Santo o, appunto, nel Rio Grande.L’insediamento più caratterizzato è quest’ultimo.governo vi aveva infatti delimitato una zona amplissima, più della Val Padana, totalmente incolta, lontana da tutto, montuosa, destinandola a loro. Vincendo la disperazione, adattandosi a fare ogni cosa, mantenendo una straordinaria coesione interna, con un tasso di prolificità incredibile (almeno una dozzina di figli per famiglia), il gruppo italiano non solo vince la sfida ma creò nell’area che gli era stata assegnata, la serra gaúcha, l’embrione di un altro Brasile, ben diverso da quello tradizionale.Quali sono state le caratteristiche di questa comunità? Innanzitutto la solidità della struttura famigliare. L’unica forza sulla quale potevano contare i coloni era la coesione della famiglia, la sua capacità lavorativa, l’energia morale che ne derivava.

L'attaccamento al sentimento religioso
La seconda caratteristica è rappresentata dall’attaccamento al sentimento religioso. Gli emigranti provenivano da regioni italiane nelle quali la Chiesa era il solo elemento di aggregazione, l’unico concreto luogo di appartenenza. La solitudine e l’abbandono in cui vennero a trovarsi nel nuovo mondo accrebbe questa religiosità, materializzatasi nelle Chiese e nelle cappelle rurali, che fungevano da luogo di preghiera e di riunione, nelle edicole costruite nella foresta, molte delle quali ancora esistenti, nelle pratiche pie, nelle orazioni in comune, nella venerazione dei santi. Ma la cronica carenza di clero favorì la crescita di una religiosità molto autonoma, guidata nei primi anni della colonizzazione da laici, che dirigevano alla domenica i momenti di culto, seppellivano i morti, consigliavano la gente. C’è chi sostiene, probabilmente non a torto, che le comunità di base a carattere laicale cresciute negli anni recenti in tutto il Brasile, debbano molto all’organizzazione religiosa delle vecchie comunità di emigranti

L'etica del lavoro
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Una terza caratteristica è costituita da quella che possiamo chiamare “etica del lavoro”. Il lavoro fu la salvezza della prima generazione di coloni. Se non avessero lavorato a ritmi inimmaginabili, disboscando la foresta, costruendosi le case, prima in legno e poi in muratura, fabbricando gli strumenti essenziali, coltivando i campi e traendone il sostentamento, aprendo le strade, avviando l’indispensabile struttura commerciale di scambio, per loro ci sarebbe stata soltanto la sconfitta. E la sconfitta equivaleva a morire. Così la capacità lavorativa del Brasile italiano, se è stata all’inizio la salvezza degli emigrati, è diventata successivamente una straordinaria risorsa per il Paese, sorretta da uno spirito imprenditoriale, un’autonomia, una capacità innovativa e un senso del rischio che hanno enormemente arricchito l’economia nazionale. Si calcola che nel Rio Grande i discendenti di italiani siano oggi più di due milioni, un quinto della popolazione dello Stato. Questa comunità, inizialmente di contadini e lavoratori generici, produce ormai l’élite dell’imprenditoria locale e poi intellettuali, giornalisti, professionisti, professori d’università, politici al massimo livello. Cinque governatori dello Stato nell’ultimo cinquantennio vantano un’ascendenza italiana”.

I fazenderos senza scrupoli
Ai fazenderos il modo di lavorare degli italiani piaceva molto .Apprezzavano le abitudini della tipica famiglia italiana ed invogliavano a far arrivare dall'Italia altri gruppi familiari.

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L'emigrazione serviva per migliorare lo sviluppo .Si spiano' cosi la strada per un grande esodo .Anche se, a dire la verita', a causa di fazenderos senza scrupoli, in molti casi la manodopera degli emigranti italiani sostituì in buona parte quella prestata fin allora dalle persone usate come schiavi: in quanto bianco e cattolico l’immigrato italiano era trattato diversamente dagli schiavi di colore, anche se la qualità della vita era di poco superiore tanto che la mentalità schiavista di molti proprietari terrieri portò il governo italiano a proibire l’emigrazione in Brasile con il Decreto Prinetti del 1902 con il quale si sospendeva la licenza speciale a compagnie di navigazione per il trasporto gratuito di emigranti italiani in Brasile presso fazenderos senza scrupoli. Anche piu' tardi l'emigrazione continuo'


La saudade

L’emigrante imparava a convivere con i sentimenti della malinconia e della nostalgia che lo attanagliava continuamente senza tregua. Rimaneva nel paese ospite solo per necessità di tipo economico, pensando continuamente al ritorno in patria, a quando ritroverà la sua famiglia, le abitudini, i sapori e gli odori della sua terra.
La decisione di emigrare, raramente era il frutto di una libera scelta, ognuno affrontava le difficoltà del lungo viaggio con la speranza che un giorno sarebbe tornato in patria.Le cose, però, con il passare degli anni cominciarono a cambiare: il nostro emigrante cominciò ad adattarsi al nuovo ambiente sociale, imparò a convivere con la diversità di usi e costumi e, cosa più importante, assimilò la lingua e le abitudini di vita e sebbene continuasse a rimpiangere il suo paese natale, non viveva più la sua condizione di emigrante in maniera negativa, ma si impegnava per consolidare e migliorare la sua condizione


I DISCENDENTI ITALIANI OGGI
Oggi, la stragrande maggioranza dei figli dei nostri emigrati in Brasile, è laureata ed occupa posti di lavoro importanti e dignitosi. L’emigrante italiano in Brasile, oggi, è pienamente brasiliano, lo è nel cuore e nell’anima. Per lui, essere brasiliano, non indica tanto l’appartenenza ad un popolo ma è qualcosa di più profondo.. è un sentimento… un modo di essere e di porsi nei confronti della vita. E’ questa, forse, la diversità maggiore che si coglie tra chi è emigrato in Brasile e chi invece si trova in tutt’altra parte del mondo. Se è vero che il concetto di emigrazione è uguale dappertutto, è altrettanto pacifico che chi è emigrato in Svizzera piuttosto che in Germania non si sente parte di quelle nazioni a differenza di chi, invece, è emigrato in Brasile ed è divenuto un tutt’uno con quella gente. Basti pensare che la circoscrizione consolare di S. Paulo il numero di quanti svolgono attività imprenditoriali (8625 persone) e il livello di scolarizzazione, sono significativamente elevati. Più di 38 mila italiani sono laureati o diplomati, mentre 23 mila hanno titoli di studio inferiori. All’interno del territorio vi sono 126 associazioni di emigrati e l’insegnamento della lingua italiana è diffuso in tutta la circoscrizione. S. Paolo conta il maggior numero di ristoranti italiani di tutto il Brasile e qui sono nate le principali testate giornalistiche come L’Emigrazione, Il Corriere Lucchese, La Voce Toscana, l’Italia del popolo e la Fanfulla, stampato per la prima volta nel 1893 e tuttora esistente. La Circoscrizione consolare di Porto Alegre coincide con lo Stato di Rio Grande do Sul, dove il flusso di emigrati italiani ebbe inizio ufficiale nel 1875, conta circa circa 3 milioni di discendenti , mentre i residenti iscritti all’anagrafe sono più di 36 mila. Di questi, 8725 svolgono libere professioni e solo 36 sono operai o impiegati. Più di 20 mila connazionali, inoltre, possiedono un diploma o la laurea. Anche le strutture di documentazione sulla presenza italiana nel territorio sono numerose e nella circoscrizione si trovano concentrate le principali Case Editrici che gestiscono iniziative italiane, come la "EST Ediçoes" di Porto Alegre, che vede pubblicati 300 libri sull’immigrazione italiana. Mancano invece informazioni accurate sulle associazioni di emigrati, mentre sono particolarmente significativi i dati sull’imprenditorialità italiana, presente nel territorio con più di 400 imprese. Fanno parte della Circoscrizione consolare di Curitiba gli Stati del Paranà e di Santa Caterina. Nel 1875 centinaia di famiglie italiane, e soprattutto venete, furono chiamate a coltivare le terre incolte di queste regioni. Ora le comunità italiane raggiungono i 4 milioni di individui, di cui 30 mila con passaporto italiano. Di questi, quasi 5 mila svolgono attività imprenditoriali o sono liberi professionisti e il tasso di scolarizzazione è molto alto. Le associazioni culturali sono 123 e quelle venete raccolgono da sole più di 3 mila soci.
Sono piuttosto scarsi, invece, gli studi sulla presenza italiana nella Circoscrizione consolare di Rio de Janeiro, che comprende gli stati di Rio de Janeiro, Espirito Santo e Bahia. Tuttavia, negli ultimi anni si sono registrate numerose iniziative e manifestazioni folkloristiche incentrate sulla riscoperta dell’italianità. Nello stato di Rio de Janeiro sono attualmente attive 29 tra associazioni italiane e circoli regionali a scopo culturale e ricreativo, cui si affiancano associazioni a finalità assistenziali, sportive e sindacali. Non esistono scuole italiane legalmente riconosciute, ma la lingua è stata inserita come materia di studio in alcuni istituti dalla quarta elementare alla terza media ed è stato siglato un accordo tra l’Università di Rio de Janeiro e il Consolato Generale d’Italia per l’insegnamento della lingua nel "Vestibular" (esame di ammissione alle Università).
La circoscrizione consolare di Recife, che comprende tutti gli Stati del "Nordeste brasiliano" è stata la più trascurata dalla letteratura sull’immigrazione. Eppure, fu proprio in queste terre che sbarcò Amerigo Vespucci durante la sua prima spedizione nelle Americhe. E il fenomeno migratorio successivo non è da sottovalutare, Gli oriundi presenti sono circa 50 mila, anche se i residenti iscritti all’anagrafe consolare, concentrati soprattutto a Recife, Fortaleza e Belèm, risultano solo 4.500. Le associazioni italiane non sono molto numerose. Tra queste, il Centro Cultural Italo Brasileiro Dante Alighieri, la Casa d’Italia e l’Istituto de Cultura Italiana de Fortaleza. Quest’ultimo, nato nel 1998 per diffondere la lingua e la cultura italiane, ha assunto un’importanza determinante nell’economia turistica del Nordeste, offrendo corsi di lingua e di formazione professionale per addetti ai settori turistico e alberghiero.
Alla Circoscrizione consolare di Belo Horizonte appartengono gli Stati di Minas Gerais, Goias e Tocantins dove, a cavallo del 1800, si diressero molti operai, soprattutto dal Sud Italia, per lavorare alla fondazione e allo sviluppo della zona. L’emigrazione verso queste terre è stata caratterizzata dalla richiesta di manodopera nei settori dell’industria e del commercio, piuttosto che in agricoltura. E molti italiani trovarono impiego anche nell’edilizia, lasciando la loro impronta architettonica negli edifici dell’epoca. Ha inizio, invece, negli anni ‘70 l’emigrazione di lavoratori specializzati nel settore automobilistico, che ha fatto seguito all’arrivo a Belo Horizonte della FIAT e di altre multinazionali straniere. Per far fronte alle esigenze educative delle famiglie italiane, venne creata nello stesso periodo la "Fondazione Torino", che ora si è trasformata in un istituto bilingue e biculturale frequentato da 600 studenti ogni semestre. I discendenti dei nostri connazionali presenti nel territorio sono oggi circa 1 milione e mezzo e 9 mila quelli iscritti all’anagrafe consolare. Belo Horizonte vanta una Società Italiana di Beneficenza e Mutuo soccorso nata nel 1896 e ancora attiva, ma il fenomeno dell’associazionismo è meno sentito rispetto ad altre zone, anche se questo potrebbe significare il rapido processo di integrazione dei gruppi nazionali nella società brasiliana, piuttosto che la loro scarsa vitalità.

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GLI ITALIANI EMIGRANO IN ARGENTINA

Nel 1853 l'Argentina divenne una repubblica federale. Lo Stato Federale profuse molto impegno nel progetto statale di colonizzazione agricola che attirò gran parte delle popolazioni europee migranti: di questo periodo i primi tentativi di immigrati italiani di acquisire lotti fondiari dalle province o direttamente dallo stato argentino.
All'inizio si trattò di piccoli gruppi di persone ma tra il 1860 e il 1878 l'acquisizione di nuove grandi porzioni di Pampa diede una notevole spinta alla politica fondiaria governativa
Col passar del tempo si diffuse l'anticipazione agli emigranti delle spese di viaggio e di quelle necessarie per impiantarsi nel lotto assegnato da parte delle società private tutto questo per favorire l'insediamento si immigrati per aumentare la produzione agricola .
Nella Provincia di Buenos Aires già dal 1870 un provvedimento assegnava a giovani coppie di agricoltori terreni gratuitamente a condizione che vi costruissero una casa e che li coltivassero ma fu la legge varata nel 1876 dal Governo argentino sulla colonizzazione e l'immigrazione che spinse molti a muoversi dall'Italia e dalla Calabria per tentare la fortuna in Argentina. --La legge prevedeva che i territori nazionali venissero divisi in lotti di quarantamila ettari per insediamenti urbani e suburbani, offrendo sia la possibilità di assegnazioni di terreno gratuite, sia pagabili ratealmente a prezzi molto contenuti.
Per gli acquirenti gli unici obblighi erano quelli della residenza e della coltivazione delle terre; la preferenza per le origini contadine era facilmente superata poiché quasi tutti i braccianti agricoli del Meridione d'Italia erano allora in cerca di lavoro. Secondo il censimento del 1895 su un totale di 407.503 proprietari agricoli più di un quarto erano di nazionalità straniera e fra essi 62.975, più della metà, erano Italiani .Quando nel 1882 il governo decise di concedere gratuitamente venticinque ettari di terreno a nuclei familiari, i coloni cercarono di ottenere in concessione le terre più vicine alle coste: da Santa Fe a Buenos Aires, da Corrientes a Entre Rios, la politica agricola delle Provincie argentine attirò il più grande flusso di emigranti contadini della storia moderna

E fu cosi' che migliaia di Italiani partirono dai porti di Napoli e Genova in cerca della loro terra promessa.
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Tra le numerose destinazioni degli italiani, l’Argentina è stata a lungo meta privilegiata nelle varie fasi dell’esodo nazionale. Questa emigrazione la possiamo collocare in uno spazio temporale che va dagli anni Trenta dell’Ottocento e la fine degli anni Cinquanta del Novecento ed interessando circa 3.500.000 individui, provenienti da quasi tutte le regioni d’Italia (soprattutto dal Nord nell’Ottocento e dal Sud nel Novecento), a larga maggioranza di origine contadina, ma presenti in tutti i ceti sociali.


I PRIMI GRUPPI
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I primi gruppi di immigrati di una certa entità giunsero in Argentina intorno al 1830: erano in prevalenza liguri, del Regno di Sardegna, i quali si impiegavano come marinai nel nuovo Paese, sia per la possibilità di percepire salari più alti di quelli europei, sia per l’opportunità di dedicarsi ad attività commerciali, vendendo i prodotti portati con sé dagli Stati italiani (mercerie, pezze di tessuto a buon prezzo, pettini) nei porti latinoamericani. I liguri prosperarono tanto che nel 1855 costituivano per importanza, insieme ad una minoranza di migranti italiani provenienti da altre regioni, il primo gruppo europeo presente nella città di Buenos Aires, il 10% su una popolazione di 100.000 abitanti.
Risiedevano prevalentemente nel quartiere portuale della Boca: la comunità, composta da un’alta componente di famiglie, era ben inserita nel tessuto sociale, anche se in posizioni modeste; grazie ai capitali accumulati con il commercio fu possibile in molti casi combinare matrimoni tra i figli di questi primi pionieri dell’emigrazione italiana e gli eredi dell’élite argentina, inoltre possiedono o gestiscono magazzini e osterie, spacci alimentari e di merci varie, caffè e alberghi .Nasce qui una Piccola Liguria la sua presenza facilita l'inserimento dei nuovi arrivati, ma al contempo ne limita la mobilità e forse impedisce una rapida argentinizzazione. Questi emigrati sono più propensi a risparmiare e ad investire nell'antica patria che nella nuova terra,così già alla metà del secolo le rimesse verso la Liguria sono di tutto rispetto, mentre lo stesso porto di Genova risente beneficamente dei traffici e dei viaggi verso l'Argentina


LA DIFFUSIONE


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Nella seconda metà dell'Ottocento si diffonde per tutta l'Italia settentrionale la certezza che oltre l'oceano ci si può arricchire facilmente e rapidamente: molti abbandonano allora la Penisola perché le loro prospettive in patria sembrano poca cosa rispetto a quanto offre l'America. L'area del Rio della Plata diviene così un vero magnete migratorio: si calcola che tra il 1850 e il 1870 vi arrivino più di 8.000 emigrati ogni anno. Non tutti restano, anzi il movimento migratorio verso l'Argentina registra costantemente un alto tasso di rientri e di flussi temporanei, se non addirittura stagionali.Comunque i pubblicisti italiani parlano nel 1865 di oltre 100.000 italiani già fissatisi in Argentina.
Inizialmente anche questi nuovi arrivati cercano lavoro nei porti e nel commercio, ma presto trovano altre occasioni per guadagnare. In particolare l'Argentina cerca di sfruttare il proprio enorme entroterra e chiede agli italiani un contributo, soprattutto nella provincia di Santa Fé. Si formano allora colonie agricole, i cui nomi mostrano come si sia allargata l'area di partenza degli emigranti: Emilia (1868), Cavour (1869), Nuova Italia (1872), Vercelli (1873), Torino (1876.

Il viaggio era allucinante e le condizoni igieniche a limite dell'umano.Un giovane medico, Teodoro Ansermini, che prestava servizio sulla nave “Giava”, in viaggio per Buenos Aires, rilevò l’assenza di pulizia, l’affollamento dei malati in uno spazio troppo ristretto, la mancanza di acqua e aria. Durante la navigazione, vi furono ammalati di tifo, di vaiolo, di difterite. Una commissione nominata dal ministero della Marina trovò vere solo in minima parte le accuse del medico e ne censurò il comportamento. Ma proprio nel 1889, con la sua opera Sull’oceano Edmondo De Amicis portò anche questo problema all’attenzione della più vasta opinione pubblica.Una volta arrivati in Sudamerica gli immigrati erano ospitati nelle “case d’immigrazione”. A Buenos Aires, l’Asilo era un immenso baraccone di legno, dove ricevevano una razione sufficiente di cibo, dormivano in ampi cameroni e venivano curati, se ammalati. Ma le donne erano separate dagli uomini, e la separazione aumentava il senso d’insicurezza. Inoltre, dopo cinque giorni, gli immigrati dovevano cercarsi un’abitazione e un lavoro. E qui intervenivano spesso altri speculatori.

Verso il 1890, gli italiani costituiscono la maggioranza degli abitanti delle colonie agricole nella provincia santafesina. Inoltre con¬adini lombardi e piemontesi si sono sparsi per tutto il paese e cercano di arricchirsi coltivando il grano. Non tutti riescono e i più fortunati sono quelli che sono partiti avendo a disposizione un capitale, anche piccolo da investire. I più poveri finiscono invece per lavorare come mezzadri o come salariati, cioè in condizioni non dissimili da quelle che hanno abbandonato al momento di migrare. Di conseguenza molti italiani insoddisfatti sono coinvolti nelle agitazioni delle campagne argentine, oppure emigrano nel Brasile o infine ripartono verso le città argentine, in particolare verso Buenos Aires.


LA PROTESTA DELLA POPOLAZIONE LOCALE
Già nel 1869 la capitale argentina ospita il 60% degli immigrati italiani. Questi sperano di fare e spesso fanno fortuna grazie a un'incredibile volontà di lavorare, anche a paghe molto basse. Provocano così la reazione locale, con tutto quello che ne consegue a proposito degli italiani venuti a rubare il lavoro ai locali. L'esasperata xenofobia anti-italiana e la volontà di riuscita degli immigrati impedisce, però, le divisioni tra emigrati d’origine settentrionale e meridionale, comuni ad altri paesi americani.Tra le fila dell’élite argentina l’immigrazione in massa degli italiani suscitò dapprima preoccupazione, poi un vero e proprio allarme. Le ragioni di questa situazione erano molteplici: innanzi tutto il peso enorme degli italiani sul flusso totale degli immigrati; gli italiani intimorivano, poi, per la solidità delle loro strutture associative e la capacità di mobilitazione in occasione di feste e celebrazioni patriottiche, o la partecipazione a manifestazioni in appoggio a determinate scelte dei governi argentini; non da ultimo le apprensioni erano legate anche all’idea di minaccia sociale che si diffondeva tra le élites già inserite a pieno titolo nel tessuto sociale.Nonostante gli italiani non fossero molto amati in Argentina, tuttavia, in quanto bianchi ed europei, erano comunque preferiti ai nativi o ad altri particolari gruppi di immigrati, come russi o balcanici.

GLI ALTRI ITALIANI e L'EMIGRAZIONE DI MASSA
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Nel frattempo è infatti mutata la composizione regione dei flussi dall'Italia ed è aumentato il numero di chi è partito dall'Italia meridionale: dopo il 1880 i calabresi e i campani divengono più numerosi dei liguri. Alla fine del secolo l'italiano è spesso identificato come "napoletano" e dileggiato perché pigro, tendenzialmente corrotto, furbastro. Agli inizi del Novecento gli italiani che hanno appena varcato l'oceano o che sono già passati per le campagne argentine popolano Buenos Aires, trovando impiego soprattutto nei servizi e nei commerci, ma non disprezzando l'industria. L'incremento della presenza italiana continua sino alla grande guerra e passa dai 44.000 del 1869 ai 312.000 circa del 1914 (mentre la città aumenta da 187.000 abitanti circa a 1.578.000). Nel frattempo gli immigrati fuoriescono dalla Boca, che mantiene ancora i suoi caratteri genovesi, ma va impoverendosi, e si disperdono per tutta la città, italianizzandola nonostante la dura opposizione delle élite argentine
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CARATTERISTICHE SOCIALI
All’interno della massa degli immigrati esistevano due correnti,
dalle caratteristiche sociali diverse: una nella quale predominavano i giovani, in maggioranza maschi, di origine rurale, che si fermavano nelle città, dedicandosi ad ogni sorta di mestieri, oppure si occupavano in lavori agricoli stagionali, come il raccolto o la tosatura delle pecore; l’altra costituita da gruppi familiari, che viaggiavano insieme o separati (prima i maschi, a seguire le donne con i bambini) , che lavoravano prevalentemente nelle colonie agricole. Chi emigrava era spesso chiamato dai familiari o dai compaesani che si erano già stabiliti in America: seguiva, cioè, meccanismi a “catena.

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Nel 1914 fu realizzato il terzo censimento nazionale argentino, che fornì una descrizione piuttosto dettagliata degli italiani emigrati nel Paese: confermava la superiorità numerica del gruppo italiano, attorno a 930.000 unità, pari al 12% della popolazione; c’erano 172 uomini per 100 donne; persisteva un’elevata presenza maschile, da attribuirsi con probabilità sia alla meridionalizzazione del flusso, cioè ad una maggiore presenza di lavoratori con un’alta percentuale di ritorno, sia al fenomeno dell’immigrazione golondrina (di rondini) a predominanza settentrionale, che interessava quei lavoratori stagionali che si recavano nel Paese in occasione della mietitura.
Per quanto riguarda l’inserimento spaziale gli italiani risultavano ben distribuiti su tutto il territorio. Avevano una buona leadership, istituzioni comunitarie forti che interagivano con il potere politico argentino e con i gruppi economici locali.


DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE
A seguito del primo conflitto mondiale si produsse una brusca interruzione del movimento migratorio, non solo italiano, ma più in generale europeo; inoltre, tra il 1915 e il 1917, aumentarono i rientri al paese d’origine: molti italiani tornarono in patria per arruolarsi nell’esercito, mentre altri lo fecero per essere vicino alle loro famiglie.
Al termine della guerra la situazione si presentava difficile e conflittuale, a causa dell’elevato tasso di disoccupazione, collegato alla crisi in cui riversava l’industria argentina. E’ in questo contesto che ebbero luogo le grandi sommosse che culminarono nella “settimana tragica” (semana tragica)del gennaio 1919
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allo sciopero degli operai metallurgici a Buenos Aires, seguì l’azione repressiva del governo, cui si affiancarono una serie di rappresaglie condotte da sedicenti ‘patrioti’ principalmente nei confronti degli immigrati ebrei, accusati di tramare a favore della rivoluzione bolscevica.
Nonostante gli italiani non fossero perseguiti particolarmente, la sommossa ebbe degli effetti negativi per l’immigrazione, poiché il governo introdusse i primi provvedimenti restrittivi: per entrare nel paese diventava necessario possedere un passaporto con foto e dei certificati, rilasciati dalle autorità di polizia o comunali, che attestassero la mancanza di precedenti penali, la non mendicità e la sanità mentale. Tale politica di controlli si intensificò negli anni successivi , con un decreto del 1923 e le leggi emanate nel 1930, nel 1932 e nel 1938, che introducevano l’obbligo per gli emigranti di documentare l’esistenza di un contratto di lavoro e sottoponevano la concessione del permesso di sbarco all’arbitrio delle autorità argentine, anche nel caso in cui vi fossero tutti i requisiti.
All’emigrazione italiana All’emigrazione italiana posero un freno sia le leggi fasciste promulgate nel 1927, sia la crisi mondiale del 1930, causata dal crollo della borsa di New York. Le conseguenze furono importanti: in quegli anni progredì notevolmente l’integrazione sociale. Il calo degli arrivi di nuovi immigrati tolse linfa vitale alle associazioni italiane, già provate dalla concorrenza delle strutture sanitarie pubbliche e i matrimoni diventarono più esogamici: si registrò un aumento di unioni tra i figli degli emigrati italiani ed altri discendenti europei


GLI ESULI POLITICI ITALIANI
Il periodo tra le due guerre si caratterizza anche per l’arrivo di un nuovo contingente di immigrati: gli italiani esuli dall’Italia fascista a seguito delle leggi razziali del 1938. Tra i soggetti che componevano questo particolare gruppo di emigranti vi erano scienziati, intellettuali, imprenditori e manager. Essi dovettero scontrarsi con i numerosi ostacoli frapposti al loro ingresso dai funzionari argentini e non sempre riuscirono ad inserirsi nel nuovo contesto valorizzando le proprie competenze: molti furono obbligati a svolgere i lavori più umili e persino chi aveva una lunga carriera accademica alle spalle non sempre trovava posto nelle Università del Paese.

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Gli esuli politici italiani continuarono, in tal modo, l’antica tradizione di emigrazione e azione politica in Argentina, iniziata negli anni Ottanta del XIX secolo dai mazziniani e dai garibaldini.

DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE
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Con la fine del secondo conflitto mondiale, lo squilibrio tra le risorse e la popolazione riemergeva, e la disoccupazione assumeva caratteri preoccupanti. Ancora una volta, la soluzione veniva ricercata nell’emigrazione al di fuori dei confini nazionali. Tra il 1946 e il 1957 si sono avute migrazioni verso paesi europei e transoceanici. Si tratta in qualche modo della continuazione delle correnti migratorie, che le leggi fasciste avevano sospeso.
Il flusso è prevalentemente meridionale: gli emigranti provenivano soprattutto dalla Calabria, dall’Abruzzo, dalla Sicilia e dalla Campania.
Un carattere ha differenziato però questa ondata migratoria: essa è in gran parte organizzata e assistita dallo Stato italiano che, mediante accordi con il paese di immigrazione, garantiva agli emigranti dei contributi che spesso coprivano le spese di viaggio e un minimo di assistenza per il trasferimento sul posto di lavoro.
Complessivamente dal 1946 al 1957 emigrarono verso destinazioni extra-europee 1.400.000 italiani, contro trecentomila rimpatri. In un primo momento questi flussi sembrano la continuazione dei flussi ante-1927, dovuti al meccanismo della “catena migratoria” (per il quale gli emigrati già inseriti richiamano dalla madrepatria amici e parenti, procurando loro appoggio se non addirittura casa e lavoro).
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Gli emigranti partivano con la speranza di trovare quasi una “terra promessa”, ma si scontravano subito con una dura realtà. Le sofferenze degli emigranti iniziavano già all’imbarco: gli agenti di emigrazione inviavano gli emigranti sui moli alcuni giorni prima della partenza per farli derubare dai tavernieri, dai cambiavalute, dai venditori di liquori, in generale da truffatori.
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Le navi che trasportavano gli emigranti non erano attrezzate per questo genere di viaggi. Erano imbarcazioni a impiego misto (merci e uomini): partivano dall’America o dall’Australia cariche di prodotti da vendere in Europa e ritornavano cariche di uomini. A farne le spese erano gli emigranti che venivano ammassati sulle navi in condizioni disumane.
La maggior parte, avendo passato una o due notti all’aria aperta, erano stanchi e pieni di sonno. Quasi tutti portavano una seggiola pieghevole sotto il braccio, sacche e valigie d’ogni forma in mano o sul capo, bracciate di materassi e di coperte; molti erano scalzi e portavano le scarpe appese al collo.Quando partivano, gli emigranti, sempre in numero troppo elevato rispetto alla capienza del piroscafo, venivano mandati in terza classe, su navi vecchie e malandate dove anche ponti e stive erano sovraffollate e le condizioni igieniche disastrose. Accadeva così che scoppiassero delle epidemie e che alcune persone morissero per malattie, fame o soffocamento. Specialmente nei viaggi verso il Sud America, si assisteva al doloroso spettacolo dei passeggeri che si serravano l’uno all’altro e si urtavano a vicenda, tanto le navi erano sovraffollate. Mangiavano sul sudicio pavimento o in piedi, facendo sforzi continui per conservare l’equilibrio col rollio del bastimento e non versare la minestra.In America Latina l’emigrazione fu ancora una volta dura e difficile, ma nel complesso l’integrazione fu più rapida e meno problematica. L’affinità della lingua e della religione, e il fatto che l’economia fosse arretrata come quella italiana, favorirono gli emigrati.jpg

I migranti che arrivavano in Argentina venivano accolti in un'apposita struttura che veniva chiamata "La Rotonda"poi si inaugurò l'«Hotel de los Inmigrantes», un complesso di quattro piani adiacente al molo di sbarco che comprendeva l'hotel propriamente detto, uffici di lavoro, ospedale, cucina, panetteria e una mensa che ospitava fino a 1.000 persone a turno.Una volta sbarcati, i nuovi arrivati alloggiavano gratuitamente per cinque giorni presso l'hotel, tempo che poteva estendersi in caso di necessità.Tutti gli stranieri in possesso dei documenti di viaggio e in buona salute erano ammessi. Nessuno era illegale nell'Argentina dell'immigrazione di massa.La migrazione italiana si concentrò in parte nelle principali città del paese, in parte diede origine a centinaia di colonie italiane sparse per tutta l'Argentina.Tra le altre, Humberto 1 °, Lago di Como, Garibaldi, Toscana, Bella Italia, Piemonte, Firenze, Rey Humberto, Victor Manuel, Rufino.
Nella provincia di Córdoba sorsero più di 400 colonie, alcune delle quali mantengono tuttora intatte le tradizioni di origine.
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Gli italiani che si installarono nel Chaco crearono la propria industria del cotone. A Mendoza e San Juan sorsero molte aziende vinicole, a Tucumán fiorì l'industria dello zucchero, mentre nel Rio Negro un imponente lavoro di irrigazione rese possibile la creazione di oasi frutticole, come Villa Regina.
Nelle zone rurali, le donne si occupavano della casa, dell'orto e dell'allevamento di galline e conigli. Spesso lavoravano nei campi, a fianco degli uomini.

IL RUOLO DELLE DONNE
Le donne furono le mediatrici tra la cultura di origine e quella di arrivo. Ebbero un ruolo fondamentale nella trasmissione culturale e nel mantenimento dei tratti identitari, in particolar modo nella preservazione delle tradizioni gastronomiche e della medicina popolare.
Le ricette dei piatti regionali passarono da madre a figlia, con l'aggiunta di ingredienti locali.
Le donne portarono con sé le spezie usate abitualmente nella cucina italiana, come il rosmarino, la salvia, il timo, l'origano.Il lavoro femminile era spesso invisibile, dato che le attività domestiche non venivano remunerate e quindi non erano considerate veri lavori. In realtà le donne si occupavano di molte cose, tra le quali le faccende domestiche, i pasti, i bambini, la medicina popolare, le conserve, il pane e il sapone.
Con l'industrializzazione, le donne si incorporano nelle fabbriche tessili della capitale - come Alpargatas e Grafa - e in diverse fabbriche di Barracas che producevano fiammiferi, tabacco, candele e sigarette.
Anche l'industria dei vestiti iniziò ad assumere lavoratrici per le diverse fasi della produzione: disegno di modelli, taglio e cucito, stiratura. La maggior parte lavoravano a domicilio, poiché la macchina da cucire era un investimento accessibile alle famiglie operaie. Negli stabilimenti produttivi il salario femminile era inferiore a quello maschile.
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GLI ITALIANI E L'ARGENTINA OGGI

A partire dal 1964, anno in cui il numero di rimpatri superò quello degli espatri, il saldo
migratorio degli italiani in Argentina è sempre rimasto negativo e la presenza italiana in Argentina.fa registrare un progressivo calo. Tra i nuovi arrivi, le donne hanno raggiunto numeri sempre più
significativi, mostrando tra l’altro una tendenza accentuata ad entrare nel Paese per motivi di ricongiungimento familiare.
Nel 1987 venne stipulato il trattato di “Relazione Associativa Privilegiata” tra Italia e Argentina, rivolto in particolare a sviluppare progetti di Piccole e Medie Imprese e a modernizzare l’industria argentina. Tuttavia, la strategia economica di stampo espansionista implementata in
quegli anni non diede i risultati sperati. Nel 1989, l’Argentina prese ad attirare ingenti capitali, ma si trattò sostanzialmente di un processo di crescita non sostenibile.Si è così arrivati alla crisi profonda degli anni novanta cui corrisponde l’emergere nella comunità italiana di un flusso al contrario, di “emigrati dell’iperinflazione”, figli, nipoti e pronipoti
dei pionieri giunti ai tempi d’oro del “mito argentino”. Nel 1991, rispetto a dieci anni prima, l’incidenza degli italiani sul totale della popolazione straniera risulta diminuita di 5 punti percentuali (da 25,7% a 20.3%).Lo scorso decennio a fronte di 16.948 italiani emigrati per il Paese sudamericano ne sono rientrati 34.733, con un saldo positivo di 17.785 unità. Più del 70% dei rimpatri è avvenuto nel 1990 e nel 1991, mentre a partire dal 1994 i flussi di emigrazione verso l’Argentina sono tornati
ad essere superiori ai rimpatri.Alla fine del 2001 è scoppiata violentissima la crisi economica, finanziaria, politica e sociale.
Lo shock economico-finanziario ha influito sui flussi migratori favorendo il rientro in Italia degli emigrati: nel 2001 il censo locale ha registrato un calo del 34% della popolazione italiana residente in Argentina, mentre nel 2003 le iscrizioni alle anagrafi per trasferimento di residenza
dall’Argentina fanno registrare il picco confermando il saldo positivo dei rientri rispetto agli espatri.
Inoltre, dal 2002 si è registrato un incremento dei principali servizi consolari e amministrativi (passaporti, atti di stato civile, atti di cittadinanza ed operazioni di leva). In particolare, le pratiche
per l’attribuzione della cittadinanza hanno raggiunto nel 2003 un totale di 70.827 atti di cittadinanza, segnando un aumento del 1303% rispetto al 2000.L’andamento dei flussi migratori negli ultimi cinque anni è fornito dalle Anagrafi Consolari. I rientri in Italia hanno avuto carattere costante, fino a ridurre nel 2005 la popolazione italiana residente nel Paese a 460.668: è proprio in quest’anno che l’Argentina perde il secondo posto
nella graduatoria delle comunità italiane all’estero più numerose secondo il Ministero degli Esteri, superata dalla Svizzera con 500.636 unità. L’anno successivo, il Paese riprende la sua posizione superando nuovamente il Paese europeo con 534.670 iscritti.Negli ultimi anni si è risvegliato l’interesse degli italiani d’Argentina verso la terra di origine. In questo panorama, sono intervenuti due fattori in grado di ridisegnare la prospettiva dell’italianità: la recessione economica, che ha fatto registrare un boom delle domande di cittadinanza e dei rientri, ed il nuovo interesse risvegliato dalla partecipazione al voto politico del 2006.
La comunità italiana in Argentina costituisce ormai una componente integrata, dal punto di vista demografico, sociale, culturale ed economico, quasi identificabile con il cittadino argentino.
Risulta pertanto difficile individuare il carattere distintivo dell’italianità, in considerazione del fatto che il grosso della popolazione italiana residente è costituita da italiani di seconda, terza o anche quarta generazione, mentre la popolazione nata in Italia e residente in Argentina sta progressivamente scomparendo.


LA PRESENZA IMPRENDITORIALE ITALIANA OGGI
La presenza imprenditoriale italiana in Argentina si concentra prevalentemente nel settore automobilistico (la FIAT è presente da 38 anni), che assorbe circa il 70 degli Investimenti Diretti Esteri (IDE) italiani nel Paese.
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Le principali motivazioni degli IDE italiani in Argentina, sono correlabili per il settore dell’auto alle potenzialità offerte dal mercato interno e dell’area regionale di riferimento (Mercosur), per l’agro-industria e l’allevamento all’ampia disponibilità di risorse naturali, e per i restanti settori alle privatizzazioni (telecomunicazioni, aeroporti).
I principali investimenti italiani in Argentina in questi anni sono stati realizzati da: Banca Intesa, BNL, Camuzzi, Ferrero, FIAT, Generali Assicurazioni, Impresilo, Italgas, Pirelli, Seaeroportidi Milano, Telecom Italia. Nel 1998 è iniziato il lungo periodo di recessione dell’economia argentina, culminato nella profonda crisi del 2001-2002.
Il governo del Paese sudamericano, dichiaratosi insolvente sulle sue obbligazioni nel 2001, hanno avviato nel 2005 la ristrutturazione del debito offrendo ai risparmiatori privati (fra cui numerosi italiani) nuove obbligazioni in sostituzione dei vecchi titolo (OPS – Offerta Pubblica di
Scambio). Quasi il 24% dei creditori ha rifiutato l’offerta, fra cui diversi italiani in possesso di 6-8 miliardi di dollari di titoli ancora in default, che si sono riuniti nella TFA (Task Force Argentina) e hanno presentato un ricorso contro l’Argentina al Tribunale arbitrale della Banca Mondiale (ICSID).
L’interscambio bilaterale Italia-Argentina evidenzia un costante aumento ed un recupero dell’acquisto dei prodotti italiani dopo il calo del periodo dalla crisi che ha portato il saldo negativo della bilancia commerciale. Ad oggi, l’export argentino verso l’Italia continua ad essere superiore
all’import argentino di prodotti Made in Italy.Il Made in Italy più apprezzato in Argentina è costituito da macchine e apparecchiature,
prodotti delle industrie chimiche e connesse, metalli comuni e loro manufatti, materie plastiche, gomma e loro manufatti. Gli italiani acquistano invece dal Paese latino americano principalmente
prodotti alimentari e del regno animale e vegetale, cuoio e pellami, tessili e veicoli.

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Edited by Pulcinella291 - 11/12/2014, 11:03
 
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pazzopazzo
view post Posted on 8/9/2010, 10:55




Bellissimo lavoro. Quando respingiamo gli immigrati , dovremo pensare a questo.
 
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view post Posted on 12/9/2010, 19:04
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Grazie pazzo. hai ragione, a volte ci scordiamo quelli che siamo stati.
 
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2 replies since 7/9/2010, 12:18   34703 views
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