Le stronzate di Pulcinella

Il Presepe. Simboli e mitologie

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view post Posted on 22/3/2011, 09:32
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Il Presepe nella tradizione





Naturalmente non so cosa avesse in mente S. Francesco costruendo il primo Presepe della storia, ma mi piace immaginare che pensasse anche alla didattica per i suoi poveri contemporanei ignoranti.

Non era un’idea nuova, intendiamoci. Da sempre la rappresentazione delle immagini è servita da documento storico, da descrizione, da insegnamento per tutti quelli che, analfabeti, solo dalle immagini o dal racconto diretto potevano trarre cultura delle cose.

Così il Presepe, rinnovando ogni anno la celebrazione dell’ “Evento” per eccellenza si è arricchito di simboli, di significati, di didattica, di testimonianze.
Ricordiamoci, che cinema e televisione non hanno che pochi anni di vita, due o tre generazioni al massimo.
Fino ad ieri la progettazione di un Presepe familiare, la sua costruzione, lo studio dei particolari, l’inserimento di ogni elemento e di ogni personaggio, era occasione ottima e gradevole per un approccio di cultura, di storia, di morale, di socialità… insomma l’apprendimento personalizzato e finalizzato ad una “educazione” nella tradizione (ritenuta buona) e nell’amore (certo) dei vincoli familiari.
Oggi che il Natale è fatto di strisciate di carte di credito più o meno robuste o dolorose nei molti mercati della zona, non so bene quanto sia rimasta di quella preziosa occasione didattica. Non sta a me il giudicare:
Da appassionato “preseparo” io voglio solo riferire quello che mi ricordo dei simboli espressi nel piccolo scenario evocativo… sperando di non scordare troppo e di non commettere troppi errori.

Felice se qualcuno dei miei lettori vorrà aggiungere a questa mi ricerca un dettaglio nuovo, una curiosità ignorata, un simbolo dimenticato, un personaggio trascurato.

Per ordine espositivo dividerò la mia analisi in due parti: i dettagli dell’ambiente, ed i personaggi; subito premettendo che ovviamente gli uni sono strettamente connessi agli altri ed i significati si completano a vicenda.

1 - I luoghi del Presepe tradizionale.

La grotta - Doverosamente, bisogna cominciare da qui, e subito sono guai.
E’ il punto focale di tutto il presepe, la sua stessa ragion d’essere ed è quindi giusto che accentri in sé molta attenzione ed interesse; ma appare subito stravagante la quantità di simboli, significati, messaggi reconditi e sibilline immagini che in tanti, dai fanatici religiosi fino ai più fieri detrattori della fede vogliono attribuire al luogo della Nascita.
Antica sacralità ctonia, collegamento con gli antri della spiritualità, utero della Creazione, ambiente tellurico per eccellenza per coloro che contestano la natura divina del Bambino, luogo segreto per eccellenza, regno del misterioso e del magico, posto ideale per un evento fantastico che più fantasmagorico non si può… chi più ne ha più ne metta!
Non approfondirò oltre. Riferirò semplicemente che nei Vangeli [Luca 2,12 e succ.] si parla solo di una mangiatoia, quasi a validare la profezia di Abacuc secondo la quale il Salvatore si sarebbe manifestato in mezzo a due animali.
Quindi presumibilmente una stalla, un recinto, un ricovero, una grotta… comunque un luogo umilissimo, come nella locuzione latina Praesaepium (da saepe “preservato da una siepe”).

Immagineremo semplicemente il posto più dimesso possibile dove nascere per un bambino, a significare che il Redentore viene per tutti, a cominciare dagli ultimi, dagli scartati della società per restituire agli uomini la dignità di figli di Dio, così come promesso ad Adamo.

Per questo motivo la grotta è spesso situata nel punto più basso della scena; tutti infatti attraverso il Cristo possono ascendere al Cielo e nessuno è troppo in basso. Gesù, facendosi uomo, è partito proprio dal fondo.

Il castello di Erode - Dall’altra parte della scena, proprio nel punto più alto del “costruito dall’uomo” i presepari dello stile “ambiente”, mettono il castello di Erode.
Naturalmente tutti sanno che quel re non ebbe mai un castello, non sulle montagne, bensì godeva delle comodità di una reggia cittadina. Ma il castello di cupo aspetto medievale, arroccato sui dirupi in posizione dominante le casupole della povera gente rende bene il senso dell’arroganza umana, della presunzione bieca e cieca, della tracotanza che si fa odio.
E’ il più alto livello di aberrazione che può raggiungere l’uomo ignorando Dio ed ascoltando solo la perfidia delle tentazioni del Demonio. Da quel castello non si può che percorrere il sentiero di discesa verso gli inferi e l’annichilimento.

L’osteria - Luogo simbolo della soddisfazione dei piaceri della carne, non può certo mancare nel presepe come contraltare alla grotta, punto dell’elevazione spirituale.
Nell’osteria si mangia, si beve, si gozzoviglia, ci si ubriaca… troppo banale associarla all’inferno, alla metafora di perdizione e di peccato. Vedremo più oltre che specifici personaggi sottolineano quest’aspetto con la loro presenza. Anche i tavoli imbanditi, strabocchevoli di leccornie prelibate, frutta, salumi, pesci, pani e brocche certosinamente cesellate nel legno o minuziosamente plasmate in creta e vivacemente colorate danno l’idea dell’opulenza licenziosa, dell’ingordigia sfrenata delle passioni umane. Nei presepi classici napoletani gli avventori sono rappresentati enfi, rubizzi, gottosi, proprio per sottolineare gli eccessi della vita sregolata.
Ma l’osteria assomma anche altro significato, decisamente più spirituale, e perciò spesso è posta in prossimità della grotta. Ci riporta al viaggio ed alle sue difficoltà, al posto di ristoro per uomini e bestie, alle varie tappe, sempre faticose da percorrere per poter raggiungere la meta riservata agli uomini; purificazioni dalle imperfezioni della carne e conquista della santità. Ed ogni tappa ha la sua tentazione.
Come immaginabile, molte sono le leggende popolari che i nonni raccontavano ai bambini stupiti, nelle lunghe sere invernali trascorse davanti al camino o costruendo meticolosamente e devotamente l’osteria e gli altri luoghi del presepe. Forse ne faremo una raccolta a parte.

Il fiume - La simbologia dell’acqua è articolata e complessa, è scontato, e nel presepe ruota attorno al fiume, alla fontana, al ponte, al pozzo. Cercherò di fare una sintesi analitica, breve, ma certamente non esaustiva.
Il fiume in se (di solito un ruscello) è simbolo dello scorrere della vita dalla sua origine, nascosta nel mistero della montagna alla sua fine nel laghetto, quasi sempre presente, ma è anche simbolo della rinascita nel battesimo e quindi confine fra la vita spirituale e la morte.
Il fiume è elemento di divisione, ed ancora oggi molti confini seguono il suo corso, ma anche di unione, sia in quanto naturale via di comunicazione fra le genti sia per la presenza del ponte, pericoloso da attraversare ed insidioso, così come il processo catartico di inizializzazione alla fede, perché con la sua strettezza, e come passaggio obbligato molto si presta ad agguati e tentazioni.
Molti sono i riti collaterali e le superstizioni popolari legate al ponte; personaggi macabri e strani vi appaiono, come il lupo mannaro, la monaca con la testa mozza dell’amante decapitato, il diavolo che lo ha costruito ed è pronto a farlo crollare per la perdizione del viandante, il suicida, l’impiccato… Talvolta all’epifania la scena del ponte si arricchisce dei dodici frati scalzi che si allontanano. Iconografici con il pollice della mano sinistra alzata e fiammeggiante rappresentano i dodici mesi dell’anno (o i dodici giorni del Natale) che riattraversano il ponte al seguito dei Magi per tornare nell’aldilà.

Il pozzo coesistente o in alternativa al fiume negli scenari più piccoli ha simbologia analoga. Ancora il collegamento fra il mondo della luce e quello ipogeo, fra le acque scoperte e quelle nascoste. Ed ancora simboli diabolici nei riflessi della superficie nascosta del deposito, o di morte, o di seduzione. “Maria ‘a manilonga” è un essere demoniaco, un sorta di anti-Madonna che trascina nel fondo buio del pozzo le anime incaute che si sporgono a cercare di penetrare il mistero profondo.

La fontana, ancora legata alla simbologia dell’acqua, ha connotazioni invece più solari e gioiose.
L’acqua ormai scorre libera e gorgogliante, e non incute più timore. La fontana è per eccellenza luogo di incontro e di apparizioni già in tutte le culture e nei Vangeli apocrifi anche il luogo dell’Annunciazione a Maria (pseudo-Tommaso).

Il forno. Viene rappresentato acceso e con il pane appena sfornato. Ovviamente il pane è simbolo del Cristo che si incarna.

Il mulino. Forse il più criptico dei luoghi-segno del presepe. Nella ruota che gira, nella macina, nel lento andare della bestia che muove gli ingranaggi ci si è visto di tutto e di più; punto focale del suo simbolismo è il chicco di grano, che deve morire per donarci la bianca farina, ma anche prigionia del peccato e catarsi nella sua rottura.
La farina, col suo pallore è legata ad antica simbologia della morte (nel matrimonio della verginità, nei dolci natalizi glassati, nella maschera tragica e grottesca del Pulcinella…).

Le colonne del Tempio. Spesso la Natività (v per es. il celebre Presepe di S. Martino) viene rappresentata non in una grotta o in una stalla, ma in un riparo ricavato fra le colonne di un tempio classico. Significativamente fra i ruderi di un tempio. Una colonna (quasi sempre corintia, come simbolo di massima opulenza ancora in piedi e con un pezzo di frontone, ed almeno una spezzata e monca. Evidente il riferimento ad un ordine sociale (quello dell’antica Roma) che si sbriciola sotto la spinta della nuova Rivelazione. Abbastanza in fretta si passerà infatti dal clima persecutorio al Cristianesimo come religione di Stato.

La Stella. Segno universale di presagio di eventi straordinari, la stella cometa assume un ruolo importante nella vicende dei Magi.
Innumerevoli sono le indagini che sono state fatte per spiegare il fenomeno ed inquadrarne esattamente il tempo. Riferirò solo l’ipotesi affascinante di Keplero secondo cui si trattava di una congiunzione di Giove e Saturno, nel segno dei pesci (6 d.C.) subito dopo uno straordinario “stellium” in cui tutti i pianeti visibili si affollarono in uno spazio di pochi gradi.



2 - I personaggi del Presepe tradizionale

Gli angeli della Gloria. Già il Vangelo di Luca, al capitolo 2° ci mostra gli angeli alla Natività ed i Pastori Adoranti, ma l’iconografia generale si è coagulata nel corso del tempo francamente non so con quale storia.
Oggi gli Angeli sul Presepe sono di norma cinque:
- Quello sistemato più in alto, col manto dorato, è detto Gloria del Padre e sostiene il cartigio con la frase del Vangelo di Luca “Gloria nell’alto dei cieli.
- Quello alla sua destra, vestito di bianco, è detto Gloria del Figlio e porta un turibolo incensiere, simbolo di divinità.
- quello alla sua sinistra, vestito di rosso, è detto Gloria dello Spirito, e regge la tromba dell’annuncio.
- più in basso, in posizione variabile a seconda dello scenario ci sono l’angelo vestito di verde che suona il tamburo e rappresenta l’ Osanna del popolo, e quello vestito di azzurro che suona i piatti metallici che rappresenta l’ Osanna del potere, sia quello laico del re che quello religioso del Papa.

Altri angeli vengono spesso aggiunti come Coro ma senza uno specifico significato simbolico.

I pastori oranti. Anche questi traggono origine direttamente dai Vangeli (Luca e Marco), e rappresentano l’accoglienza nel mondo del Divino Bambino.
Significativo è che a Napoli, ed in molti altri luoghi particolarmente devoti alla tradizione del presepe tutte le statuine della sacra rappresentazione (salvo i Re Magi) si chiamano “pastori”, e non certo solo per una semplificazione del dire. D’altra parte anche l’evangelista parla di pastori, e non di bottegai o artigiani, come sarebbe stato più logico in una cittadina come Nazareth.
Il motivo c’è, ed è simbolico. Nell’antico popolo d’Israele i pastori erano gli ultimi degli ultimi, i derelitti, i paria del popolo, quelli più lontani dal tempio, dalle pratiche di culto, dall’igiene rituale (ed anche comune, viene da pensare). Il Cristo, come in tutta la logica della Natività, parte dal fondo, non solo fisico (la misera mangiatoia), non solo economico (l’assoluta povertà), ma anche sociale (la più infima casta).

Giuseppe e Maria, in adorazione, testimoniano il fatto sovrannaturale dell’incarnazione del Dio nell’uomo. Anche qui, ovviamente ci sono molte simbologie che tralascerò di segnalare, limitandomi ad alcuni dettagli.
Giuseppe, simbolo maschile rappresenta la responsabilità operosa investita del compito di vigilare sul Bambino, restando in linea con la volontà di Dio ed in perfetta umiltà e modestia; virtù queste sottolineate dai suoi abiti scuri (di solito marrone, il colore della terra) e dimessi.
Maria è il simbolo della virtuosa e sacra maternità, archetipo femminino, mentre il suo manto azzurro riecheggia il cielo, da dove proviene il figlio divino.

Il bue e l’asinello. Anche qui ricca simbologia e riferimenti biblici. Isaia dice: “[Is 1,3]: “il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone; ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.
I padri della Chiesa videro in queste parole la prefigurazione del nuovo popolo di Dio, composto da tutte le genti. Al cospetto del Bambino, il bue e l’asino apriranno gli occhi e comprenderanno quello che per Israele è inconoscibile.
Questi due animali, chi rappresentano?
L’asino rappresenta i pagani, che non sanno, e perciò non possono comprendere, il bue rappresenta gli ebrei, i saggi, i dotti che pur avendola possibilità di accedere alla conoscenza ed alla sapienza, a causa della dura cervice (la durezza delle corna) non riescono ad aprire la mente all’intelligenza della fede.
Altra simbologia dà al bue, dalle corna lunate, la vicinanza alla sacralità della Luna, principio femminile per eccellenza, mentre all’asino, sacro ad Apollo ed all’oracolo di Delfi gli attributi del principio maschile, suffragato, nella tradizione cristiana dalla predizione di Zaccaria [Zc 9,9] “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino…”

Gli Zampognari. Sono due. Un giovane vestito di verde, tipico colore associato alla speranza, canta, e suona lo stridulo piffero, impaziente e brioso. L’alto, anziano, veste gli abiti scuri della modestia. Il suo attributo è la ciaramella, dal suono grave e continuo, ed ha imparato a tacere.
La simbologia è immediata ed evidente.

Donna con bambino. E’ Stefania, quella che ci piace considerare come il segno della fede insistente. La leggenda è questa:
Stefania è una vergine di Nazareth desiderosa di vedere il Bambino nato nella grotta, ma poiché i tabù religiosi ebrei vietavano alle zitelle di accostarsi alle partorienti ed alle puerpere lei viene ripetutamente “respinta dagli angeli”.
Ma il suo desiderio di vedere il Bambino è grande, ed allora, il giorno dopo, di nuovo si presenta alla grotta ma tenendo in braccio una gran pietra camuffata da infante fasciato.
Così riesce a passare; ma al cospetto della Sacra Famiglia, miracolosamente dal fagotto che porta in braccio esce uno starnuto. La grossa pietra si è trasformata in neonato.
Sarà questi Stefano, il diacono, primo martire della Chiesa e sarà lapidato. Questo il motivo per cui di S. Stefano se ne fa memoria il 26 dicembre, giorno dopo Natale.
Stefania è anche prefiguratrice della fuga in Egitto.
Stefania è anche indicata come “zingara con bambino”.

La zingara senza bambino. E’ un’altra figura profetica del presepe di tradizione. Il riferimento classico è alle Sibille ed alle Pizie. Infatti c’era la credenza (ed ancora resiste) che alle zingare sia data la capacità di prevedere il futuro.
Alla Sibilla cumana si attribuisce la leggenda secondo cui questa zingara avesse profetizzato la nascita di Gesù illudendosi di essere lei la vergine prescelta per l’evento
La sua posizione nella scena è presso la Taverna, poi che lei stessa è personaggio infernale e nell’iconografia porta un cesto con strumenti in ferro, martelli e chiodi, a prefigurazione della Crocefissione

La meretrice. Di solito sistemata accanto alla zingara è una donna procace vestita con abiti sontuosi ma stracciati, e volge le spalle alla grotta. Simbolo di lussuria è di contraltare alla verginità feconda della Madonna.

La Lavandaia. Associata ed assimilata spesso alla levatrice, è candidamente vestita e si affianca alla mastella del bucato. Lei è la testimone umana del parto verginale di Maria e figura purificatrice dalla morte e dal peccato, quindi prefiguratrice della Madonna nella sua quotidianità di madre. Nella tradizione orientale le lavandaie-levatrici furono molte, chiamate a testimoniare la verginità di Maria, ma una sola osò toccarla, rimanendo con la mano “incenerita” finché non potà sfiorare il Redentore neonato.
Nel protovangelo di Giacomo si legge: «E la levatrice uscí dalla grotta e Salomè si imbatté in lei.
Ed ella disse: - Salomè, Salomè, una vergine ha partorito, ciò di cui la sua natura non è capace -.
E Salomè disse: - Com'è vero che Dio esiste, se non metterò il dito e non esaminerò la sua natura, non crederò mai che la vergine ha partorito» [A. Di Nola, Vangeli apocrifi], con ciò anticipando l’incredulità di Tommaso.

I personaggi della Taverna. Ne sono parecchi e variabili da scenario a scenario. Nel loro complesso rappresentano l’umanità con le sue debolezze ed i suoi vizi. Umanità condannata poi che l’Osteria stessa è simbolo infernale, se non ci fosse la speranza della redenzione, ed in questo fa da contraltare alla grotta ed ai suoi personaggi.
- l’Oste. Riconoscibile dal volto rubizzo, l’aspetto florido ed il grembiule bianco è Belfagor travestito, sosta sulla soglia della taverna per attirare i passanti. In lui non è difficile individuare i vizi “canonici” dell’eccesso e delle sregolatezza, le tentazioni dei piaceri della carne; gola, cupidigia, lussuria…
- Cicci Bacco il vinaio. E’ personificazione della intemperanza nel bere. Decisamente obeso è di solito rappresentato a cavalcioni della botte, suo bene supremo, quasi in concupiscente connubio. Ma non è considerato personaggio decisamente negativo o plutonico. La pietà popolare ne ha fatto più che altro l’immagine del povero diavolo che cerca nell’ubriachezza la fuga dalle delusioni e dai dolori della vita; più che altro il personaggio degno di commiserazione. Lo potremmo assimilare al ruolo che l’immaginario collettivo oggi riserva ai barboni “senza fissa dimora”

- I giocatori di carte. “ i due compari ”, secondo l’accezione napoletana, “zi’ Vicienzo e zi’ Pascale” personificazione del Carnevale (Vincenzo) e della Morte (Pasquale), il cui cranio è tradizionalmente indicato nell’antico cimitero delle Fontanelle, esposto come esorcismo alla Nera Signora ed anzi benvoluto come buon vaticinante ed ispiratore d buoni numeri da giocare al lotto.
L’atto del loro giocare rappresenta l’imprevedibilità dei tempi e delle sorti, volubili come le carte che vengono pescate dal mazzo.
Più antica e diffusa come simbologia, ma con significato analogo li fa chiamare anche i “San Giovanni”, con riferimento ai due solstizi, ed ai giorni dell’uomo, dal più lungo al più corto.

- Gli avventori al banchetto. Così come Cicci Bacco sulla botte (o col fiasco nella mano alzata) sono prefigurazione del passaggio dalla corruzione del peccato nelle mense tradizionali rivolte al piacere terreno, al banchetto eucaristico che sarà istituito trentatré anni dopo, col Sacrificio del Cristo.

Il pastore con l’agnello Il gregge. E’ forse l’emblema più significativo di tutta la scena, forse. Il pastorello che con sulle spalle l’agnello va, per offrirlo in dono e sacrificio; di fianco ha il suo cane, e le pecore del suo gregge lo seguono, fiduciose, mansuete. Ma seguono lui, il pastore, o l’agnello sacrificale?... o forse tutt’e due, perché essi sono una sola cosa?

Il pescatore. Personaggio di fumosa e dubbia simbologia. In coppia col cacciatore posto in alto, l’uomo che pesca nel laghetto rimanda ad antichi cicli di vita-morte ed epireo-infero. Si vuol trovare un riferimento anche alla figura di Pietro, quasi in attesa della Chiamata o infine al simbolo del pesce usato, come noto come segno acronimo di appartenenza dai primi cristiani.
Pescatore e Cacciatore fanno anche parte degli Offerenti.

Gli offerenti. Sono dodici figure simboliche che rappresentano i mesi dell’anno ad indicare la permanenza costante dell’evento nel tempo. Dall’iconografia si risale alla specifica attribuzione :
Gennaio Macellaio/salumiere
Febbraio Venditore di ricotta/formaggi
Marzo Pollivendolo /uccellaio (riferimento alla primavera)
Aprile Venditore di uova (riferimento alla Pasqua)
Maggio Coppia di sposi con cesto di ciliegie e frutta
Giugno Panettiere
Luglio Venditore di pomodori
Agosto Venditore di angurie
Settembre Seminatore o venditore di fichi
Ottobre Cacciatore o vinaio
Novembre Castagnaro
Dicembre Pescivendolo o pescatore

Benino dormiente ed il Pastore della meraviglia. E’l’originale presenza “stereoscopica” dello stesso personaggio, in due momenti differenti, ma soprattutto in due realtà differenti.
Benino è il “pastore” addormentato ed indifferente al Mistero che si sta dispiegando nel Presepe; trova posto, come personaggio posto più in alto nella scena e quindi più lontano dalla Grotta, dalla fede, dalla Rivelazione. Ma è un giovane aperto, sveglio ed intelligente. La sua iconografia ce lo fa vedere contemporaneamente anche davanti alla Grotta, quasi che fulmineamente la Rivelazione sia penetrata in lui facendolo svegliare, dandogli vita. E la sua nuova postura è inequivoca; le braccia alzate in segno di meraviglia, la bocca aperta nel muto grido di stupore.

Le figure demoniache. Una serie di personaggi vengono aggiunti dalla tradizione per ricordare alle genti (non dimentichiamo mai che anche il Presepe, come tutte le rappresentazioni iconografiche, ha funzioni didattiche) che il male, la tentazione, l’inferno, non sono mai disgiunti dalla strada della redenzione e della salvezza.
- Pulcinella. E’ anch’essa, nel suo grottesco, figura demoniaca, sia perché nata, secondo la tradizione dall’opera delle streghe, alle pendici del Vesuvio, luogo a cavallo fra inferi e terra dei viventi, sia per la sua anatomia, dal biforcuto coppolone a mo' di corna diaboliche, il capo rasato e bernoccolato e la mezza maschera nera che marca la sua connotazione diabolica. Pulcinella è tipico del presepe napoletano, dove rappresenta tutto il popolo minuto, quello che non conta, che non si vede. La plebe oppressa da sempre, nella tradizione, come oggi.
- L’Ubriaco, ma anche i già citati Oste e Macellaio, figure spesso rappresentate come deformi, mostri del buio, dell’inconsio, del vizio, della violenza.
A causa di queste presenze è diffuso l'uso, a scopo esorcistico, di porre erbe pungenti, tra cui l'agrifoglio, intorno al presepe.


Le anime pezzentelle. Altro significato hanno, invece, il monaco, il mendicante, il guercio, lo zoppo, inequivocabilmente rappresentazioni di anime purganti o "anime pezzentelle" così chiamate a Napoli, cioè anime che ritornano sulla terra per chiedere suffragi.
Tali ipotesi è avvalorata, soprattutto, se si tiene conto di una diffusa credenza popolare secondo cui tutti i morti, dal 2 novembre al 6 gennaio di ogni anno, vaghino liberamente nei luoghi che furono loro cari durante l'esistenza terrena.
Queste sono figure secondarie, accessorie, usate spesso come riempitivo nelle zone meno popolate della scena, spesso presso o sopra al ponte, che risulta quindi affollato di miserabili tristi, in contraltare alla zona della grotta allietata invece da folla plaudente e gioiosa.

I Magi. Decisamente le figure più cariche di significato, meritano per questo una trattazione a parte. Appena citati solo nel Vangelo di Matteo e riagganciati alla profezia del salmo 71/72, ma ampiamente considerati nei Vangeli Apocrifi, qui ci limiteremo a dire che secondo la tradizione sono almeno tre, ma spesso accompagnati da un lungo corteo di personaggi minori, e nei dodici giorni del Natale fanno un percorso, avvicinandosi sempre più alla Grotta, dove arriveranno il giorno 5 gennaio.

- Baldassarre. Giovane moro, rappresenta l’omaggio dell’Africa, simbolo della notte (per questo affiancato dalla “Re Màgia”, giovane donna in portantina a simbolismo della Luna), offre l’incenso, profumo sacerdotale, a sottolineare la divinità del Bambino. Un giovinetto (spesso sostitutivo della Re Màgia conduce, come animale specifico, un dromedario. Si associa al colore nero.

- Gaspare. E’ un uomo adulto, dai tratti orientali, rappresenta l’omaggio del continente asiatico, simbolo del giorno, offre l’oro come riconoscimento della regalità del Bambino. Il suo animale è uno stallone sauro. Viene associato ai colori rosso e giallo.

- Melchiorre. E’ un vecchio di razza bianca, in rappresentanza dell’Europa, simbolo dell’aurora. Giunge su un asino ed offre la mirra, mistura aromatica usata nell’imbalsamazione a sottolineare il dominio del Divino Bambino sul tempo e sulla morte. Il suo colore è il bianco.


Lucio Musto Natale 2010

Edited by Lucio Musto - 6/9/2014, 18:32
 
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comincerò con questo particolare del Presepe che uso in casa dal 2008.
Più oltre lo mostrerò di nuovo, nel complesso e come ambientazione




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Edited by Lucio Musto - 4/4/2011, 18:42
 
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provo ad inserire un ambiente ispirato ad un angolo di Marina Grande di Sorrento




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Edited by Lucio Musto - 4/4/2011, 18:43
 
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ed un altro... di tutt'altro stile


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Edited by Lucio Musto - 4/4/2011, 18:45
 
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