Le stronzate di Pulcinella

NAPOLETANO - sinceramente bugiardo

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sefora1
view post Posted on 22/4/2011, 18:05 by: sefora1
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La Napoletanità.


Procede per linea di sangue, discende per antica schiatta. Scritta nel Dna, così intima e segreta, e contemporaneamente così evidente e manifesta.
E’ la sua precipua caratteristica: un Napoletano è se stesso ed il contrario di se stesso.
Il Napoletano è un ossimoro vivente. Alcuni esempi.

Le bugie. Un Napoletano è “sinceramente bugiardo”.
E’ innegabile che i napoletani siano bugiardi, ma sono assolutamente convinti delle bugie che raccontano; e, se, mentre stanno raccontando qualcosa, usano spesso l’intercalare “..è ‘o vero, è ‘o vero..”, allora state pur certi: vi stanno raccontando una balla. Quell’intercalare “è ‘o vero” non significa che vogliano convincere l’ascoltatore, ma che essi stessi, per primi, non si sentono fortemente convinti delle sciocchezze che stanno raccontando, e vogliano darsi forza con l’autoconvincimento. Come il bravo venditore che crede nel prodotto che vende, il Napoletano è un bugiardo che crede nelle bugie che racconta. E’ un bugiardo sincero.




La superstizione. “Non è vero, ma ci credo”. In una frase, un concetto e il suo contrario. Napoli è una fioritura di maghi, veggenti che leggono le carte, la mano, la pianta del piede se occorre; e poi malocchio e contro malocchio, fatture e contro fatture, amuleti contro tutto, amuleti secondo necessità: quando occorre il ferro di cavallo, o il cornetto semplice, o il gobbetto, o la manina che fa le corna. Il Napoletano sa bene che ogni amuleto annulla l’altro, che tutti insieme si annullano a vicenda, e che la vita non subisce modifiche se ci “affatturano”. Però, nel dubbio… non è vero, ma ci credo.


Il fatalismo. Un Napoletano è istintivamente fatalista: sa che le cose devono fare il loro corso, “adda passà, ‘a nuttata…”. Ma nonostante ciò, nelle avversità si industria in tutti i modi per uscirne, scatena la sua fantasia, si rivolge ad amici terreni e a San Gennaro, non accetta passivamente il fato; poi, se le cose si aggiustano ne ascrive il merito al proprio impegno (raramente a San Gennaro); se invece vanno male, fa il fatalista: era destino… (però, un po’ di colpa a San Gennaro, gliela dà). Un fatalista combattivo, in realtà.



L’amicizia. Il miglior amico di un Napoletano è solo se stesso. A parole, tutti i suoi conoscenti sono amici, e così li chiama, e li decanta come tali, esagerandone spesso i meriti; in realtà non si fida di nessuno, l’amico vero non esiste. E, se ce l’ha, non lo chiama mai “amico”, e non lo vanta di fronte a nessuno, per paura che glielo rubino. Ma della parola “amico” ne fa un grande uso, pur consapevole che non risponde al vero.


L’ottimismo. A prima vista, il Napoletano è la quintessenza dell’ottimismo; gioviale, pronto ad incoraggiare con una parola ed una pacca sulla spalla chi ha bisogno, e si accontenta di poco: “tenimm ‘o sole, tenimm ‘o mare, ‘o ciel’ blu…”. Da un lato fa l’ottimista, quando asserisce “scuordammece ‘o passat’, nun ce penzamm cchiù”, ed inoltre sopporta l’oggi, perché sa che c’è un domani, nel quale spera; un domani nel quale, a ben vedere, però, non ha fiducia. Perché in fondo è un pessimista, un vero Pulcinella che, quando ha la maschera sul viso, diffonde facondie, frizzi e lazzi; poi, solleva la maschera sulla fronte, tirandola su per il lungo naso e affronta la realtà con una vena di pessimismo che emerge sempre più, mentre lentamente, parlando, china il capo sotto il peso della vita; poi, all’improvviso, tira giù di nuovo la maschera e va via dal palcoscenico, ancora tra frizzi e lazzi. Un ottimo pessimista, o, se preferite, un pessimo ottimista.



L’amore. Il Napoletano è, per secolare definizione, il cantore dell’amore. Le corde del suo mandolino hanno vibrato in mille e mille serenate, con le sue note velate di malinconia ha accompagnato gote rigate da lacrime, o con trilli frizzanti ha accompagnato i mille salti di allegria di una gioiosa tarantella. Sempre pronto, lui, il Napoletano, ad innamorarsi, sempre pronta, lei, la Napoletana, a sentirsi amata. Ma il mandolino napoletano tante e tante volte ha cantato anche le emozioni trasmesse dalla luna, dal mare, dal cielo, o dal ricordo di un qualcosa; ecco, a pensarci bene, il mandolino ha cantato le emozioni in cui si crogiola chi lo suona e canta. Canta d’amore, il mandolino napoletano, ma in modo quasi egoistico; il Napoletano non è innamorato dell’oggetto delle sue attenzioni, potrebbe cambiare oggetto da un momento all’altro; il Napoletano è innamorato dell’amore, canta l’amore in quanto tale. A parole racconta il rapporto a due, dentro di sé vive il suo, personalissimo, rapporto con l’amore, non più rapporto a due. Luna, mare, cielo, ricordi, una lei o un lui, diventano solo il tramite, l’alibi, per cantare e vivere il proprio, esclusivo, sentimento, sia esso un ideale d’amore, o la malinconia di un ricordo struggente.



Sono solo alcuni esempi, alcune delle tante anime, che, in modo evidente, possono cogliersi in un Napoletano. Già, perché apparentemente, non ne nasconde nessuna, le mostra, esagera nel mostrarle e che esageri lo dice da solo, esagerando persino con le “g” quando pronuncia la parola “esagggerato..”. E’ invece la sua corazza, quel voler apparire, è la sua difesa contro l’umiltà del suo profondo io che il Napoletano non vuole venga letta da alcuno, perché è lì la sua vulnerabilità, il suo tallone d’Achille.
Il più gran segno di umanità del Napoletano è la sua umiltà, che lui maschera facendo lo sbruffone, con le sue esagerazioni.
Un umile sbruffone, l’ennesimo ossimoro.
Appare cinico, talvolta, il Napoletano, quando commenta una disgrazia capitata ad altri: “e cche vuo’ ffà?”. Però, e questa volta quando nessuno lo vede, senza esibirsi, quasi di nascosto, aiuta chi ha bisogno. Cinico in apparenza, sensibile nella realtà.
Come lo è uno dei personaggi di “Questi fantasmi”, una commedia con la quale il grande Eduardo ha portato in scena una grande esemplificazione della Napoletanità. Cinico e sensibile è Alfredo, l’amante di Maria, moglie del povero Pasquale Lojacono. Alfredo, cinico, non si fa scrupolo di andare a letto con Maria e di ingannare Pasquale spacciandosi per fantasma; però, poi, sensibile ai problemi del quotidiano del poveretto, gli lascia di nascosto soldi nella tasca di una vestaglia e nei cassetti. E Pasquale Loiacono mostra, nel raccontare al “professore” suo dirimpettaio, e nel parlare con gli altri personaggi della commedia, un repertorio di aspetti della Napoletanità: è il poveraccio che non si arrende alla povertà, fatalista ma combattivo, e pur di campare è disposto a creare una pensione in un palazzo disabitato che le dicerie vogliono infestato dai fantasmi, e che Pasquale si sforza di gestire in modo “razionale”, accettandoli e dialogando con loro, superstizioso ma razionale; è convinto nel raccontare al “professore” cose in cui sa, in fondo, di non credere, e racconta così bugie e giustificazioni a se stesso per autoconvincersi; è superstizioso anche se in fondo sa che i fantasmi non dovrebbero esistere; è fatalista perché, pur non piacendogli, accetta la situazione; si comporta da ottimista, ma vede il domani più nero dell’oggi, quando, alla fine, in ginocchio davanti al fantasma-Alfredo, lo supplica per il suo futuro; sa che non ha altro, oltre l’idea dell’amore per la moglie, anche se in tutta la commedia non traspare nei gesti, perché l’amore è solo un ideale, l’ultima cosa rimasta a cui aggrapparsi; è lo sbruffone, che fino in fondo ha cercato di mostrare che sa gestire la situazione e la sua vita, ma poi alla fine, si umilia davanti al fantasma-Alfredo vergognandosi di se stesso e della sua incapacità a farsi amare e rispettare dalla moglie.


Un concentrato di napoletanissima umanità, Pasquale Lojacono. Ed ogni Napoletano è un po’ Pasquale, un po’ Alfredo, un po’ il professore paziente che è lo specchio in cui tanta umanità si guarda. Tante caratteristiche, tutte insieme, in un comune mortale “non napoletano”, è molto difficile trovarle.
Un Napoletano, invece, è tutto questo insieme, e molto di più. Di volta in volta lo vedrete, camaleonte, adattarsi ad ogni situazione. Con faciloneria si potrebbe dire che è un attore, un grande attore, che per lui la vita è una recita e il mondo un palcoscenico.
Nulla di più sbagliato. Il Napoletano non recita, di volta in volta, un ruolo, secondo le situazioni. Il Napoletano le situazioni le vive, è lui, “la situazione”. Di volta in volta, tira fuori quella parte del suo essere napoletano che serve alla bisogna. Nel senso più bello del paragone, è un Pulcinella.
Già, senza offesa. Pulcinella è la maschera per eccellenza, il grande istrione, la Napoletanità raccontata. Soprattutto, uno spirito libero, un ingegno libero. E non si può essere Pulcinella, se non se ne ha il patrimonio genetico.
Li guardo, li osservo, li ascolto, li studio, i Napoletani; e, mi illudo, forse li capisco. E quando mi sembra di averli capiti, scopro allora un’ennesima loro anima, una delle mille anime che tutte insieme sono “l’anima napoletana”, la Napoletanità.
Aristotele ha detto: “esercitare liberamente il proprio ingegno, ecco la felicità”.
Credo che i Napoletani siano un popolo felice.

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Edited by sefora1 - 22/4/2011, 19:22
 
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