Qui faremo un excursus storico di quella grande tradizione napoletana rappresentata dal teatro. Parleremo di quel teatro che nasce dalla proverbiale vitalita' umoristica di Napoli della città più pazza e divertente del mondo, con le sue contraddizioni , con la sua rassegnazione, con la sua drammaticita' che da sempre testimoniano l'arte dell'arrangiarsi dei vicoli napoletani e ne documentano spesso le situazioni paradossali riportate nella maggior parte dei lavori teatrali.
Le prime tracce di questa grande tradizione la possiamo far risalire alle Atellane ,farsa popolaresca di origine osca, proveniente dalla città campana di Atella che fu poi importata anche a Roma.
L'ATELLANAE LE MASCHERE
Questo primitivo tipo di spettacolo teatrale, giocoso e licenzioso, sorse presso gli Osci di Atella (da cui prese il nome), una città della Campania tra le attuali Orta di Atella, Sant'Arpino, Succivo, Gricignano di Aversa e Cesa. L'atellana seppure avesse schemi e canovacci costanti , era determinata dalle improvvisazioni e all'uso delle maschere .Erano scherzi improvvisati e liberi che si rappresentavano in occasione delle feste campagnole, specialmente in occasione dei raccolti.
Quattro erano i personaggi fissi dell'atellana: Maccus (lo sciocco), Pappus (il vecchio avaro), Bucco (il ghiottone vanaglorioso e maleducato) e Dossennus (il gobbo astuto). A queste maschere antropomorfe se ne aggiungeva un'altra: Kikirrus, una maschera teriomorfa (ovvero con l'aspetto di un animale) il cui stesso nome, infatti, richiama il verso del gallo.
Quest'ultima maschera ricorda da vicino il Pulcinella che, non a caso, è sopravvissuto nella tradizione comica napoletana.I soggetti erano sempre tratti dalle vicende della vita quotidiana. L'Atellana durava poco e aveva solo lo scopo di far ridere. Nessuno badava ai costumi, gli attori vestivano abiti fatti con gli stracci, si sfidavano, si prendevano a botte ma il mezzo più efficace per far ridere era la lingua.
La lingua atellana rozza ma colorita e ricca di voci espressive come giochi fonici, l'omoteleuto, l'allitterazione e l'assonanza.
Erano presenti anche lazzi di ascendenza fescenninica, i "qui pro quo" cari al popolino.
Abbondavano le frasi a doppio senso e i diminutivi.
IL TEATRO NAPOLETANO NEL MEDIOEVO
In questo periodo numerose erano le compagnie di attori girovaghi che affollavano le piazze in tempi di fiere e mercati, anche se gli storici hanno affermato per lungo tempo che durante il Medioevo, periodo considerato per antonomasia buio e tetro, non vi fosse stata la presenza del genere teatrale. Le scoperte più attuali, confermano invece la sua esistenza, anche se non è stato possibile rinvenire resti delle strutture entro cui avvenivano gli spettacoli, poiché questi si svolgevano all’aperto, essendo le compagnie girovaghe e lavorando intorno ai loro carri, all’aperto, nelle piazze. Si trattava in questo caso, essenzialmente di teatro buffonesco, di mimi e di farse popolari, le quali avvenivano, malgrado i divieti della legge.
Ma le prime vere tracce della tradizione teatrale napoletana risalgono all'opera poetica di
Jacopo Sannazaro che tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento recitava le sue farse alla corte angioina prima, aragonese poi. A livello popolare famoso in questo periodo è il
Velardiniello , cantastorie di strada, che potremmo definire il primo cantante napoletano , purificatore della poesia dialettale, e riusci ad introdurre le sue villanelle nella canzone.
ai sui tempi era stimato" museco nfra li buone e nfra li mastre".
Voccuccia de nu pierzeco apreturo fu un suo grande successo , in quanto presentava una caratteristica che resterà
tra le massime espressioni artistiche della cultura napoletana:il recitare cantando.
Un altro poeta degno di nota di questo periodo fu
Pietro Antonio Caracciolo, autore (secc. 15º - 16º) di farse in dialetto napoletano e in italiano; visse a Napoli, ma nulla si conosce di preciso della sua vita. Egli, nelle sue farse in endecasillabi, di cui ci è pervenuta completa soltanto una, quella dell’Imagico –mentre di altre, quella del Malato e quella della Cita non ci restano che frammenti- rappresentò, con abbondanza di particolari realistici, la vita della plebe napoletana.Il Caracciolo continuò a comporre farse, ancora nei primi decenni del ‘500, e questi componimenti avevano stretta parentela con quella sorta di farse che, per esservi presi di mira e beffeggiati gli abitanti e i costumi di Cava, erano dette “
cavaiole”: e due cavaioli erano già tra i personaggi che il Caracciolo introduceva.
Le farse cavaiole
La farsa cavaiola rappresenta un genere drammatico popolare, caratterizzato dal ricorso a frottole o gliommeri di endecasillabi, per lo più con rima al mezzo. È così denominato per il suo prendere a oggetto di beffa l’ingenuità e la rozzezza degli abitanti di Cava dei Tirreni.Si tratta di un genere incentrato sull'archetipo farsesco del cavaiuolo, ovvero un ignorante e stolto villico cavese (ossia un abitante della città di Cava), che dai cittadini salernitani è immaginato, con la rozzezza del suo dialetto, nei tratti più grossolani e caricaturali, come viene delineato, ad esempio, nella Farza de lo Mastro de scola e nella Farza de la Maestra di
Vincenzo Braca, in cui il carattere del cavaiolo assurge alla rappresentatività del tipico «popolano sciocco.
Fiorita tra la fine del secolo XV e i primi decenni del secolo XVII, considerati i suoi intrecci estremamente elementari, la farsa cavaiola ha importanza storica più che artistica in quanto, con i suoi elementi realistici, influì molto sulla commedia popolare napoletana del ‘600.
Il Braca raccolse e redasse per iscritto, sceneggiandole e aggiungendone di proprie, le satire che tradizionalmente erano diffuse, fra i salernitani, contro i vicini abitanti di Cava; cosa che rese ancor più profondi i vecchi rancori fra le due città, esponendo personalmente il Braca, per questo feroce accanimento denigratorio, all’odio dei cavesi. E pare che proprio da cavesi, o per loro istigazione, fu assassinato.
Una satira importante fu Il Processus criminalis, con la quale il Braca , attraverso strali ironici a prendere di mira i consueti bersagli, gli abitanti della città di Cava. Lo scrittore immagina se stesso al centro di una caso giudiziario che lo vede accusato di diffamazione dai cittadini cavesi. Il processo si conclude l'ultima sera di Carnevale, con l'inflizione, all'imputato contumace, della pena della flagellazione per le vie del borgo.
Molte affinità formali avvalorano l'accostamento del Processus al filone letterario dello gliommero (o gliuommero 'gomitolo' in dialetto meridionale), un raffinato e antico genere poetico, che rimanda però agli ambienti e ai circoli letterari della Napoli aragonese, e i cui prodotti erano prologhi a testi cavallereschi destinati alla pubblica lettura. Gli elementi formali comuni che suggeriscono l'affinità del Processus al genere dello gliommero sono la forma epistolare, la struttura metrica a endecasillabi frottolati (endecasillabi con rimalmezzo), la fluidità tra differenti registri linguistici, con la loro coabitazione e contaminazione espressiva e, infine, la scrittura in forma di monologo recitativo, in funzione dell'eventuale fruizione carnacialesca del Processus, destinato forse alla recitazione per bocca di un solo attore o guitto.
Gliommero o Gliuommero
Fu un raffinato genere poetico popolaresco, affine alla frottola da un punto di vista compositivo, diffusosi a metà Quattrocento negli ambienti letterari della Napoli aragonese e fiorito fino al Cinquecento.
I prodotti di questo frequentato genere letterario, nell'ambiente della corte aragonese, erano prologhi a testi cavallereschi destinati alla pubblica lettura.
Gli elementi formali che caratterizzano il genere sono la forma epistolare, la struttura metrica a endecasillabi frottolati (endecasillabi con rimalmezzo), la fluidità tra differenti registri linguistici, con la loro coabitazione e contaminazione espressiva e, infine, la scrittura in forma di monologo
PULCINELLA E SILVIO FIORILLO
Abbiamo gia' detto che la maschera di Pulcinella viene accostata ad alcuni personaggi delle Atellane come Maccus o Kikurrus , ma il pulcinella che conosciamo adesso è stato inventata ufficialmente a Napoli dall'attore
Silvio Fiorillo nella seconda metà del Cinquecento. Le ipotesi sono varie: c'è chi lo fa discendere da “Pulcinello” un piccolo pulcino perché ha il naso adunco; c'è chi sostiene che un contadino di Acerra, Puccio d'Aniello, nel '600 si unì come buffone ad una compagnia di girovaghi di passaggio nel suo paese. Silvio Fiorillo era gia' molto famoso con il personaggio di Capitan Matamoros ma si consacra con questa maschera napoletana. Partito da Napoli in compagnia di altri personaggi come Coviello, Pascariello e una lunga fila di capitani vanagloriosi come Matamoros e Rodomonte che parlavano una lingua franca a metà tra il napoletano e lo spagnolo, Pulcinella con Silvio Fiorillo approdò nelle grandi compagnie comiche del nord e divenne l'antagonista di Arlecchino, il servo sciocco, credulone e sempre affamato di quella fame atavica dei poveri diavoli.
Comunque la più importante raccolta di lazzi pulcinelleschi rimarrà quella del seicentesco Padre Placido Adriani (Lucca fine sec. XVII-? dopo il 1736). A Napoli, all'inizio del Settecento, la fortuna del personaggio di Pulcinella ha bisogno di uno spazio proprio, per questo verrà costruito appositamente un teatro per le commedie in dialetto: il San Carlino dove lavoreranno famosi Pulcinella
come Petito e Altavilla.ANTONIO PETITO IL RE DEI PULCINELLA
Con lui , forse, inizia veramente il teatro napoletano . Antonio Petito, chiamato anche con l’appellativo di Totonno ‘o pazzo, sarà un autore, attore e capocomico napoletano di fama internazionale, in quanto egli renderà celebre, in tutto il mondo, la maschera di Pulcinella. Nacque a Napoli nel 1822, primogenito di Salvatore Petito, noto interprete della maschera di Pulcinella, e di Giuseppina D’Errico, detta “Donna Peppa”. Il padre recitava le sue farse “pulcinellesche” al Teatro San Carlino di Napoli, mentre la madre fu una pupara, una guarattellara, ossia gestiva un teatrino dei pupi e, successivamente quando divenne la sposa di Salvatore Petito fu l’impresaria della compagnia della famiglia Petito. I Petito erano una famiglia illustre di artisti teatranti e, si contraddistinsero da tante altre compagnie popolari del tempo per la loro immensa bravura. Essi furono sulla scena popolare napoletana a partire dalla seconda metà del Settecento fino alla seconda metà dell’Ottocento. Basti pensare che il fratello maggiore di Antonio, Gennaro Petito, era stimato dal pubblico per la sua mimica e, l’altro fratello minore Davide Petito fu ammirato per il suo estro recitativo. Totonno è stato anche un prolifico commediografo e tra le sue più belle opere, ricordiamo "Palummella zompa e vola", "Cicuzza", "Sò mastu Rafele e non te ne 'ncarricà ,Francesca da Rimini ripresa con grande successo poi anche dai fratelli Giuffre'". Petito era semi-analfabeta e il suo repertorio teatrale ha più valore tecnico che letterario, ossia i suoi copioni sono fondamentali da un punto di vista scenico-recitativo e rappresentativo. Però questo non significa che per il grande Petito il testo scritto non fosse importante; anzi nel teatro dialettale egli può essere considerato il primo attore comico che intuì quanto fosse necessario il copione scritto da recitare. Solitamente il nostro comico ideava la trama dei suoi canovacci e poi si rivolgeva agli illustri letterati del tempo per effettuare la stesura dell’opera.Sulle tavole del San Carlino, Petito non solo indossò il camicione di Pulcinella, ma anche la maschera del buffo Pascariello e di Don Felice Sciosciammocca ripreso poi anche da
Eduardo Scarpetta , suo allievo preferito.Dal carattere un pò particolare e dotato di quell'estro così trascinante, Antonio Petito era un uomo allegro anche nella vita privata, era un burlone a cui piaceva far tiri mancini. Lo
sperimentarono molto bene l'Altavilla e Eduardo Scarpetta, tanto per far qualche nome. E pensare che Totonno aveva iniziato la sua carriera artistica interpretando le parti di cattivo, e lo faceva talmente bene che una sera al teatro di "Donna Peppa" uno spettatore, indispettito per il tradimento di Jago (interpretato da Antonio Petito) ne' l'Otello, in un impeto di rabbia, lanciò una scarpa al Petito, con una violenza tale da procurargli una grossa ferita. Alla madre, che voleva far arrestare l'esagitato, Petito disse queste parole: «Pecchè 'o faje arrestà ? In fondo m'ha fatto 'o cchiù bello cumplimento ca me puteva fa !». Il destino, purtroppo, lo attendeva inclemente. La sera del 24 marzo del 1876 mentre Totonno 'o pazzo intento a recitare nella "Dama Bianca" del grande Marulli, un attacco di angina pectoris lo fulminò dietro le quinte.
Fu allora adagiato su di un materasso e portato sul palcoscenico dove esalò il suo ultimo respiro, sotto gli occhi di un pubblico addolorato e frastornato che, piangendo e disperandosi, gli tributò l'ultimo ed il più fragoroso degli applausi. Con la morte di Antonio Petito finiva anche una gloriosa generazione di Pulcinella che mai più vide attori degni di vestire quel bianco camice, anche se non si possono trascurare le ottime interpretazioni di Giuseppe De Martino e Salvatore De Muto che, pur dando ottimi saggi di recitazione, non seppero ridare alla maschera napoletano quel lustro e quella fama che gli aveva dato Antonio Petito.
PASQUALE ALTAVILLA grande attore,commediografo,cantante e mimo.
Pasquale Altavilla, per la sua bravura, per la sua dedizione e per il suo estro va annoverato fra i più grandi uomini che abbiano mai calcato le scene teatrali. Attore, mimo, commediografo, ballerino, musicista, autore di bellissime canzoni e cantante fu definito da Salvatore Di Giacomo come: L'ultimo signore della scena popolare partenopea. L'Altavilla calcò le scene del teatro San Carlino per oltre 46 anni. O Zì Pascale (come lo chiamava affettuosamente Eduardo Scarpetta) era il commediografo del momento, dell'attualità. La maggior parte delle sue commedie prendevano spunto, come del resto quelle del grande Giancola, dai fatti che accadevano giorno per giorno.In città s'inaugurava una nuova panetteria ? Ed ecco che dalla penna di Zì Pascale nasceva: La folla pe lu pane Francese, si apriva un Bar ? E giù l'Altavilla a scrivere la commedia: Lu café di Europa e così via; se s'inaugurava la ferrovia, ecco: L'apertura de la strada de fierro da Napole a Castiellammare. Pasquale Altavilla morì il 2 agosto 1875 cadendo per le scale nel mentre, per la sua troppa cortesia, era intento ad ascoltare una signora che gli richiedeva un palco per lo spettacolo della sera.
ACHILLE TORELLI
Achille Torelli (Napoli 1841-1922). Scrittore e commediografo. Di antiche origini albanesi, Achille Torelli nacque a Napoli il 5 maggio 1841 da Vincenzo e da donn’Anna de Tomasi dei principi di Lampedusa, zia del famoso autore de Il Gattopardo. Contemporaneo del Mastriani, Torelli ne rappresenta, in un certo senso, l’antitesi. La sua opera teatrale e la sua personalità di commediografo furono la testimonianza napoletana della destra culturale italiana. È noto soprattutto per la commedia I mariti. Fra gli altri suoi lavori ricordiamo Troppa grazia, La moglie, Triste realtà, Scrollina. Ha lasciato anche commedie in dialetto napoletano, come: ‘E ddoje catene, ‘A chiesa d’ ‘o sange. Tipico esponente della prima generazione post-risorgimentale, il Torelli tralasciò i grandi temi politici e si volse ad indagare problemi e costumi della borghesia
EDUARDO SCARPETTA((Napoli, 13 marzo 1853 – Napoli, 29 novembre 1925)
Abbiamo accennato ad Altavilla e a Petito, ora non possiamo non soffermarci a parlare di Eduardo Scarpetta che fu il più importante attore e autore del teatro napoletano tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. Creò il teatro dialettale moderno, che ancora oggi si usa e si specializzò nell'adattare la lingua napoletana in moltissime pochade francesi; la sua commedia più celebre, Miseria e nobiltà, fu però una creazione originale del suo repertorio.
Scarpetta fu anche attore cinematografico agli albori della “settima arte”. Egli girò alcuni film per una casa di produzione milanese, la “Musical Film” di Renzo Sonzogno, tratti dalle sue commedie: Miseria e nobiltà (1914, diretto da Enrico Guazzoni), La nutrice (1914, diretto da Alessandro Boutet), Un antico caffè napoletano (1914), Tre pecore viziose (1915) e Lo scaldaletto (1915) diretti da Gino Rossetti. Di questi film ci rimangono solo alcune foto di scena di Scarpetta e di altri interpreti.
Dopo di essere stato, giovanissimo, nella compagnia di Antonio Petito, piu' tardi ne diventera' capocomico siamo nel 1879. Porta al successo il personaggio di felice Sciosciammocca
che piu' tardi diventera' anche il cavallo di battaglia delle sue famosissime commedie . Comincia a lavorare con una sua compagnia e nel 1880 ristruttura il vecchio e glorioso teatro San Carlino .Iniziò così una stagione di grandi successi, che lo portano ben presto a diventare un idolo. Eduardo Scarpetta cominciò così a scrivere commedie brillanti ispirandosi ai vaudevilles della belle epoque che in Francia "dettavano moda". Le sue non erano semplici traduzioni dal francese al napoletano, ma erano riletture complete che lasciavano intravedere solo l'intreccio dell'originale; i caratteri, le battute, erano completamente reinventate dalla feconda fantasia di quel giovane e nascente talento che aveva capito qual era l'esigenza del pubblico: ridere con intelligenza. Diventato ormai un capocomico di successo, nato da una famiglia modesta, possiede ora un palazzo in Via Dei Mille, costruito dallo stesso architetto del Teatro Bellini, Vincenzo Salvietti, carrozze e cavalli.Per più di cinquant'anni Eduardo Scarpetta calca le scene dei più grandi teatri italiani, inventando un nuovo modo di far ridere.
Sposato dal 1876 con Rosa De Filippo (la quale, da giovane, era stata amata dal re Vittorio Emanuele II e si mostra spesso con diademi e brillanti degni di una regina) aveva poi intrecciato una relazione con la nipote di costei, Luisa De Filippo.
E' difficile parlare con semplicità della famiglia di Eduardo Scarpetta per le tantissime chiacchiere, malignità e pettegolezzi proliferati a giusta causa e non attorno alla sua vita privata.
E' certo che egli non fece nulla per cercare di impedire o quanto meno arginare la marea di voci che circolavano sul suo conto; certamente erano altri tempi ed esistevano altri modi di leggere i comportamenti privati di un personaggio noto, anzi stranoto.
Così se per un verso erano conosciute nel silenzio le sue paternità extraconiugali, queste erano taciute in pubblico per una sorta di rispetto reverenziale nei confronti del personaggio beniamino delle platee; o ancora erano, in qualche caso, motivo di dileggio più o meno cattivo come quando, rimbeccato al teatro Sannazzaro da uno spettatore che gridò al suo indirizzo: "…
Scarpè tiene 'e ccorna!", egli rispose con tutta calma: "…Sì, ma 'e mmie so' reali!".Padre di un numero altissimo di figli (riconosciuti e non) oltre a Vincenzo, Domenico, Maria Scarpetta, vi sono i celebri Eduardo, Peppino e Titina De Filippo, il poeta Ernesto Murolo (padre del cantante Roberto Murolo), Eduardo (De Filippo) in arte Passarelli e suo fratello Pasquale De Filippo.
Scarpetta si fece interprete del cambiamento di gusti nel pubblico napoletano. Il teatro napoletano non era piu' "teatro di maschera" ma teatro di "carattere". Scarpetta quindi elimino' quindi definitivamente la maschera ormai obsoleta introducendo personaggi della borghesia cittadina che mantenessero pero' immutati i caratteri farseschi della tradizione. Sciosciammocca indossa un cilindro in testa, un abito a quadretti, il papillon, il bastone da passeggio, le scarpe lucide e usa un linguaggio imborghesito da 'cocco di mamma''.Le sue commedie su Felice Sciosciammocca ottennero un enorme successo a Napoli (Scarpetta si arricchi' oltre ogni immaginazione) e aprirono la strada al successo dei fratelli De Filippo
qui lo vediamo con i De Filippo
continua
Edited by Pulcinella291 - 13/5/2011, 10:05