Le stronzate di Pulcinella

IL TEATRO NAPOLETANO DALLE ATELLANE AI GIORNI NOSTRI

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view post Posted on 9/5/2011, 08:40
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Pulcinella291 Forum

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Qui faremo un excursus storico di quella grande tradizione napoletana rappresentata dal teatro. Parleremo di quel teatro che nasce dalla proverbiale vitalita' umoristica di Napoli della città più pazza e divertente del mondo, con le sue contraddizioni , con la sua rassegnazione, con la sua drammaticita' che da sempre testimoniano l'arte dell'arrangiarsi dei vicoli napoletani e ne documentano spesso le situazioni paradossali riportate nella maggior parte dei lavori teatrali.
Le prime tracce di questa grande tradizione la possiamo far risalire alle Atellane ,farsa popolaresca di origine osca, proveniente dalla città campana di Atella che fu poi importata anche a Roma.

L'ATELLANAE LE MASCHERE


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Questo primitivo tipo di spettacolo teatrale, giocoso e licenzioso, sorse presso gli Osci di Atella (da cui prese il nome), una città della Campania tra le attuali Orta di Atella, Sant'Arpino, Succivo, Gricignano di Aversa e Cesa. L'atellana seppure avesse schemi e canovacci costanti , era determinata dalle improvvisazioni e all'uso delle maschere .Erano scherzi improvvisati e liberi che si rappresentavano in occasione delle feste campagnole, specialmente in occasione dei raccolti.
Quattro erano i personaggi fissi dell'atellana: Maccus (lo sciocco), Pappus (il vecchio avaro), Bucco (il ghiottone vanaglorioso e maleducato) e Dossennus (il gobbo astuto). A queste maschere antropomorfe se ne aggiungeva un'altra: Kikirrus, una maschera teriomorfa (ovvero con l'aspetto di un animale) il cui stesso nome, infatti, richiama il verso del gallo.
Quest'ultima maschera ricorda da vicino il Pulcinella che, non a caso, è sopravvissuto nella tradizione comica napoletana.I soggetti erano sempre tratti dalle vicende della vita quotidiana. L'Atellana durava poco e aveva solo lo scopo di far ridere. Nessuno badava ai costumi, gli attori vestivano abiti fatti con gli stracci, si sfidavano, si prendevano a botte ma il mezzo più efficace per far ridere era la lingua.
La lingua atellana rozza ma colorita e ricca di voci espressive come giochi fonici, l'omoteleuto, l'allitterazione e l'assonanza.
Erano presenti anche lazzi di ascendenza fescenninica, i "qui pro quo" cari al popolino.
Abbondavano le frasi a doppio senso e i diminutivi.

IL TEATRO NAPOLETANO NEL MEDIOEVO


In questo periodo numerose erano le compagnie di attori girovaghi che affollavano le piazze in tempi di fiere e mercati, anche se gli storici hanno affermato per lungo tempo che durante il Medioevo, periodo considerato per antonomasia buio e tetro, non vi fosse stata la presenza del genere teatrale. Le scoperte più attuali, confermano invece la sua esistenza, anche se non è stato possibile rinvenire resti delle strutture entro cui avvenivano gli spettacoli, poiché questi si svolgevano all’aperto, essendo le compagnie girovaghe e lavorando intorno ai loro carri, all’aperto, nelle piazze. Si trattava in questo caso, essenzialmente di teatro buffonesco, di mimi e di farse popolari, le quali avvenivano, malgrado i divieti della legge.
Ma le prime vere tracce della tradizione teatrale napoletana risalgono all'opera poetica di Jacopo Sannazaro che tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento recitava le sue farse alla corte angioina prima, aragonese poi. A livello popolare famoso in questo periodo è il Velardiniello , cantastorie di strada, che potremmo definire il primo cantante napoletano , purificatore della poesia dialettale, e riusci ad introdurre le sue villanelle nella canzone.
ai sui tempi era stimato" museco nfra li buone e nfra li mastre". Voccuccia de nu pierzeco apreturo fu un suo grande successo , in quanto presentava una caratteristica che resterà
tra le massime espressioni artistiche della cultura napoletana:il recitare cantando.
Un altro poeta degno di nota di questo periodo fu Pietro Antonio Caracciolo, autore (secc. 15º - 16º) di farse in dialetto napoletano e in italiano; visse a Napoli, ma nulla si conosce di preciso della sua vita. Egli, nelle sue farse in endecasillabi, di cui ci è pervenuta completa soltanto una, quella dell’Imagico –mentre di altre, quella del Malato e quella della Cita non ci restano che frammenti- rappresentò, con abbondanza di particolari realistici, la vita della plebe napoletana.Il Caracciolo continuò a comporre farse, ancora nei primi decenni del ‘500, e questi componimenti avevano stretta parentela con quella sorta di farse che, per esservi presi di mira e beffeggiati gli abitanti e i costumi di Cava, erano dette “cavaiole”: e due cavaioli erano già tra i personaggi che il Caracciolo introduceva.

Le farse cavaiole



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La farsa cavaiola rappresenta un genere drammatico popolare, caratterizzato dal ricorso a frottole o gliommeri di endecasillabi, per lo più con rima al mezzo. È così denominato per il suo prendere a oggetto di beffa l’ingenuità e la rozzezza degli abitanti di Cava dei Tirreni.Si tratta di un genere incentrato sull'archetipo farsesco del cavaiuolo, ovvero un ignorante e stolto villico cavese (ossia un abitante della città di Cava), che dai cittadini salernitani è immaginato, con la rozzezza del suo dialetto, nei tratti più grossolani e caricaturali, come viene delineato, ad esempio, nella Farza de lo Mastro de scola e nella Farza de la Maestra di Vincenzo Braca, in cui il carattere del cavaiolo assurge alla rappresentatività del tipico «popolano sciocco.
Fiorita tra la fine del secolo XV e i primi decenni del secolo XVII, considerati i suoi intrecci estremamente elementari, la farsa cavaiola ha importanza storica più che artistica in quanto, con i suoi elementi realistici, influì molto sulla commedia popolare napoletana del ‘600.
Il Braca raccolse e redasse per iscritto, sceneggiandole e aggiungendone di proprie, le satire che tradizionalmente erano diffuse, fra i salernitani, contro i vicini abitanti di Cava; cosa che rese ancor più profondi i vecchi rancori fra le due città, esponendo personalmente il Braca, per questo feroce accanimento denigratorio, all’odio dei cavesi. E pare che proprio da cavesi, o per loro istigazione, fu assassinato.
Una satira importante fu Il Processus criminalis, con la quale il Braca , attraverso strali ironici a prendere di mira i consueti bersagli, gli abitanti della città di Cava. Lo scrittore immagina se stesso al centro di una caso giudiziario che lo vede accusato di diffamazione dai cittadini cavesi. Il processo si conclude l'ultima sera di Carnevale, con l'inflizione, all'imputato contumace, della pena della flagellazione per le vie del borgo.
Molte affinità formali avvalorano l'accostamento del Processus al filone letterario dello gliommero (o gliuommero 'gomitolo' in dialetto meridionale), un raffinato e antico genere poetico, che rimanda però agli ambienti e ai circoli letterari della Napoli aragonese, e i cui prodotti erano prologhi a testi cavallereschi destinati alla pubblica lettura. Gli elementi formali comuni che suggeriscono l'affinità del Processus al genere dello gliommero sono la forma epistolare, la struttura metrica a endecasillabi frottolati (endecasillabi con rimalmezzo), la fluidità tra differenti registri linguistici, con la loro coabitazione e contaminazione espressiva e, infine, la scrittura in forma di monologo recitativo, in funzione dell'eventuale fruizione carnacialesca del Processus, destinato forse alla recitazione per bocca di un solo attore o guitto.

Gliommero o Gliuommero


Fu un raffinato genere poetico popolaresco, affine alla frottola da un punto di vista compositivo, diffusosi a metà Quattrocento negli ambienti letterari della Napoli aragonese e fiorito fino al Cinquecento.
I prodotti di questo frequentato genere letterario, nell'ambiente della corte aragonese, erano prologhi a testi cavallereschi destinati alla pubblica lettura.
Gli elementi formali che caratterizzano il genere sono la forma epistolare, la struttura metrica a endecasillabi frottolati (endecasillabi con rimalmezzo), la fluidità tra differenti registri linguistici, con la loro coabitazione e contaminazione espressiva e, infine, la scrittura in forma di monologo


PULCINELLA E SILVIO FIORILLO


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Abbiamo gia' detto che la maschera di Pulcinella viene accostata ad alcuni personaggi delle Atellane come Maccus o Kikurrus , ma il pulcinella che conosciamo adesso è stato inventata ufficialmente a Napoli dall'attore Silvio Fiorillo nella seconda metà del Cinquecento. Le ipotesi sono varie: c'è chi lo fa discendere da “Pulcinello” un piccolo pulcino perché ha il naso adunco; c'è chi sostiene che un contadino di Acerra, Puccio d'Aniello, nel '600 si unì come buffone ad una compagnia di girovaghi di passaggio nel suo paese. Silvio Fiorillo era gia' molto famoso con il personaggio di Capitan Matamoros ma si consacra con questa maschera napoletana. Partito da Napoli in compagnia di altri personaggi come Coviello, Pascariello e una lunga fila di capitani vanagloriosi come Matamoros e Rodomonte che parlavano una lingua franca a metà tra il napoletano e lo spagnolo, Pulcinella con Silvio Fiorillo approdò nelle grandi compagnie comiche del nord e divenne l'antagonista di Arlecchino, il servo sciocco, credulone e sempre affamato di quella fame atavica dei poveri diavoli.
Comunque la più importante raccolta di lazzi pulcinelleschi rimarrà quella del seicentesco Padre Placido Adriani (Lucca fine sec. XVII-? dopo il 1736). A Napoli, all'inizio del Settecento, la fortuna del personaggio di Pulcinella ha bisogno di uno spazio proprio, per questo verrà costruito appositamente un teatro per le commedie in dialetto: il San Carlino dove lavoreranno famosi Pulcinella come Petito e Altavilla.

ANTONIO PETITO IL RE DEI PULCINELLA

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Con lui , forse, inizia veramente il teatro napoletano . Antonio Petito, chiamato anche con l’appellativo di Totonno ‘o pazzo, sarà un autore, attore e capocomico napoletano di fama internazionale, in quanto egli renderà celebre, in tutto il mondo, la maschera di Pulcinella. Nacque a Napoli nel 1822, primogenito di Salvatore Petito, noto interprete della maschera di Pulcinella, e di Giuseppina D’Errico, detta “Donna Peppa”. Il padre recitava le sue farse “pulcinellesche” al Teatro San Carlino di Napoli, mentre la madre fu una pupara, una guarattellara, ossia gestiva un teatrino dei pupi e, successivamente quando divenne la sposa di Salvatore Petito fu l’impresaria della compagnia della famiglia Petito. I Petito erano una famiglia illustre di artisti teatranti e, si contraddistinsero da tante altre compagnie popolari del tempo per la loro immensa bravura. Essi furono sulla scena popolare napoletana a partire dalla seconda metà del Settecento fino alla seconda metà dell’Ottocento. Basti pensare che il fratello maggiore di Antonio, Gennaro Petito, era stimato dal pubblico per la sua mimica e, l’altro fratello minore Davide Petito fu ammirato per il suo estro recitativo. Totonno è stato anche un prolifico commediografo e tra le sue più belle opere, ricordiamo "Palummella zompa e vola", "Cicuzza", "Sò mastu Rafele e non te ne 'ncarricà ,Francesca da Rimini ripresa con grande successo poi anche dai fratelli Giuffre'". Petito era semi-analfabeta e il suo repertorio teatrale ha più valore tecnico che letterario, ossia i suoi copioni sono fondamentali da un punto di vista scenico-recitativo e rappresentativo. Però questo non significa che per il grande Petito il testo scritto non fosse importante; anzi nel teatro dialettale egli può essere considerato il primo attore comico che intuì quanto fosse necessario il copione scritto da recitare. Solitamente il nostro comico ideava la trama dei suoi canovacci e poi si rivolgeva agli illustri letterati del tempo per effettuare la stesura dell’opera.Sulle tavole del San Carlino, Petito non solo indossò il camicione di Pulcinella, ma anche la maschera del buffo Pascariello e di Don Felice Sciosciammocca ripreso poi anche da Eduardo Scarpetta , suo allievo preferito.Dal carattere un pò particolare e dotato di quell'estro così trascinante, Antonio Petito era un uomo allegro anche nella vita privata, era un burlone a cui piaceva far tiri mancini. Lo
sperimentarono molto bene l'Altavilla e Eduardo Scarpetta, tanto per far qualche nome. E pensare che Totonno aveva iniziato la sua carriera artistica interpretando le parti di cattivo, e lo faceva talmente bene che una sera al teatro di "Donna Peppa" uno spettatore, indispettito per il tradimento di Jago (interpretato da Antonio Petito) ne' l'Otello, in un impeto di rabbia, lanciò una scarpa al Petito, con una violenza tale da procurargli una grossa ferita. Alla madre, che voleva far arrestare l'esagitato, Petito disse queste parole: «Pecchè 'o faje arrestà ? In fondo m'ha fatto 'o cchiù bello cumplimento ca me puteva fa !». Il destino, purtroppo, lo attendeva inclemente. La sera del 24 marzo del 1876 mentre Totonno 'o pazzo intento a recitare nella "Dama Bianca" del grande Marulli, un attacco di angina pectoris lo fulminò dietro le quinte.
Fu allora adagiato su di un materasso e portato sul palcoscenico dove esalò il suo ultimo respiro, sotto gli occhi di un pubblico addolorato e frastornato che, piangendo e disperandosi, gli tributò l'ultimo ed il più fragoroso degli applausi. Con la morte di Antonio Petito finiva anche una gloriosa generazione di Pulcinella che mai più vide attori degni di vestire quel bianco camice, anche se non si possono trascurare le ottime interpretazioni di Giuseppe De Martino e Salvatore De Muto che, pur dando ottimi saggi di recitazione, non seppero ridare alla maschera napoletano quel lustro e quella fama che gli aveva dato Antonio Petito.

PASQUALE ALTAVILLA grande attore,commediografo,cantante e mimo.

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Pasquale Altavilla, per la sua bravura, per la sua dedizione e per il suo estro va annoverato fra i più grandi uomini che abbiano mai calcato le scene teatrali. Attore, mimo, commediografo, ballerino, musicista, autore di bellissime canzoni e cantante fu definito da Salvatore Di Giacomo come: L'ultimo signore della scena popolare partenopea. L'Altavilla calcò le scene del teatro San Carlino per oltre 46 anni. O Zì Pascale (come lo chiamava affettuosamente Eduardo Scarpetta) era il commediografo del momento, dell'attualità. La maggior parte delle sue commedie prendevano spunto, come del resto quelle del grande Giancola, dai fatti che accadevano giorno per giorno.In città s'inaugurava una nuova panetteria ? Ed ecco che dalla penna di Zì Pascale nasceva: La folla pe lu pane Francese, si apriva un Bar ? E giù l'Altavilla a scrivere la commedia: Lu café di Europa e così via; se s'inaugurava la ferrovia, ecco: L'apertura de la strada de fierro da Napole a Castiellammare. Pasquale Altavilla morì il 2 agosto 1875 cadendo per le scale nel mentre, per la sua troppa cortesia, era intento ad ascoltare una signora che gli richiedeva un palco per lo spettacolo della sera.


ACHILLE TORELLI

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Achille Torelli (Napoli 1841-1922). Scrittore e commediografo. Di antiche origini albanesi, Achille Torelli nacque a Napoli il 5 maggio 1841 da Vincenzo e da donn’Anna de Tomasi dei principi di Lampedusa, zia del famoso autore de Il Gattopardo. Contemporaneo del Mastriani, Torelli ne rappresenta, in un certo senso, l’antitesi. La sua opera teatrale e la sua personalità di commediografo furono la testimonianza napoletana della destra culturale italiana. È noto soprattutto per la commedia I mariti. Fra gli altri suoi lavori ricordiamo Troppa grazia, La moglie, Triste realtà, Scrollina. Ha lasciato anche commedie in dialetto napoletano, come: ‘E ddoje catene, ‘A chiesa d’ ‘o sange. Tipico esponente della prima generazione post-risorgimentale, il Torelli tralasciò i grandi temi politici e si volse ad indagare problemi e costumi della borghesia



EDUARDO SCARPETTA((Napoli, 13 marzo 1853 – Napoli, 29 novembre 1925)
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Abbiamo accennato ad Altavilla e a Petito, ora non possiamo non soffermarci a parlare di Eduardo Scarpetta che fu il più importante attore e autore del teatro napoletano tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. Creò il teatro dialettale moderno, che ancora oggi si usa e si specializzò nell'adattare la lingua napoletana in moltissime pochade francesi; la sua commedia più celebre, Miseria e nobiltà, fu però una creazione originale del suo repertorio.
Scarpetta fu anche attore cinematografico agli albori della “settima arte”. Egli girò alcuni film per una casa di produzione milanese, la “Musical Film” di Renzo Sonzogno, tratti dalle sue commedie: Miseria e nobiltà (1914, diretto da Enrico Guazzoni), La nutrice (1914, diretto da Alessandro Boutet), Un antico caffè napoletano (1914), Tre pecore viziose (1915) e Lo scaldaletto (1915) diretti da Gino Rossetti. Di questi film ci rimangono solo alcune foto di scena di Scarpetta e di altri interpreti.
Dopo di essere stato, giovanissimo, nella compagnia di Antonio Petito, piu' tardi ne diventera' capocomico siamo nel 1879. Porta al successo il personaggio di felice Sciosciammocca

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che piu' tardi diventera' anche il cavallo di battaglia delle sue famosissime commedie . Comincia a lavorare con una sua compagnia e nel 1880 ristruttura il vecchio e glorioso teatro San Carlino .Iniziò così una stagione di grandi successi, che lo portano ben presto a diventare un idolo. Eduardo Scarpetta cominciò così a scrivere commedie brillanti ispirandosi ai vaudevilles della belle epoque che in Francia "dettavano moda". Le sue non erano semplici traduzioni dal francese al napoletano, ma erano riletture complete che lasciavano intravedere solo l'intreccio dell'originale; i caratteri, le battute, erano completamente reinventate dalla feconda fantasia di quel giovane e nascente talento che aveva capito qual era l'esigenza del pubblico: ridere con intelligenza. Diventato ormai un capocomico di successo, nato da una famiglia modesta, possiede ora un palazzo in Via Dei Mille, costruito dallo stesso architetto del Teatro Bellini, Vincenzo Salvietti, carrozze e cavalli.Per più di cinquant'anni Eduardo Scarpetta calca le scene dei più grandi teatri italiani, inventando un nuovo modo di far ridere.
Sposato dal 1876 con Rosa De Filippo (la quale, da giovane, era stata amata dal re Vittorio Emanuele II e si mostra spesso con diademi e brillanti degni di una regina) aveva poi intrecciato una relazione con la nipote di costei, Luisa De Filippo.
E' difficile parlare con semplicità della famiglia di Eduardo Scarpetta per le tantissime chiacchiere, malignità e pettegolezzi proliferati a giusta causa e non attorno alla sua vita privata.
E' certo che egli non fece nulla per cercare di impedire o quanto meno arginare la marea di voci che circolavano sul suo conto; certamente erano altri tempi ed esistevano altri modi di leggere i comportamenti privati di un personaggio noto, anzi stranoto.
Così se per un verso erano conosciute nel silenzio le sue paternità extraconiugali, queste erano taciute in pubblico per una sorta di rispetto reverenziale nei confronti del personaggio beniamino delle platee; o ancora erano, in qualche caso, motivo di dileggio più o meno cattivo come quando, rimbeccato al teatro Sannazzaro da uno spettatore che gridò al suo indirizzo: "…Scarpè tiene 'e ccorna!", egli rispose con tutta calma: "…Sì, ma 'e mmie so' reali!".Padre di un numero altissimo di figli (riconosciuti e non) oltre a Vincenzo, Domenico, Maria Scarpetta, vi sono i celebri Eduardo, Peppino e Titina De Filippo, il poeta Ernesto Murolo (padre del cantante Roberto Murolo), Eduardo (De Filippo) in arte Passarelli e suo fratello Pasquale De Filippo.
Scarpetta si fece interprete del cambiamento di gusti nel pubblico napoletano. Il teatro napoletano non era piu' "teatro di maschera" ma teatro di "carattere". Scarpetta quindi elimino' quindi definitivamente la maschera ormai obsoleta introducendo personaggi della borghesia cittadina che mantenessero pero' immutati i caratteri farseschi della tradizione. Sciosciammocca indossa un cilindro in testa, un abito a quadretti, il papillon, il bastone da passeggio, le scarpe lucide e usa un linguaggio imborghesito da 'cocco di mamma''.Le sue commedie su Felice Sciosciammocca ottennero un enorme successo a Napoli (Scarpetta si arricchi' oltre ogni immaginazione) e aprirono la strada al successo dei fratelli De Filippo

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qui lo vediamo con i De Filippo



continua

Edited by Pulcinella291 - 13/5/2011, 10:05
 
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view post Posted on 12/5/2011, 07:48
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RAFFAELE VIVIANI Castellammare di Stabia (Napoli), 10 gennaio 1888 - Napoli, 22 marzo 1950


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A parere mio, qui stiamo parlando di un vero e proprio talento e di un grande del teatro non solo napoletano ma anche nazionale. La sua arte scenica affascinò le masse ed elettrizzò prima le platee locali, poi quelle del mondo, ove portò il vero cuore di Napoli, le sue grandezze, le sue miserie, la sua rassegnazione, la sua ribellione: quel misto ch'è il poco o il molto di un popolo che ha una storia e un passato millenari.
Un talento che io metterei sul podio assieme ad Eduardo De Filippo e a Pirandello. Poeta, commediografo, attore , Viviani ha saputo nelle sue opere riprodurre fedelmente la vita, gli usi e i costumi del suo popolo che ha amato intensamente. Trasforma le sue considerazioni in lirica e scrive di getto i pezzi di vita quotidiana, quegli spaccati che trasportano sensazioni che compenetrano l’anima e la rendono trasparente .
Fu un personaggio dal multiforme ingegno, completamente immerso nella materia teatrale in qualità di interprete, drammaturgo, regista, cantante, musicista e paroliere .La passione per il teatro gli fu trasmessa dal padre (anche lui di nome Raffaele), gestore dell’Arena Margherita di Castellammare di Stabia, teatro nel quale recitavano i poveri “Pulcinelli” del tempo. Sull’orlo del fallimento, poco dopo la nascita di Raffaele, però, la famiglia Viviani, a causa di un sequestro tributario, fu costretta a trasferirsi a Napoli, dove nel 1893, grazie al recupero di materiali di scena sfuggiti allo sfratto, costruì il teatro “Masaniello”. L’esordio sul palcoscenico di Viviani, avvenne nel 1892, quando “Papilluccio” (così era chiamato Raffaele da bambino), a poco più di quattro anni, si esibì vestito di un fracchettino rosso, al fianco della sorella Luisella, al “Nuovo San Carlino” , un teatrino di marionette sito in via Foria, di proprietà di Aniello Scarpati. A soli dodici anni Raffaele, rimasto orfano del padre, viveva in un profondo stato d’indigenza e col gravoso compito di badare alla madre ed alla sorella Luisella. La tragicità della condizione familiare di Papiluccio traspare, in maniera straziante, dall’opera autobiografica La Bohème dei comici che egli scrisse nel 1930.
Le umili origini della famiglia Viviani, marcarono infatti fortemente la vita di Raffaele. Sacrifici e stenti erano all’ordine del giorno: la prematura scomparsa del padre aggravò ulteriormente le già disagiate condizioni familiari e costrinse lo scugnizzo ad una forzata maturità di capo famiglia. Raffaele dovette per forza di cose credere nell’attività ereditata dal padre. Obbligato dal senso del bisogno, riuscì con caparbia determinazione ad ottenere una rapida crescita artistica, che lo vide autore dei testi e molto spesso anche delle musiche delle sue commedie.
La sua bravura e la fama lo portarono ben presto all’estero. Nel 1911 lo troviamo a Budapest, nel 1915 a Parigi, nel 1925 a Tripoli e poi ancora in Brasile, Uruguay e Argentina. Viviani portò alla ribalta di tutti i teatri quei tipi da lui resi celebri, come: ‘O scugnizzo, ‘O scupatore, ‘O cucchiere, ‘O sunatore ‘e pianino, ‘O tramviere, ‘O mariunciello e moltissimi altri ancora. Viviani fu l’attore-commediografo italiano più importante della prima metà del Novecento. Nelle sue bellissime opere ha raccontato una Napoli viva, quella dei vicoli, dei mille mestieri: prostitute, guappi, lenoni, ladri, ma anche commercianti, lavoratori, operai, contadini.

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Viviani con i suoi toni, le sue armonie ed i suoi colori, ha costituito per lungo tempo l’unica alternativa al teatro pirandelliano, creando egli stesso una nuova forma di fare teatro. La sua arte era immensa, la sua maschera era stupenda perché possedeva il dono dell’autenticità.

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Raggiunse la notorietà anche come poeta ed autore di bellissime canzoni, oltre ad essere uno dei maggiori esponenti della drammaturgia napoletana. Fu la dura gavetta di attore-cantante di caffè concerto a temprarlo, poi il pubblico gli si affezionò come macchiettista e, in seguito, come autore e interprete di numerose commedie, sempre rappresentando Napoli e la vita comune della gente umile, di chi per bisogno viveva nei “bassi”.
Egli divenne uno dei maggiori esponenti della drammaturgia napoletana, e ci fa piacere ricordare, tra le sue più belle opere: 'O vico, Tuledo 'e notte, Lo sposalizio, Circo equestre Squeglia, I pescatori e Morte di Carnevale. Si spense il 22 marzo del 1950 e, prima di morire, dopo esser stato zitto per più di 12 ore, trovò la forza di chiedere, con un ultimo sforzo e con un tenue filo di voce: Arapite, faciteme vedé Napule.

DIFFERENZE CON IL TEATRO DI EDUARDO


La sua opera si differenzia notevolmente da quella del suo contemporaneo Eduardo de Filippo, qui li vediamo assieme nella foto,

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presentandosi allo stesso tempo come complementare a questa. Mentre l'opera di Eduardo ci presenta la borghesia napoletana, con i suoi problemi e la sua crisi di valori, Viviani mette in scena la plebe, i mendicanti, i venditori ambulanti: un'umanità disperata e disordinata che vive la sua eterna guerra per soddisfare i bisogni primari. In questo la sua poetica si allontana violentemente dalla retorica lacrimevole, pittoresca e piccolo borghese del tempo, prendendo le distanze al contempo dalla cultura positivista e ponendosi per molti versi all'interno di dinamiche creative proprie delle avanguardie. Il suo fu un teatro diverso, anomalo e sconvolgente, ma durante il fascismo subirà, con la negazione dell'uso dei dialetti, l'ostilità e il silenzio della critica e della stampa.

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Personalmente sono d'accordo con Toni Servillo quando afferma che il conformismo che vede Eduardo e Viviani uno contro l'altro o uno migliore dell'altro, sono entrambi la ricchezza della drammaturgia napoletana,

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una ricchezza che sta proprio nella pluralità della differenza. Insomma, lo schematismo vorrebbe uno, Viviani, solo ed esclusivamente legato al popolo e l'altro, Eduardo, legato alla piccola borghesia. Loro usano due lingue molto diverse, ma perché il teatro di Viviani, e lo dicono proprio i titoli dei testi stessi, è un teatro che sta stretto nei palcoscenici. Pensiamo ai titoli stessi di Viviani che portano il teatro per la strada, Pescatori, Zingari, la Mmaculatella, che sarebbe praticamente la zona dell'angiporto, Via Toledo, Napoli Notte e Giorno. È un teatro che attraverso la lingua fa un uso del corpo profondo, quasi sacrificato. Mentre il teatro di Eduardo trova la sua cornice nel palcoscenico e i personaggi di Eduardo sono legati più alla sfera del mentale o dell'ossessione nevrotica.

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in questa foto Da sinistra si riconoscono, tra gli altri, Peppino ed Eduardo De Filippo, Libero Bovio, Raffaele Viviani e Titina De Filippo


Alcune poesie di Raffele Viviani


Campanilismo

Nu Milanese fa na cosa? embè,
tutta Milano: - Evviva 'o Milanese!
È rrobba lloro e l'hann' 'a sustenè,
e 'o stesso 'o Turinese e 'o Genovese.

Roma? : - Chisto è Rumano e si è Rumano,
naturalmente vene primma 'e te.
Roma è la Capitale! E si è Tuscano,
Firenze ne fa subbito nu rre.

Si fa na cosa bona nu Pugliese?
Bari, cu tutte 'e Puglie, 'o ffa sapè.
Si è d' 'a Basilicata o Calavrese,
na gara a chi cchiù meglio 'o po' tenè.

È nu Palermitano o Catanese?
tutt''a Sicilia: - Chisto è figlio a mme!
Si è n'Umbro, Sardo, Veneto, Abruzzese,
'a terra soia s''o vanta comme a cche.

Le fanno 'e ffeste, aizano 'o pavese:
senza suttilizzà si è o nun è.
Nun c'è nu Parmigiano o Bolognese
ca 'e suoie nun s' 'o difendono; e pecchè

si è nu Napulitano, 'a città soia,
'o ricunosce e nun ce 'o ddà a parè?
S''o vasa 'nsuonno e nun le dà sta gioia.
E 'e trombe 'e llate squillano: " Tetèee! "

Qualunque cosa fa, siente: - " E ched'è? "
" 'O ssaccio fà pur'io. " " Senza pretese. "
E chesto simme nuie. Dopo di che,
Nun se fa niente 'e buono a stu paese?

E tu, Napule mia, permiette chesto?
Strignece 'mpietto a te, figlie e figliaste.
Arapencelle 'e braccia e fallo priesto:
avimm' 'a stà a " guaglione " e simmo maste.

T'avante 'e vermicielle, 'e pummarole:
mmescace pure a nuie si 'o mmeretammo.
Che vvuò ca, cu stu cielo e chistu sole,
te dammo nu saluto e ce ne jammo?

Campanilismo bello, addò sì ghiuto?
facimmolo nuie pure comme a ll'ate.
si no p' 'a gente 'e Napule è fernuto,
e nun sarrammo maie cunsiderate.

Talento ne tenimmo, avimmo ingegno:
nu poco sulo ca ce sustenimmo,
cunquistarrammo chillu posto degno
ca, pè mullezza nosta, nun tenimmo.

Quanno na cosa è bbona e è nata ccà,
nu milione 'e gente l'ha da dì.
E vedarraie po' Napule addò va,
cu tutto ca è 'o paese d' 'o ddurmì.



'O PATE
‘O pate è ‘o capo ‘e casa, ‘o ciucciariello,
pecchè tira ‘a carretta d’’a famiglia.
‘E figlie, ‘a sera, ‘o fanno na quadriglia,
n’applauso appena sona ‘o campaniello.

Chi ‘a copp’ ‘a seggia ‘o vo’ tirà ‘o cappiello,
chi ‘o leva ‘a giacca; e st’ommo se ‘ncuniglia,
nun sape a chi vasa’, nu lassa e piglia,
addeventa pur’isso guagliunciello.

E chesta scena presto ‘o fa scurdà
Ca tena ‘a maglia ‘a sotto ch’è spugnata.
-Guè, jatevenne, ca s’ha da cagna’.

Po’ tutte attorno a’ tavula, ‘ncastiello.
E quanno ‘a caccavella è scummigliata,
appizza ‘e recchie pure ‘o cacciutiello

Traduzione

Il Padre
Il padre è il capo di casa, il lavoratore,
perché porta avanti la famiglia.
I figlia la sera gli fanno una festa,
un applauso appena suona il campanello.

Chi sopra la sedia gli vuole togliere il cappello,
chi gli toglie la giacca; e questo uomo si intimidisce,
non sa chi baciare, un prendi e lascia,
diventa pure lui un ragazzino.

E questa scena gli fa dimenticare presto,
che tiene la maglietta intima inzuppata.
-Andatevene che si deve cambiare.

Poi tutti riuniti intorno alla tavola ,
E quando si scopre la pentola,
è felice anche il cagnolino.


Veglia



Stuto e appiccio 'a lampadina
tutta 'a notte a ccapo ò lietto:
chella spina 'a levo e 'a metto
ciento vote anfi' 'a matina.

Mo m'avoto, mo me stengo,
mo m'arrogno, mo me gratto.
Mme cummoglio, smanio e sbatto
pecché suonno nun ne tengo.

Sento 'o vico ca se sceta,
sento 'o tic d' 'a funtana;
po' nu gallo, na campana.
Sento st'anema scuieta.

'O craparo è già passato,
'a fenesta se janchéa.
Pure 'o sorice smanéa
dint' 'a carta d' 'o parato.

Ah, durmì, durmi' a gghiurnate
comme a quanno ero guaglione:
ca, scialanno 'int' 'o spurtone,
nun sentevo 'e ccannunate.

per altre vi rimando al sito :Le stronzate di pulcinella https://pulcinella291.forumfree.it/?f=5210381 dove ne troverete altre molto modestamente recitate da me.
continua


I FRATELLI DE FILIPPO NATI :COL DNA DEL TEATRO

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Figli illeggittimi del grande Eduardo Scarpetta non potevano non avere il teatro nel sangue.Cominciano , infatti, da bambini a calcare le tavole dei palcoscenici (Eduardo a soli 4 anni) e nel 1931 - dopo aver formato una loro autonoma compagnia teatrale - esordirono insieme con l'atto unico Natale in casa Cupiello. Il successo di questi tre attori venne consacrato da una clamorosa tournée nelle città italiane, benché sotto il fascismo Eduardo ebbe non pochi problemi per le sue posizioni contrarie al regime. Sarà solo con la fine della dittatura che il successo di De Filippo giungerà agli storici livelli di commedie quali Napoli Milionaria e Filumena Marturano. Ambientate in una Napoli disillusa in pieno dopoguerra, queste commedie s'imposero su scala anche internazionale (Filumena Marturano fu nel 1947 rappresentata anche a Bucarest) per la loro solida verosimiglianza verso la realtà contemporanea - abbandonando dunque il farsesco fine a sé stesso che aveva contraddistinto il teatro di Pulcinella e Scarpetta - e le personalità dei De Filippo s'imposero per la loro verve interpretativa, le intense espressioni, la sofferta gestualità, la spontaneità e la vitalità dei personaggi impersonati, sempre a metà tra la commedia e il dramma. Più tardi De Filippo, dopo aver conosciuto la persona e la produzione di Luigi Pirandello, adattò e recitò alcune sue celebri commedie (es. Il berretto a sonagli) trovandovi anche lì quell'inesplicabile sottile confine tra la realtà e la finzione, tra l'umorismo e la tragedia, che contraddistingue la natura umana.
Più sul burlesco si allineò invece Peppino dopo la guerra, abbandonando per vari screzi Eduardo e lanciandosi nel cinema dove spesso farà coppia con Totò in memorabili commedie. Fondò una propria compagnia di prosa. "La compagnia teatrale italiana" scrivendo ed interpretando per essa numerosi testi tutti in lingua, ad eccezione dell'atto unico "Cupido scherza e spazza" esilarante commedia degna del grande repertorio comico napoletano. Mentre gli altri lavori ad eccezione di "Non è vero ma ci credo" non ebbero il risultato sperato, a differenza dei capolavori di Eduardo. Tuttavia negli anni sessanta, per la trasmissione televisiva "Scala reale", inventò un personaggio "Pappagone" che divenne una maschera del teatro napoletano. Fu anche fine interprete del teatro di Moliere.
Titina invece, rimasta col fratello Eduardo, si affermò con la sua interpretazione memorabile di "Filumena Marturano" di Eduardo, rimasta nella storia del teatro.
Eduardo adattò anche commedie di Molière e Carlo Goldoni, aprendo poi a sue spese il Teatro San Ferdinando (1954), formando la "Scarpettiana".

Eduardo De Filippo

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Eduardo in una scena di "Questi fantasmi"


Nasce a Napoli il 24 maggio del 1900 , ed e' stato uno dei più geniali interpreti del teatro italiano .Iniziò a sette anni e fino ai venti recitò in tutti i generi del teatro , dalla commedia italiana , con la compagnia di Luigi Carini , alla rivista ,con Peppino Villani .Poi col fratello Peppino passò nella compagnia del Teatro Nuovo di Napoli ,dove già recitava la sorella Titina. Nel '31 lasciò il teatro Nuovo per formare il suo "teatro umoristico" , le recite venivano rappresentate tra una proiezione cinematografica e l'altra. I primi successi lo convinsero a costituire ,nel '32 , una vera compagnia stabile per spettacoli destinati a regolari teatri . Il debutto avvenne assieme ai fratelli Peppino e Titina al Sannazzaro di Napoli , con la sua commedia "Chi è più felice di me?" seguito dall'atto unico di Peppino "Amori e balestre".
Recitarono in quel teatro per nove mesi consecutivi proponendo numerose commedie.
Nel 1933 la compagnia girò i più famosi teatri italiani con tournee di grande successo a San Remo , Torino , Genova , Bologna , Roma . Al teatro Della Valle di Roma i De Filippo ebbero la consacrazione definitiva .Trionfo a Milano al teatro Odeon nell'inverno del 1943. Eduardo oltre che direttore della compagnia non si limita a portare in scena suoi lavori , ma porta in scena anche opere degli altri ,oltre quelle dei fratelli anche quelle di Luigi Pirandello , di Lucio D'Ambra , di Gino Rocca ed altri . Numerosi i suoi scritti in dialetto napoletano . Dopo il suo debutto come attore cinematografico , nel '38 dirige il film "In campagna è caduta una stella" e in seguito quelli più famosi come "Ti conosco , mascherina"(1943) , "Napoli milionaria"(1949) ," Filumena Marturano" (1951), ed altri ancora.Morira'a Roma il 31 ottobre 1984.


Peppino De Filippo



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Nasce a Napoli il 26 agosto 1903,fino all'età di cinque anni vive a Caivano con la balia , poi nonostante qualche sua resistenza ritorna in famiglia . A sei anni debutta in teatro al Valle di Roma , in "Miseria e nobiltà" di Scarpetta , nella parte di Peppeniello , il figlio di Felice Sciosciammocca.
Studia pianoforte , e continua a recitare in modo saltuario.Quando la madre seguira' Titina nella sua prima tournee,vivra' per due anni nel Collegio Chierca.Durante la prima guerra mondiale lavora a Napoli con Vincenzo Scarpetta,nel 1920 entra nella compagnia di prosa Molinari (dove conosce Totò) , al Teatro Nuovo,lavora poi con la compagnia dialettale di Francesco Corbinci al Teatro Partenope.
All'età di 22 anni viene scritturato nella compagnia di Salvatore De Muto , l'ultimo Pulcinella.Dopo la morte di Eduardo Scarpetta , padre naturale dei De Filippo che sosteneva anche economicamente , Peppino e' costretto per necessità ad accettare di lavorare in compagnie precarie.

Nel 1927 viene assunto nella Compagnia di Vincenzo Scarpetta , occupando il posto del fratello Eduardo passato alla Carini-Falconi.In seguito i due fratelli , grazie anche a Michele Galdieri ,propongono "La rivista che non piacerà" riscuotendo buon gradimento.Il 10 ottobre 1929 sposa Adela Carloni,e l'anno dopo nasce il figlio Luigi.
Eugenio Aulicino impresario del teatro Nuovo di Napoli , assume i due fratelli al posto di Totò ,nel teatro gia' lavora Titina e i tre danno vita ad una formazione artistica denominata "Il teatro umoristico napoletano di Eduardo De Filippo con Peppino e Titina" , vi fanno parte anche Tina Pica ,Carlo Pisacane ,Agostino Salvietti e Giovanni Berardi.Nel '31 si danno un nuovo appellativo "Compagnia Teatro Umoristico I De Filippo" .Nel '32 i De Filippo sono al Sannazzaro di Napoli con "Chi è cchiù felice 'e me" di Eduardo e con "Amori e balestre" di Peppino.Nello stesso anno Peppino interpreta il suo primo film "Tre uomini in frak".Segue un'epoca d'oro in cui i tre fratelli ottengono successi in tutti i teatri italiani,poi il 10 dicembre 1944 al teatro Diana di Napoli la "Compagnia Teatro Umoristico I De Filippo" si scioglie per incomprensioni tra Eduardo e Peppino.
Quello stesso dicembre Peppino è al Teatro IV Fontane di Roma con "Imputato alzatevi" e "Non sei mai stato così bello" . Nel '45 si separa dalla moglie , e debutta con la sua nuova Compagnia a Milano , al teatro Olimpia, con "I casi sono due".Gira in lungo e in largo l'Italia con "Quelle giornate" che per due stagioni consecutive avrà ben 266 repliche.Dal 1959 al 1969 gestisce il Taetro delle Arti a Roma. Nel 1971 scompare Livia Maresca ,sua compagna d'arte e di vita. Nel '77 sposa Clelia Mangano , sua partner in compagnia.
Peppino vanta successi in tutto il mondo : nel '56 è in tournee in Sud America e Spagna; nel '63 è a Parigi dove riceve un premio per la sua opera "Le metamorfosi di un suonatore ambulante"; nel '64 e' ospite a Londra dell'Aldwich Theatre ; nel '65 è a Praga e in Unione Sovietica ; nel '66 è in Jugoslavia e in Svizzera ; nel '69 in Portogallo , Spagna e Francia ; nel '74 ritorna a Londra.
Popolarissimo attore di cinema e grande protagonista della televisione che propone molte sue opere; nel '66 a "Scala Reale" (Canzonissima) propone con enorme successo il personaggio di Pappagone.

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Peppino scompare il 26 gennaio 1980.


TITINA DE FILIPPO


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Nasce a Napoli nel luglio del 1898 , è la maggiore dei fratelli De Filippo,anche lei figlia naturale del grande Eduardo Scarpetta . Gia' all'età di sette anni recita in teatro nella commedia "Miseria e nobiltà" dello stesso Scarpetta , nella quale interpreta la parte di Peppeniello , banco di prova per tutti i figli dei cominci dell'epoca .Titina recita e canta per molti anni nella compagnia di rivista del Teatro Nuovo di Napoli , diretta da Gennaro Di Napoli , della quale facevano parte grandi comici napoletani come Della Rossa , Crispo , Galloro . Ma e' quando si unisce ai due fratelli che raggiunge le più alte vette della recitazione e del successo , con consensi unanimi. Ha scritto diverse commedie , la migliore è quella scritta col fratello Peppino, "Quaranta ma non li dimostra" in due atti,ha scritto sempre col fratello i tre atti di "Ma c'è papà" , e due atti unici "Amicizia 'e frate" e "La voce del sangue".Interpreta numerosi film di successo.

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[CENTER]qui la vediamo nella sua piu' grande interpretazione "Filumena Marturano"


continua

Edited by Pulcinella291 - 13/5/2011, 09:11
 
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view post Posted on 13/5/2011, 09:44




Interesssante e precisa come storia del teatro Campano e poi Napoletano. Non sapevo la storia di Pulcinelle e te ne sono grata
Adesso ho le idee più chiare.
Grazie Seb della tua preziosa attenzione ad un grande dono che abbiamo in Italia e di cui ci dimentichiamo spesso: il valore dell'arte.
 
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view post Posted on 13/5/2011, 10:02
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Grazie a te di essere sempre attenta nella tue analisi. Prometto che quotidianamente aggiungero' altre cosucce sul nostro teatro, magari scoprirai anche altro .
 
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view post Posted on 16/5/2011, 07:27
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NAPOLI E LA SCENEGGIATA



Nell'immediato dopoguerra , siamo dunque nel 1918 , a Napoli fiori' una forma di rappresentazione teatrale popolare che alternava il canto con la recitazione e il melologo drammatico:la sceneggiata. Le rappresentazioni erano infatti imperniate su una canzone di grande successo, dalla quale la sceneggiata prendeva il titolo e, attorno al tema musicale, veniva costruito un testo teatrale in prosa, risultando così un lavoro in cui canto, ballo e recitazione si fondevano in un'unica rappresentazione.
Uno dei primi esempi di sceneggiata è della compagnia di G. D'Alessio, che nel 1918 rappresenta Pupatella, dall'omonima canzone di Libero Bovio, legata ai temi del tradimento e della malavita. Le prime rappresentazioni per così dire sperimentali s'intensificano già dal 1919 e ben presto andò affermandosi nel genere la compagnia Cafiero-Fumo (con cui lavorò, tra gli altri, anche Nino Taranto), forse il più affermato sodalizio artistico che portò in scena numerose sceneggiate nel ventennio antecedente la Seconda guerra mondiale, producendosi specialmente in teatri della periferia come il Trianon e il San Ferdinando. Salvatore Cafiero proveniva dal varietà, Eugenio Fumo dal teatro popolare.

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La sceneggiata napoletana fu molto rappresentata anche a New York, tra gli emigranti italiani di Little Italy, in specie dalla compagnia Maggio-Coruzzolo-Ciaramella. Da ricordare anche la compagnia Marchetello-Diaz, quella di Farfariello, di Ria Rosa e soprattutto quella della regina degli emigranti Gilda Mignonette.
Il genere andò via via perdendo il suo impatto sul pubblico e cadde in disuso, salvo poi una piccola ripresa negli anni '70 , grazie a Mario Merola, Pino Mauro, Rino Gioielli , Lino Mattera, Mario Trevi e al teatro cinema Duemila, dove si programmava esclusivamente questo tipo di spettacolo.
Tra gli attori comici di questo tipo di teatro dobbiamo ricordare: i fratelli Maggio, Liliana, Lino Crispo e Bianca Sollazzo che vediamo nella foto:

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Napoli :il varieta' e il teatro macchiettistico



Il varieta' nacque a Napoli alla fine dell'800 ma ebbe grande successo nel secolo successivo . Era il periodo della "Belle-epoque" in cui Napoli e Parigi erano le capitali culturali dell'Europa. Questo genere di spettacolo chiamato alla francese Café-chantant,avveniva ai suoi primordi nei caffè e sale da tè, il famosissimo "Caflish", poi cominciò ad ampliarsi come spettacolo teatrale vero e proprio, passando non distante dal caffè, alla bomboniera di via Chiaia il " Teatro Sannazaro". Lo spettacolo era suddiviso in due tempi e vari quadri, a secondo dell'esibizioni, nel primo si esibivano ballerine, cantanti, illusionisti e guitti. Nel secondo le vedette più attese le sciantose e soprattutto "le macchiette". In pratica erano degli attori che cantavano in modo caricaturale.
La prima macchietta in assoluto fu il napoletanissimo Nicola Maldacea,

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celebre attore e canzonettista, il quale si esibì nelle prime riuscite macchiette al "Salone Margherita" con notevole successo, dando alle canzoni un'impressione efficace con la massima spontaneità caricaturale, creando così l'attore che canta.L'epoca d'oro del "Caffè-chantant" a Napoli coincise con i grandi successi delle più spigliate canzonettiste, tra queste vanno ricordate: "Elvira Donnarumma

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e Gilda Mignonette

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Due assi della melodiosa canzone e della macchietta, furono senz'altro Pasquariello e Gill. Gennaro Pasquariello
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si dedicò anima e corpo al "Caffè-concerto" e, quindi al varietà di gran classe affermandosi nei primi anni del novecento al "Salone Margherita". Le sue interpretazioni erano caratterizzate da una tecnica sicurissima e da una sopraffina sensibilità vocale. Armando Gill,

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nome d'arte di Michele Testa, pur non avendo una voce estesa e una non perfetta intonazione, suppliva a questo con le doti di fine dicitore che ritornelli e finali, caricava di toni comunicativi e pieni di sentimentalismo, strappando applausi a scena aperta.
Altro grande interprete del genere, sempre ad inizio secolo, fu

Gustavo De Marco


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cui Totò si ispirò.
Ma il piu' grande interprete di questo genere di teatro fi senza ombra di dubbio Nino Taranto

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Per Interpretare grottescamente le macchiette di "Cioffi-Pisano", Taranto aveva inventato la tipica paglietta dentellata, sforbiciata a tre punte. Debuttò nel varietà a metà degli anni venti, all'età di diciassette anni, bazzicando palcoscenici minori napoletani come cantante comico. Poi nel '36 divenne capo-comico dedicandosi soprattutto all rivista per quasi vent'anni, prima di passare al teatro di prosa vivianesco. I copioni di rivista "marca Taranto" furono dei risonanti successi del dopoguerra in tutta Italia, venivano scritti la maggior parte da autori napoletani, come "Nelli e Mangini" e talvolta da Michele Galdieri. Il suo cavallo di battaglia fu la celebre canzone "Ciccio formaggio". Al suo fianco vi era sempre l'inseparabile fratello minore Carlo,

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e spesso affiancato da grandi caratteriste quali Tecla Scarano

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e Dolores Palumbo.

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La sua ultima compagna di "lavoro" fu Luisa Conte,

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grandissima attrice anche con Eduardo, nelle sue ultime interpretazioni al teatro Sannazaro negli anni ottanta.
CONTINUA


Edited by Pulcinella291 - 16/5/2011, 09:10
 
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bluab
view post Posted on 16/5/2011, 11:32




io continuo ad apprezzare questa tua storia del teatro, bella veramente,
Bravo!
 
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view post Posted on 16/5/2011, 12:45
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Pulcinella291 Forum

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gentilissima , grazie mille.
 
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view post Posted on 17/5/2011, 07:53
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Pulcinella291 Forum

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TOTO' E I TEATRI PERIFERICI


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Questo immenso attore che s'imporra' nel cinema, in effetti comincia la sua gavetta sulle scene di teatri periferici e dei quartieri poveri, facendo il verso al grande macchiettista napoletano: Gustavo De Marco. Su questi palcoscenici, spesso improvvisati, con orchestre di second'ordine e comprimari raccogliticci, Totò imparò l'arte dei guitti, ossia di quegli attori - napoletani e non - che recitavano senza una sceneggiatura ben impostata, arte alla quale Totò aggiunse caratteristiche tutte sue: una conformazione particolare del naso e del mento - frutto di un incidente giovanile col precettore del ginnasio - movimenti del corpo in libertà totale, da burattino snodabile, e una comicità surreale e irriverente, pronta tanto a sbeffeggiare i potenti quanto a esaltare i bisogni umani primari: la fame, la sessualità, la salute mentale .

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Totò era una "maschera buffa" nel senso letterario della "commedia dell'arte", un'autentica maschera (come Pulcinella e Arlecchino) ci apparve sempre più malinconicamente grottesca. Era la maschera di un piccolo "gigante": il più comico ed il più napoletano, universalmente comico perché spesso, per suscitare le risate, non aveva bisogno di ricorrere a lazzi o alle battute scherzose: in teatro ad esempio, bastava che apparisse in scena, senza pronunciare motto, e giù gli spettatori a ridere. Gli era sufficiente una smorfia, un gesto, un semplice ammiccamento. E poteva fare a meno del copione: un canovaccio di poche parole, a al resto ci pensava lui, improvvisando mimica e dialogo, prolungando un breve sketch anche di quindici o venti minuti, specie se avvertiva, immediato, il calore del pubblico. Invece sul set quel calore gli mancava, e un po' ne soffriva, ma suppliva ad esso con un eccezionale mestiere.
Perciò Totò, autentico gigante della comicità, il meglio di sè lo dette forse alla ribalta, superando se stesso come eccezionale <caricaturista<, come supermarionetta vivente dai muscoli tira-e-molla, e dalle articolazioni snodabili (anche se bisogna dire quest'ultime erano caratteristiche del de Marco). memorabile fu il suo ritorno sula scena, quasi sessantenne e quasi cieco, apparve in una rivista "A prescindere", l'ultima sua passarella da gran finale, elettrizò gli spettatori in un'esplosione pirotecnica, sembrava che davvero i fuochi d'artificio che riproduceva, attraverso una mimica inimitabile, si moltiplicassero attorno a lui. E così esaltava il pubblico dopo aver inventato almeno dieci modi diversi, tutti scoppiettanti, di fare passarella, di prolungarla oltremodo, a volte anche per quindici minuti. Totò si allineò col sul teatro non disdegnando però un certo ritorno al burlonesco di stampo pulcinelliano, tutte doti che gli faranno meritare il titolo di principe della risata.



NINO TARANTO E IL TEATRO


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qui lo vediamo con Luisa Conte



Abbiamo parlato di Nino Taranto grande macchiettista , ma non possiamo non dire che questo grande figlio di Napoli è da annoverare anche tra i grandi del teatro napoletano. Comincio' con la sceneggiata con la compagnia Cafiero Fumo ed ebbe modo di forgiare un carattere di recitazione tutto suo, fatto di mimica, improvvisazione e professionalità ed improntato alla massima serietà ed abnegazione verso il suo lavoro.
Successivamente si dedico' al teatro e alla rivista lavorando con le piu' celebri attrici dell'epoca:Anna Fougez, Tina Pica,Titina de Filippo, Dolores Palumbo e s'impegno' anche nel difficilissimo teatro di Viviani.


TINA PICA NON SOLO CINEMA



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Tina Pica, il cui vero nome era Annunziata, nacque a Napoli nel lontano 1884, figlia d'arte, entra subito a far parte della Compagnia Federico Stella, al teatro San Ferdinando a Pontenuovo. Attrice giovane e poliedrica veste i panni di svariati personaggi, anche maschili, e il suo fisico piccolo e sottile non sarà mai un ostacolo. Attrice comica, drammatica, show girl (partecipa alla Rivista con Agostino Salvietti ed Enzo Turco ed in alcuni spettacoli di Mico Galdieri) non conosce ostacoli e s'impone come caratterista d'eccezione.
Il connubio con Eduardo la consacrano al grande pubblico;

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è con Eduardo e Salvatore De Muto la sera dell'inaugurazione del nuovo teatro San Ferdinando (acquistato da Eduardo De Filippo) con la commedia: Palummella zompa e vola. L'incontro col grande pubblico lo avrà con il personaggio di Caramella nella fortunata serie con De Sica in Pane amore e..., grazie alla quale vince il nastro d'Argento nel 1954; con Nonna Sabella, La zia d'America e Destinazione Piovarolo.
Tina Pica morirà a Napoli nel 1968, ultraottantenne, lasciando un vuoto incolmabile ed un tenero ricordo in quanti la apprezzarono e tuttora hanno modo di conoscerla.


REGINA BIANCHI DA VIVIANI AD EDUARDO


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Regina Bianchi, uno dei nomi più prestigiosi del nostro teatro, nasce a Lecce,figlia d'arte di genitori d'origine francese.
Compare in palcoscenico a soli otto giorni ed in teatro cresce e si forma. A 16 anni entra come attrice giovane nella compagnia di Raffaele Viviani, suo autentico maestro, dal quale apprende lacreatività e la magia dell'interpretazione.
Nel 1940 sostituisce Titina nella compagnia di Eduardo e Peppino De Filippo, e, con i De Filippo, resta per molti anni, creando un sodalizio che la porta all'indimenticabile interpretazione di "FILUMENA MARTURANO" nella famosissima commedia omonima.
Si assenta dal teatro dopo l'incontro con un grande regista di cinema: Goffredo Alessandrini, che la dirige nel film"IL PONTE DI VETRO" e ne resta talmente affascinato da volerla accanto a sé nella vita. Dopo la nascita di due fìglie, che con Alessandrini riempiono il suo privato, nel 1959 ritorna al teatro con Eduardo.
Con lui interpreta tutti i personaggi ispirati e vincolati all'arte straordinariamente duttile di Titina, oramai ritiratasi.
E' da annoverare senza dubbio tra le piu' grandi interpreti del teatro napoletano e in particolar modo del teatro di Eduardo.
La “sua” Filumena Marturano è assolutamente indimenticabile.

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PUPELLA MAGGIO tipica figlia d'arte


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Nacque figlia d'arte, e come i suoi genitori intraprese la strada del teatro. Insieme a lei anche altri fratelli calcarono le scene; tra questi ricordiamo Enzo, il primogenito, Beniamino, Dante e Icadio e le sorelle Rosalia e Margherita.Il padre è stato uno dei più grandi capocomici e fine dicitore della storia del teatro partenopeo: Domenico Maggio detto Mimì e la madre Antonietta Gravante, erede della famosa famiglia Gravante gestori del rinomato circo equestre "Carro di Tespi.Il battesimo artistico lo ricevette all'età di circa due anni, quando con la compagnia teatrale del padre rivestì il ruolo della bambola di pezza nello spettacolo di Eduardo Scarpetta La Pupa Movibile. Fu questa partecipazione e il vezzeggiativo datole dal padre Mimì a far sì che piccola Giustina venisse chiamata affettuosamente Pupella.
Entrò nella Scarpettiana nel 1954, la compagnia diretta da Eduardo De Filippo, che metteva in scena i testi del padre Eduardo Scarpetta. Ma fu solo dopo la morte di Titina De Filippo che iniziò ad ottenere quel successo che meritava. Dovette, infatti sostituirla per il ruolo di Filumena Marturano, e ancora dopo la Concetta di Natale in casa Cupiello e altri testi ancora.
Nel 1959 la sua consacrazione quale primadonna l’ottenne grazie al ruolo di Rosa in Sabato, domenica e lunedì, personaggio scritto apposta per lei dal grande Eduardo e che le fece vincere tre grandi premi: la Maschera d'oro, il premio San Genesio e il premio Nettuno. Tutti ce la ricordiamo nella grande interpretazione di Concetta in Natale in casa Cupiello

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I FRATELLI GIUFFRE'


Tra i grandi interpreti del teatro napoletano dobbiamo annoverare anche i fratelli Aldo e Carlo Giuffre'.

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Aldo dal debutto' nel 1947 con Eduardo ha dimostrato il suo eclettismo e la sua capacità di adeguarsi a qualsiasi genere di repertorio, dai classici alla drammaturgia meno ambiziosa .Queste doti gli hanno permesso una lunga e fortunata carriera anche sui teleschermi, oltre che una più limitata attività cinematografica. Negli anni Ottanta, ha formato con il fratello Carlo una compagnia che ha avuto il merito di recuperare con successo alcuni fortunati testi del teatro dialettale napoletano.All'inizio degli anni ottanta un'operazione alla gola lo privò della sua pastosa voce napoletana, ma non gli impedì di continuare nella recitazione. Purtroppo ci ha lasciati nel 2010 in seguito a un'operazione di peritonite.
Carlo, fratello minore di Aldo, consegue il diploma all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica iniziando a lavorare con il fratello in teatro nel 1947.
Due anni dopo la coppia debutta con Eduardo De Filippo, interpretando la maggior parte delle commedie napoletane del grande autore, grazie alle quali il giovane Carlo manifesta le sue doti di attore dalla vocazione comica e grottesca.In seguito approda col il fratello Aldo al repertorio di Eduardo mettendo in scena, anche come regista commedie come Le voci di dentro, Napoli milionaria!, Non ti pago e la celeberrima Natale in casa Cupiello.


c ontinua

Edited by Pulcinella291 - 18/5/2011, 08:53
 
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view post Posted on 18/5/2011, 10:57
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I caratteristi del teatro partenopeo


Agostino Salvietti



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Attore vomerese, di via Aniello Falcone, si fece apprezzare particolarmente, per le sue qualità artistiche, anche dai De Filippo; particolarmente memorabile la sua interpretazione della scarpettiana 'Na Santarella, ma anche la sua partecipazione alla trasmissione radiofonica domenicale Succede a Napoli, in coppia con Giulia Melidoni, nei dialoghi di "Tetillo e Tetella". Trascorreva il tempo libero coltivando l'hobby della pittura: per più anni consecutivi, egli espose, nel lungo corridoio che precedeva il negozio di dischi "Luce", di Luigi Sica, in via Scarlatti, le sue tele, tra le quali una, ch'esprimeva, in maniera perfetta, il suo humour, intitolata: Il signore non è in casa, raffigurava l'ingresso della sua abitazione, con il suo cappotto dal bavero d'astrakhan, la sua lobbia e il suo bastone col pomo d'argento, appesi all'attaccapanni. Nella foto del 1930 sotto lo vediamo con un giovane Eduardo

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Enzo Turco (Napoli, 8 giugno 1902 – Roma, 7 luglio 1983)


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Iniziò a dedicarsi al teatro a partire dagli anni trenta, imponendosi come uno degli attori dialettali più validi, soprattutto come spalla di Nino Taranto.La sua stagione migliore nel cinema, in cui aveva debuttato verso la fine degli anni trenta, iniziò alla fine degli anni quaranta, quando cominciò ad impegnarsi in parti di situazioni comiche e farsesche, quasi sempre al fianco di Totò, affermandosi come caratterista disinvolto e brillante. Recita infatti nel film "Miseria e Nobiltà"(1954). Ha lavorato a lungo anche con Eduardo qui lo vediamo in una scena di miseria e nobillta'

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UGO D'ALESSIO(Napoli, 26 agosto 1909 – Napoli, 16 febbraio 1979)


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Proveniente da una famiglia napoletana di artisti, debuttò a soli otto anni nella commedia Un grazioso equivoco, sotto la direzione dello zio Giuseppe; in seguitò recitò con Nino Taranto e successivamente al Teatro Ambra Jovinelli di Roma fu impegnato nella Sceneggiata napoletana.
Per cinque anni, a partire dal 1927 recitò nella compagnia teatrale Cafiero-Fumo, per poi iniziare l'importante esperienza con il grande Eduardo.
Nel 1954 recitò in Palummella zompa e vola per l'inaugurazione dell'eduardiano Teatro San Ferdinando e fu abile caratterista in numerose altre commedie del maestro tra cui Le voci di dentro[1], Questi fantasmi e Sik-Sik, l'artefice magico; fu anche direttore artistico del Teatro Sannazaro.

Al cinema, nonostante i ruoli secondari che spesso gli vennero affidati, fu sia attore drammatico che comico; memorabile, in uno dei tanti film che girò con Totò, il ruolo di Decio Cavallo in Tototruffa '62 nella celebre scena della vendita della Fontana di Trevi. Memorabile anche la interpretazione di Rafele il portiere in Questi fantasmi di Eduardo.
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GENNARINO PALUMBO -la spontaneita' e la simpatia (Napoli, 10 ottobre 1931 – Napoli, 9 gennaio 1980),



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Inizia nel varietà, come attore e come cantante, partecipando a tourné con Claudio Villa e Luciano Tajoli. Tornato a Napoli riprende l'avanspettacolo in compagnia di Rosetta Dey e Maria Paris.

Nel 1954 partecipa a "Palummella zompa e vola" inaugurando il nuovo teatro San Ferdinando di Eduardo De Filippo. Per oltre vent'anni dura il sodalizio con Eduardo svolgendo ruoli sia come generico primario, sia come caratterista.

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Lavora in televisione con Nino Taranto e Renato Rascel. Per circa tre anni lavora al Sannazaro nella compagnia di Luisa Conte e Nino Veglia con D'Alessio e Pietro De Vico.

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Interpreta il ruolo di Mimì di Montemuro in "Festa di Piedigrotta" di Raffaele Viviani.Durante il natale del 1979, Gennarino Palumbo per l'acutizzarsi del male che lo aveva colpito anni addietro, fu costretto a interrompere le repliche di "Festa di Piedigrotta" per ricoverarsi al Policlinico Vecchio, nel quale morirà alle 7,30 del 9 gennaio del 1980, a soli 48 anni. Memorabile la sua interpretazione del suggeritore nella commedia di Eduardo "uomo e galantuomo"






[CENTER]ENZO CANNAVALE (Castellammare di Stabia, 5 aprile 1928 – Napoli, 18 marzo 2011)
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Primo di quattro fratelli, viene "scoperto" artisticamente da Eduardo De Filippo quando era un impiegato delle Poste. Esponente del teatro napoletano, attore dalla verve ironica e comica, abile caratterista, ha calcato i palcoscenici assieme ad Eduardo De Filippo e Aldo Giuffré: Fortunato...!, Miseria e nobiltà e La festa di Montevergine, sono solo alcuni titoli di commedie di successo in cui ha recitato.
Numerosissimi sono stati i suoi ruoli al cinema, soprattutto nel cinema di genere anni settanta e anni ottanta, facendo spesso coppia con Bombolo
Per un periodo ha lavorato anche al teatro Sannazzaro con compagnia di Luisa Conte. Nella foto sotto lo vediamo con Eduardo nella commedia "i tre calzoni fortunati"
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GIGI REDER Gigi Reder, pseudonimo di Luigi Schroeder (Napoli, 25 marzo 1928 – Roma, 8 ottobre 1998
imageNato a Napoli in una famiglia d'origine tedesca, dopo gli studi universitari non terminati si trasferisce nella capitale ed entra nel mondo della radio con l'incarico di radiopresentatore e attore di radiodrammi. Esordisce anche sul palcoscenico con opere dialettali e d'avanspettacolo per poi cimentarsi con ottimi risultati in rappresentazioni di prosa grazie alla partecipazione in compagnie importanti capitanate da colossi quali Peppino De Filippo, Turi Ferro, Mario Scaccia e Giorgio Albertazzi.
imageL'esordio sul grande schermo arriva agli inizi degli anni cinquanta con piccole parti in molte commedie.
Spalla di lusso e ottimo caratterista, nella sua carriera quasi cinquantennale partecipa a circa sessanta film, spesso con interpretazioni di notevole spessore (vanno ricordate le partecipazioni a film di Fellini, Germi, Bevilacqua, Vittorio De Sica e Comencini).

Pietro De Vico(Napoli, 21 febbraio 1911 – Roma, 10 dicembre 1999)
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Figlio d'arte, debutta sul palcoscenico all'età di soli sei anni, interpretando la parte di Peppiniello in Miseria e nobiltà, la fortunata commedia di Eduardo Scarpetta, per poi fondare una fortunata compagnia teatrale con i due fratelli, il Trio De Vico appunto.

Negli anni trenta, anni in cui il Trio si cimenta nell'avanspettacolo con buon successo, De Vico conosce Anna Campori, cantante d'operetta e attrice romana, anch'ella figlia d'arte, che diventerà sua compagna di vita e di scena.

Nel 1962 il grande Eduardo De Filippo lo chiama ad interpretare, in Natale in casa Cupiello, la parte di Nennillo e di qui ha l'opportunità di recitare in molte commedie del grande autore napoletano, alcune delle quali per la televisione
Nel 1971, voluto da Luisa Conte e dal marito Nino Veglia, prende parte a Annella di Porta Capuana la commedia che ha segnato la riapertura dello storico Teatro Sannazaro. Accanto a Luisa Conte è fra i principali interpreti dell'opera teatrale di Gaetano Di Maio.Vanno ricordati alcuni dei numerosissimi film cui De Vico ha partecipato, quasi sempre come caratterista o spalla comica dalla innegabile bravura (celebri le sue interpretazioni del balbuziente)



[CENTER]TATO RUSSO(Napoli, 4 luglio 1947),


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Regista, drammaturgo, poeta, musicista, attore, talento multiforme della scena drammatica nazionale, è tra gli esponenti del teatro italiano, sicuramente tra i primi in assoluto.
Laureato in giurisprudenza con lode all'università Federico II di Napoli, fin dall’età adolescenziale rivela una predisposizione per la recitazione e la scrittura. A vent'anni scrive il romanzo Samba di un coniglio uomo e mette in scena con piccole compagnie amatoriali alcuni suoi lavori in dialetto napoletano, come Fatti di famiglia, Quindici luglio, Sant'Errico, Meglio la morte, La ncunia e lu martiello, Operetta napoletana, Mò vene Natale.
Inizia la sua carriera nel mondo del teatro ufficiale entrando prima in piccole compagnie di sperimentazione (Mario e Maria Luisa Santella) poi nelle compagnie di Mico Galdieri, Pupella Maggio e Nino Taranto.
Nel 1972 fonda con l'attore Nello Mascia la cooperativa teatrale "Gli Ipocriti". In quegli anni fonda il Teatro delle Arti di Napoli e rappresenta le sue commedie L'uovo di carnevale, Una partita a poker, Cappuccetto blu. Il connubio artistico però dura poco, abbandona la cooperativa "Gli Ipocriti", e fonda nel 1974 una sua compagnia che chiama "Nuova Commedia", con l'idea di rappresentare soltanto i suoi testi teatrali ed è lui stesso a crearne le musiche. Nel 1980 e negli anni successivi stabilisce la sua attività al teatro Diana di Napoli, dove mette in scena La bella e la brutta epoque, Cafè Chantant, Sò muorto e m'hanno fatto turnà a nascere, Flik e Flok.Nel 1986, insieme a Luciano Rondinella, Mario Crasto De Stefano e Stefano Tosi acquisisce il Teatro Bellini di Napoli. Dopo alcuni anni impiegati nella ristrutturazione dello storico teatro napoletano (a Napoli si diceva : ’O San Carlo p’’a grandezza,’o Bellini p’’a bellezza) il Bellini riapre nel 1988 con L'opera da tre soldi di Brecht.Con la sua compagnia è stato ospitato in Russia, in Francia, in Tunisia, in Grecia, in Svizzera, a Cuba, partecipando a molti festival internazionali. Al Globe Theatre di Londra è l'unico attore italiano a figurare nella galleria di ritratti dei celebri interpreti scespiriani.

NELLO MASCIA (Sala Consilina, 28 dicembre 1946)



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Inizia ben presto a calcare le scene in compagini dirette da Ugo D'Alessio, Pupella Maggio, Giustino Durano. Approda successivamente nella compagnia di Eduardo De Filippo, per un breve ma intensissimo apprendistato artistico (Il sindaco del rione Sanità, Gli esami non finiscono mai,Uomo e galantuomo.
Si impone all’attenzione della critica e del pubblico nel 1980 quando interpreta il personaggio tenero e carognesco del sagrestano Pacebbene in Uscita di emergenza di Manlio Santanelli, in coppia prima con Bruno Cirino, poi, alla morte di questi, con Sergio Fantoni.
Dal 1986 dà il via ad un ambizioso progetto artistico incentrato sulla divulgazione e sulla valorizzazione dell’opera di Raffaele Viviani. Del grande autore napoletano allestisce una serie di spettacoli di raffinata qualità: L’ultimo scugnizzo con regia di Ugo Gregoretti (premio “Biglietto d’Oro” AGIS 1988), Fatto di Cronaca con regia di Maurizio Scaparro (premio “Biglietto d’Oro” AGIS 1990), Guappo di Cartone con regia di Armando Pugliese (premio “Biglietto d’Oro” AGIS 1992), Musica dei Ciechi con regia di Antonio Calende.
Il suo sodalizio ideale con Viviani proseguirà alla fine degli anni novanta quando mette in scena, curandone anche la regia, Putiferio (1998) e Fuori l’autore! (2000).

Annibale Ruccello un autore di culto (Castellammare di Stabia, 7 febbraio 1956 – Roma, 12 settembre 1986


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Isa Danieli definisce questo l'opera di commediografo, prematuramente scomparso , “un fiore di carta”, che, conservato tra le pagine di un libro, viene tirato fuori di tanto in tanto e mostrato al pubblico per la sua bellezza. Ruccello Iniziò a recitare a Torre del Greco presso la fondazione del Teatro del Garage di Gennaro Vitiello, laddove esordirono anche altri noti artisti come Mario Martone e Enzo Moscato, suo grande amico fraterno, nonché suo futuro collaboratore artistico,
Nel 1978 fondò la cooperativa Il carro e, in collaborazione con Lello Guida, cominciò a scrivere e a mettere in scena i suoi primi lavori teatrali, ispirati in gran parte a materiali della cultura popolare. La sua prima opera è Il Rione, una commedia in due tempi scritta nel 1973.

Il suo primo lavoro autonomo è del 1980: Le cinque rose di Jennifer.
Dal sodalizio tra Il Carro e il Teatro Nuovo di Napoli prende vita nel 1982 la cooperativa Teatro Nuovo-Il Carro, che risulterà essere tra le migliori produzioni teatrali di quegli anni.
Il suo capolavoro arriva nel 1985 con la commedia Ferdinando, con la quale vince due premi IDI: uno nel 1985 come testo teatrale, e un secondo nel 1986, (anno della sua prima assoluta a San Severo, Teatro Verdi, 28 febbraio) come miglior messinscena, allestita personalmente da Ruccello con la splendida scenografia di Franco Autiero e interpretata da Isa Danieli, musa ispiratrice e destinataria di questo testo.Completano la sua commediografia Anna Cappelli e Mamma: piccole tragedie minimali, presentato come al Primo Premio Gennaro Vitiello, nel maggio del 1986.

Ritornando da Roma, morì in un drammatico incidente automobilistico sull'autostrada Roma-Napoli, alla guida dell'auto c'era Stefano Tosi, attore napoletano, deceduto assieme ad Annibale; cosi si spezzò la sua promettente carriera.Soprattutto negli ultimi anni, si assiste ad una riscoperta e valorizzazione del suo repertorio, e all'affermazione di Ruccello come una delle voci più interessanti e originali del teatro italiano della seconda metà del XX secolo.




Edited by Pulcinella291 - 19/5/2011, 09:42
 
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view post Posted on 24/5/2011, 07:41
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IL TEATRO DI VINCENZO SALEMME(Bacoli, 24 luglio 1957)

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Benche' la comicita' sia una componente adempiente nelle sue commedie , possiamo dire che Vincenzo Salemme è riuscito a scavalcare il confine , sebbene ampio, della napoletanita' per darci un respiro piu'nazionale.
La sua comicita' non è quella dimessa e malinconica ma quella arrembante fondata piu' sull'ironia. In altre parole Salemme è riuscito ad allontanarsi dai canoni Eduardiani , portando in scena una Napoli piu' farsesca e dai toni stralunati. Eppure Salemme nel 1977 entrò a far parte della compagnia di Eduardo De Filippo.
Con la compagnia di De Filippo partecipò a "Quei figuri di tanti anni fa" (come comparsa), "Il cilindro" e "Il sindaco del rione Sanità" che furono poi trasmesse da Rai Uno tra il 1978 e il 1979. La collaborazione con la Compagnia di Eduardo De Filippo continuò fino al 1984 (anno della morte di Eduardo) e proseguì con il figlio, Luca De Filippo, fino al 1992. E da qui , forse ha imparato ad usare gli espedienti della sua comicita' senza violenze verbali, senza oscenità, senza offese alla sensibilità di nessuno.
Usa sapientemente tutti gli ingredienti del mestiere: l'oggetto misterioso che fa ruotare intorno a se l'intreccio, il rivestimento, la girandola di strafalcioni che diventano equivoci . Il suo è u n teatro a più strati, partenza su un solo binario, ma poi deviazioni su uscite laterali insospettabili a priori. Famose sono molte sue commedie teatrali: "...e fuori nevica", "Passerotti o pipistrelli?", "Premiata pasticceria Bellavista", "Faccio a pezzi il teatro", "Lo strano caso di Felice C.", "Bello di papà".



 
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bluab
view post Posted on 26/5/2011, 15:32




Bellissimo leggere anche dei nuovi talenti, grazie Seb!!
 
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bluab
view post Posted on 6/6/2011, 17:09




Senti Seb, ma pettegolezzi su questi grandi di Napoli ce ne sono?
Per esempio una mia amica napoletana dice che Murolo on era molto amato nella sua città per via del suo orientamente sessuale e che quindi ci sono dei napoletani che non lo amano E' vero?
Mamma mi ha detto dei problemi di eredità di Peppino De Filippo e i figli...vero anche questo?
Insomma mi piacerebbe sapere dalla loro città pezzi di vita e non solo di arte di questi grandi...Chiedo troppo? ^_^
 
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view post Posted on 6/6/2011, 17:24
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Ti rispondo subito.
Nell'autunno del 1954, Murolo, viene arrestato con un'accusa di molestie sessuali su un minore, dalla quale uscirà completamente assolto, ed è ,forse, vero che per questo molti non lo amavano affatto.
Per quanto riguarda Peppino , sul fatto dell'eredita' non so nulla, potrei parlarti invece ampiamente delle litigate col fratello Eduardo col quale chiuse i rapporti per anni e anni.


Edited by Pulcinella291 - 7/6/2011, 08:10
 
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bluab
view post Posted on 7/6/2011, 11:13




Bene su Murolo mi hai chiarito la questione.
Su Peppino so che la secoda moglie, senza figli, fu desgnata quale erede dei proventi delle sue opere a discapito dei figli, ma cercherò notizie anche io, mi piacerebbe sapere non per pettegolezzo fine a se stesso ma per arricchire della dimesione umana i rapporti.
Mi incuriosisce il rapporto dei fratelli fammi sapere, mi piacerebbe.
Sai queste grandi menti io tendo a idealizzarle per la grandezza nell'aerte e sapere della loro vita reale mi fa capire l'umanità in generale.
Grazie della tua attenzione, sei bravissimo veramente.
 
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view post Posted on 7/6/2011, 11:45
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Cominciamo col dire che essere figli naturali di Eduardo Scarpetta ha, per tutti e tre i fratelli De Filippo, prodotto per anni vergogna e pettegolezzi, perché Luisa, la madre, è nipote della moglie di Scarpetta, Rosa De Filippo. Eduardo ebbe a dire:"“La curiosità morbosa della gente intorno a me non mi aiutò certo a raggiungere un equilibrio emotivo e mentale. Così, se da una parte ero orgoglioso di mio padre [...], d’altra parte la fitta rete di pettegolezzi, chiacchiere e malignità mi opprimeva dolorosamente. Mi sentivo respinto, oppure tollerato, e messo in ridicolo solo perché “diverso”. Questo stato i fratelli se lo porteranno appresso per anni e , forse, fu anche una della cause dei continui litigi in famiglia.Per quanto riguarda la separazione tra i due fratelli,
qualcuno afferma che fu causata dal caratteraccio di Eduardo che aveva la pessima abitudine di trattare male tutti, Peppino compreso. La differenza di carattere e stilistica dei due fratelli li spinge a continui contrasti, tanto che arriva a litigare anche con Titina. Una sera, durante le prove di una commedia, Eduardo era particolarmente incollerito, non gli andava bene nulla. Interrompeva spesso Peppino villanamente, finchè Peppino si stancò di quei modi, davanti a tutta la compagnia, si alzò e gli gridò, col braccio alzato nel saluto fascista: “Duce! Duce!”, e uscì dal palcoscenico.
Era il dieci Dicembre del 1944, al teatro Diana di Napoli e la compagnia “Il teatro Umoristico dei De Filippo” si scioglie, mettendo fine ad un lungo periodo fatto di contrasti, incomprensioni e stili artistici differenti. Da lungo tempo ormai i due fratelli camminavano su binari artistici differenti, e probabilmente all’origine dei loro dissidi c’era proprio la nuova concezione eduardiana del teatro. Eduardo elabora una forma di umorismo più costruito, che mostra la parte amara della risata, che s’immerge nel quotidiano da cui prende spunto. Peppino, invece, che aveva fondamentalmente il temperamento del comico, scelse la via della caricatura assoluta, dell’improvvisazione.Peppino soleva dire :"far ridere è molto piu' difficile che far piangere!"Il dissidio tra i due De Filippo, appena addolcito dalla mediazione di Titina, dura per molti anni, anche a causa del carattere duro ed autoritario di Eduardo. I due si rividero solo dopo molti anni e precisamente due giorni prima della scomparsa di Peppino, nel 1980.
Di questa situazione è testimonianza uno scambio di lettere conservate al Gabinetto Vieusseux di Firenze. (Due di esse sono qui riprodotte*). I loro toni rivelano i caratteri di Peppino e di Eduardo che potrai leggere nella pagina di questo sito eccoti il link https://pulcinella291.forumfree.it/?t=37727368.
 
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17 replies since 9/5/2011, 08:40   15200 views
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