Le stronzate di Pulcinella

Donne Simbolo, su alcune figure meno note dell'Antico Testamento

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WLA_lacma_Lot_and_His_Daughters



Le figlie di Lot


Gn 30
La gravità della colpa



Nello stesso capitolo della distruzione di Sodoma in cui la moglie di Lot fu tramutata in statua di sale per un’incrinatura della sua fiducia nelle decisioni del marito, entrano nel racconto anche le due figlie, già promesse spose ma ancora vergini.

Ricordiamo che Lot era disposto ad abbandonarle alla lussuria dei suoi concittadini, come in sacrificio, pur di preservare l’onore dei suoi due ospiti, ch’egli forse intuiva essere Angeli. Le due giovani poi, contro il parere dei fidanzati, l’avevano seguito nella precipitosa fuga verso la salvezza dalla furia divina.

Il racconto procede dicendo che Lot, spaventato dalla vastità della catastrofe alla quale era scampato, si ritirò sulla montagna, vivendo in una grotta in compagnia delle sue figlie. Esse, convinte che nessun uomo in quel territorio fosse più rimasto in vita per unirsi a loro e preoccupate per il loro futuro, ubriacarono Lot e ne ebbero una incestuosa discendenza. Ognuna di esse ebbe un figlio. Uno ricevette il nome di Moab, l'altro quello di Ben-Ammi: rispettivamente i capostipiti dei Moabiti e degli Ammoniti.

Non ebbero, o almeno la Bibbia non lo riporta, queste due giovani punizioni particolari per quello che ai nostri occhi sembra un peccato orripilante, e nemmeno furono seriamente colpite nella posterità, anche se ovviamente non c’è alcuna parola di approvazione. Ammoniti e Moabiti furono più volte in guerra con Israele, ma ci furono anche lunghissimi periodi di pace e tolleranza. Discreti vicini di casa, insomma ed in qualche modo protetti dal cielo; anche i loro territori erano legittimamente assegnati . Ed anche Lot (innocente forse perché intontito dal vino?) fu gratificato dai posteri come “giusto”.

E’ abbastanza difficile per noi accettare questa che sembra una evidente difformità fra i due giudizi, a distanza di poche righe uno dall’altro: una moglie obbediente e devota impietrita all’istante per una sbirciatina alle spalle, due figlie incestuose impunite, anzi gratificate da numerosa discendenza.

Ma ciò è perché noi vogliamo valutare col nostro metro, secondo una scala di valori che artificiosamente e meccanicisticamente ci siamo voluti costruire. Soprattutto perché non riusciamo ad andare oltre i fatti, non riusciamo, o non vogliamo, o non osiamo valutare le intenzioni, i pensieri, l’anima.

Il peccato non sta tanto in uno sguardo o in un gesto spudorato (magari in parte legittimato dai corrotti costumi di Sodoma, dove le giovani erano nate e vissute), ma piuttosto nell’infedeltà ai principi di quella legge, quella Bibbia, quel Vangelo che ognuno di noi ha stampati nel cuore.


Lucio Musto 4 gen. 02 parole 507
 
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caravaggiogiudittaeolof



Giuditta

Gdt
Dio premia la fede assoluta



Più della metà del libro “storico” che porta il suo nome è dedicato all’intervento risolutivo di questa vedova di Betulia “ricca e virtuosa, bella e pia, stimata da tutti” in una azione militare che avrebbe potuto essere assai dannosa per Israele. In effetti però ci sono troppe inesattezze storiche e geografiche per accreditare il testo di un valore di documento. Anche i personaggi sono confusi o senza altri riscontri.
Quest’opera fu ammessa tardivamente nel canone Cattolico mentre resta escluso da quello Ebraico.

Converrà quindi considerare questo personaggio coraggioso e devoto soprattutto come esempio edificante dell’importanza per l’uomo di confidare unicamente e pienamente in Dio che mostra concretamente, nell’esempio di Giuditta, di poter risolvere ogni situazione, anche quella che umanamente appare disperata.

Il fatto, mille volte rappresentato in dipinti e odi e spettacoli, è presto detto. Giuditta si serve della sua bellezza per sedurre il capo degli invasori Oloferne; questi, che peraltro è già turbato dalle storie che circolano sugli Israeliti e sul loro Dio invincibile, cade facilmente nella trappola della stupenda creatura che gli si presenta come messaggera dell’Altissimo irritato dal comportamento sacrilego del suo popolo e che chiama appunto Oloferne come braccio della sua punizione. La donna mostra da una parte di non essere insensibile al fascino del condottiero, ma riesce nel contempo a mantenere la sua onestà ostentando una puntigliosa ortodossia alle leggi dei Libri Sacri.
Opportunamente giostrando fra seduzione e vaticini di gloria, riesce ad appartarsi con Oloferne ed a farlo bere oltre misura per poi decapitarlo nel sonno. Porta poi la testa mozzata agli Israeliti che rinvigoriti dalla vista di cotanto trofeo hanno facilmente ragione dell’esercito nemico ormai acefalo e sbigottito dallo stupefacente ardire della fiera presunta sacerdotessa.

In verità il racconto in sé non si può dire sia molto originale. Non è certo Oloferne l’unico generale della storia tradito e rovinato da una gonnella , né il suo il primo esercito fiaccato dal timore; enorme è invece l’impatto come insegnamento morale per gli Israeliti.

Delle terribili rappresaglie esercitate in passato, Giuditta rivendica solo l'intenzione nobile: vendicare l'onore della famiglia d'Israele e la morale, gravemente insultata. Oggi la mano sacrilega che si alzava contro Israele era quella di Oloferne e la “figlia di Simeone” chiese l'approvazione e l'aiuto divino per abbattere il colpevole. Se egli fosse caduto sotto i colpi di una semplice donna, tutti si sarebbero accorti che la liberazione d'Israele era venuta dal suo Dio e solo dal suo Dio.

E’ probabile che i primi destinatari di quest’opera furono gli Ebrei perseguitati da Antioco Epifanie (c.a. 160 a.C.), ma l’insegnamento è identicamente valido anche per noi. Essi riconoscendosi negli abitanti di Betulia, la “Casa di Dio”, vennero confortati dalla certezza che la “mano di Dio” avrebbe agito attraverso di loro come aveva agito attraverso la mano di Giuditta (“la Giudea”) che rappresentava l'insieme del suo popolo e l'Israele di tutte le epoche. Giuditta è mossa dall'idea che Dio ha sempre l'ultima parola e che la fede in lui è sempre ricompensata. L'aiuto dell'Altissimo è ottenuto grazie alla fedeltà alla Legge, alla preghiera, il digiuno di penitenza e la pratica della castità faranno il resto. Ma occorre che il popolo di Dio ed ognuno di noi singolarmente si impegni nella lotta contro le forze del Male, la tentazione, il peccato.


Lucio Musto 27 dic. 01 parole 566
 
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story-of-ruth



Ruth

Rt
Un modello da imitare



La straordinaria storia di Ruth, una donna moabita, è narrata nel libro omonimo dell’Antico Testamento.

Dopo la morte dei suoi due figli, Naomi aveva pregato le nuore, Ruth e Orpa, di ritornare presso le rispettive famiglie a Moab. Orpa seguì lacrimante il consiglio della suocera, ma Ruth si rifiutò. Il suo profondo affetto per Naomi si rispecchia in queste sue parole: «. . .dove andrai tu, andrò anch’io; e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio» (Ruth 1:16). Fu una bellissima dichiarazione di fedeltà e di affetto.

Durante gli anni trascorsi assieme al marito e alla suocera, Ruth era cresciuta nella comprensione della via di Dio. Alla fine, convinta dei benefici di una vita conforme ai precetti dell’Eterno, essa abbandonò i tradizionali riti moabiti. Il trasferimento a Betlemme richiese una grande fede da parte di Ruth. Il suo esempio ci mostra che talvolta anche noi dobbiamo abbandonare la nostra vecchia via per seguire quella di Dio.

Non passò molto tempo prima che Boaz, un benestante proprietario terriero e parente di Naomi, notasse Ruth, la cui fedeltà a Dio l’aveva qualificata ad usufruire del levirato, un’antica istituzione ebraica. Nell’antico Israele, infatti, quando un uomo moriva senza prole, il fratello o il parente più stretto aveva il dovere di sposarne la vedova. Il loro primogenito era considerato come successore del defunto, e ne ereditava così i beni. Boaz, da uomo giusto, non esitò ad adempiere le sue responsabilità. Ed anch’egli fu grandemente benedetto da questa unione: Ruth tenne alto il suo onore e quello della sua famiglia per tutte le successive generazioni.

In breve tempo, Ruth diede a Naomi un nipotino (Ruth 4:13,1 5), al quale fu imposto il nome di Obed. A suo tempo, Obed generò Iesse, che fu padre di Davide, il più grande re d’israele, e uomo secondo il cuore di Dio.

Ruth, donna fedele e devota, è una persona degna di elogio e ammirazione. Possa ogni donna emulare il suo esempio, in fedele ubbidienza alla vera via di Dio.



Dal Web 29 dicembre 2001

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La meditazione su Ruth non è opera mia, ma mi è sembrata troppo bella ed adatta al contesto di questo mio lavoro che non ho voluto lasciarla fuori, e nemmeno modificarne alcuna parte. Ho trovato questa pagina fra le mie carte con l’unica annotazione “Dal Web”, per cui non ne conosco nemmeno l’autore al quale comunque chiedo scusa per l’uso non autorizzato; ma sono certo che non me ne vorrà.
 
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Jan-Steen-The-Wedding-of-Tobias-and-Sarah


Sarra e i suoi sette mariti

Tb 2

La fiducia in Dio – l’amore casto



Ecco un altro racconto biblico in gran parte simbolico. Ecco un’altra donna usata dall’Ispiratore della Sacra Scrittura per mostrarci, fra l’orrore della morte e la dolcezza dell’Amore, il nostro viatico sulla terra: la costante fiducia in Dio, l’importanza di affidarci completamente alle sue braccia di padre.

Sara, parente di Tobit era donna “seria, coraggiosa e molto graziosa”. Ma una strana maledizione gravava su di lei. Aveva avuto sette mariti, ma ognuno era morto non appena si era ritirato con lei nella camera nuziale. Era in balia di Asmodeo, un demone che può usare del suo potere perverso fino ad uccidere coloro che cercano nel matrimonio e nell’amore la sola soddisfazione dei sensi.

Brutta posizione, quella di vedova. Ancora peggio quella di vedova giovane e senza figli: nella nostra cultura una situazione simile crea pietà e particolare comprensione; ma fra gli Israeliti mostrava maledizione ed abbandono divino. E Sarra, nonostante sia ricca e padrona non sfugge alla censura delle sue serve che apertamente l’accusano di malefizio e “procurata morte” come si direbbe oggi. Sarra piange, si dispera, chiede a Dio la grazia di morire anche lei.
«Benedetto sei tu, Dio misericordioso, e benedetto è il tuo nome nei secoli. Ti benedicano tutte le tue opere per sempre. (Tb 3,15)…Tu sai, Signore, che sono pura da ogni disonestà con uomo e che non ho disonorato il mio nome, né quello di mio padre nella terra dell'esilio. Io sono l'unica figlia di mio padre. Egli non ha altri figli che possano ereditare, né un fratello vicino, né un parente, per il quale io possa serbarmi come sposa. Già sette mariti ho perduto: perché dovrei vivere ancora? Se tu non vuoi che io muoia, guardami con benevolenza: che io non senta più insulti».

E’ proverbiale la pazienza di Tobit, che fu provato nella sua fermezza di fedeltà a Dio in mille modi, l’ultimo dei quali, ed il peggiore, era stata la cecità improvvisa. Ma alla preghiera di Sarra, la sua parente, si compirono i tempi della Misericordia, Contemporaneamente Dio esaudisce la preghiera della vedova e risana il servo fedele; l’Arcangelo Raffaele guarisce gli occhi malati di Tobit e fa incontrare suo figlio Tobia con Sarra. L’amore fra i due giovani sboccia immediato. L’Arcangelo insegna anche a Tobia come amare sua moglie per evitare le insidie di Asmodeo ed anzi allontanarlo definitivamente:
«ed essi elevarono lo spirito a Dio come a Dio s’innalza il fumo dell’incenso, ed il Demone fuggì nel deserto, luogo di tutte le turpidudini».

Insegnamenti per noi nella storia di Sarra?
Sette mariti morti al momento delle nozze e lei benedice Dio e si preoccupa di suo padre!
Non un moto di stizza, non un astio contro la sorte avversa!… Dovremmo pensarci, noi, quando ci spazientiamo in fila al supermercato o inveiamo per un semaforo che diventa rosso al momento che non ci fa comodo!

La sua unione con Tobia fu un inno di ringraziamento al Signore, ed emblematica è la preoccupazione dei parenti di lei e di lui che sapevano della maledizione di Asmodeo. Ogni genitore è tormentato della sorte del proprio figlio. Solo la fede può trasformare tale inquietudine in vera gioia!


Lucio Musto 24 aprile 2002
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view post Posted on 7/5/2013, 09:54
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358-Giaele_e_Sisara





Giaele

Gdc 4 – 5
L’umiliazione



Giaele è la protagonista di un cruento episodio narrato nel libro dei Giudici.

Jabin era un re cananeo che tiranneggiò Israele per vent’anni finché il Signore, sensibile alle suppliche del suo popolo, intervenne gettando scompiglio fra le sue truppe comandate da Sisara e quelle di Barac inviato da Debora .

Sisara fuggì a piedi e si rifugiò nella tenda di Giaele, poiché riteneva i Keniti (che erano una tribù di Madian) neutrali nel conflitto, e Giaele era appunto sposata con un Kenita. Ma la donna, dopo averlo accolto con ogni riguardo, attese che si addormentasse per ucciderlo nel sonno conficcandogli un piolo acuminato nella tempia e poi vantarsene all’arrivo di Barac.

Il contenuto di questo episodio fa stridente contrasto con quello della moglie del Levita narrato nello stesso libro . Lì la sacralità dell’ospitalità è esaltata fino all’annientamento dell’intera tribù di Beniamino, qui invece l’assassinio a freddo viene esaltato come atto glorioso.

Ma come sappiamo la Bibbia usa talvolta gli avvenimenti, storici o simbolici che siano, per ammaestrarci su concetti più ampi, più universali. E qui l’insegnamento forte è che Dio non gradisce la prevaricazione del forte sul debole il quale, quando con fede ritorna a Lui, trova sempre la sua consolazione. E lo strapotere del tiranno Jabin “forte di 900 carri ferrati”, può essere umiliato da Barac, che nel discorso appare pavido e titubante, ed una donna armata di un picchetto da tenda.


Lucio Musto 13 gen. 2002 parole 262
 
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bibbiajochedebamram.th



Jochebed

Es 2; Nu 26
La mamma «prudente»



Su Jochedeb, non abbiamo che poche parole nella Bibbia, e qualche riferimento indiretto, ma sono sufficienti a farci intuire con che genere di donna abbiamo a che fare, e quanto può insegnarci.
Già il fatto di essere la madre di tre personaggi di grandissimo peso nella storia della salvezza basterebbe a mostrarla come persona eccezionale. E’ madre di Miriam , musica, poetessa, profeta, voce terrena dello Spirito di Dio e assidua, zelante consigliera del fratello “amico di Dio”. E’ madre di Aronne, l’oratore, il tramite fra Mosè ed il popolo, l’interprete del divino, il divulgatore della Parola del Signore. Ed è madre di Mosè.

Nell’Esodo leggiamo: “La donna concepì e partorì un figlio; e vedendo che era bello, lo tenne nascosto per tre mesi” (Es 2,2), ma gli Atti degli Apostoli ci precisano “bello agli occhi di Dio”(At 7,20), e la lettera agli Ebrei “Per fede Mosè, quando nacque, fu nascosto per tre mesi dai suoi genitori che… non temettero l’ordine del re”(Eb 11,23).

E’ tutto da ammirare il comportamento di questa madre esemplare. Nasce il figlio di cui era incinta e lei si rifiuta di obbedire al nuovo ordine del Faraone teso a ridurre il proliferare degli ebrei di consegnare il bambino perché venga soppresso. Il piccolo è un dono di Dio per lei, e lei non ci rinunzia di certo, anche se disobbedire era a rischio di morte. Se Dio le ha dato questo figlio, ne è certa, è perché lei se ne curi. Lo nasconde finché può, tre mesi, e poi fa in modo che venga notato dalla figlia sterile del Faraone. La sorella Miriam sta all'erta, e lei si ritrova a far da nutrice a suo figlio e gli rimane accanto. Una vicinanza preziosa, perché pur non impedendo che Mosè assimili tutta la conoscenza Egizia , raffinata ed evoluta, rafforza ogni giorno nel cuore del giovane l’amore per la sua gente e la fedeltà al popolo eletto. Da adulto Mosè sarà grande come un Faraone, ma ebreo in ogni sua cellula.

Jochebed ci si mostra dunque come donna di assoluta fede, ma madre accorta, capace di indirizzare il futuro di suo figlio con attenzione, in modo che egli possa trar profitto da ogni situazione, e che pur nato schiavo, anzi già condannato a morte, riesca a ribaltare sventura in opportunità, prevaricazione in riscatto e potere ai più alti gradi. Per coniugare la saggezza egizia e la sapienza che viene solo da Dio.
Viene da considerare anche che la fede non è un abbandono inerte e cieco nelle mani di Dio, ma una forza attiva che ci fa solerti quanto prudenti, attivi quanto aderenti alla volontà divina.
Ed in questo brano viene sottolineato anche come la fede è fruttuosa, come Dio “non si lascia vincere in generosità”; la fede di Jochebed mirava innanzi tutto a salvare il bambino, e già il poterlo riavere vicino per allattarlo era una grazia grande, ma [Es. 2,9] la figlia del faraone le dette anche un salario per l’allattamento.

Tutto questo viene chiesto alle nostre donne?, ad ognuna delle nostre mamme la mamma di Mosè deve essere modello?. Certamente si, e nella misura in cui ad ognuno di noi è chiesto di diventare santo: per tanto quanto è nelle nostre forze e per un briciolo di più, quello che lucriamo quando per fede, superando i nostri limiti, ci lanciamo nel vuoto verso le braccia tese di Dio.


Lucio Musto 14 marzo 2002
 
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donnebibbia

Orpa

Rut 1: 4,14
i limiti dell’umano



Questa donna viene nominata due volte soltanto, nella Bibbia, nel libro di Rut. Sufficienti però a suggerirci una riflessione, ché nulla è detto a caso, nelle Scritture:

Rut 1:4
Questi sposarono delle moabite, delle quali una si chiamava Orpa, e l'altra Rut; e abitarono là per circa dieci anni.
Rut 1:14
Allora esse piansero ad alta voce di nuovo; e Orpa baciò la suocera, ma Rut non si staccò da lei.

La storia, notissima, è facile da richiamare alla memoria. Noemi, donna della regione di Betlemme rimane vedova con due figli, ed a causa della siccità è costretta a cambiare zona, e portandosi dietro i bambini va a fare la spigolatrice a Moab.
I figli crescono e col tempo sposano due moabite, Rut ed Orpa.
Ma i due giovani muoiono presto e Noemi si ritrova di nuovo sola, con le due nuore. Mel frattempo le condizioni di Betlemme sono tornate normali e Noemi decide di tornare in patria, e nel farlo congeda le nuore liberandole dal peso di assistere lei ormai anziana: «Tornate al vostro popolo, alle vostre case, ai vostri dei...» dice press’a poco.
Ruth rifiuta di lasciarla e la segue come figlia in Betlemme: «La tua casa sarà la mia casa, il tuo popolo il mio popolo, la tua religione la mia religione...» e la Bibbia ci dà ampio racconto e motivazione di questo gesto così importante nella genealogia di re Davide e quindi di Cristo.
Orpa invece segue le parole di Noemi e “dopo averla baciata tornò a Moab”.

Nel senso che possiamo dare ai fatti, che ci interessano più del semplice racconto, Noemi è colei che non si lascia abbattere dalla vedovanza e dalla carestia, ma porta la sua testimonianza esemplare di madre e lavoratrice in terra straniera, dove produce, semina amore, ricostruisce una famiglia, sposa i due figli e nemmeno si abbatte alla loro morte, ma continua a coltivare il rapporto anche solo con le nuore. Questo testimonia la limpidezza e la forza del suo messaggio.
Ruth è l’immagine della fermezza e della presa di coscienza del suo ruolo e del suo dovere, indipendentemente da ogni convenienza personale; infatti è ancora giovane e potrebbe aspirare ad un nuovo matrimonio, come anche la suocera buona esorta; ma Rut è ferma nella sua libera scelta: ha scoperto la nuova fede e non l’abbandonerà.

E Orpa?... il suo nome significa “Nuca” e è da intendere come “colei che volta le spalle”; gli si potrebbe dare quindi una connotazione negativa, come infatti normalmente è rappresentata nei dipinti e sembrerebbe esistere solo per far da sfondo alla virtù eroica di Rut, già squillante di suo, ma non è così. La sua figura ha uno scopo, come ogni dettaglio della Scrittura ed un messaggio da trasmettere a tutti noi.

Orpa è l’immagine di tanti di noi, o di ognuno di noi in tanti momenti della propria vita che si, hanno avuto la testimonianza e l’esempio della virtù (Noemi), sono stati toccati dalla luce, hanno intravisto la via... ma non ce l’hanno fatta a rimanere fedeli, a fare quel salto di qualità che congiunge la naturalità dell’essere umano alla perfezione della santità.
Orpa siamo noi che non riusciamo ad essere perseveranti, e la Parola è per noi come quel seme della parabola del seminatore che cade fra i sassi: germoglia subito, ma non resiste, perché il terreno non è profondo e presto secca.
Immagine della fragilità umana che non sa resistere alle seduzioni terrene, non riesce ad abbandonare carri e buoi famiglia e terra...

Ma il giudizio non è impietoso, non è di definitiva condanna. Orpa, noi, possiamo anche fare delle scelte diverse, in nostra libertà, e seguire altre vie, ma non per questo la Misericordia ci rinnega, e il sapere che “dopo averla baciata tornò dai suoi a Moab”, cioè con saluto cordiale ed affettuoso ci fa sperare che nessuno di noi sarà mai abbandonato dall’infinito amore di Dio.

Ed ancora Orpa mi sembra prefigurazione di quella Marta della parabola evangelica che non riesce a scegliere per sé “la parte migliore” come Maria, come Rut, ma non per questo viene svilita.


Lucio Musto 5 settembre 2013

Edited by Lucio Musto - 27/9/2013, 01:12
 
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332v

Peninna (corallo)

1 Sam 2
la presunzione umana




Ecco un’altra donna di cui la Bibbia ci dice pochissimo, oltre il nome, ma delineando una figura su cui molto c’è da riflettere, anche per noi oggi.

Peninna è l’altra moglie di Elkana, quella senza problemi di fertilità, in perenne contrasto con Anna, sterile per molto tempo, fino alla nascita di Samuele, e della quale abbiamo già accennato in questa piccola collana di riflessioni.

Pennina i figli ce li ha, e come moglie ebraica (ma non solo ebraica) si sente una donna realizzata; non si fa nessuno scrupolo a far pesare questo suo vantaggio su Anna, che rimane la moglie più amata e vezzeggiata dal comune marito. A Pennina non basta avere quanto in suo diritto da un marito giusto e godere del privilegio di essere madre concessole da Dio. La sua presunzione di donna è insaziabile, anche in virtù di quello che ha avuto per grazia e non per merito personale.

Elkana cerca di consolare la diletta Anna per la sua femminilità non realizzata, e le usa particolari e prodighe attenzioni, ed ha per lei dolcissime parole di conforto: “perché piangi e non godi dei beni che ti do?... non valgo io per te più di dieci figli?...” Ma questo è motivo di invidia e risentimento da parte di Peninna che vorrebbe tutto per sé. Il privilegio dei figli e la predilezione del marito, ed è motivo e spinta per continue angherie e dispregi nei confronti di Anna che grandemente ne soffre.

Nei fatti narrati Peninna appare come lo sfondo scuro su cui meglio far risaltare la luce di questa Anna, sterile (una delle sette donne sterili considerate nella Bibbia), eppure destinata a grande discendenza.
Alla fine Anna partorirà Samuele, fondamentale giudice e profeta nella storia di Israele, ma per poter arrivare a tanto dovrà percorrere la dura via dell’umiliazione e della preghiera, della disperazione e dell’angoscia fin quasi alla sfiducia. Anna avrà il dono di un figlio (e che figlio!) solo quando pur di averlo sarà disposta a perderlo dedicandolo nel Nazierato al Signore. Che poi sovrabbonderà in grazia verso di lei dandole addirittura altre cinque figli.

E Peninna?... rileggendo con attenzione le vicissitudini di Anna, anche la sua figura viene riscattata, ai nostri occhi.
Certamente rimane l’aguzzina impietosa verso la sua rivale ed ingrata verso Dio, ma anche lo strumento nelle mani dell’Altissimo per spingere e confermare Anna nella sua difficile strada di fede, di dedizione, di appassionata, costante, incontenibile, preghiera.
Senza il pungolo di Peninna, senza i suoi sarcasmi, senza i suoi lazzi pungenti, senza tanta soperchieria sempre a sovrastarla forse la donna Anna si sarebbe arresa al suo destino di sterile, e si sarebbe accontentata delle coccole del pur affranto Elkana, innamorato e disposto a cercare di consolarla.

Ed ecco come ci viene di monito di non disprezzare a priori, di non ergerci a giudici e carnefici con troppa disinvolta leggerezza. Talvolta, forse più spesso di quanto immaginiamo, tante negatività non sono così nere come appaiono, ed invece nascondono delle finalità più profonde, magari essenziali, ma che ci rimangono nascoste.

Così rileggendo il racconto del primo libro di Samuele, la storia su Anna e Peninna, senza le poche parole dedicate a quest’ultima ci apparrebbe come la vicenda fantasiosa di una psicopatica vezzeggiata incaponita ad avere un figlio a tutti i costi e basta.
Con Peninna sullo sfondo, Anna appare invece come esempio fulgido di fede in Dio e di devozione a suo marito, quell’uomo che non la trascura, pur avendo altri figli, e non si sente tradito nelle sue aspettative ma quasi la accompagna nel cammino di umiliazione e di sofferenza verso il trionfo finale; in qualche modo completando e sottolineando il compito di stimolo sgradevolmente svolto dall’invidiosa Peninna.


Lucio Musto 26 settembre 2013
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view post Posted on 24/2/2014, 17:39
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Debora [l'ape]
Gdc 4,5

La Compromissione



Debora (Dvorah) fu profetessa in Israele, una delle sette citate nella Bibbia; ricordiamo che le altre sei furono:

Sarah (Genesi);
Miriam (Esodo);
Channah o Anna (Vangelo di Luca);
Avigail o Abigail ( I e II samuele e Cronache);
Khuldah o Hulda (II libro dei Re);
Ester(Libro di Ester);

è l'unica donna Israelita che sia stata anche Giudice, e la sua storia è narrata due volte, in prosa ed in versi ai capitoli 4 e 5 del libro (Giudici) che tratta la storia del popolo di Dio intorno al 1200 a.C.

Il racconto è presto sintetizzato. La profetessa-Giudice convoca il comandante Barac per mandarlo contro i Cananei guidati dal giovane condottiero Sisara mettendolo a capo dei guerrieri della sua tribù di Neftali e di quelli della tribù di Zabulon.
Diecimila uomini in tutto.
Ci sarà vittoria per volontà di Dio, profetizza.

Ma Barac è scettico e non si fida, pur dichiarando la sua fede in Dio e chiede che Debora sia al suo fianco a condividere i rischi della battaglia.
Debora, salda nella sua fede, naturalmente accetta ma profetizza di nuovo dicendo che la vittoria ci sarà ma il trionfo non andrà a Barac, titubante e tiepido nella fede ma ad una donna, quella Giaele di cui abbiamo già accennato in questa collana che uccise Sisara conficcandogli un piolo acuminato nella tempia.

Tutto qui, in sintesi, ma da questo fatto possiamo trarre più di un insegnamento, il primo dei quali è un'ulteriore smentita del ruolo marginale e subalterno che si usa dare alla donna della Bibbia. Profetessa e per di più garante con Dio per la vittoria contro un nemico terribile "forte di 900 carri ferrati".

Il prode Barac aveva ben di che temere a dar battaglia ai Cananei di Iabin!.
Ma la profezia viene rispettata e malgrado la disparità di forze, ai piedi del monte Tabor l'esercito dei Cananei viene sbaragliato.

Barac sarà ricordato come grande nella storia di Israele fin nella lettera agli Ebrei, ma la gloria di quella vittoria gli sarà tolta, perché non si è pienamente abbandonato alla volontà di Dio espressa da Debora, che pure lui riconosceva come profetessa.
Quale insegnamento per noi!... non è vendetta da parte del Signore, che vittoria aveva promesso e vittoria concede, ma ammonimento. Quante volte anche noi, pur avendo chiara nella nostra coscienza la Volontà di Dio, o semplicemente la giustizia o la verità giriamo testa dall'azione coraggiosa o dal sano giudizio e cerchiamo altre garanzie, altre scuse… in una parola una Debora che ci accompagni personalmente in battaglia?

E qui c'è ancora un'altra indicazione preziosa. Debora stessa, una donna, che non esita un istante ad aderire alla pretestuosa richiesta. Lei è sinceramente aperta alla Parola di Dio che ha promesso vittoria. Che male le può incorrere nella mischia?... possiamo immaginarcela mentre gioiosamente va, al fianco del suo comandante, sorridendo, ma anche scuotendo il capo alla caparbia incredulità dell'uomo!



Lucio Musto 24 febbraio 2014
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Le sette figlie di Ietro -
le virtù umane - [Es Capitolo II]



Sono nominate in un solo punto dell'Esodo, e per un solo evento, ma come spesso accade con le figure meno trattate dell'antico Testamento, possono essere spunto di riflessione più ampia.
Il fatto è presto ricordato: Mosè è alla fonte quando arrivano queste fanciulle con il gregge di Ietro per l'abbeverata, ma esse vengono infastidite da alcuni pastori nomadi. Mosè le difende e le protegge guadagnandosi così la gratitudine di Ietro che lo accoglie nella sua casa e gli dà in sposa una delle sorelle, Sefora (o Zippora, già trattata in questa collana di riflessioni).

Tutto qui, e la semplicità del fatto non meriterebbe menzione nemmeno per noi moderni che abbiamo carta da sprecare e facilità di scrittura estrema. Qualche rigo sul libro antico invece ha certo un significato profondo. E lo troviamo subito quando riguardiamo all'Esodo come prefigurazione del nostro cammino religioso, dalla schiavitù della materia e del fango dell'antico Egitto alla conquista della Terra Promessa e della resurrezione spirituale.
E Mosè, in tutto questo viaggio fisico e simbolico è guida e prefigurazione della fede.

Ed ecco allora Ietro, "Sacerdote" di Madian, uomo saggio e buon consigliere secondo la tradizione Jahvista, il suo nome infatti significa eccellenza, delinea il raziocinio umano, che produce ottimi frutti ma non può andare oltre certi limiti, e ne è cosciente; ed allora egli manda le sue sette figlie, le sue virtù, ad "attingere acqua" per abbeverare il suo gregge, cioè le persone che sente affidate alla sua cura: la sua tribù, il suo popolo.

Le figlie vanno dunque nel deserto e vengono infastidite dai pastori nomadi, che facilmente possiamo associare nel nostro parallelo alle tentazioni terrene, ed alla "fonte dell'acqua" incontrano Mosè, cioè la Fede, che le difende da quelle tentazioni che vorrebbero distrarle dal loro compito e con la fede fanno amicizia, fino a portarla alla presenza del padre.

Sette è il numero sacro per eccellenza nella simbologia antica e non stupisce che sia stato scelto a rappresentare anche le virtù umane del saggio Ietro. La Fede (Mosè) ne diventa amico ed addirittura ne sposerà una, Sefora. Quale virtù è quindi la più importante per la fede?... viene immediatamente da chiedersi. E la risposta ci sarà, a proposito del difficile episodio della circoncisione di Gherson, il figlio nato da quel matrimonio. Ma questo meriterà un approfondimento a parte.

Un ultimo dettaglio occorre sottolineare. Le figlie di Ietro non riconobbero in Mosè un uomo particolare, un profeta o altro. Lo presentarono infatti al padre semplicemente come un egiziano che le aveva difese. Toccò al sacerdote di Madian, riconoscere il valore particolare dell'incontro.
E questo sia buon ammonimento anche per noi. Nemmeno la Fede ci viene imposta da Dio come sempre rispettoso della nostra libertà.
La Fede ci sfiora soltanto; tocca a noi essere sufficientemente attenti e saggi per riconoscerla e farla nostra.



Lucio Musto 13 aprile 2014
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view post Posted on 13/4/2014, 18:42

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È sempre un piacere leggerti,Lucio.
Importanti riflessioni nel brano che ci proponi
 
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grazie manfred.r Per me è una costante di cui non mi stupisco più: ogni volta che apro la Bibbia, per leggere una frase, un versetto o un capitolo, quasi sconosciuto o arcinoto che mi sia, sempre, ci trovo dentro qualcosa di nuovo, qualcosa cui non avevo pensato prima, o che non mi era capitato di pensare prima... Per esempio l'altra domenica s'è riletto l'episodio di Lazzaro (e chi non lo conosce?)... ebbene, m'è sembrato di vederlo sotto tutt'altra luce, rispetto a quella/quelle che ci illustrano i nostri sacerdoti nelle omelie!
 
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