Le stronzate di Pulcinella

CURIOSITA' E STRAMBERIE DI MOLTI PERSONAGGI NAPOLETANI

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view post Posted on 15/6/2012, 10:59
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ANNELLA 'A TARVENARA DE' TRIBUNALI



Nell' ottocento era una delle piu' famose osterie di Napoli quella gestita da tale Annella . la sua era una cucina casereccia, ma anche una cucina che sapeva divinamente mescolare i gusti raffinati a quelli più marcati della cucina napoletana e di quella campana in genere. Trovandosi nei pressi del tribunale a porta Capuana , era frequentatissima dagli avvocati del foro che facevano grossa pubblicita' sia ad Annella che alla sua Osteria non si sa se per l'avvenenza della tavernara o per le prelibatezze che serviva.
Secondo alcuni pare sia stata Annella a scoprire la ricetta della zuppa di "suffritto"che da allora ancora oggi è diventato un piatto tipico della cucina napoletana. La procace tavernara guarniva questa pietanza con un abbondate cerasiello (peperoncino piccante) che infiammava le bocche , tanto da costringere gli avventori a consumare litri di vino di Gragnano, un corposo e frizzante vino rosso .
Da Annella in poi 'o suffritto divento' anche il lavoro per molte casalinghe che, per arrotondare e guadagnare qualcosina, la mattina presto preparavano fuori dell'uscio del "vascio" la fornacella " dove veniva cotto in un gran pentolone. I lavoratori piu' mattinieri portavano la cosiddetta " capa e pane" e se la facevano imbottire in cambio di pochi soldi.


GILDA MIGNONETTE : IL SUO AMORE PER NAPOLI E L'ITALIA


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Qui non parleremo della Mignonette artista conosciuta in tutto il mondo ma di Giselda Andreatini , suo nome originale nata nel 1890 nel popolare quartiere della Duchesca.
Dotata di volontà e carattere, accettò una scrittura in America e nel 1926 debuttò a New York con tale successo che il pubblico entusiasta la proclamò "regina degli emigrati".
Era partita da Napoli per una tournée di 24 mesi: restò in America 29 anni.
Ebbe il suo picco di massimo successo negli Stati Uniti con la canzone "'A cartulina 'e Napule".
Giselda Andreatini era fiera delle sue origini napoletane e ne faceva, con i suoi spettacoli, una continua esaltazione. Ma era anche fiera di essere italiana tanto che quando nel dicembre 1941 gli Stati Uniti scesero in guerra nel II conflitto mondiale, si ribello' alle autorita' americane che volevano vietare le sue rappresentazioni pervase di patriottismo.
Le autorità chiedevano la sospensione delle rappresentazioni e Gilda trasferì lo spettacolo in un teatrino di periferia istituendo, a sue spese, mezzi di trasporto per il pubblico.
Osteggiata e bandita da ogni programma radiofonico, si prodigò per tutta la durata delle ostilità ad aiutare i prigionieri di guerra italiani.
Dopo una paziente opera persuasiva convinse il marito, Frank Acierno, a tornare in Italia.
Era il 1953, aveva 63 anni.
Annuciò lo spettacolo d'addio per il 22 marzo all'Accademia musicale di Brooklin.
Cinquantamila furono le richieste di biglietti.
Bloccata da un incidente, il commiato slittò al 17 maggio.
Si presentò su una sedia a rotelle, avvolta in un vestito tricolore, e con il Vesuvio come sfondo: cantò le sue più belle canzoni tra la commozione generale.
Si imbarcò dieci giorni dopo sulla nave "Homeland".
L'8 giugno 1953 Gilda Mignonette si spegneva.
Il porto di Napoli sarebbe apparso tra 24 ore. È sepolta nel Cimitero di Poggioreale.
La sua voce commovente e drammatica restera' sempre nel cuore dei napoletani e degli americani.


continua


Edited by Pulcinella291 - 19/6/2012, 12:27
 
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SAN CATELLO E L'ODORE DEL SUO CRANIO

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Vissuto tra il VI secolo – VII secolo, della sua vita si conosce molto poco. Di certo è risaputo che è stato vescovo di Castellammare di Stabia, città di cui è patrono.
Si sa che ebbe una vita molto sofferta: sul monte Faito dove spesso si rifugiava in preghiera insieme a sant'Antonino, gli apparve in sogno l'arcangelo Michele e a ricordo dell'apparizione costruì un piccolo tempio, oggi totalmente ricostruito, conosciuto come santuario di San Michele Arcangelo al Monte Faito. Colpito da calunnie da suoi "familiari" (forse si intende vescovi di diocesi vicine), fu portato per un breve periodo a Roma, finché papa Gregorio I, a cui aveva predetto il pontificato, non gli riaffidò la diocesi di Stabia: tornò trionfante in città, accolto dall'amico Antonino, poi divenuto abate in Sorrento.
Viene ricordato anche come il "patrono dei Forestieri" per la cordialità mostrata nei confronti dei profughi e dei bisognosi.
Le reliquie di san Catello sono conservate nella concattedrale di Maria Santissima Assunta di Castellammare di Stabia, nella chiesa di Scanzano e in quella dei Servi di Maria a Sorrento. Una delle reliquie più importanti è il cranio dal quale fuoriesce un particolare odore detto "Manna di san Catello": in passato tale cranio è stato custodito nella chiesa del Gesù (oggi si dovrebbe trovare a Itri)



 
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Francesco Mastriani ((Napoli, 23 novembre 1819 – Napoli, 7 gennaio 1891)

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è stato una grande scrittore napoletano e autore di numerosi romanzi di appendice e possiamo dire che getto' le basi per il verismo.
Un ruolo importante ha sempre occupato nella vita dello scrittore il malocchio. Mastriani affronta tra credenze e tradizione nera tutta partenopea il fenomeno con serietà e drammaticità dichiarando che "ci credo, anzi ci stracredo" [2]. Contro quello che considera un vero flagello suggerisce gli antidoti che chiama "preservativi" come il corno e il ferro di cavallo. In proposito cita il giureconsulto Nicola Valletta, autore della famosa Cicalata sul fascino, volgarmente Iettatura. Mastriani parla diffusamente della jettatura alla quale dedica un intero capitolo de La cieca di Sorrento. Agli "occhi avvelenatori" il romanziere napoletano attribuisce buona parte delle sue disgrazie (dal colera da cui fu colpito alla morte di tre dei suoi sette figli, agli sfratti, almeno una trentina).

Libero Bovio e la lapide su Mastriani
Si doveva murare una lapide sulla facciata della casa di Francesco Mastriani alla Penninata alla Sanita'.
Libero Bovio venne incaricato di dettarne l'epigrafe. II poeta scrisse: ''In questo tugurio visse in poverta' il romanziere Francesco Mastriani ''.
Imperava il ''Regime'', e non era consentito parlare di poverta'. Percio' 'don Liberato' venne invitato a modificare l'iscrizione.
Allora egli dettò: ''In questa reggia visse da nababbo il romanziere Francesco Mastriani''.
La lapide, naturalmente, non fu piu' murata


Giovanni Capurro((Napoli, 5 febbraio 1859 – Città del Messico, 20 gennaio 1920)e il suo barbiere

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E' stato un grande poeta e compositore e giornalista napoletano .Capurro era un uomo brillante, colto e ospite gradito nei salotti ove cantava, suonava il pianoforte e faceva spassose imitazioni. Capurro era buono e indulgente con i principianti tanto che quando il suo barbiere Don Antonio Grieco , mentre gli radeva la barba gli fece sentire i versi non peregrini d' una canzone che aveva composto chiedondogli il parere , gli rispose:"E’ bella, Toto’, ma saie fa’ meglio 'a barba! "

PASQUARIELLO E VIVIANI E LE DUE FIDANZATE
Pasquariello e Viviani, che cominciavano ad affermarsi nel Variete’, si erano fidanzati con due graziose sorelle appartenenti alla piccola borghesia napoletana. Pero’ in casa era stato ammesso solo il cantante.

Una sera Pasquariello era salito dalla fidanzata e Viviani attendeva giu’ al portone che l' amico gli facesse sapere se poteva presentarsi. Il segnale lo avrebbe dato una moneta di rame lasciata cadere dal balcone. Viviani attese un bel po'. Improvvisamente senti’ ai suoi piedi un rumore metallico. Egli, invece di imboccare subito il portone, si curvo’ per terra.

Pasquariello, dall' alto, lo apostrofo’:
- Rafè... che staie cercanno?
- Sto cercanno 'o duie solde.
- Saglie, nun perdere tiempo. I' ll’ aggio acalato c' 'o spavo!





 
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view post Posted on 28/8/2012, 09:12
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[size=7]EDUARDO E IL SINDACO VALENZI[/size]
Eduardo è stato molto amico dell'ex sindaco di Napoli Valenzi uomo di sinistra. Un giorno Valenzi confesso' ad De Filippo l’enorme difficoltà di amministrare una città come Napoli, nonostante tutte le cose che lui aveva avviato. Eduardo gli chiese: «Ma perché questa difficoltà?». E lui gli rispose: «Perché, Eduardo mio, le delibere che noi, Consiglio eletto, stabiliamo e deliberiamo non vengono mai attuate. Le delibere rimangono lì anni e anni e non se ne fa più niente». Eduardo, proprio per la sua ignoranza di quelli che erano i meccanismi della politica ma allo stesso tempo secondo la sua indole di uomo libero, gli disse: «Tu devi fare una cosa! Fai un grande comizio a piazza Plebiscito, fai venire un milione di napoletani e dici loro: guardate, io voglio fare questo, questo e questo e non lo posso fare perché questi sono i problemi…. Se sei stato eletto dal popolo è al popolo che lo devi dire» Solo che questa è una posizione abbastanza platonica di concepire la politica, tant’è vero che Valenzi gli rispose: «Non lo posso fare perché questo vuol dire mettere in crisi la credibilità del partito». Allora Eduardo, senza neanche farlo finire di parlare, gli disse con tono affettuoso: «Allora va a fanculo tu e il tuo partito».


ACHILLE LAURO E L'ACQUISTO DI UN OROLOGIO

La capacità finanziaria di Lauro era ben nota in città, ma che addirittura un suo assegno, per un importo notevole, fosse accettato dalla banca, anche privo della sua firma, è sorprendente.
Eppure è quanto raccontato da Brinkmann, il noto commerciante, nel cui negozio di orologi di piazza Municipio, Lauro si recò ,nel lontano 1955, per acquistare un orologio da tavolo di grande valore, ben trecentomila lire, che all'epoca costituivano una cifra considerevole.
Staccato l'assegno, il commerciante si accorse che mancava la firma, ma non osò dirlo subito, nel timore di contrariare il facoltoso cliente, il cui carattere irritabile e imprevedibile era proverbiale. Si riservava di farlo avvertire dal direttore della banca e grande fu la sua sorpresa, quando il funzionario, senz'alcun problema, gli pagò l'assegno a vista.

LA FICA D'INDIA
Il costruttore Pasqualino Ottieri, figlio del ben più noto Mario, che aveva impalmato una principessa indiana, la quale fece visita più di una volta ald un accorsato negozio di piazza Municipio, acquistando numerosi orologi preziosi, senza chiedere neanche il prezzo.
Sempre avvolta in una serie di veli multicolori, con un codazzo di accompagnatrici, anch'esse vestite con il sari, mentre in strada attendevano pazienti, autista e guardia del corpo. Questa donna dagli occhi ammalianti e misteriosi non passò certo inosservata ai napoletani, tanto che il compianto Carosone dedicò al potente personaggio e a questo suo amore esotico una celebre canzone: "Pasqualino maragià". Nel contempo i napoletani coniarono una sagace battuta: "Si è punto ieri notte, perché la sua bella ha la fica d'India".


Le sproporzionate dimensioni virili di Achille Lauro


La preside Amalia Pigliabelli abita da quasi cinquant'anni la sua casa all'ultimo piano in via Crispi, proprio di fronte a quella che, da tempo tristemente decaduta, fu per decenni l'abitazione di Lauro ed a fianco all'edificio, oggi sede di moderni uffici e laboratori, all'epoca residenza delle religiose del Sacro Cuore.
Le sane abitudini ginniche del Comandante sono arcinote, non meno conosciuto l'abbigliamento adoperato per tali pratiche sportive: il nudo adamitico e l'orario rigorosamente antelucano.
Tali esercitazioni, ogni mattina, alle prime luci dell'alba, per decenni, si sono svolte sulla terrazza della villa, davanti agli occhi esterrefatti delle suore del convento di fronte, che, da dietro alle persiane venivano sottoposte insistentemente a diaboliche tentazioni e conseguenti forzate contrizioni.
La signora ci ha confidato che, giovinetta, spesso si svegliava appositamente per guardare meravigliata quelle involontarie esibizioni, la cui contemplazione era resa più peccaminosa dalle inevitabili considerazioni sulle sproporzionate dimensioni virili del Comandante

DON ACHILLE E IL REGALO DELLA COLLANA
Achille Lauro e la sua giovane compagna si trovavano a cenare una sera in un grande albergo di Stresa e furono attirati da una vetrina della hall, dove troneggiava uno splendido collier di brillanti.
"Ti piace?", "Come può non piacermi".
Detto fatto, Achille chiama il direttore e gli dice che vuole comprare il gioiello.
Mentre i due innamorati cenano, vi è un'affannosa ricerca dell'impiegato custode delle chiavi della vetrina, senza rintracciarlo. Il direttore, mortificato, cerca di rinviare all'indomani la consegna della collana:
"Mi dica dove alloggia e le farò pervenire il prezioso quanto prima".
"Parto subito, ora o mai più" risponde baldanzoso Lauro ed alle obiezioni del direttore, con sicumera ordina:
"Rompete la vetrina, pago io tutti i danni, anzi chiamo il mio autista con gli attrezzi, che è esperto in effrazioni...".
Colpi su colpi con il cric e con le chiavi inglesi, con tenaglie e punteruoli, il vetro comincia a scheggiarsi, ma sembra resistere agli assalti. Allora il nostro eroe, individuato il punto di rottura nel baricentro del cristallo, gli assesta alcuni fendenti vigorosi. Alla fine, come un imene fibroso che resiste, ma poi viene vinto, sfascia la vetrina in mille frantumi e prende la collana, che cinge vittorioso sul collo della sua bella, tra gli applausi scroscianti del pubblico, il quale aveva seguito, divertito, la scena, alternando sonore risate a scollacciati canti goliardici.


Evviva il Re un cazzo...
E' dicembre del 1953, si stanno distribuendo gli stipendi e la gratifica di Natale ai dipendenti del Comune, che a quell'epoca venivano consegnati in contanti in un ufficio di palazzo San Giacomo. Sono le quattro del pomeriggio e,come capitava a volte, il Comandante, smessa la veste di sindaco, la cui porta era come è noto sempre aperta a tutti ed indossata quella di padrone della flotta, comincia a trattare i suoi affari privati seduto ad un grande tavolo, attorniato dai suoi collaboratori con il fido Manfellotto alla sua destra.
All'improvviso la discussione viene interrotta da urla e pianti di uno spazzino che, nelle scale del palazzo, ha perso il portafoglio con lo stipendio ritirato da pochi minuti.
Lo sventurato non sa darsi pace e versa lacrime a profusione, al pensiero dei sette figli che lo aspettano a casa. Egli implora aiuto dal Cielo e non trascura di bestemmiare a squarciagola per la sua disgrazia. E l'aiuto arriva non proprio dal Cielo, bensì da Lauro in persona che, informatosi da Manfellotto su quanto prenda al mese uno scopatore (la dizione operatore ecologico è di là da venire), non esita a sborsare di tasca sua il denaro all'uomo disperato, a cui chiede come si chiami.
"Pasquale Esposito fu Salvatore ai vostri ordini e soprattutto viva il Re!" asciugandosi gli occhi per la commozione.
"Evviva il Re un cazzo, ricorda sempre: i soldi che ti ho dato sono miei".

 
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GLI STRAFALCIONI DI PEPPINO AMATO


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Giuseppe Amato, nome d'arte di Giuseppe Vasaturo (Napoli, 24 agosto 1899 – Roma, 3 febbraio 1964), è stato un produttore cinematografico, attore, sceneggiatore e regista italiano.Diventa produttore di film di ambiente napoletano negli anni venti, dopo aver partecipato a un kolossal girato a Napoli dalla MGM. soggiorna in America fino agli albori del sonoro e, tornato in Italia, si dedica a una produzione di sempre più ampio respiro, operando anche come attore, sceneggiatore e regista (la parte meno fortunata della sua attività: dei film da lui diretti nessuno, a parte l'impeccabile Yvonne la nuit, è passato alla storia).
Peppino Amato è stato una figura centrale nella storia del cinema italiano. Fu lui a offrire, negli anni trenta, la prima occasione cinematografica a Eduardo e Peppino De Filippo, fu lui a produrre il primo film diretto da Vittorio De Sica (Rose scarlatte, 1940) e a finanziargli anche Umberto D. (1952).
Amato è il produttore de La cena delle beffe (1941) e di Quattro passi fra le nuvole (1942), capolavori di Alessandro Blasetti.
Diventa celebre nel dopoguerra, producendo il primo film della serie Don Camillo e soprattutto il più famoso film italiano: La dolce vita (1959). celebri erano i suoi strafalcioni e il suo modo di travisare i termini italiani, tanto che Ennio Flaiano nel 1967 li raccolse in una divertentissima pagina: "Il catalogo Peppino Amato. Anche il critico cinematografico Tullio Kezich ne parla.Per definire i detti di Amato, Kezich usa il termine "strambotto", di origine poetica ma poi usato per definire fandonie e sciocchezze.A Fellini, prima dell'uscita di La dolce vita : "Per questo film c'è un'attesa sporadica!" (voleva dire spasmodica). "Non sono entrato al ricevimento, mi sono fermato sulla sogliola". "Sogno di produrre un film sul Cigno di Pier Busseti" (per Busseto, patria di Giuseppe Verdi). "Includetemi fuori" (ma questa forse è apocrifa, una traduzione di "Include me out", famoso strambotto di Samuel Goldwyn considerato per le sue invenzioni linguistiche il Peppino Amato di Hollywood), "Mandiamo alla diva un omaggio forestale", "Ho sulla testa una spada di Temistocle". Quando un cameriere del Carlton di Cannes bussava alla porta della suite recando un caffè, Peppino rispondeva "Aprè!" (per "aprite", s'intende la porta) e quello capiva che doveva tornare dopo. Storpiava senza alcuna malizia i cognomi dei collaboratori: il regista Alfredo Giannetti lo chiamava "Gimmetto", lo sceneggiatore Ennio dè Concini diventata "de Concime". In quanto a Goldwyn, Kezich riporta detti leggendari a Hollywood, come: "Chiunque va da uno psichiatra dovrebbe prima farsi esaminare il cervello" o: "Un contratto verbale non vale la carta su cui è scritto.La più bella resta comunque un invito: “ Mandiamo alla diva un omaggio forestale”, in forte concorrenza con “Sono tutti alcoolizzati contro di me”
Peppino Amato è stato lo suocero di Bud Spencer, quandol’attore era ancora il famoso nuotatore Pedersoli


 
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NIKITA LA CAMORRISTA E LA NOSTALGIA DI NAPOLI



Nikita non è la protagonista del celebre film di Besson , ma una camorrista affliata al gruppo Teste matte dei Quartieri Spagnoli il cui vero nome è Vincenza Di Domenico.Un bel giorno del 1995 scampo' per pure caso ad un agguato mentre era in compagnia di una zia, fu ferita .
Si rende conto di essere in pericolo ed appena viene dimessa dall'ospedale , decide di collaborare con la giustizia e raccontare tutto quello che sa sul famigerato clan .
Nikita viene trasferita in una localita' segreta e comincia a fare i nomi , tanti nomi. Ci saranno molti arresti a seguito delle sue rivelazioni , ma ad un tratto le prende la nostalgia di Napoli e dei sui quartieri spagnoli. Pavia dove era stata trasferita, non le piace. . Pur di tornare nella sua citta' ha deciso di ritrattare tutte le confessioni fatte agli investigatori, grazie alle quali giorni fa sono state arrestate dodici persone. "Pavia e' una citta' triste dove piove sempre. Voglio tornare a Napoli, nei vicoli dei Quartieri Spagnoli". La dichiarazione e' di Vincenza Di Domenico.Si e' recata nella sede di un quotidiano locale e ha annunciato il voltafaccia. "Ho detto un cumulo di sciocchezze, mi sono inventata tutto e ho mandato in galera gente innocente. Forse e' stato per colpa di quel proiettile che mi colpi' alla testa", ha detto Vincenza Di Domenico.
"Ho ripetuto soltanto frasi che dicevano altri pentiti . ha sottolineato "Nikita" ., cose che nei Quartieri Spagnoli passavano di bocca in bocca. Alcuni particolari li ho appresi leggendo i verbali di alcuni collaboratori di giustizia, carte che ho ricevuto dagli avvocati". Vincenza Di Domenico sostiene che a farle cambiare idea non sono state minacce, ma la nostalgia di Napoli. "Stare a Pavia era peggio che rimanere nella mia citta' . I miei tre figli sono nati nei Quartieri Spagnoli ed e' li' che vogliono tornare".



I SOPRANNOMI DEI CAMORRISTI



Roberto Saviano nel suo libro Gomorra cita con i vari soprannomi alcuni esponenti della camorra i quali vengono appioppati secondo le seguenti tipologie:
1. ipocoristici

2. tratti fisici

3. età dell’uomo

4. animalia

5. espressioni onomatopeiche

6. passioni alimentari e di costume

7. comportamenti e carattere

8. ereditari

9. soprannomi di famiglia

10. personaggi televisivi e cinematografici

11. figure di potere

1. ipocoristici



Antonio Carlo D’Onofrio “Carlucciello ’o mangiavatt” antr. “Carletto il mangiagatti”

G 66 «E poi Antonio Carlo D’Onofrio “Carlucciello ’o mangiavatt’ ” ossia Carletto il mangiagatti, leggenda vuole che avesse imparato a sparare usando i gatti randagi come bersaglio».



Francesco Schiavone detto “Cicciariello”

G 212 «Poi d’improvviso Sandokan lo aggredì e iniziò a strangolarlo, mentre suo cugino, suo omonimo conosciuto come “Cicciariello”, e altri due affiliati Raffaele Diana e Giuseppe Caterino, gli tenevano gambe e braccia».



Luigi Giuliano detto “Lovigino”

G 67 «Luigi Giuliano “’o re”, detto anche Lovigino, contronome gli sussurravano “I love Luigino”. Da qui Lovigino» .



Domenico Russo detto “Mimì dei cani”
G 66 «Domenico Russo, soprannominato “Mimì dei cani” boss dei Quartieri Spagnoli, chiamato così perché da ragazzino vendeva cuccioli di cane lungo via Toledo».



Carmela Attrice detta “Pupetta”

G 115 «Carmela Attrice era chiamata Pupetta».



Ugo De Lucia detto “Ugariello”





2. tratti fisici



Pasquale Gallo “’o bellillo” “il carino”

G 66 «Pasquale Gallo di Torre Annunziata dal viso grazioso detto “’o bellillo”».



Costantino Iacomino “capaianca” “testa bianca”

G 66 «Costantino Iacomino “capaianca” per i capelli bianchi che gli spuntarono prestissimo in testa».



Michele Zagaria “capastorta” “testa storta”

G 227 «Michele Zagara, il boss manager di Casapesenna, detto “capastorta” per l’irregolarità del suo viso».

Vincenzo Benitozzi “Cicciobello”

G 67 «Vincenzo Benitozzi con un viso tondo veniva chiamato “Cicciobello”».



Giovanni Birra “’a mazza” antr. “la mazza”

G 66 «Giovanni Birra “’a mazza” per il corpo secco e lungo».



Rosario Privato detto “mignolino”

G 66 «Rosario Privato “mignolino”».



Nicola Pianese “’o mussuto” “il baccalà”

G 66 «Nicola Pianese chiamato “’o mussuto” ossia il baccalà per la sua pelle bianchissima».



Dario De Simone “’o nano”. “il nano”

G 66 «Dario De Simone “’o nano” il nano».



Francesco Barone “’o russo” “il rosso”

G 111 «Il 15 gennaio sparano in pieno viso a Carmela Attrice, madre dello scissionista Francesco Barone, “’o russo”».



Gennaro Notturno detto “Saracino”



Ciro Mazzarella “’o scellone” antr. “uomo dalle scapole sporgenti”

G 66 «Ciro Mazzarella “’o scellone” dalle scapole visibili».




3. età dell’uomo



Arturo Graziano “guaglione” “ragazzo”

G 164 «Il corteo raggiunse la frazione Brosago sfilando davanti all’abitazione di Arturo Graziano, detto “guaglione”».



Antonio Iovine “’o ninno” “il neonato, il bimbo piccolo”

G 227 «Antonio Iovine, detto “’o ninno” ossia il poppante, perché raggiunse i vertici del clan ancora ragazzino».



Maria “’a piccerella” “la piccolina, la bambina”

G 59 «Ma era Maria detta “’a piccerella” che deteneva il potere economico del clan».



Raffaele Amato “’a vicchiarella” “la vecchietta”

G 86 «Raffaele Amato “’a vicchiarella”, il responsabile delle piazze spagnole».




4. animalia



Carmine “’o lione” “il leone”



Nunzio De Falco “’o lupo” “il lupo”

G 261 «Nunzio De Falco ha il suo soprannome stampato in faccia. Ha davvero la faccia del lupo. La foto segnaletica è riempita verticalmente dal viso lungo coperto da una barba rada e ispida come un tappeto d’aghi, e orecchie a punta. Capelli crespi, pelle scura e bocca triangolare. Sembra proprio uno di quei licantropi da iconografia horror».



Pasquale Barra “’o nimale” “l’animale, la bestia”

G 146 «Da anni non si vedevano più omicidi con così tanta diligente e sanguinaria volontà simbolica: con la fine del potere di Cutolo e del suo killer Pasquale Barra detto “’o nimale” famoso per aver ucciso in carcere Francis Turatello, e azzannato il cuore dopo averglielo strappato dal petto con le mani».



Gennaro “’a scigna” “la scimmia”

G 58 «Gennaro Licciardi “’a scigna”: è stato lui il primo boss che ha determinato la metamorfosi

di Secondigliano. Fisicamente somigliava

davvero a un gorilla o a un orango».



Antonio Ferrara “’o tavano” “la zanzara, il tafano”

G 74 «Antonio Ferrara, detto “’o tavano”».




5. espressioni onomatopeiche



Agostino Tardi detto “picc pocc”

G 66 «Poi ci sono contronomi dovuti a espressioni onomatopeiche intraducibili come Agostino Tardi detto “picc pocc”».



Domenico di Ronza detto “scipp scipp”

G 67 «Domenico di Ronza “scipp scipp”».



Famiglia Aversano detta “zig zag”

G 67 «Gli Aversano detti “zig zag”».



Raffaele Giuliano detto “’o zuì”

G 67 «Raffaele Giuliano “’o zuì”».



Antonio Bifone detto “zuzù”

G 67 «Antonio Bifone “zuzù”».




6. passioni alimentari e di costume



Tonino detto “Kit Kat”

G 118 «Si chiamava Tonino Kit Kat, perché divorava quintali di snack».



Antonio Di Vicino detto “lemon”

G 67 «Gli è bastato ordinare spesso la stessa bevanda e Antonio Di Vicino è divenuto “lemon”».



Paolo Di Lauro “Ciruzzo ’o milionario” antr. “Ciruzzo il milionario”

G 65 «Paolo Di Lauro è stato ribattezzato “Ciruzzo ’o milionario” dal boss Luigi Giuliano che lo vide una sera presentarsi al tavolo da poker mentre lasciava cadere dalle tasche decine di biglietti da centomila lire. Giuliano esclamò: «e chi è venuto, Ciruzzo ’o milionario?». Un nome uscito in una serata brilla, un attimo, una trovata giusta».



Antonio Di Biasi detto “pavesino”

G 66 «Antonio Di Biasi, soprannominato “pavesino” perché quando usciva a fare operazioni militari si portava sempre dietro i biscotti pavesini da sgranocchiare».



Nicola Luongo “’o wrangler” “il wrangler”

G 66 «Ci sono soprannomi dovuti alle passioni dei singoli camorristi come Nicola Luongo, detto “’o wrangler”, un affiliato fissato con i fuoristrada Wrangler, divenuti veri e propri modelli prediletti dagli uomini del Sistema».





7. comportamenti e carattere



Francesco Bidognetti detto “Cicciotto di Mezzanotte”

G 67 «Il boss Francesco Bidognetti è conosciuto come “Cicciotto di Mezzanotte”, un contronome nato dal fatto che chiunque si fosse frapposto tra lui e un suo affare avrebbe visto calare su di sé la mezzanotte anche all’alba».



Gennaro Lauro “’o diciassette” “il diciassette”

G 67 «Gennaro Lauro, forse per il numero civico dove abitava, detto “’o diciassette”».



Gennaro Di Chiara “file scupierto” “filo scoperto”

G 66 «Gennaro Di Chiara che scattava violentemente ogni qual volta qualcuno gli toccava il viso era detto “file scupierto”, filo scoperto».



Vincenzo De Falco “’o fuggiasco” “il fuggiasco”

G 213 «Nel 1990 ci furono diverse riunioni dei dirigenti casalesi. A una fu invitato anche Vincenzo De Falco, soprannominato “’o fuggiasco”».



Ciro Monteriso “’o mago” antr. “il mago”

G 66 «Ciro Monteriso “’o mago” per chissà quale ragione».



Antonio Spavone “’o malommo” “l’uomo cattivo, feroce”



Carmine Alfieri “’o ntufato” “l’arrabbiato”

G 65 «Carmine Alfieri “’o ntufato”, l’arrabbiato, il boss della Nuova Famiglia, venne chiamato così per il ghigno di insoddisfazione e rabbia sempre presente sul suo viso».



Vincenzo Mazzarella “’o pazzo” “il pazzo”



Carmine Di Girolamo “’o sbirro” “il poliziotto”

G 66 «E poi Carmine Di Girolamo detto “’o sbirro” per la capacità di coinvolgere nelle sue operazioni poliziotti e carabinieri».



Nando Emolo “’o schizzato” “nevrastenico, squilibrato”

G 74 «Nando Emolo, detto “’o schizzato”».



Antonio Di Fraia detto “’u urpachiello” “il frustino”

G 66 «Antonio Di Fraia detto “’u urpachiello” un termine che sta per frustino, di quelli ricavati essiccando il pene dell’asino».




8. ereditari



Marino Fabbrocino “’o graunar” “ il carbonaio”

G 66 «Mario Fabbrocino detto “’o graunar”, il carbonaio: i suoi avi vendevano il carbone e tanto era bastato per definire il boss che aveva ncolonizzato l’Argentina con i capitali della camorra vesuviana».



Vincenzo Esposito detto “il principino”

G 60 «Vincenzo Esposito lo chiamavano “il principino” per il suo essere nipote dei sovrani di Secondigliano».



Giovanni Aprea “punt ’e curtiello” “punta di coltello”

G 67 «Giovanni Aprea “punt ’e curtiello” perché il nonno, nel 1974, partecipò al film di Pasquale Squitieri I guappi, interpretando il ruolo del vecchio camorrista che allenava i “guaglioni” a tirare di coltello».





9. soprannomi di famiglia



Famiglia La Monica “Gli anielli”

G148 «Aniello La Monica era il patriarca della famiglia, per anni nel quartiere hanno chiamato i La Monica gli “anielli”».



Famiglia Lo Russo “I capitoni”

G 66 «I Lo Russo definiti “i capitoni”».





Famiglia Mallardo “I Carlantoni”

G 66 «I Mallardo i “Carlantoni”».



Clan dei “Chiuovi” “Chiodi”

G 283 «Antonio Bardellino aveva da ragazzo preso il posto del padre divenendo il leader assoluto del clan dei “Chiuovi”, come li chiamavano a Mondragone».



Famiglia Belforte “I Mazzacane”

G 66 «I Belforte i “Mazzacane”».



Famiglia De Simone detta “quaglia quaglia”

G 67 «La famiglia De Simone detta “quaglia quaglia”».



Famiglia Piccolo “I Quaqquaroni”

G 66 «I Piccolo i “Quaqquaroni”, vecchi nomi dei ceppi di famiglia».



Famiglia Gionta “I valentini”

G148 «I Gionta di Torre Annunziata venivano chiamati i “valentini” dal boss ValentinoGionta».





10. personaggi televisivi e cinematografici





Pietro Esposito “Kojak”- perché calvo come l’attore dell’omonimo telefilm



Gennaro e Gaetano Marino detti “I Mckay”

G 80 «Gennaro e suo fratello Gaetano sono detti i Mckay. Tutto è dovuto alla somiglianza che il padre aveva con lo sceriffo Zeb Mckay del telefilm Alla conquista del West».



Vincenza Di Domenico detta “Nikita”

G 274 «Una donna dei Quartieri Spagnoli, Vincenza Di Domenico, per un breve periodo collaboratrice di giustizia, aveva un soprannome eloquente, Nikita, come l’eroina killer del film di Luc Besson».



Pikachu – dal personaggio dei Pokemon, i cartoni animati giapponesi

G 115 «Il ragazzino si presentò con il soprannome. Gli veniva dai Pokemon, i cartoni animati giapponesi. Il ragazzino era biondo e chiatto, quanto bastava per ribattezzarlo Pikachu».



Giuseppe Mancone detto “Rambo”

G 305 «Dopo il pentimento di Augusto, il nuovo boss Luigi Frugnoli sempre fedelissimo dei La Torre iniziò ad avere problemi con alcuni affiliati come Giuseppe Mancone detto “Rambo”. Vaga somiglianza con Stallone, corpo pompato in palestra, stava mettendo su una piazza di spaccio che in breve l’avrebbe portato a essere un riferimento importante, e di lì a poco poteva scalciare i vecchi boss ormai con un carisma in frantumi dopo il pentimento».



Francesco Schiavone detto “Sandokan”

G 67 «Ci sono invece contronomi calibrati che possono fare la fortuna o sfortuna mediatica di un boss come quello celebre di Francesco Schiavone detto Sandokan, un contronome feroce scelto per la sua somiglianza con Kabir Bedi, l’attore che interpretò l’eroe salgariano».



Giuseppe Gala detto “showman”

G 61 «Giuseppe Gala detto “showman” era diventato uno dei più apprezzati e richiesti agenti nel business alimentare».



Ferdinando Bizzarro detto “zio Fester”

G 88 «Uno dei primi obiettivi fu Ferdinando Bizzarro, “zio Fester” come il personaggio calvo, basso e viscido della Famiglia Addams».



Pasquale Tavoletta detto “Zorro”

G 67 «Pasquale Tavoletta detto Zorro per la sua somiglianza, a sua volta, con l’attore del telefilm televisivo».




11. figure di potere



Luigi Vollaro “’o califfo” antr. “il califfo” – titolo del capo supremo dell’Islam.

C 281 «Mentre Luigi Vollaro, detto “’o califfo”, possedeva una tela del suo prediletto Botticelli».



Vincenzo Carobene detto “Gheddafi”

G 67 «Vincenzo Carobene detto “Gheddafi” per la sua straordinaria somiglianza con il figlio del generale libico».



Pietro Licciardi detto “l’imperatore romano”

C 59 «Pietro Licciardi aveva un profilo da manager, ed era chiamato dagli imprenditori suoi alleati “l’imperatore romano” per il suo atteggiamento autoritario e tracotante nel credere l’intero globo un’estensione di Secondigliano».



Mario Schiavone detto “Menelik”

G 67 «Mario Schiavone chiamato “Menelik” come il famoso imperatore etiope che si oppose alle truppe italiane».



Francesco Verde “’o negus” antr. “il negus”

G 67 «Francesco Verde alias “’o negus” come l’imperatore di Etiopia per la sua ieraticità e per il suo essere boss da lungo tempo».



Luigi Giuliano “’o re” antr. “il re”

G 67 «Luigi Giuliano “’o re”, detto anche Lovigino, contronome ispirato dalle sue amanti americane che nell’intimità gli sussurravano “I love Luigino”. Da qui Lovigino.»



Raffaele Barbato detto “Rockefeller”

G 288 «Ma la potenza internazionale partita da Mondragone era personificata anche da Rockefeller. Lo chiamano così in paese per l’evidente talento negli affari e per la mole di liquidità che possiede. Rockefeller è Raffaele Barbato, sessantadue anni, nato a Mondragone».




tratto da Biblioteca digitale sulla camorra
 
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QUANDO CHIAMBRETTI INCONTRO' IL CAMORRISTA NUVOLETTA


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Era il 1993 quando Piero Chiambretti, reporter del Tg Zero della terza rete corre per i corridoi di Castelcapuano intervistando tutti alla sua maniera, faccia tosta e domande provocatorie. Si stava svolgendo un processo sul voto di scambio, il dibattimento è contro il boss Lorenzo Nuvoletta in sedia a rotelle per una malattia.
Napoli non è Milano e può anche accadere di imbattersi in tipi poco inclini alle battute: si sparge in fretta la voce di un aspro faccia a faccia tra Piero il provocatore e il boss della camorra Lorenzo Nuvoletta, padrino di Marano e proconsole di Cosa nostra in Campania.Secondo alcuni testimoni Chiambretti avrebbe detto al padrino di Marano: "Scusi, è lei Nuvoletta Lorenzo?"; don Lorenzo gli avrebbe risposto a muso duro: "E lei per quanto tempo vuol continuare ad essere Chiambretti?". Le telecamere furono subito chiuse e il servizio non ando' in onda.
 
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ERNESTO CACIALLI: ha sfornato pizze a Seul, New York, Tokyo, New Jersey, Barcellona, Parigi, Bruxelles, Cork, Las Vegas

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La storia di Ernesto Cacialli (Napoli, 2 novembre 1949 – Napoli, 23 novembre 2009) è quella di un napoletano che all'eta' di 6 anni faceva lo strillone nei pressi di una pizzeria, a 12 fu promosso apprendista pizzaiolo, a 15 anni passò a lavorare all'impastatrice e a formare i suoi primi panetti per la pizza. L'anno successivo venne promosso pizzaiolo presso la pizzeria "Nazionale". A 17 anni lavorò con la pizzeria "dei tre santi" al Rione Sanità, dai 18 anni fino al 1979, a 30 anni, fu capo pizzaiolo nella pizzeria "Di Matteo" ai Tribunali. Dal 1980 a tutto l'anno 2001, fu socio con la mansione di responsabile dell'intera azienda, sia per il reparto pizzeria che per quello friggitoria. Curò per la seconda decade (1990/2001) anche gli acquisti e le pubbliche relazioni. Nel 1994 in occasione del G7 a Napoli, ricevette la visita del Presidente degli Stati Uniti d'America Bill Clinton che, con tutto il suo staff di circa 70 persone, gustò una pizza preparata proprio da lui [1]. Fu allora che Ernesto divenne noto come il "Pizzaiolo del Presidente". Dopo qualche anno, dal giugno del 2001, intraprese l'attività in forma autonoma aprendo una pizzeria tutta sua sempre nella storica Via dei Tribunali denominata, per l'appunto, "Il Pizzaiolo del Presidente". È scomparso il 23 novembre 2009, a soli 60 anni, stroncato da un male incurabile. I figli proseguono la sua attività mantenendone le tradizioni. Il primogenito Vincenzo ha ereditato la pizzeria del padre mentre altri gli altri due figli, Luigi e Maria, hanno aperto nelle vicinanze altre due pizzerie, alle quali hanno dato rispettivamente il nome "Il figlio del Presidente" e "La figlia del Presidente".
Chiamato a mostrare la sua arte praticamente in tutto il mondo, ha sfornato pizze a Seul, New York, Tokyo, New Jersey, Barcellona, Parigi, Bruxelles, Cork, Las Vegas ed ancora Roma, Brindisi, Bologna. Nel 1994, dopo che ricevette la visita del presidente americano Bill Clinton

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che era in città per il vertice G7, qualche settimana dopo fu ospite in studio della trasmissione televisiva Quelli che... il calcio. Nel 2008 ha ricevuto i suoi più importanti riconoscimenti: partecipa alla sezione gastronomica del convegno «Etica & Estetica», servendo una pizza a Fredy Girardet , ed è stato il pizzaiolo ufficiale di "stravaganze mediterranee", raduno mondiale dei 20 migliori chef che si sono incontrati a Nerano, dove ha sfornato per chef come Ferran Adrià e Alain Passard .
E' morto a Napoli, 23 novembre 2009.


LIA FLIRT UN 'EMIGRANTE AL CONTRARIO.UNA NAPOLETANA D'ADOZIONE DAL TRAGICO DESTINO

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Nasce a Udine nel 1908, il suo vero nome era Rosa Cork .debutta nel varietà giovanissima, esibendosi in piccoli club e circoli della sua regione. A 20 anni ha la possibilità di cantare a Napoli in uno spettacolo di Arte Varia al Teatro Sannazaro. Il concerto è ben accolto da un pubblico catturato dalla sua voce espressiva e dalla gentile comunicativa. Questa accoglienza meraviglia e nello stesso tempo entusiasma Lia che decide di fermarsi definitivamente nella città canora.
Non ha nulla della sciantosa, della vamp, della rovinatrice di famiglie. Al contrario, è sempre molto garbata con tutti e sul palcoscenico non è mai volgare .
Tra il 1928 ed il 1930, Lia riesce a guadagnarsi da vivere esibendosi in locali di second'ordine, ma la classe e la delicata voce della cantante è notata dagli impresari napoletani che decidono in fretta il suo futuro canoro. Il debutto ufficiale di Lia avviene nel 1931, voluta da Libero Bovio, per rappresentare le canzoni in lingua dell'audizione musicale Santa Lucia che si disputa al Teatro Politeama di Napoli. Lia, nonostante fosse una novità assoluta, riesce a mettersi bene in evidenza in un cast formato da cantanti di prim'ordine: Tina Castigliana, Anna Fougez, Ada Algisi, Luisella Viviani, Vittorio Parisi, Salvatore Papaccio, Ettore Fiorgenti e altri. Un'importante esordio per la Flirt, grazie al quale si dischiudono le porte delle più importanti case editrici del periodo. Nel 1935 Lia è notata dal cantautore Armando Gill, il quale le offre il ruolo di prima donna nella sua Compagnia Musicale. La cantante accetta senza indugi, giacché la proposta di Gill, oltre che gratificare il suo curriculum, le dà la possibilità di debuttare a teatro.
Nel 1936, in crescendo di popolarità, l'artista trova, finalmente, il successo musicale con le canzoni "Contadinella bionda". Un successo inarrestabile il suo. Il pubblico l'amava per la sua modestia e la sua bonta' d'animo. Ma un tragico destino era alle porte. La sera del 13 settembre 1943 un terribile bombardamento aereo miete non poche vittime nel quartiere Santa Lucia. Lia, che abita in zona, precisamente all'Hotel De Russie, è sorpresa nel sonno e muore tragicamente schiacciata dal crollo dell'edificio, con la testa, mai più ritrovata, staccata dal corpo


Edited by Pulcinella291 - 24/9/2012, 12:06
 
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GLI ULTIMI GIORNI DELLA VITA DI ENRICO CARUSO


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Enrico Caruso sulla terrazza dell'Hotel Vittoria a Sorrento, qualche giorno prima della sua morte.


Nel 1920, durante la rappresentazione "Elisir d'amore" alla Musical Academy di Brooklyn, Caruso è colpito da un'emorragia, primo sintomo del suo male. E' inevitabile un intervento chirurgico, seguito da una necessaria convalescenza. Caruso approfitta, così, di questo stop per ritornare, nel giugno del 1921, a Napoli, stabilendosi per un breve periodo a Sorrento .
Durante questo soggiorno Caruso recupera in breve, tanto che alcuni ricordano un simpatico episodio accaduto all'Hotel Royal di Sorrento. Durante il pranzo, per annunciare la sua completa guarigione, Caruso emette dei formidabili "do" di petto, mandando in visibilio tutti i clienti del ristorante.

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Pochi giorni prima della morte, il tenore si reca a Pompei a ringraziare la Vergine, cui ha chiesto la guarigione nei momenti più terribili della sua malattia. Caruso lascia alla Vergine 10.000 lire e promette di prendere parte ad un concerto di musica sacra. Poi ritorna a Sorrento e qui, il 26 luglio del 1921, è nuovamente assalito da un altro attacco, cui segue un delirio da febbre.
Così la signora Caruso telegrafa al Prof. Bastianelli di Roma, invitandolo a Sorrento per un consiglio medico. Quest'ultimo, arrivato dopo tre giorni a Sorrento, dichiara, dopo la visita, che la febbre è sintomo dell'improvviso incrudelirsi del male che, a torto, è stato creduto vinto, consigliando, senz'altro, l'atto operatorio.
Il 30 luglio è stabilito che Caruso sia trasportato a Napoli all'hotel Vesuvio, dove, riposatosi un giorno, avrebbe proseguito per Roma per una nuova operazione. Ma il giorno della partenza (31 luglio) le condizioni del tenore si aggravano improvvisamente. Visitato dal medico curante, dott. Niola, le cose non sembrano andare per il verso giusto, cosicché è chiamato all'Hotel Vesuvio, per interessamento dell'amico-collega il M° Bellezza, il prof. Giacomo Cicconardi, il quale, dopo la visita, dichiara assai grave lo stato di saluto del tenore, consigliando un immediato intervento chirurgico.

Così, il giorno dopo, alle ore 21, arrivano all'Hotel i chirurghi Gaetano Sorge, Raffaele Chiarolanza, Gaetano Moscati e Gennaro Sodo. Dopo il consulto tutti sono d'accordo nel definire il male che mira da lungo tempo la vita di Caruso come "ascesso" sub-frenico, ossia la formazione di un raccolto suppurativo tra il diaframma e il fegato, con fenomeni peritonistici settici e cardiaci. Nessuno dei quattro chirurghi lascia speranze di salvezza, vista la condizione di Caruso (molto debole il cuore, quasi nullo il polso) e consigliano di lasciare inoperosa la notte, durante la quale l'infermiere avrebbe confortato Caruso con inalazioni d'ossigeno (vista la respirazione assai faticosa) e siringhe d'olio canforato. Ritornati a casa, il prof. Gaetano Sorge è raggiunto da un giornalista del quotidiano "Il Mattino" e rilascia una breve intervista (riportata qui di seguito).

- Professore, sono realmente gravi le condizioni di Caruso?
- Purtroppo il nuovo raccolto suppurativo ha trovato nell'organismo, già troppe volte provato, un'assai debole resistenza: sì che la situazione è più che preoccupante.

- Ma come spiega lei questo improvviso e violento riapparire del male creduto vinto?
- Ecco! Io credo, e con me i valorosi colleghi che hanno preso parte al consulto, che Caruso non sia stato mai ben curato. La violenta e lunga pleurite che egli ebbe ne prostrò la resistenza. Inoltre, manifestatasi in forma grave l'ascesso sub-frenico, i dottori americani non ebbero mai a curarlo radicalmente, ossia ad operare in modo da ottenere una guarigione radicale. Questa circostanza è provata dal fatto che Enrico Caruso era vittima di fatali riprese che esigevano nuovi interventi chirurgici. E così egli fu sottoposto per ben sette volte ad atti operatori. Ultimamente egli attraversava periodi di riprese, non violente, e periodi di tregua, durante i quali il miglioramento era soltanto apparente: viceversa, proprio durante tale tempo si riformava il raccolto suppurativo. La ripresa odierna è stata assai più violenta delle precedenti: Caruso attraversava un periodo più lungo di miglioria apparente, durante il quale egli, forse, si è sottoposto ad un regime faticoso che ha contribuito a rendere più sensibile l'indebolimento dell'organismo.

- E lei, professore, spera che dietro l'intervento chirurgico si possano ottenere efficaci risultati?
- (Non risponde immediatamente, poi dopo un sospiro) Quando le condizioni di un infermo sono assai gravi si tentano le vie uniche ed ultime che la scienza sa suggerirci.

Il giornalista, lasciato il dott. Sorge, raggiunge verso mezzanotte l'altro chirurgo Raffaele Chiarolanza, il quale conferma in pieno le dichiarazioni di Gaetano Sorge e conferma l'atto operatorio dei quattro alle ore 8 del 2 agosto all'Hotel Vesuvio. Chiarolanza, inoltre, aggiunge che l'atto operativo del mattino dopo sarebbe, in ogni caso, fatale per Caruso. Caruso trascorre la notte tra smanie indicibili. Al suo capezzale veglia il fratello Giovanni, alcuni amici intimi ed i due medici, pronti ad intervenire con punture ed inalazioni d'ossigeno. All'alba le condizioni di Caruso peggiorano. Alle ore sette arrivano Sorge, Moscati, Chiarolanza e Sodo, che si sono dati convegno alle otto per tentare l'operazione. Ma, brevemente, essi costatano che le condizioni di Caruso non consentono l'intervento chirurgico. Infatti, alle ore 9.07 Caruso, tra lo strazio di coloro che lo circondano, cessa di vivere.

Lo strazio dei presenti è indescrivibile; il fratello , pazzo dal dolore, bacia più volte la salma dalla quale non vuole distaccarsi. Soltanto la fermezza di alcuni amici ha potuto allontanarlo nella stanza attigua. La salma è stato composto nello stesso letto nel quale Caruso si trova. Il volto ha un'espressione di serenità e non presenta nessuna traccia delle sofferenze subite. Intorno al viso è attaccata una fascia bianca che tiene chiusa la bocca. Ai piedi del letto un reverendo pronuncia le orazioni dei defunti. Alle 9,30 incominciano ad arrivare all'hotel Vesuvio i parenti del tenore, cui la triste notizia è stata comunicata telegraficamente. Alla signora Caruso la notizia è comunicata, con grande cautela, dal cognato Giovanni. La morte di Caruso si diffonde in un baleno per tutta la città ed alle ore 10,30 nell'atrio dell'hotel, già è presente una piccola folla di amici e di ammiratori. Il salottino affianco alla camera dove è morto Caruso, è trasformato in camera ardente. Il letto è al centro e quattro grossi ceri ardono all'intorno, piante e fiori sono sparse a profusione per ogni angolo. Ai piedi del letto otto monache elisabettiane pronunciano le orazioni dei defunti. Nell'attesa di organizzare i funerali, i familiari annunciano ai giornalisti che, per espresso desiderio dell'estinto, la salma di Enrico Caruso sarà imbalsamata.

La notizia della morte di Enrico Caruso è immediatamente telegrafata in America, a Firenze dove Caruso ha larghe proprietà e nei principali centri italiani. I familiari non sanno ancora dove trasportare la salma tra la chiesa di San Ferdinando e quella della Madonna delle Grazie. Alla fine le esequie si svolgono, alle ore 11 del 3 agosto, nella chiesa di San Francesco di Paola, dove il tenore Fernando De Lucia canta in sua memoria. Se l'Italia commemora Caruso con De Lucia, l'America lo ricorda con il tenore Eduardo Cianelli, il quale incide il 78g "Caruso miez'a li angeli" di Esposito-Gioie (la coppia d'autori che due anni prima hanno ceduto a Caruso il suo ultimo successo in dialetto napoletano).



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I funerali furono celebrati in una Piazza del Plebiscito stracolma.Alla messa funebre di Caruso, alla Chiesa di San Francesco di Paola, De Lucia, rivale e amico di caruso ,cantò Pietà, Signore di Niedermeyer (fu prima interpellata Luisa Tetrazzini, ma la Chiesa vietò l'esibizione di una donna).
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Giovanni Battista Della Porta :un grande studioso , affermo' di avere potere sugli spiriti maligni

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Giovanni Battista Della Porta (Vico Equense, 1º novembre 1535 – Napoli, 4 febbraio 1615) è stato un filosofo, alchimista e commediografo italiano.

Nato da una famiglia agiata,dimostrò immediatamente le sue notevoli innate capacità, che poté sviluppare attraverso gli studi . Nel 1563 pubblicò un'opera di crittografia, il De Furtivis Literarum Notis, nel quale descrive il primo esempio di sostituzione poligrafica cifrata con accenni al concetto di sostituzione polialfabetica. Per quest'opera è ritenuto il maggiore crittografo del Rinascimento.
Negli stessi anni Della Porta scrisse anche un trattato, il De humana physiognomonia, sulle relazioni tra i lineamenti del volto ed il carattere di un individuo, che però non riceverà il permesso per la pubblicazione fino al 1586. Nel 1585 Sisto V emanò una bolla sulla questione della magia e non passò molto tempo prima che l'Inquisizione si interessasse a Della Porta, che nel frattempo tornato a Napoli. Egli infatti non smentì mai le voci secondo cui, nel De furtivi literarum notis, egli aveva affermato di avere potere sugli spiriti maligni.Della Porta fu esplicitamente accusato di avere istigato alle arti occulte già nel Magia naturalis. Ciononostante l'Inquisizione, probabilmente anche grazie all’intercessione del cardinale D'Este, non arrecò serio danno a Della Porta, limitandosi ad ordinare che non pubblicasse "giudicii astronomici".
personaggio poliedrico che si occupava di matematica e fisica, oltre che di teologia, lettere ed astronomia. Nel frattempo però l'Inquisizione (con cui peraltro Campanella aveva già una posizione difficile), d'accordo con il governo veneto, proibì la pubblicazione della Fisionomia umana, traduzione in volgare di De humana physognomonia, e stabilì che il permesso per la pubblicazione di successive opere dovesse essere richiesto direttamente a Roma (dove Della Porta non godeva più della protezione del cardinale d'Este, morto alcuni anni prima, nel 1587.Ormai la sua fama era tale che si dice fosse ritenuto, insieme ai bagni termali di Pozzuoli, la principale attrazione per i visitatori di Napoli. Quando, l'anno successivo, si diffuse la notizia dell'invenzione del cannocchiale da parte di Galileo, Della Porta protestò, attribuendosi la paternità dell'opera.Anche Keplero gli diede ragione, ma comunque Della Porta stesso riconobbe che Galileo aveva contribuito al miglioramento dello strumento con importanti modifiche.
 
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view post Posted on 3/10/2012, 07:00
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Mario Castellani la mitica spalla, ci racconta qualcosa di Toto'
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Toto' si prendeva spesso in giro
Totò ha speso un patrimonio perché gli fossero riconosciuti i suoi titoli nobiliari di principe bizantino. Quello della nobiltà era un tasto che non si poteva toccare con lui. Guai, poi, a mettere in dubbio la sua legittima discendenza dall'imperatore Costantino.
Eppure, più di una volta, l'ho sorpreso mentre si prendeva cordialmente in giro. Di regola, questo accadeva dopo lo spettacolo, quando si liberava dei panni del comico snodabile e diventava il principe di Bisanzio. Esattamente, lo sfottò scattava in quei pochi minuti in cui non era più Totò ma non era ancora rientrato del tutto nei panni del principe. (. . .) Si metteva davanti allo specchio con una faccia serissima e rimaneva per un lungo istante a contemplarsi. Poi, tutto d'un colpo, faceva uno sberleffo alla propria immagine ed esclamava: « Ehi, signor principe, è inutile che si dia tante arie e snobbi il povero Totò: si ricordi che è Totò che dà da mangiare al principe, e non viceversa». (. . .)

Totò era il re della superstizione
La sua «testa di turco» era il numero 13, che nella classica Smorfia di Tommaso Pironti, famosissima a Napoli, significa tre cose: « la morte», « Sant' Antonio di Padova» e « il principe». Totò impazziva al solo vedere un cartello col numero 13.
A questo proposito, devo raccontare l'incredibile avventura che ci capitò nell'immediato dopoguerra, quando andammo a Parigi su invito dell'impresario Remigio Paone. Dovevarho vedere il balletto delle Bluebell, di cui si diceva un gran bene, e decidere se scritturarlo o meno.
Totò e io partimmo da Milano, in vagone letto. Purtroppo gli era stato riservato il letto numero 13. Per evitare un trauma a Totò, prima di salire nella vettura avvicinai il controllore e lo pregai di staccare il cartellino col numero fatale. La richiesta fu esaudita. Partimmo senza intoppi alla volta di Parigi.
Qui scendemmo in un albergo di lusso, dove Totò si era fatto riservare un appartamento principesco, con saloni enormi. «Che dobbiamo farci qui dentro? », mi stupii. Lui rise e mi mostrò il portafogli: si era portato appresso una quindicina di milioni. « li vedi questi? », mi disse. « Li spendiamo tutti. Eh, Parigi è Parigi! Ci dobbiamo divertire, crepi l'avarizia! ».
Avevamo in programma di fermarci nella capitale francese quindici giorni. Per questo ce la prendemmo comoda, rimanendo in albergo a riposarci. Ma la mattina dopo, alzandosi, Totò scoprì di non sentirsi molto bene.
Uno starnuto improvviso fu il segnale d'allarme. Suonò per la cameriera, e la ragazza, osservandolo, gli disse che a Parigi c'era un po' di grippe (influenza) in giro. Quella parola straniera lo spaventò a morte. In pigiama si precipitò nella mia camera. «Sto male. Molto male», mi comunicò.
Cercai di rassicurarlo, e intanto mandai a comprare un termometro. Risultò che aveva appena un paio di lineette, una sciocchezza che bastava una compressa qualunque per fargliela passare. Lui, invece, si ostinò a immaginarsi sull'orlo della tomba. « Mi dispiace tanto, ma non potremo divertirci », disse: «dobbiamo tornare subito in Italia. Voglio morire a Roma, nel mio letto». Non ci fu verso di dissuaderlo. Si fece portare i pasti in camera e non uscì dall'albergo che per trasferirsi alla stazione. Il regalo che aveva promesso alla moglie e alla figlia me lo fece acquistare nel negozio che c'era nell'hotel. Tra l'altro, non si fidava dei medici francesi. «Sono stranieri, cosa vuoi che capiscano dei miei mali? », diceva.
Uscì da quella specie di tetro letargo in cui era caduto solo quando si ritrovò sul treno che lo riportava in Patria. Qui ebbe un sorriso e mi batté una pacca sulla spalla:
«Vi eravate messi d'accordo per farmi fesso, eh? », esclamò. «Credevate che non mi fossi accorto che il mio letto portava il numero 13? lo vi ho dato corda, ma quel fetentone si è vendicato alla sua maniera. La prossima volta guardatevi bene dal fare i furbi: con la jettatura bisogna sempre venire a patti, oppure combatterla a carte scoperte ».
Detto questo si rilassò, e dormì saporitamente per tutto il viaggio. La nostra avventura a Parigi era durata soltanto tre giorni sprecati per niente.

Toto' recitava senza copione
Totò era un istintivo, un improvvisatore nato. Il copione, per lui, doveva rappresentare appena una traccia, un punto di partenza e basta. In rivista, dove io facevo il direttore artistico, lui veniva, e piuttosto svogliato, solo i primi giorni di prova, poi scompariva dalla circolazione ed era inutile cercarlo. Si rifaceva vivo quando si stava per andare in scena e allora in quattro e quattr' otto si aggiornava su quello che doveva fare.
Ma la verità è che le cose migliori gli venivano spontanee di farle solo sul palcoscenico, sotto la spinta del pubblico. Insomma, quella di Totò era una forma di comicità tutta speciale, assolutamente unica nel suo genere e perciò irripetibile. In genere, lui lavorava di contropiede, afferrando di rimbalzo battute e situazioni che gli venivano offerte dalla sua « spalla». Se il gioco attaccava, allora si scatenava sull'onda del consenso del pubblico ed infilava tutta una serie di invenzioni di cui sul copione non c'era il benché minimo accenno.
Uno dei suoi sketch più famosi è quello del vagone-letto, che ha fatto sbellicare dalle risate le platee di tutta Italia. Ebbene, nella rivista di Galdieri in cui era inserito, era accennata soltanto la situazione: due uomini nella cabina e una donna che chiede ospitalità per la notte.
La prima volta che lo facemmo, questo sketch durava una decina di minuti; le ultime volte siamo arrivati a tenerlo in piedi quasi un' ora, col pubblico che ci seguiva col fiato sospeso. In seguito al rinnovato interesse per la figura e per l'arte di Totò, spesso mi capita di sentirmi chiedere il testo di questo e di altri sketch diventati ormai leggendari. Ma i testi non ci sono. Non ci sono mai stati. Ecco perché l'arte, la vera arte di Totò è scomparsa con lui e i giovani che non hanno avuto la fortuna di vederlo sul palcoscenico non possono ritrovarlo come è stato veramente guardando i suoi film.

Quando Toto' venne picchiato da un partigiano
Come principe di Bisanzio, considerava un suo dovere essere conservatore. Come attore comico, riteneva di avere il diritto a non professare nessuna idea. «Il comico», diceva « deve essere un uomo che esaspera e mette perciò in ridicolo le pagliacciate della vita». Fedele a questo suo principio, quando dopo la liberazione di Roma ci spingemmo verso il Nord e facemmo tappa a Firenze, lui si permise una battuta che rischiò di costargli la pelle.
Successe questo: Totò faceva la macchietta di Napoleone, e a un certo punto un attore gli domandava: «Compagno? ». «No, camarade », rispondeva Totò, storpiando la parola francese in modo che suonasse quasi come l'italiano e fascista « camerata ». L'altro, stupito, chiedeva: « Camarade? ». E Totò: «Va be', fà come vuoi. Camarade o compagno è lo stesso ». Non l'avesse mai detto! L'Italia era ancora divisa dalla linea gotica e Firenze era piena di partigiani. Uno di questi, al termine dello spettacolo si presentò davanti al camerino di Totò con la scusa di volere un autografo. Totò, affabile, venne sulla soglia, pronto a firmare. Con voce sorda, il partigiano gli domandò: « Veramente per lei camerata e compagno è la stessa cosa? ». Preso alla sprovvista, Totò rispose: « Mah, non so... ». Il partigiano non lo lasciò finire: con una mossa fulminea lo colpì con un pugno in piena faccia, spaccandogli le labbra. Per fortuna, c'era parecchia gente che s'intromise, impedendo così all'energumeno di continuare il massacro. Totò, spaventatissimo, corse a denunciare il fatto al commissariato. Il giorno dopo fu chiamato in Questura. «Abbiamo arrestato il suo aggressore », gli comunicò un funzionario. « Non voglio fargli del male », rispose Totò: « se mi chiede scusa, non sporgo querela». Il funzionario suonò il campanello. Arrivò un poliziotto. « Portate qui il detenuto tal dei tali », gli ordinò il funzionario. «Non posso: è appena uscito a prendere un caffè», dichiarò l'interpellato.
Totò chiese di essere protetto. La Questura gli diede due commissari con l'incarico di scortarlo, avvicendandosi, notte e giorno. Una sera Totò e io ci recammo alla radio per trasmettere uno sketch. Mentre attraversavamo un incrocio, Totò ebbe un sobbalzo e mi indicò due uomini che ci venivano incontro: uno era il commissario che doveva scortarlo e l'altro niente meno che il detenuto che era sparito per andare a prendere il caffè. I due camminavano a braccetto e conversavano allegramente.
Defilandosi dietro di me, Totò cambiò strada bruscamente e io subito lo raggiunsi. « Scappiamo! », disse trascinandosi in una corsa pazza. «Firenze è diventata una città irrespirabile, per me. Stammi sempre vicino, e appena torniamo pensa tu a chiudere col teatro. Andiamo via. Cambiamo piazza ». Non ci fu verso di fargli cambiare idea. Abbandonammo Firenze alla chetichella e Totò riacquistò il suo colore naturale solo quando fummo ben lontani dalla città.

 
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view post Posted on 2/3/2022, 21:10
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A parte il titolo della rivista: cosa sappiamo di Monsignor Perrelli?

Si quello dei cavalli, citati spessissimo da mia madre tal quale al ciuccio di Fichella.

Ho trovato qualcosa di interessante, se vi piace ve lo partecipo se no: desisto.






























A part
 
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view post Posted on 2/3/2022, 22:53
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Lo devi fare assolutanente
 
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