Le stronzate di Pulcinella

Dom XXX TO - B

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view post Posted on 23/6/2013, 22:44
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Chi è stato, oggi?



«La gente, chi dice che io sia?...
Ma voi, chi dite che io sia?...
» [da Lc 9.18-20]

Un altro celeberrimo frammento del Vangelo di Luca, oggi viene proposto alla nostra meditazione, ed il fraticello che ci fa l’omelia riesce ad infilarci dentro qualche parola che mi fa riflettere.
Al solito quando incontro la Scrittura: cose arcinote e pure mai completamente svelate:
«Alla sera, quando analizzo la mia giornata, e l’esame di coscienza dovremmo farlo ogni giorno tutti - il fraticello ci fissa tutti con occhio fra l’indagatore e l’incredulo - mi chiedo soprattutto chi, cosa sia stato oggi il Cristo per me. Perché è questo che fa la differenza fa un cristiano ed un non cristiano: il suo rapporto con Gesù».

E poi continua, il predicatore, spiegandoci con parole ed esempi come esistano due Messia.
Erano due al tempo di Gesù, sono due ancora oggi. Un Messia umano, ed un Messia divino.

E ci racconta soprattutto quello umano, quello ad esempio dei discepoli di Emmaus i quali dicono: «Or noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto questo, siamo già al terzo giorno da quando sono avvenute queste cose. (La crocifissione ndA)» [Lc 24,21]
Quei discepoli non pensano alla resurrezione ma solo ad un restauratore della libertà per Israele, cioè ad un Messia vicino, umano, che risolve il loro problema.
E così quaranta giorni dopo la Resurrezione [At 1,6] ancora i discepoli gli chiedono: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?».
Ed ancora, nel brano che leggiamo oggi, la folla dice che Gesù è uno degli antichi profeti risorto oppure Elia... tutti si rifanno all’antico, non riescono ad aprirsi alla Buona Novella.
Questi sono quelli che vedono il Messia umano.

Al Regno di Dio alla salvezza, alla Vita eterna, all’intervento della Misericordia, alla pace ed alla gioia dell’unità fraterna fra gli uomini, in definitiva al «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» [Gv 13,35], non ci arriva che il solo Pietro rispondendo “tu sei il Cristo di Dio”.

E la domanda di Gesù, e le considerazioni del fraticello voglio farmele anch’io, la sera.
Chi è stato per me Cristo oggi?... quello in cui ho sperato per il gratta-e-vinci, quello cui mi sono rivolto per riuscire bene nell’esame, quello cui ho chiesto di farmi guardare con amore da lei, quello a cui ho chiesto la rima giusta per la mia poesia, quello del miracolo del treno che è arrivato puntuale?...
O quello cui mi sono rivolto offrendogli la mia giornata, la mia vita, per associarmi con gioia alla Sua volontà?



Lucio Musto 26 giugno 2013
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Domenica XIII TO - Anno C




Come sempre la lettura, la rilettura delle Sacre Scritture apre nuovi squarci di interesse, motivi di riflessioni, rivela nuove piccole o grandi verità, ti spiega qualche altra cosa che non avevi capito.

I testi proposti oggi dalla Liturgia domenicale alla nostra attenzione sono particolarmente ricchi, in questo senso. Ma io vorrò soffermarmi solo su un punto, forse di mezz’ombra e perciò spesso glissato nelle prediche.

Leggiamo nel Vangelo di Luca che Gesù presa la sua decisione (e quanto importante!) di andare a Gerusalemme, manda davanti a se alcuni suoi discepoli per preparargli l’accoglienza; tappa per tappa, villaggio dopo villaggio. Ma in Samaria, in un villaggio i discepoli furono rifiutati, e:
“ ...«Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal Cielo e li consumi?» . (Gesù) si voltò e li rimproverò” [Lc 9:54-55]

La prima cosa da sottolineare è quello che i discepoli Giacomo e Giovanni hanno capito.
Sono ormai assolutamente convinti della potenza di Gesù, ed essi stessi se ne sentono partecipi, come discepoli ed eredi del Maestro. Ma anche il riconoscimento senza compromessi alla sudditanza al Cristo: “Vuoi che diciamo (noi) che un fuoco consumi questi ostili, ribelli alla tua divinita?”. Il lavoro sono disponibili a farlo loro, aspettano solo il permesso di agire. Nessun dubbio sulla possibilità di farlo, nel nome del Cristo, quasi fosse prassi usuale per un Messia liberatore e vendicatore.

Più importante è sottolineare invece quello che i discepoli “non” hanno capito della missione di Gesù, perché questo è l’insegnamento per noi.
Gesù rimprovera Giovanni e Giacomo perché non hanno ancora realizzato la natura pacifica e libera della Buona Novella. L’aderenza alla Parola è una scelta, non un obbligo. Gesù addita la via della Salvezza, ma nell’assoluto rispetto della discrezionalità di ognuno. Siamo liberi di accogliere il Suo messaggio, o rigettarlo; e non sarà questo motivo di giudizio e di condanna, per noi.

Ne consegue che non saremo giudicati sulla fede, ed in altro posto Gesù lo dice chiaramente, ma sull’amore.
Non sull’astratta accettazione di precetti, siano pure quelli di un Dio incarnato, ma sulla concretezza del nostro agire, in coerenza col nostro sentire più profondo o, il che è lo stesso, in adesione alla stilla di divinità che è in ognuno di noi ovvero, ed è ancora la stessa cosa, il vivere e comportarsi secondo la guida dello Spirito Santo; Paraclito, cioè consolatore, guida, “colui che ci è stato posto vicino”.

Così diventa chiara anche quell’altra espressione apparentemente criptica:
“... «In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna» “ [Mc 3,28-29].
Non potrebbe essere diversamente: le nostre inadempienze verso quei precetti potrebbero derivare da una nostra non condivisione, o non comprensione di quelle buone regole che pure ci furono date per vivere meglio questa nostra esistenza terrena.
La Misericordia Divina è incommensurabile e può perdonare l’inosservanza, e nella natura dell’amore è insito il perdono.
Dio perdona sempre, e sempre rispetta la nostra libertà.
Ma le mancanze di coerenza con noi stessi, proprio in virtù di quell’assoluto rispetto di libertà, non possono, trovare perdono!
In una parola, non è Dio che ci condanna, ma siamo noi da soli, da noi stessi ci condanniamo.

Significativo è quanto recitiamo nel Padre Nostro, nella sua parte più concreta, pratica, quella suggerita dalla parte più “terrena” del Cristo, e per niente misteriosa o incomprensibile:
“... rimetti a noi i nostri debiti così come noi li rimettiamo ai nostri debitori...”
Cosa di più giusto, umano e comprensibile del chiedere di essere giudicati con lo stesso metro con cui noi stessi giudichiamo gli altri?. Chiunque sia ragionevole non può che dichiararsi d’accordo!

Se poi la mia è una scelta di malvagità, è parimenti una scelta di masochismo!


Lucio Musto 1 luglio 2013
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view post Posted on 5/7/2013, 07:24
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OA - Mietitura - 2 luglio 2013

«Hanno iniziato la mietitura!»
Lo ha detto oggi il mio vicino, con quella luce negli occhi che conosco per averla vista altre volte in altri occhi, ma che pur commuovendomi non posso comprendere.

Il mio vicino è ingegnere, ma le sue origini sono contadino ed il suo fondamento è saldamente abbarbicato alla terra, affanno e sostentamento da innumerevoli generazioni.
Io, cittadino solo prestato ai campi arati, non posso capire.

La mietitura, la vendemmia, il raccolto dei frutti della terra, per il contadino è molto più che il riscuotere la paga di un anno di fatica e di sudore; più che una ricchezza che entra nel granaio o nei magazzini. Questi sono momenti di vittoria contro le avversità naturali, per il contadino, contro le malattie, i parassiti, i castighi di Dio lanciati a punire i peccati.
Sono momenti di trionfo del bene sul male, momenti di verifica della Tua benevolenza nei loro confronto, il rinnovarsi di un patto di amicizia, una promessa di futuro benigno.
Il contadino che raccoglie è in pace col mondo, è in catarsi personale, in unione con Te, Signore.

Rigiravo queste cose in mente, stasera, avvicinandomi senza fretta, né temporale né spirituale, alla mia ora di Adorazione Eucaristica. Ro stasera non c’è, e sono in rappresentanza spirituale anche di quella nostra amica recentemente così tanto colpita dal dolore; occorre che la mia meditazione stasera sia piena di Te, e profonda, e bella.
Torno con la mente alla mietitura, che per me certo deve avere altro significato oltre quello semplice della raccolta del grano.

Ripenso ai campi tutt’attorno casa,prima brulli di terra smossa e fino a pochi giorni fa verdeggianti, fruscianti nel vento a sussurrare in onde infinite la preghiera e la promessa. E insieme l’occhio a scrutare il cielo in supplice ansia, che insieme alla pioggia benefica non faccia venir giù burrasca che tutto tempesti e distrugga.
Quindi le spighe turgide, a dare concretezza alla speranza; e il verde, che giustamente l’uomo ha eletto a simbolo di buon auspicio, lentamente trascolora in oro. Tranquillità e ricchezza.

Oggi il grano viene raccolto e trasforma i tuoi doni in pane, vita delle genti.
E penso alla pianta generosa che nell’offrirsi, come corpo del Cristo muore e diventa stoppia.

Quanta similitudine Signore nel Tuo dono al mondo di uno stelo di grano, e della mia esistenza!
Mi hai voluto verde virgulto speranzoso ad assorbire sostanza e coscienza dalle mie radici e crescere vigoroso nel campo degli uomini.
Saprò coagulare la mia vita in un seme prezioso, generosamente essiccando il mio involucro ormai inutile per concentrare nella mia spiga, alimento dell’uomo, tutto il significato di tanti anni vissuti quaggiù? Saprò glorificare col mio oro lo splendore della Tua Creazione?
E ridotto infine paglia e stoppia saprò nel mio esempio concimare il terreno per nuovi steli, quelli che verranno dopo di me?

Questa, Signore, è la mia preghiera di stasera


Lucio Musto 2 luglio 2013
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view post Posted on 12/7/2013, 16:41
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Emmaus



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Oggi parabola di Emmaus.

Due discepoli si allontano da Gerusalemme, sconcertati dalla morte di colui che speravano fosse il Cristo risolutore dei loro problemi, ed increduli della sua resurrezione.
Tanto increduli da non riconoscerlo durante gli undici chilometri di cammino assieme, a piedi…, mentre lui spiega le Scritture e di come si parlasse di lui, e tutto fosse stato già profetizzato
Lo riconosceranno solo più tardi, a cena.

I discepoli siamo noi, che ci allontaniamo dal sacro (Gerusalemme) delusi perché il nostro Dio non si è mostrato come lo avevamo costruito noi, come desideravamo che fosse. Non mi ha fatto avere né il castello, né la limousine, e nemmeno il posto di Direttore Generale e l’ufficio nel grattacielo…

Non ci riesce di immaginare una logica diversa dalla nostra, una differente faccia dell’amore, un amore di donazione invece che di possesso.
Quell’amore che per amore sale sulla croce.
Quello che si sublima nella sconfitta.

E non riusciamo a superare i nostri criteri nemmeno con le dimostrazioni concrete, nemmeno con le evidenze.
Il compagno che ci spiega con le nostre logiche e le nostre certezze, rappresentate nell’episodio con le Scritture, certezza di quegli ebrei, che così deve essere, quale è il giusto ed il bene non ha effetto. Restiamo nelle nostre convinzioni e non riconosciamo la verità.

Tuttavia qualcosa ci turba ed il “resta con noi perché si fa sera”, l’aneddoto ce lo dice a dimostrazione di una qualche inquietudine, la speranza di un evento risolutivo.
Ed ecco nella frazione del pane i discepoli riconoscono il Maestro, che si dissolve alla loro vista. Di nuovo ha dato la sua vita per loro; per un attimo, e subito si è ritratto per lasciarli ancora liberi nella loro libertà.

Ecco il concetto di Miracolo. Quell’evento semplice (lo spezzare il pane a tavola) che chiarisce come un lampo, ed ha più efficacia di tanti lunghi ragionamenti e studi.

E’ l’amore divino che prima ti accompagna per via, sollecitandoti ad arrivare con solo le tue forze alla comprensione della verità, ma anche quando la durezza del cuore te lo ha impedito ugualmente non ti abbandona, ed ancora ti aiuta col miracolo, il gesto illuminante che può illuminarti la via, se solo sei disponibile ad accettarlo.


Lucio Musto 6 aprile 2008
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Volontà di Dio
[tratto da "OA - Grazie - 30 luglio 2013]


... ... ...

Ho letto di Abramo e di Sarai, e del loro cambiar nome in Sara ed Abrahamo. Due nomi di persona che assumono altro significato per tuo ordine: “Principessa” e “Inizio di un grande popolo”. Tu ordinasti, e per fede in Te, sulla Tua parola Abramo cambiò i nomi, rischiando il ridicolo fra la sua gente. Non era di sangue nobile, Sara: non sposa o sorella o figlia o madre di principi. Non aveva un popolo generato da se, Abramo, ma solo le ricchezze di un pastore benestante; e per la tarda età di entrambi la nascita di un figlio era impensabile, a livello umano, ed Ismaele, l’erede, era figlio di schiava.
Ma Abramo, uomo di fede, non esitò. E cambiò i nomi davanti al popolo. Eppure, erano passati già venticinque anni da quando il Signore gli aveva parlato di quel figlio, e di quella discendenza.
Si, una cosa è leggere che Abramo fosse “uomo di fede” ed un’altra è penetrarla, comprenderla come vissuta non “in conseguenza” di un intervento miracoloso, ma “in previsione” di un evento che la mente rifiuta come possibile.
Per tutta la vita Abramo rimase vigile alla parola del Signore, e si trovò pronto al passaggio degli angeli che dovevano annunciargli del tempo ormai giunto per la maternità di Sara.

Più che “fare la volontà di Dio”, io vedo un “vivere nella e della volontà di Dio”.


... ... ...

Lucio Musto 30 luglio 2013
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view post Posted on 26/8/2013, 09:34
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Venerdì XX settimana T.O. - anno dispari





“”In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».

Gli rispose: «"Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: "Amerai il tuo prossimo come te stesso". Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
“” [Mt 22,34-40]

Tutto qui il Vangelo di oggi, e mi intrigava scoprire cosa il predicatore potesse dire di nuovo su queste parole, mille volte sentite ed altrettante ripetute.
Ma quello, il vecchio frate, non smette mai di stupire!

I Dieci Comandamenti erano per gli ebrei quello che la Costituzione è oggi per noi.
Quelli come questa divisa in articoli e gli articoli raggruppati in due parti. La prima, affermazione di principi e disegno della collettività, la seconda l’essenza delle norme che la regolano.
Fatta la Costituzione e scalpellata nella roccia, ci vogliono le “leggi attuative”, cioè le norme concrete che rendono operativi i dettami della costituzione.

E queste “leggi attuative” tendono a proliferare nel numero.
Lasciamo perdere quante leggi e leggine abbiamo oggi in Italia, ché non intendo qui fare politica, ma nell’Israele del tempo di Gesù (ed ancora oggi) sono 631. Seicentotrentuno norme cui attenersi scrupolosamente se si vuol essere considerati persona di fede.

Sono molte, troppe queste norme anche solo da tenere a mente, ed anche ai tempi di Gesù le varie scuole rabbiniche discutevano su quale fosse la principale, quali le più importanti.

Quindi a Gesù, così come quotidianamente anche a noi, viene chiesto di schierarci. E come cadiamo cadiamo male perché tanta frammentazione non può che portare a perdere una parte dell’essenziale.

Ed ecco che Gesù, interrogato, riporta a fuoco tutto riducendo i tanti precetti al centro del progetto di Dio ed a Dio stesso. Conta l’Amore, solo quello.
L’amore per Dio, l’amore per i fratelli. Colto quello, tutte le seicentotrentuno regolette rabbiniche, tutte le migliaia di leggi moderne si rivestono di ovvietà.
Non perdono il loro valore, ma diventano scontate, consequenziali.

Più oltre, per fondare il popolo della Nuova Alleanza Gesù propone una nuova, essenziale semplificazione: “vi do un comandamento nuovo; amatevi fra voi come io vi ho amato”.
Cioè in modo assoluto, totale, fino al massimo bene di cui disponiamo: la vita.

E può fare questo, Gesù, perché Lui è Dio, e si è fatto uomo e perciò nell’uomo noi possiamo esprimere anche l’amore per Dio. Amando incondizionatamente, come ci ha additato Gesù.


Lucio Musto 26 agosto 2013
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XXVI Domenica TO anno B - Cacciava i demoni nel Tuo nome



… Giovanni rispose dicendo:
«Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome
e glielo abbiamo vietato perché non era dei nostri»
Ma Gesù rispose:
«Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome
e subito possa parlare male di me. Chi non è contro di noi è con noi.
Chiunque vi darà a bere un bicchiere d’acqua perché siete di Cristo
non perderà la sua ricompensa.
Ma chi scandalizzerà uno di questi piccoli che credono in me,
meglio sarebbe per lui che gli passassero al collo una mola da asino
e lo gettassero in mare… [Mc 9, 38]



alcuni spunti interessanti ci ha fornito il Parroco nella sua omelia, ma a mio avviso ne ha saltati alcuni altrettanto interessanti, probabilmente per la limitatezza del tempo da doversi dividere con altre considerazioni. Ma qui vorrei analizzare solo queste prime frasi della Lettura di oggi, unendo ai suoi spunti anche le mie considerazioni.
Giovanni, è noto, è il più giovane dei discepoli di Gesù, quindi anche il più focoso di spirito ed irruente di emozioni; abbastanza comprensibile quindi che sia andato in bestia quando qualcuno “non dei nostri” si sia messo a fare miracoli in nome di Gesù!... e come si permette?...

Gesù, che legge nei cuori capisce l’indisponibilità del discepolo a dover condividere un privilegio che a suo avviso dev’essere riservato agli “interni”, e nemmeno lo rimprovera, come invece farà in altra simile occasione con Pietro… ma profitta dell’occasione per chiarire che la salvezza non sta in una “appartenenza”, al Popolo Eletto, alla Casta Sacerdotale, alla Banda del Cristo… ma all’aderenza ad una fede che è scelta di vita, e quella vita è lui stesso, il Cristo, ma non come uomo, o sacerdote, o capopopolo… ma come inviato del Padre.

Se uno “fa un miracolo nel mio nome”, cioè si comporta santamente al punto di “scacciare i demoni”, non potrà certo contrastare la santità che non è che una, qualsiasi sia il nome che gli si voglia dare… la via della virtù che porta a Dio.
Solo che, e questo lo si aggiunga ad abundantia, anche se Gesù non lo dice esplicitamente, l’appartenere ad una classe diciamo così “privilegiata”, di discepoli, di sacerdoti, di battezzati, dovrebbe agevolare quel cammino di santità arricchendolo della misericordia verso gli altri meno fortunati nella possibilità di aiutarli… non certo isterilendolo con la spocchia del “prescelto” e quindi prediletto!
Quanto siamo lontani da queste parole di Gesù non tutti nella più parte dei nostri attimi di vita!... quanto siamo più inclini al “lei non sa chi sono io!”

E mi sembra quasi di avvertire una nota di amarezza nella frase successiva di Gesù:
«Chiunque vi darà da bere… avrà la sua ricompensa…».
Il Maestro sa che la via è lunga ancora, per noi suoi discepoli, ed ancora abbiamo tanto bisogno di chi ci aiuti, prima di essere noi stessi cibo e bevanda per i nostri simili!

Ma un severo monito non può certo mancare, e qui non sono certo di aver ben compreso la spiegazione del signor Parroco…
Per me l’ultima frase è chiarissima, ed è diretta alla presuntuosità espressa per privazione da Giovanni, ed applicabile a tutti noi, tanto più fortemente quando più vicini siamo alla Fonte.
Il Cristo si è fatto umile, si è fatto servo, si è fatto ultimo, per mostrarci la via; ci esorta ad imitare il buon samaritano, che aiuta e serve senza gli indugi che frenano il levita, ed il sacerdote, presi da falsi scrupoli, ma soprattutto vittime del proprio orgoglio.
Lo stesso delle parole del giovane discepolo nei confronti del “non affiliato”



Lucio Musto 30 settembre 2012
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view post Posted on 13/10/2013, 15:02
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Un Rosario




La domanda è diretta e, fatta da lei, inequivoca: «Che significa, il Rosario?».

La mia amica vuol saperlo da me, perché sa che io lo recito, e ritiene che io non indulga in riti scaramantici o propiziatori, ma faccia le cose a ragion veduta.
Vuol saperlo da me, ma io non so risponderle, perché non lo so.

Non sono un assiduo della recita del Rosario, ma mi capita abbastanza spesso di immergermi in quella preghiera, e talvolta di condurla anche, in qualche gruppo di fedeli o in chiesa, prima della Messa.
E mi piace recitare il Rosario, mi coinvolge e mi gratifica, quando devo anche cercare la condivisione con gli altri... ma certo questo non basta,alla mia amica. Lei chiede che io vada molto più in profondità e le spieghi... ma che cosa? Che c’è da spiegare nella recita di un Rosario?
Cosa posso dire di vero ed illuminante su una sequela di cinquanta Avemarie intervallate da Pater, Gloria e qualche giaculatoria?...
Non lo so. La mia amica stavolta mi ha beccato impreparato. Ma forse non del tutto. Forse... se provassi a raccontarle il Rosario di Domenica scorsa?

La Chiesa Cattolica dedica il mese di ottobre particolarmente al culto della Madonna ed alle missioni. Ed è di tradizione la pia consuetudine della Supplica alla Madonna del Rosario di Pompei, quella scritta dal beato Bartolo Longo.
Da queste parti la pratica non è molto diffusa, si sa Pompei è al sud vicino Napoli..., ma noi da quando siamo qui abbiamo cercato di reintrodurla e la cosa è stata accettata con benevolenza... naturalmente a patto che quella preghiera la recitassi io, dall’ambone, a beneficio dei fedeli in chiesa.
E così, la guida del Rosario all’otto maggio ed alla prima domenica di ottobre è diventata una incombenza mia scontata. E Domenica scorsa era sei ottobre, la prima di questo mese.

Fisicamente stavo male. Notte insonne, giornata di crisi, fiato al lumicino, testa dolente e vuota, cuore affaticato. Temevo la partecipazione alla Messa, ma con uno sforzo sono venuto, e Ro, e la responsabile del rito mi hanno sollecitato a delegare per questa volta la guida alla recita del Rosario, ma ho rifiutato l’aiuto generoso. Non so perché, forse solo per vanagloria, o forse anche un poco per fede: se ho trovato la forza di venire fin qua, troverò anche quella di recitare le preghiere, a voce alta, perché in questa grande chiesa l’impianto acustico c’è, ma sono restii ad accenderlo.
Sinceramente mi affido alla volontà di Dio, anche se il mio corpo lagna.

Soprattutto ho presente che alla fine dei cinque misteri dovrò pregare la Supplica, declamandola al meglio, per i fedeli presenti, e da sempre la Supplica è stata fonte per me di grande emozione, ma so che devo farcela.
Credo che questa preoccupazione occupi tutta la mia attenzione, e mi violenti ad inanellare le Avemaria con assoluta precisione, vincendo l’affanno che mi stringe il petto, rimandando il respiro alla “Santa Maria”, quando a voce alta recitano i fedeli ed io posso seguire mentalmente.

Un Padrenostro, dieci Avemaria, un Gloria, giaculatoria, lettura del nuovo Mistero, commento, invocazione a Maria, altre dieci “Ave”... Cinquanta in tutto, ed ognuna un’attenzione a calibrare il respiro, a tener ferma la voce, a tenerla alta, a pregare il Padre di darmi altro fiato, a ringraziare di aver passato indenne la nuova prova...

Per chi guarda il Rosario dal di fuori, per tutti noi che ci badiamo distrattamente, questa “Preghiera semplice e Sublime” come in tanti l’hanno definita, sembra una gran perdita di tempo.
Cinquanta volte di seguito a pappagallare la preghiera più nota del mondo, quella che conosciamo da sempre, la prima che ci hanno insegnato... Ma non si potrebbe fare come nelle casse automatiche del Supermercato?... ne diciamo una, poi il tastino “quantità” e digitiamo cinquanta;
un Pater e digitiamo cinque, un Gloria e digitiamo cinque... ci leggiucchiamo i misteri... tanto son sempre gli stessi, ed abbiamo finito!... due minuti invece di una preziosa mezz’ora, che potremmo dedicare ad altre cose più costruttive...

Si, può essere così, per tutte le volte che ci badiamo distrattamente, e diciamo il Rosario perché “certamente è una cosa buona che va fatta”; certamente è tempo sprecato quello, e lo capisci quando ti capita, una volta tanto di recitarlo, il Rosario, non semplicemente di “dirlo”.

Come per me Domenica. Staccandomi, sia pur per problemi fisici, da ogni occupazione terrena, e riuscendomi a concentrare esclusivamente nel colloquio con Dio, il mio Rosario è divenuto una corsa su prati fioriti, un volo in alto, l’antelucana veloce di un giorno di Sole.
Le parole che andavo ripetendo perdevano la ridondanza, il significato veniva trasfigurato in luminosità, l’ambiente stesso della Chiesa si trasformava in gioia.
Oh! restava il fiatone, l’affanno continuava a dover essere controllato e la voce regolata, ma visibilmente questo diventava un problema minore, un dettaglio soltanto di tutta la preghiera, che forse preghiera non era nemmeno più, ma solo canto.

Sembra strano, ma cinquanta Avemarie passano presto, ed arriva il momento di leggere la Supplica, declamarla, porgerla agli animi in ascolto come bevanda salutare, farla scorrere liquida fra le ciglia...

Si, lo so che sto piangendo, e so che la gente se ne accorge, ed è disdicevole per un vecchio il frignare sull’altare, ma non mi importa. L’ho già detto che la Supplica alla Madonna di Pompei mi ha sempre emozionato, no?...
E poi non sto piangendo, anche se le lacrime scendono giù: sto solo rendendo grazie.


Lucio Musto 12 ottobre 2013
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Odette
view post Posted on 14/10/2013, 15:18




E' sempre bello , attraverso la tua Fede, averne per qualcosa.
Grazie
 
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view post Posted on 19/10/2013, 13:34
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Diciotto ottobre - Un San Luca particolare.

Sappiamo tutti che il San Luca evangelista, autore di uno dei quattro Vangeli riconosciuti dalla Chiesa Cattolica è quasi certamente anche l’Autore degli Atti degli Apostoli, che come dice il titolo vuol essere il racconto della vita dei seguaci di Gesù dall’ascensione fin circa all’anno 63.

Ma oltre quello, è la testimonianza viva e presente della prima comunità di fedeli illuminati dallo Spirito Santo nella sequela a Gesù Cristo morto e resuscitato.

Comprendiamo facilmente che si tratta di una cosa grossa, da approfondire e studiare, ma, eccezionalmente, può anche essere una bellissima, luminosa esperienza di vita.
Dico eccezionalmente perché in settantacinque anni, da quando sono stato battezzato, non mi era ancora capitato di sperimentare.

E’ successo stamattina, festa di San Luca, quando sono andato a casa del vecchio Parroco del Paese che, infermo, non viene più in chiesa a dire Messa.
Ho saputo che lui ha deciso, quando adesso se la dice per conto suo, di aprire la porta di casa, in modo che chi voglia partecipare possa andare.
L’ho saputo come in segreto, ho accolto la notizia come un dono.
Non sono stato mai molto intimo col Parroco, e da quando è malato non lo vedevo più, ed anche le notizie filtrano lentamente. I marchigiani si sa, sono molto riservati. Sono stato contento di essere stato informato, mi sono sentito un privilegiato, e sono andato.

Eravamo uno sparuto gruppetto, intorno al nostro pastore fermo sulla seggiola, ma ho sentito da subito una presenza in più. La Gioia era con noi.

Certo, facilissimo da analizzare!... ci ho messo un secondo, a fare i calcoli!
La gioia di vedere il nostro prete di buon aspetto, anche se immobilizzato, la gioia del suo sorriso sempre aperto e cordiale, la gioia di ritrovarmi in quello studiolo che tante volte mi accolse in passato per un consiglio o un progetto o un conforto, la gioia di pregare ancora insieme, la gioia di una mattinata ottobrina squillante di sole e tiepida come un maggio....

Ma la somma di tutte queste gioie era decisamente troppo poca cosa per giustificare il benessere assoluto che mi sentivo nell’anima.
Qualche parola di saluto, qualche aggiornamento “mondano”, la santa Messa recitata col cuore, tutti belli concentrati... un accenno alla figura di Paolo di Tarso... niente di particolare, se non una cosa, che l’ho capita dopo. Ricordate?

«Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, là sono io in mezzo a loro...»

Ecco, stamattina c’era, e la sua presenza era palpabile.
Come doveva essere nei gruppi raccontati da Luca nei suoi Atti.



Lucio Musto 18 ottobre 2013
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view post Posted on 20/10/2013, 18:09
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Perseveranza
XXIX Dom TO - anno C

[ES 17,8-13] [2Tm 4,2] [Lc 18,1-8]


Questa è la Domenica della preghiera perseverante direi, dalle letture che la Liturgia ci propone.

Domenica ostica, perché non ci piace pregare, domenica difficile perché non riusciamo a comprendere a che serva pregare.

Poi che il Cristo stesso ci dice «... il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate.» [Mt 6,8] a che serve reiterare le suppliche, le preghiere, le invocazioni?...

Eppure, il Vangelo di oggi ci porta la parabola di quella donna che non riusciva ad avere giustizia dal giudice (“disonesto” lo definisce Luca), ma insiste ed insiste, finché quel giudice la accontenta, ma nemmeno tanto per equità professionale, ma piuttosto esasperato dall’essere sollecitato da quella petulante... ed il Vangelo loda quell’insistenza. Perché?

E San Paolo, nel brano della lettera a Timòteo che pure oggi viene proposto rincara la dose:
« annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento.» [2Tm 4,2]

Pregare con insistenza dunque per ottenere le grazie di cui sentiamo il bisogno o affidarci alla preveggenza di Dio Padre... che comunque, come sempre per il nostro bene, farà a modo suo?
Mi sento un poco frastornato, ma l’esperienza di fede mi insegna che la risposta c’è certamente anche per il mio ridotto comprendonio, ed è sotto mano. Basta cercarla, appunto, con fede.

L’altra lettura della giornata proposta dalla Liturgia [Es 17,8-13] non è certo lì per caso, e certamente non è solo un fattarello raccontato così, come una favoletta per la Domenica.
Ci rifletto su.

Israele è in battaglia contro gli Amaleciti, e se Mosè tiene le braccia levate in preghiera il suo esercito prevale, quando Mosè si distrae o si stanca e le lascia cadere, sono Amalèk e le sue truppe ad avere la meglio...
Può illuminare il mio dubbio, questo racconto?.

Si.

Il pregare intensamente, il perseverare nella preghiera non serve a Dio che comunque ama il suo popolo (e quindi ognuno di noi) e non lo vuole perduto, ma ad ognuno di noi, per rinvigorire le nostre energie, e quel legame con Dio che ci rende forti!

Ma il libro dell’Esodo aggiunge ancora qualcosa di prezioso, che non va trascurato.
Quando Mosè è proprio sfinito,e non ce la fa più a tenere le braccia alzate in preghiera, i suoi fratelli, i fedeli Aronne e Cur lo fanno sedere su una roccia, perché possa riposare, ma “uno da una parte, uno dall’altra” lo aiutano a tenere le braccia alzate, per continuare quel contatto di preghiera, vincente per Istraele.

L’esortazione qui mi sembra evidentissima. La strada della vittoria, che per noi si chiama santità, è una via di condivisione con i nostri prossimo, in particolare con i fratelli di fede.

Sia che ci sentiamo Mosè, che Aronne, o Cur, evidentemente l’invito è chiaro. Collaborare, esortarci vicendevolmente e sostenerci nella strada della salvezza.

Ed ancora una nota, che dà spessore simbolico e sigillo di forza a tutta la narrazione.
Mosè è colui che parla faccia a faccia con Dio, Aronne è il primo gran sacerdote del popolo di Dio, e Cur figlio di Efrata, è il fondatore di Betlemme, la città che darà i natali a Gesù, e spiritualmente quindi a tutti noi. Messaggio più chiaro di così non so come si potrebbe esprimere!.

Per una volta di più, mi sono detto: «Se hai orecchi per intendere, intendi!»


Lucio Musto 20 ottobre 2013
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Odette
view post Posted on 20/10/2013, 18:17




Anche a me la parabola del giudice e della vedova mi ha lasciata molto perplessa, considerato che il giudice è descritto una merdaccia, così come quella della preghiera di Mosè che sostiene ma che nella sua assenza viene punita con l'esercito che non ce la fa.

La fede e quindi la preghiera connessa non è una questione di insistenza per ottenere qualcosa ma di fiducia in chi crede anche in noi, perlomeno io credo così anche deducendolo dalle mille volte in cui Gesù parla di fede che salva, ma quella anche umile e non pretenziosa, pregata o non pregata

Io prego e non prego solo quando sono disperata, cosa che avviene spesso, ma anche per rendere grazie di quello che si ha e anche se non alzo le man al cielo so che il cielo accarezza con le sue mani me, e questo mi conforta

Vivere da soli la vita è brutto, è una battaglia continua e non sempre coraggio e autostima aiutano, abbiamo sempre bisogno di sapere che c'è amore comunque per noi...
 
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view post Posted on 20/10/2013, 20:19
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Naturalmente le interpretazioni che si possono dare alle Scritture (ma anche a tante altre cose umane) possono essere molteplici e diverse, e questa è una cosa molto bella, perché testimonia comunque la nostra libertà, anche di intendere (ricordi Dante nel 3° canto dell'inferno?... "ognun dal proprio cuor l'altrui misura..."), ma questo tuo intervento mi sollecita qualche altra piccola considerazione.

- Quel giudice non è visto proprio come una "merdaccia", nel senso che noi ne conosciamo di parecchio peggiori, ma semplicemente come un pigro, un disattento (ed in questo senso disonesto, perché non zelante), ma in fondo equo, perché non si adira alla postulante petulante, ed alla fine, sia pure con colpevole ritardo, interviene e le rende giustizia. Quanti giudici antepongono l'odio e la vendetta, alla obiettività di giudizio!.

- Mosè non è affatto assente alla battaglia, ma è presente in cima al colle, là dove lo pone il suo ruolo di capo del popolo, e partecipa con i suoi mezzi di Profeta e di strumento di collegamento con Dio. E' facile immaginare che i combattenti traessero vigore proprio dalla visione di quelle braccia alzate, testimonianza per loro della presenza del divino. Inoltre Mosè era al termine della sua lunghissima vita, sarebbe stato quasi ridicolo, con una spada in mano a duellare con i giovani guerrieri. Ma c'è, ed è armato della sua arma: il "bastone di Dio", quello stesso strumento che gli servì per minacciare il Faraone e comandare al mare di ritirarsi.

- Certamente come tu dici la preghiera è intimo colloquio con il Signore, guai se così non fosse!... ci troveremmo nel fariseismo più ottuso, ma la preghiera può e deve essere anche manifestazione, testimonianza, esempio. Non è quindi solo una nostra questione privata: infatti quella dei fedeli è una comunità!

- E lo ribadisci tu stessa, nell'ultimo rigo del tuo intervento; "" abbiamo sempre bisogno di sapere che c'è amore comunque per noi... "" molto giustamente dici. E com'è per noi, lo è anche per gli altri. E quale modo migliore per donare amore se non partecipando una preghiera?
Queste cose evidentemente Mosè, Aronne e Cur lo sapevano, infatti hanno spinto oltre la preghiera e la sua manifestazione, anche quando le forze fisiche del vecchio Profeta sembravano abbandonarlo. Quello, è il senso della "comunità di fede"; sostenere il fratello anche oltre le sue forze!

Grazie del tuo intervento
 
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view post Posted on 11/6/2017, 23:04
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Domenica_della_SS_trinit___anno_A

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Domenica della SS Trinità - Anno A




Oggi domenica impegnativa, per la Liturgia Cattolica. Si celebra la Santissima Trinità, il mistero di più difficile penetrazione di tutto il Cristianesimo, e per giunta le “letture” proposte sono brevissime e scarne.

Tutto il “peso” della Festa e dell’Omelia sembra incombere come un’immane valanga sulle spalle dei predicatori. A loro l’onore e l’ “onere” di spiegare l’imperscrutabile mistero alle masse beote che affollano le chiese... e menomale che oggi fa caldo e tanti sono emigrati al mare lasciando i templi semivuoti... perché l’argomento è di difficile spiegazione... ed anche di difficile comprensione per i Sacerdoti. E ahimé, l’Omelia è obbligatoria!

« Ma perché - mi si potrebbe obiettare - tu sai tutto della SS Trinità?... e sapresti spiegarla in quattro e quattr’otto a qualunque zotico di noi in modo da farci capire subito e tutto? »

« Assolutamente no!... quello della Trinità è il Mistero principe della Cristianità e nessuno mai, fra tanti cervelloni che si sono applicati ci hanno capito niente oltre al fatto che non si tratta di un triunvirato di dei al comando di tutto l’ambaradan, come ce ne sono in tante religioni!...
Non ci hanno capito loro cervelloni, non ne caverei un ragno dal buco io!

Io mi limito semplicemente ad affrontare il problema con ottica diversa, con diversa filosofia, e tanta umiltà in più dei teologi e filosofi che cercano di capire “che cos’è”. Io riconosco che questa comprensione è superiore alle mie forze, rinuncio a capire il Mistero, e mi limito ad accettarlo per quello che è. Un “mistero”, appunto; e smetto di angosciarmene!

Ma non di preoccuparmene, perché ho una bella intelligenza anch’io e non me la sento di fare il rinunciatario. Ed allora mi dico: “Se me ne è arrivata notizia dal Padre, a qualcosa mi servirà!”
A che mi serve la Trinità?... a che mi serve oggi, per la mia vita concreta?...
»

La risposta è addirittura banale. Magari assolutamente parziale, perché riferita al mio miserabile quasi nulla, ma per me, per il mio essere utilissima ed assolutamente intrigante:

La Trinità è per me l’essenza della natura di Dio, per quello che mi è dato di comprendere ed il modello concreto per mettermi in sintonia con Lui e col Creato.

Dio, mi hanno riferito i preti, è essenzialmente Amore. Un Amore grande, sterminato, infinito... ma se fosse per me incomprensibile non mi servirebbe a nulla. Invece no, un Amore grande, immenso, ma comprensibilissimo!... un amore tipo quello che so provare anch’io, e chissà qualche volta, due o tre nella mia vita ho anche provato...

Amore... quello che fonde amante ad amato facendo di due una cosa sola.
Il Creatore delle cose ed il Figlio dell’Uomo uniti in relazione dal Santo Spirito. Ecco come tre entità diventano una senza poter prescindere l’una dall’altra per formare il Dio-Trinità.

Scontato e comprensibile. Se non c’è il Figlio amato, se non il Padre che ama, se non l’Amore che lega... semplicemente niente Trinità.

Ed immediatamente si apre alla coscienza il modello di vita per i miei giorni.

Se la Rivelazione è scambio di relazione amorosa fra persone... dove c’entro io?... dove c’entrano i miei compagni di viaggio, i fratelli chiamati a condividere i miei giorni? dove l’insegnamento di come rapportarmi con loro, come vederli, come trattarli, come concretizzare la mia fede ed il mio Dio?... c'è bisogno di dirlo?

Può darsi che quello della Trinità sia un Mistero Grande, materia di studio ed approfondimento per santi, professoroni e teologi di pregio...
Ma la mia Trinità è domani, quando andrò al supermercato ed incontrerò persone, è stasera, quando mia moglie avrà finito di vedere il programma in Tivvù, è fra un attimo, quando avrò finito di scrivere questo mio pensiero e lo condividerò con gli amici del Forum...

Ma anche prima, quando rileggendolo per depurarlo dagli errori di grammatica e di battitura lo presenterò al mio Dio facendone preghiera:
« Signore fa che io viva per fare la tua volontà, che riconosco essere l’Amore che unisce».


Lucio Musto 11 giugno 2017
 
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view post Posted on 12/6/2017, 06:56
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Bello Lucio grazie
 
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31 replies since 28/10/2012, 17:26   723 views
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