| . Un Rosario
La domanda è diretta e, fatta da lei, inequivoca: «Che significa, il Rosario?».
La mia amica vuol saperlo da me, perché sa che io lo recito, e ritiene che io non indulga in riti scaramantici o propiziatori, ma faccia le cose a ragion veduta. Vuol saperlo da me, ma io non so risponderle, perché non lo so.
Non sono un assiduo della recita del Rosario, ma mi capita abbastanza spesso di immergermi in quella preghiera, e talvolta di condurla anche, in qualche gruppo di fedeli o in chiesa, prima della Messa. E mi piace recitare il Rosario, mi coinvolge e mi gratifica, quando devo anche cercare la condivisione con gli altri... ma certo questo non basta,alla mia amica. Lei chiede che io vada molto più in profondità e le spieghi... ma che cosa? Che c’è da spiegare nella recita di un Rosario? Cosa posso dire di vero ed illuminante su una sequela di cinquanta Avemarie intervallate da Pater, Gloria e qualche giaculatoria?... Non lo so. La mia amica stavolta mi ha beccato impreparato. Ma forse non del tutto. Forse... se provassi a raccontarle il Rosario di Domenica scorsa?
La Chiesa Cattolica dedica il mese di ottobre particolarmente al culto della Madonna ed alle missioni. Ed è di tradizione la pia consuetudine della Supplica alla Madonna del Rosario di Pompei, quella scritta dal beato Bartolo Longo. Da queste parti la pratica non è molto diffusa, si sa Pompei è al sud vicino Napoli..., ma noi da quando siamo qui abbiamo cercato di reintrodurla e la cosa è stata accettata con benevolenza... naturalmente a patto che quella preghiera la recitassi io, dall’ambone, a beneficio dei fedeli in chiesa. E così, la guida del Rosario all’otto maggio ed alla prima domenica di ottobre è diventata una incombenza mia scontata. E Domenica scorsa era sei ottobre, la prima di questo mese.
Fisicamente stavo male. Notte insonne, giornata di crisi, fiato al lumicino, testa dolente e vuota, cuore affaticato. Temevo la partecipazione alla Messa, ma con uno sforzo sono venuto, e Ro, e la responsabile del rito mi hanno sollecitato a delegare per questa volta la guida alla recita del Rosario, ma ho rifiutato l’aiuto generoso. Non so perché, forse solo per vanagloria, o forse anche un poco per fede: se ho trovato la forza di venire fin qua, troverò anche quella di recitare le preghiere, a voce alta, perché in questa grande chiesa l’impianto acustico c’è, ma sono restii ad accenderlo. Sinceramente mi affido alla volontà di Dio, anche se il mio corpo lagna.
Soprattutto ho presente che alla fine dei cinque misteri dovrò pregare la Supplica, declamandola al meglio, per i fedeli presenti, e da sempre la Supplica è stata fonte per me di grande emozione, ma so che devo farcela. Credo che questa preoccupazione occupi tutta la mia attenzione, e mi violenti ad inanellare le Avemaria con assoluta precisione, vincendo l’affanno che mi stringe il petto, rimandando il respiro alla “Santa Maria”, quando a voce alta recitano i fedeli ed io posso seguire mentalmente.
Un Padrenostro, dieci Avemaria, un Gloria, giaculatoria, lettura del nuovo Mistero, commento, invocazione a Maria, altre dieci “Ave”... Cinquanta in tutto, ed ognuna un’attenzione a calibrare il respiro, a tener ferma la voce, a tenerla alta, a pregare il Padre di darmi altro fiato, a ringraziare di aver passato indenne la nuova prova...
Per chi guarda il Rosario dal di fuori, per tutti noi che ci badiamo distrattamente, questa “Preghiera semplice e Sublime” come in tanti l’hanno definita, sembra una gran perdita di tempo. Cinquanta volte di seguito a pappagallare la preghiera più nota del mondo, quella che conosciamo da sempre, la prima che ci hanno insegnato... Ma non si potrebbe fare come nelle casse automatiche del Supermercato?... ne diciamo una, poi il tastino “quantità” e digitiamo cinquanta; un Pater e digitiamo cinque, un Gloria e digitiamo cinque... ci leggiucchiamo i misteri... tanto son sempre gli stessi, ed abbiamo finito!... due minuti invece di una preziosa mezz’ora, che potremmo dedicare ad altre cose più costruttive...
Si, può essere così, per tutte le volte che ci badiamo distrattamente, e diciamo il Rosario perché “certamente è una cosa buona che va fatta”; certamente è tempo sprecato quello, e lo capisci quando ti capita, una volta tanto di recitarlo, il Rosario, non semplicemente di “dirlo”.
Come per me Domenica. Staccandomi, sia pur per problemi fisici, da ogni occupazione terrena, e riuscendomi a concentrare esclusivamente nel colloquio con Dio, il mio Rosario è divenuto una corsa su prati fioriti, un volo in alto, l’antelucana veloce di un giorno di Sole. Le parole che andavo ripetendo perdevano la ridondanza, il significato veniva trasfigurato in luminosità, l’ambiente stesso della Chiesa si trasformava in gioia. Oh! restava il fiatone, l’affanno continuava a dover essere controllato e la voce regolata, ma visibilmente questo diventava un problema minore, un dettaglio soltanto di tutta la preghiera, che forse preghiera non era nemmeno più, ma solo canto.
Sembra strano, ma cinquanta Avemarie passano presto, ed arriva il momento di leggere la Supplica, declamarla, porgerla agli animi in ascolto come bevanda salutare, farla scorrere liquida fra le ciglia...
Si, lo so che sto piangendo, e so che la gente se ne accorge, ed è disdicevole per un vecchio il frignare sull’altare, ma non mi importa. L’ho già detto che la Supplica alla Madonna di Pompei mi ha sempre emozionato, no?... E poi non sto piangendo, anche se le lacrime scendono giù: sto solo rendendo grazie.Lucio Musto 12 ottobre 2013 ---------------------------------------
|