Le stronzate di Pulcinella

GLI ORRORI PERPRETATI DAI SOLDATI ITALIANI IN MONTENEGRO-IMMAGINI DI STORIA

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view post Posted on 12/11/2012, 11:57
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Pulcinella291 Forum

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Nel 1941 gli eserciti dell'Italia fascista, del Terzo Reich, della Bulgaria e dell'Ungheria (l'Ungheria partecipò solo all'operazione 25) occuparono i territori balcani e della Grecia. Il Regio Esercito Italiano (R.E.I.) era presente con ben 31 Divisioni e 670 000 soldati. All’inizio tutto il territorio del Montenegro e il Sangiaccato fu occupato e presidiato dalla 18ª Divisione fanteria "Messina", dai Reali Carabinieri, dalla Corpo degli Agenti di Pubblica Sicurezza, Guardia di Finanza e dalle Unità di cetnici montenegrini. Successivamente l’area delle Bocche di Cattaro fu annessa al Regno d’Italia come una nuova provincia italiana, dipendente dal Governatorato della Dalmazia.
Il 12 luglio 1941 fu proclamato a Cettigne, sotto il protettorato dell'Italia, il "libero e indipendente" Regno di Montenegro. Il 13 luglio la popolazione montenegrine insorse, sotto la guida del Colonnello dei Cetnici, Dragoljub Mihailović, e di esponenti del Partito Comunista Jugoslavo, coinvolgendo circa 400 ufficiali dell'ex- Esercito Regio Jugoslavo. L'insurrezione popolare ebbe parziale successo e in sette giorni prese il controllo di quasi tutte le campagne (con l’esclusione delle città e della costa), prendendo di sorpresa i pochi reparti del Regio Esercito Italiano presenti ed impadronendosi di ingenti quantitativi di armi e altro materiale bellico. Come reazione il Comando Supremo del R.E.I. trasferì in Montenegro sei divisioni ("Cacciatori delle Alpi", "Emilia", "Pusteria", "Puglie", "Taro", "Venezia") sotto il comando del Generale di corpo d'armata Alessandro Pirzio Biroli con funzioni di Governatore civile e militare. Pirzio Biroli attuò durissime repressioni e rappresaglie contro i partigiani montenegrini, causando così lo sbandamento delle forze che guidavano l’insurrezione. Si alleò altresì con i gruppi di "nazionalisti" cetnici, ottenendo così la riconquista e il controllo quasi totale del territorio.

GLI ORRORI

Tra le misure impiegate dai comandi militari vi furono anche i bombardamenti dell'aviazione contro villaggi e piccole cittadine e comincio' anche la caccia agli insorti e continui rastrellamenti.

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Il 2 dicembre 1941 i reparti del Regio Esercito irruppero nel villaggio di Pljevlja fucilando sul posto 74 civili e passando per le armi anche tutti i partigiani catturati.

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Il 6 dicembre dopo un attacco partigiano presso Passo Jabuka, che causò gravi perdite alle truppe del Regio Esercito, le autorità italiane disposero un'ampia azione di rastrellamento e distruzione delle zone circostanti coinvolgendo in particolare i villaggi di Causevici, Jabuka e Crljenica, che vennero bombardati e dati alle fiamme mentre civili e partigiani furono trucidati sul posto. Il 14 dicembre vennero fucilati 14 contadini nel villaggio di Drenovo, . Nei villaggi di Babina Vlaka, Jabuka e Mihailovici vennero uccise 120 persone, tra cui donne e bambini, e incendiate 23 case

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Tutte le azioni compiute dalle truppe rispondevano alle direttive generali degli alti comandi militari e all'indirizzo voluto dalle autorità d'occupazione d'intesa con il governo di Roma. Tali indicazioni, nella pratica, si traducevano in efferati crimini di guerra commessi dalle truppe italiane
Non mancarono episodi di brutalità da parte di singoli nostri soldati. In località Pjesivci, alcuni militari della Taro stuprarono due ragazze - Milka Nikcevic e Djuka Stirkovic - per poi ammazzarle sparando loro al seno. Un'altra donna, Petraia Radojcic, fu bruciata viva nella sua casa. A Dolovi Stubicki furono massacrati dieci anziani, uomini e donne. Per aver dato ausilio ai ribelli le popolazioni dei villaggi della Pjesivica furono punite con la requisizione di oltre 1.000 pecore e capre e di 50 bovini.

La reazione dei partigiani slavi
La reazione montenegrina e slava fu la creazione, strutturata, di formazioni partigiane con una forte presenza di comandanti comunisti guidati principalmente dai montenegrini Peko Dapčević (un ex comandante delle Brigate internazionali nella Guerra di Spagna) e Arso Jovanović, che in seguito fu capo di Stato Maggiore di Tito. La resistenza partigiana comunista lottò su due fronti: contro gli occupanti italiani e i nazionalisti monarchici cetnici, filo italiani.
Nel novembre 1941 le formazioni partigiane comuniste organizzarono circa 5.000 uomini nel territorio del Sangiaccato per conquistare la città di Pljevlja, sede della 5ª Divisione alpina "Pusteria". Il 1 dicembre 1941 ci fu la più sanguinosa battaglia dei partigiani slavi contro gli italiani. Le perdite in vite umane furono altissime da entrambi le parti. I reparti degli alpini della "Pusteria" furono costretti ad essere immobilizzati nel Sangiaccato e convivere con il grosso delle formazioni partigiane, al comando dello stesso Tito, nella vicina zona di Foča.

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Le rappresaglie italiane continuano
Come i loro alleati nazisti Il 12 gennaio 1942 i comandi militari italiani (il generale Alessandro Pirzio Biroli)

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ordinarono per ogni soldato ucciso, o ufficiale ferito la rappresaglia avrebbe compreso una proporzione di 50 ostaggi fucilati per ogni militare italiano e di 10 ostaggi fucilati per ogni sottufficiale o soldato ferito.
Nel gennaio 1942 le truppe italiane fecero irruzione nei villaggi di Ljubotinja e Gornji Ceklini devastandone gli abitati; a Bokovo vennero arrestati e deportati una quindicina di contadini. Il 13 febbraio 1942 l'aviazione italiana bombardò il villaggio di Morinje, a Gluhi Dol, uccidendo 4 persone in una scuola elementare; nel villaggio di Rubezi i soldati italiani, durante una spedizione punitiva, bruciarono alcune case e uccisero gli abitanti locali. L'episodio venne confermato dalla testimonianza del sergente capo-radiotelegrafista Amelio Martello.
Tra il febbraio e l'aprile 1942 i battaglioni alpini "Ivrea" e "Aosta" operarono una serie di rastrellamenti nella zona delle Bocche di Cattaro, fucilando 20 contadini e distruggendo 11 villaggi (Bjelske, Krusevice, Bunovici, Gornje Morinje, Repaj, Zlijebi, Gornje, Djurice, Sasovici, Kuta, Presjeka, Lastra, Kameno e Bakoci).
Il 7 maggio 1942 a Cajnice, dove già nel dicembre 1941 si era verificato un attacco partigiano a seguito del quale erano morti alcuni soldati italiani, il generale del Regio Esercito, Esposito, ordinò l'esecuzione di 70 ostaggi presi tra la popolazione civile, seguendo le indicazioni dettate da Pirzio Biroli.

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Il 20 giugno 1942 Pirzio Biroli fece fucilare 95 comunisti.
Il 25 giugno 1942 a Cettigne, in rappresaglia di un attacco partigiano alle truppe del Regio Esercito che aveva provocato la morte di 9 ufficiali italiani, vennero fucilati 30 montenegrini.
Il 26 giugno 1942 a Nikšić il giovane Dujo Davico, che lavorava come cameriere presso la mensa degli ufficiali del comando italiano del 48º reggimento fanteria, lanciò contro di loro una bomba a mano. Nonostante l'azione non provocò vittime, per rappresaglia vennero fucilati 20 prigionieri comunisti per opera dei carabinieri italiani.
Nell’estate del 1942 la Divisione alpina "Taurinese" sostituì la "Pusteria" nel controllo del Sangiaccato.
Il 31 dicembre 1942 Pirzio Biroli fece fucilare per rappresaglia contro l'uccisione di un nazionalista 6 montenegrini accusati di correità e partecipazione all'uccisione
Nell'aprile 1943 nella città di Brodarevo gli italiani fucilarono 13 civili.
Nel maggio-giugno 1943 la divisione italiana "Ferrara", durante un rastrellamento nei distretti di Nikšić e Savnik, saccheggiò e distrusse in parte o totalmente tutti i centri abitati della zona, fucilando un gran numero di civili. Il villaggio di Medjedje in particolar modo fu completamente annientato e quando vi ritornarono i superstiti trovarono tra le macerie carbonizzate 72 cadaveri mutilati, in gran parte vecchi e ammalati impossibilitati a muoversi.
Nel settembre 1943 a Kolasin vennero fucilati 12 montenegrini dopo un attacco partigiano contro una colonna di militari italiani a Trebaljevo.

Un altro aspetto dell'occupazione italiana del Montenegro è stato l'internamento dei montenegrini: al termini del conflitto nei campi di concentramento siti in Italia, Jugoslavia e Albania erano presenti 26.387 montenegrini.

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Edited by Pulcinella291 - 26/6/2018, 19:24
 
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view post Posted on 14/11/2012, 12:46
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Campi di concentramento fascisti per slavi



Nel corso della seconda guerra mondiale vennero aperti, sia in territorio italiano che nei territori jugoslavi occupati dal regio esercito (1941-1943), numerosi campi di concentramento, adibiti in molti casi al lavoro coatto o utilizzati come campi di smistamento. In tali lager vennero rinchiusi, spesso insieme ad antifascisti italiani e a stranieri di varie nazionalità[senza fonte], anche appartenenti alle popolazioni slave stanziate sia nel Regno di Jugoslavia, che nelle regioni italiane della Venezia Euganea (Friuli), della Venezia Giulia e della città di Zara (i cosiddetti "allogeni" o "alloglotti"). Molti degli internati, fra cui anche vecchi, donne e bambini, trovarono la morte per inedia, malattie, torture o soppressione fisica.
Di particolare rilievo fra i campi riservati agli slavi, furono il Campo di concentramento di Arbe e quello di Gonars. Su entrambi ci sono ormai diverse fonti e il Gonars memorial, sito internet dedicato alla memoria dell'omonimo campo, riporta documenti fotografici sugli internati e arriva a specificare dati burocratici e amministrativi.

La scelta di costituire campi di concentramento per i civili viene concepita dapprima per neutralizzare gli elementi ritenuti pericolosi per l'ordine pubblico; vengono apprestati i primi campi in territorio friulano per detenere gli uomini arrestati durante il rastrellamento effettuato nella città principale della Slovenia italiana: Lubiana.

Successivamente la politica di deportazione cresce vorticosamente coinvolgendo quote sempre più vaste di popolazione soprattutto rurale.

Gli alti comandi dell'esercito, che hanno ottenuto la gestione dell'ordine pubblico, optano per la strategia della "terra bruciata".

In un vertice tenuto a Fiume il 23 maggio 1942, Roatta annuncia l'appoggio di Mussolini alla linea dura dei generali: "Anche il Duce ha detto di ricordarsi che la miglior situazione si fa quando il nemico è morto. Occorre quindi poter disporre di numerosi ostaggi e di applicare la fucilazione tutte le volte che ciò sia necessario... Il Duce concorda nel concetto di internare molta gente - anche 20-30.000 persone."

Ai primi di giugno Roatta scrive al Duce di "giudicare necessari campi di concentramento per ventimila persone" e prospetta l'idea di "assegnare le case dei ribelli per costituire nuclei rurali tutti italiani di ex combattenti".

A partire dal luglio 1942 le divisioni italiane, con grandi operazioni di rastrellamento alla caccia delle formazioni partigiane, svuotano il territorio in cui queste sono più presenti, deportando la popolazione dei villaggi in campi di concentramento costituiti appositamente. Si tratta soprattutto di donne, bambini ed anziani, poichè gli "uomini validi" fuggono nei boschi alla vista dei reparti italiani, per evitare di essere presi come ostaggi e fucilati nelle quotidiane rappresaglie decretate dai tribunali militari di guerra.

Ma dai documenti degli stessi generali italiani emerge anche la determinazione per cui le rappresaglie contro i civili devono essere un'arma di pressione contro i partigiani del Fronte di Liberazione, che tengono in scacco una grossa parte dell'esercito italiano.

Scrive Roatta: "A mio avviso occorrerebbe perciò - laddove si sono dimostrati vani i tentativi dì pacificazione - colpire il male nelle radici e nelle propaggini, con provvedimenti aventi ripercussione sugli animi dei fuggiaschi e sulla vita materiale dei congiunti rimasti in posto."

E Robotti aggiunge: "E’ da presumere che questo provvedimento riguarderà quasi esclusivamente donne, bambini e vecchi, in quanto gli uomini validi o sono già con le bande, o ad esse si aggregheranno al momento della realizzazione di questa parte del programma, per quanto improvvisa e rapida possa essere."

I campi di concentramento della II Armata

Tra l'estate del 1942 e quella del 1943 furono attivi sette campi di concentramento per civili sotto il controllo della II Armata (che aveva la competenza su Slovenia e Dalmazia occupate).

A Chiesanuova vicino a Padova (in Veneto) dal giugno 1942 nella locale caserma venne attivato un campo di concentramento per civili.

Il campo di Fiume era situato all'interno dell'area della caserma Diaz.

A Gonars a ovest di Palmanova (in provincia di Udine in Friuli) fino al marzo 1942 era attivo il campo POW n. 89 (per ufficiali dell'ex-esercito jugoslavo), dalla seconda metà aprile venne trasformato in campo per internati civili.

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A Monigo non lontano da Treviso (in Veneto) dalla seconda metà del giugno 1942 venne istituito una campo di detenzione per civili all'interno della locale caserma.

Sull'isola di Rab (Arbe in lingua italiana), nella baia di S.Eufemia a 6 Km. dalla cittadina di Arbe, nel luglio 1942 venne realizzato con piccole tende militari, un campo per detenere i civili arrestati durante le operazioni militari in Slovenia e Dalmazia, a causa della saturazione dei campi minori di Laurana, Buccari e Porto Re, situati vicino a Fiume. Solo nel gennaio 1943, in seguito a segnalazioni ufficiali del Vaticano di numerose morti, furono impiantate tende grandi (per 20 persone) e rese agibili le prime baracche in legno o muratura. L'isola, che si trova nel golfo del Guarnero, nel maggio 1941 venne annessa all'Italia insieme all'isola di Veglia e compresa nella provincia di Fiume, che comprendeva l'Istria (oggi in Croazia) ed era retta dal prefetto Temistocle Testa.

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A Renicci (comune di Anghiari, in provincia di Arezzo, nella regione Toscana) era stato reso operante nell'ottobre del 1942 sia il campo POW n. 97 sia un campo di internamento per civili. Qui vennero concentrati numerosi prigionieri (selezionati il 6 ottobre 1942: 1.168 a Chiesanuova e 482 a Gonars) per essere impiegati alla costruzione di un tratto di ferrovia in una zona in provincia di Perugia; 7 lire al giorno era la paga.

Rennici - Campo di concentramento
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Negli altri campi attivi a Castel Sereni, Pietrafitta, Ellero e Tavernelle, vennero smistati parte dei detenuti giunti da Gonars e Chiesanuoa; infatti questi quattro campi costeggiavano il costruendo tratto ferroviario citato.

A Visco a est di Palmanova (in provincia di Udine in Friuli) viene attivato un campo di detenzione per civili nell'inverno del 1942.

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I deportati

Stabilire oggi il numero dei deportati risulta difficile sia per la frammentarietà degli archivi consultabili, sia perchè le stesse autorità italiane scrivevano di non avere un quadro delle situazione, infatti "gli internamenti sono stati effettuati con criteri diversi, secondo del modo di vedere dei vari Comandanti di Presidio, sino ai reparti minori (plotoni). - Non si è mai quindi potuto conoscere, neanche con relativa approssimazione, il numero dei civili internati, i relativi nominativi, dove sono stati internati e per qual motivo il provvedimento è stato adottato." (così il 18 gennaio 1943 l'alto commissario per la Slovenia Grazioli riferiva al Ministero degli Interni).

A questo proposito lo storico sloveno Tone Ferenc ha consultato diverse fonti e cita tra le altre, il memoriale redatto dal tenente Luca Magugliani del comando del'XI Corpo d'Armata, che indica in 20.000 il numero dei civili sloveni internati.

Secondo le stime di Ferenc, ricavate dall'analisi di documenti militari italiani, il numero più alto si verifica alla fine del 1942, a conclusione delle grandi offensiva antipartigiane, ed è attendibile che siano passati più di 25.000 tra sloveni e croati nei sette campi in questione.

Lo storico italiano Davide Rodogno ha reperito negli archivi dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito italiano (USSME) i dati degli internati civili e coincidono con quelli pubblicati dallo storico sloveno.

Un documento del Ministero degli interni italiano, databile alla fine dell'agosto 1942, indica un complesso di 50 mila elementi circa, sgombrati dai territori della frontiera orientale in seguito alle operazioni di polizia in corso, di cui la metà donne e bambini.

La distinzione tra internati protettivi e repressivi.

I comandi militari interpretano la larga adesione, soprattutto di giovani, al Fronte di liberazione, come frutto di un'opera di costrizione; quindi introducono, accanto a quella dei deportati politicamente pericolosi (repressivi), una nuova categoria di internati: i cittadini da proteggere (protettivi).

Ma emerge anche da un rapporto dei Carabinieri come la distinzione spesso sia, nel concreto, inesistente. Infatti nell'atto di deportare la popolazione, questa differenziazione spesso non viene considerata dai comandanti dei reparti militari che operano gli arresti di massa.

I morti nei campi di concentramento

Nel volume Rab, Arbe, Arbissima, Tone Ferenc pubblica una lista di nomi di sloveni e croati deceduti nei campi di concentramento italiani della II armata.

Lo stesso afferma che un numero preciso non trova concordi istituzioni, associazioni e singoli ricercatori; comunque tutti sono d'accordo nell'affermare che migliaia di civili sono morti in questi luoghi di detenzione.


La causa delle morti nei campi: la fame e il freddo.

Già nel maggio 1942 una lettera di un dirigente cattolico di Lubiana segnala alle autorità militari italiane, che "nel campo di concentramento di Gonars ... gli internati soffrono atrocemente la fame".

La gravissima scarsità di alimentazione e la grave inadeguatezza dell'abbigliamento degli internati nei campi (soprattutto Arbe) viene segnalata in un memoriale dei vescovi sloveni, per via ufficiale trasmesso il 19 novembre 1942 dal Vaticano al Ministero degli Affari Esteri italiano.

Inoltre dal rapporto destinato ai comandi militari e redatto da un ufficiale medico, che aveva effettuato un sopraluogo al campo di Arbe, emerge un livello di alimentazione insufficiente ed una situazione igienica inadeguata tali che la conclusione è la seguente: "Premessi i dati surriferiti e la sproporzione tra le calorie di consumo e quelle che l'organismo ricava dalla razione alimentare assegnata, considerato lo stato igienico del campo, occorrerebbe, onde ovviare parzialmente alle deficienze, ricoverare gl'internati sotto tetto in locali chiusi e fornire gli stessi del vestiario occorrente...".

Lo stesso afferma che la insufficienza alimentare si moltiplica per il freddo e la dispersione di calore corporeo vivendo i civili sotto tende, con abiti estivi e coperte insufficienti; "Si hanno così casi di cacclessia e di edemi da fame sui quali trovano facile innesto altre malattie"; ovvero questo provoca un pericoloso dimagrimento ed un ingrossamento dei ventri favorendo una forte propensione a malattie, che infatti colpirono in due mesi (metà settembre - metà novembre) il 65% dei detenuti.

Secondo le autorità italiane, fino al 19 novembre 1942, ad Arbe i morti erano stati 289 (di cui 62 bambini).

Il 13 febbraio 1943 un documento del Comando della II Armata, da cui dipendeva direttamente il campo di Arbe, indica che, tra l'1 e il 10 gennaio 1943 erano morte 136 persone a fronte della presenza di 4.300 internati, e 234 erano stati i decessi nell'intero mese.

Poi lo stesso comando si contraddice: in un rapporto del 26 giugno 1943 indica 190 decessi in gennaio; anche per febbraio indica "solo" 20 decessi ad Arbe, mentre prima aveva dichiarato 13 morti solo nei primi dieci giorni dello stesso mese.

Evidentemente l'abnormità dei fatti ha spinto i generali ad un tentativo di diminuire il numero dei morti, ma il disumano trattamento nei campi era stato frutto di una scelta precisa.

Significative a questo proposito sono le affermazioni del generale Gambara, nuovo comandante dell'XI CdA in Slovenia, in data 17.12.1942 : "Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d'ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo"; inoltre: "Le condizioni da deperimento dei liberati di Arbe sono veramente notevoli - ma Supersloda da tempo sta migliorando le condizioni del campo. C'è da ritenere che l'inconveniente sia praticamente eliminato".

Le sofferenze e le morti di migliaia di persone sarebbero un semplice inconveniente!

Grave è anche la situazione in altri campi: a Gonars tra gennaio e maggio 1943 i morti sarebbero stati più che a Arbe: 280, 104 a Monigo e 112 a Renicci, sempre nei primi cinque mesi dell'anno.

A proposito di Renicci, un'ulteriore conferma viene da un sacerdote italiano, che nel febbraio 1943, dopo aver visionato una relazione del Ministero della Guerra, sottolinea l'infelicissimo stato degli internati civili in quel campo, confermando quanto già scritto dai vescovi sloveni.

Della gravità della situazione nei campi scrivono anche ufficiali dei Carabinieri Reali nei loro rapporti ai comandi: "... nei campi di concentramento ... la vita è davvero grama e fiacca il corpo e lo spirito. Particolarmente nel campo di Arbe, le condizioni di alloggiamento e del vitto sono quasi inumane: viene riferito che frequenti sono i casi di morte, gravi e frequentissime le malattie" e inoltre richiamano "vari casi di decesso provocati dalla scarsità del vitto e da malattie epidemiche diffusesi per deficienza di misure sanitarie".

I campi di concentramento rimasero attivi fino al disfacimento dell'esercito italiano, avvenuto in seguito dell'armistizio dell'8 settembre 1943 e la conseguente cessazione delle ostilità da parte delle truppe monarchiche italiane verso le forze di liberazione jugoslave.

Campo di concentramento di Arbe


Il campo di concentramento di Arbe fu creato dal comando della Seconda Armata italiana nel luglio del 1942 ed ospitò complessivamente tra i 10.000 e 15.000 internati tra sloveni, croati ed ebrei. Il campo si caratterizzò per la durezza del trattamento riservato agli internati di etnia slava, dei quali un gran numero perì di stenti e malattie, e contemporaneamente per aver invece offerto rifugio a 3.500 ebrei iugoslavi scampati alle persecuzioni degli ustascia sulla terraferma.

Edited by sefora1 - 14/11/2012, 13:09

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