Le stronzate di Pulcinella

Luisa Sanfelice: storia di una combattente napoletana

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view post Posted on 22/4/2021, 23:27
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Maria Luisa Fortunata de Molina nacque dal generale borbonico spagnolo don Pedro de Molina e da Camilla Salinero. A diciassette anni sposò il nobile napoletano Andrea Sanfelice, per cui assunse il suo cognome. L’uomo era suo cugino ed era un giovane senza grossi mezzi, a differenza dell’ego. La vita matrimoniale procedette tra scandali economici legati al gioco e non. Camilla Salinero infatti supplicò la corte di mandarli a Laureana e togliergli i tre figli, spediti in convento, con i beni affidati a un amministratore. Così accadde, ma ciò non fermò la loro scelleratezza. Perciò intervenne di nuovo la Corte, che mandò Andrea in convento a Nocera e Luisa in un monastero di rieducazione a Montecorvino Rovella. Tornati a Napoli l’uomo venne arrestato dalla Vicaria per debiti, al ritorno effettuò scelte filoborboniche e furono entrambi riammessi a Corte.

L’invasione francese del 1799 e la costituzione della Repubblica Partenopea portarono a una cospirazione filoborbonica finalizzata al rovesciamento della Repubblica. A capo vi erano i Baker, una famiglia di banchieri svizzeri. Luisa Sanfelice non faceva parte dei giacobini e frequentava sia gli ambienti filorepubblicani, sia quelli monarchici. Per questo motivo seppe ciò che stava per succedere.
Gerardo Baccher (Baker), l’ufficiale dell’esercito regio, era innamorato della donna, che non lo ricambiava. Perciò ella gli chiese un salvacondotto per proteggerla dalle conseguenze della congiura. Le venne perciò affidato Ferdinando Ferri, ufficiale della Repubblica. All’uomo, che divenne in seguito suo amante, Sanfelice svelò il piano in sviluppo. Assieme decisero fosse il caso di aggiornare l’amico di Ferri, Vincenzo Cuoco, e i componenti del Comitato di Salute Pubblica. In questo modo si riuscì a scongiurare l’agguato e a portare avanti la Repubblica.

Ma in seguito il re Ferdinando non riuscì a perdonarle la collaborazione coi repubblicani. A causa di ciò, una volta riottenuto il potere, la fece condannare a morte. Dichiaratasi incinta, con doppia conferma medica, la sentenza fu rimandata molte volte. Successivamente le venne concesso un indulto, che però non fu applicabile per le sentenze già passate in giudicato. Ma il re, stanco delle lungaggini e dell’importanza che la questione stava assumendo, fece trasferire la donna a Palermo, dove la gravidanza fu ritenuta fasulla. Per questo motivo, l’undici settembre del 1800, fu giustiziata, mentre gli uomini invischiati ricevettero soltanto l’esilio da Napoli.


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