Le stronzate di Pulcinella

Napoli che se n'è andata

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view post Posted on 29/4/2019, 13:35
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CITAZIONE (gianky1988 @ 29/4/2019, 00:28) 
CITAZIONE (arecata @ 15/3/2014, 03:24) 
oli.

L'altra strada, opposta al corso Umberto, sulla destra è via Guglielmo Sanfelice che sale verso Toledo. Sulla sinistra, da menzionare, c'era la pasticceria Fiorentina, di Deker, il genero di Odin e sua moglie Gay, il famoso cioccolatiere partenopeo. A Piazza S.Domenico maggiore c'è ancora la pasticceria Sgambati, ne conserva l'antico nome, ma, dopo il fallimento degli eredi, ne è cambiata la gestione, era considerata, a ragione, la migliore di Napoli e forniva molti bar prestigiosi. Questi bar, nel turno di chiusura di Sgambati, per accordi presi dai proprietari, venivano riforniti dalla Pasticceria Fiorentina, anch'essqa molto buona e sullo stesso livello di quella della Luigi Caflish e figli.

.

Buonasera, mi scusi se riesumo un thread abbastanza vecchio, ma nel suo lucidissimo ricordo c'é un errore.
La pasticceria Sgambati non fallí ma anzi chiuse perchè erano tutte figlie donne nessuno volle continuare l'attività, liquidò tutti gli operai che lavoravano e non é mai esistita una sede a piazza san domenico maggiore ma solo ai tribunali e piazza garibaldi.


GRAVE ERRORE DELL'AUTORE DEL THREAD - CERCHIAMO DI PORRE RIMEDIO



L'autore sono io e che ci volete fare? L'età gioca brutti scherzi per cui arrivi a confondere i nomi ed a questo punto mi flagello e torno a capo.

La pasticceria di piazza S. Domenico Maggiore, cui mi riferivo, era Giovanni Scaturchio, autore dei famosissimi ministeriali

ministeriale-di-scaturchio

napoli-ministeriale-scaturchio



Che vedete nella prima immagine, mentre nella seconda c'è la versione 'naturale', non gli si resiste e lo si addenta..... :lol: :lol:

C'è un'altro esercizio bar pasticceria con il nome 'Scaturchio' alla Pignasecca ed il defunto fondatore asseriva di esere il cugino di Giovanni che invece diceva di non avere altri parenti pasticcieri.

E veniamo a "SGAMBATI" che aveva i locali a tre luci di fronte Castel Capuano ed altra luce in via dei tribunali. Potete solo immaginare la clientela che aveva : tutti gli avvocati, i magistrati, il personale del tribunale ed ovviamente testimoni, indiziati etc. Sapete come il rito del caffè, a Napoli, sia sacro e Sgambati, che lo faceva benissimo, aveva il fior fiore dell'elitè napoletana come clientela. Anche la pasticceria era molto buona ed effettivamente non sapevo per quale motivo un brutto giorno cambiò il nome e la gestione, e non solo...

Ringrazio Gianky sia per avermi/averci fatto rilevare il mio errore, sia per averci svelato il mistero della fine del Caffè Sgambati e lo invito a scrivere sul forum altri ricordi della Napoli che fu.
 
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view post Posted on 9/5/2019, 18:34
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Quando a Napoli c'era il Trocadero
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Via Nazario Sauro, per la sua invidiabile posizione di fronte al mare è una delle strade piu' famose di Napoli.
Proprio qui al al civico numero 4, dove oggi c’è Rosolino, la marchesa Pignatelli, scandalizzando non poco la sua nobile famiglia, apri' il il famoso Trocadero considerato il tempio del floor show dove si esibivano le più note vedette dello strip-tease. Anche Coccinelle, la prima transessuale del mondo dello spettacolo, si spogliò sul palcoscenico.
Intorno ai suoi tavolini erano solito sedersi tanti volti noti della cronaca nera che si confondevano con quelli della cronaca rosa napoletana, spesso in compagnia di seducenti entraîneuse, le attuali escort, che non facevano altro se non quello di fare bere quanto più possibile i clienti essendo loro pagate a percentuale sui “tappi.
 
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view post Posted on 8/6/2019, 11:29
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il lato di palazzo San Giacomo (nella foto)era chiamato dai napoletani " "sotto 'e Finanze".
"Sotto 'e Finanze" era il marciapiede di via Toledo su cui si allungava il lato superiore di Palazzo San Giacomo, il vasto edificio che aveva ospitato i Ministeri di Stato e, appunto, il Banco e gli uffici finanziari del Regno delle Due Sicilie.
Lungo la facciata le vetrine di diversi negozi: "I ricami di Napoli", la gioielleria "Cinque e De Simone", la calzoleria "Radice", la profumeria "Arène", il bar "Jolanda", solo per ricordarne alcuni.
Fonte :Comune di Napoli
 
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view post Posted on 19/7/2019, 06:28
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Il negozio di orologiaio a Piazza Trieste e Trento

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Piazza Trieste e Trento qualche decennio dopo l'unità d'Italia quando ancora si chiamava "Piazza San Ferdinando" per la secolare chiesa che si vede al centro in alto, nota come la “chiesa degli artisti” originariamente dedicata a San Francesco Saverio, Patrono delle missioni.
Al di fianco della chiesa vi era un negozio di orologiaio che aveva sistemato vicino alla sua insegna un cannoncino caricato a salve la cui miccia veniva "infuocata" dal sole a mezzogiorno preciso da una lente che provocava lo sparo, e a quel botto la cittadinanza regolava i propri orologi.


Il carnevale napoletano di una volta
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A Napoli il giorno di Sant’Antuono (Sant’Antonio Abate, 17 gennaio) segnava l’ingresso del Carnevale e in questa occasione si dava fuoco a cataste di roba vecchia. Le prime notizie sul Carnevale partenopeo sono note grazie all’opera “Ritratto o modello delle grandezze, delle letizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli“, opera del nobile marchese Giovan Battista del Tufo. Egli racconta che nel XVI secolo il travestirsi era una festa esclusiva di nobili cavalieri, delle dame, duchesse e di tutta l’alta aristocrazia napoletana, che partecipava ai tornei, ai balli, e ai ricevimenti pomposi della Corte Aragonese. Ma attorno al 1600 qualcosa iniziò a mutare: le mascherate avevano affascinato anche la plebe tanto da spingere pescatori, macellai, pescivendoli e contadini ad organizzare un Carnevale del popolo. Quindi il Carnevale antico di Napoli era caratterizzato da questa duplice faccia: una nobile, dei sovrani, delle autorità ecclesiastiche e l’altra popolana e più privata. Il periodo più glorioso per il Carnevale fu con i Borbone, infatti veniva festeggiato con sfilate, mascherate, carri allegorici sfarzosi, addobbati in occasione della festa. Questi carri erano arricchiti con vivande, cibo, salumi e formaggi. A Carnevale, immaginato come un personaggio grasso e dedito a grandi abbuffate , si affiancava la “Vecchia ‘o Carnevale”, dalle giovani e prorompenti curve, ma con il viso da anziana, che trasportava a cavalcioni o sulla gobba un piccolo Pulcinella.

 
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view post Posted on 4/12/2019, 17:10
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Credo questa stupenda poesia ci trasmetta alcune cose della Napoli che non c'è piu':


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Viche e vicarielle di Antonio Ruggero

Juste rimpetto ae viecchie Pellerine
nce sta nu barcunciello sfiziusiello;
me fermo duje minute ogne matina,
primma ca ‘mmocco n’atu vicariello.
Mazze pummarulelle e ccape d’aglie
cu’ ddoje pareglie ‘e mmummarelle antiche;
mellune gialle e qquacche ffiasche ‘e paglia.
N’atu cchiù bbello nun nce sta pe viche.
‘Na pigna, nu panaro e ‘na caiuola
e pe maluocchie,’na pareglia ‘e cuorne;
‘stu vicariello quann’è ssenza sole,
ll’allumma ‘o bbarcunciello nott’ e gghiuorne.

E’ nu pezzullo ‘e Napule, e sta appiso
comme si fosse overo nu quatrillo;
‘na pennellata fresca, nu surriso,
ca m’accarezza pe’ nu pucurillo.

Io ca me fermo ‘e bbotto ‘mmiezz’ a’ ggente
ca sciulia comm’anguille ‘ncoppe pprete,
veco ‘o rilorgio mio ca stranamente,
gira ‘o ccuntrario e vva cient’anne arreto.

Veco ‘e spuntà migliare ‘e bbarcuncielle
e ‘nzieme a lloro tutte ccose antiche…
‘A fantasìa se sceta e mmette scelle
guardanno bbarcunciello ‘e chistu vico.

 
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view post Posted on 10/2/2020, 19:53
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[CENTER]Quando a Napoli fiorivano i bordelli[/CENTER]
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Fino al 1958 se ne contavano almeno 900. Dai Quartieri Spagnoli a via Chiaia si estendeva uno dei più grandi quartieri a luci rosse che l’Europa abbia mai visto. In vico Sergente Maggiore sorgeva uno tra i casini più frequentati e si dice addirittura che la maitresse era disposta ad anticipare al telefono le fantasie che le signorine avrebbero offerto ai visitatori. Su vico Sant´Anna di Palazzo al n. 3 sorgeva lo storico “La Suprema”, l´attuale Chiaja Hotel De Charme dove i facoltosi clienti attendevano Nanninella a´spagnola, Mimì d´‘o Vesuvio, Anastasia ‘a friulana e Dorina da Sorrento.
Alla casa di tolleranza nell´attuale piazzetta Matilde Serao facevano tappa fissa numerosi giornalisti. Gli squattrinati invece andavano a Montesanto nella “casa delle tre vecchiarelle”, signore molto mature che regalavano “gioie” per pochi soldi. A via Chiaia c’erano le case per politici e intellettuali che potevano permettersi anche un’ora di compagnia, a Parco Comola Ricci l’Internazionale per i militari dove anche le prostitute spesso erano straniere. I bordelli per le classi popolari si trovavano ai Quartieri Spagnoli dove per poche lire si otteneva un quarto d’ora d’amore. Insomma Napoli offriva piaceri per tutti i gusti e per tutte le tasche.
 
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view post Posted on 10/2/2020, 20:48
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mi sento pbbligato a scrivere delle precisazioni in merito ai casini perchè io li ho visti e conosciuti da vicino.

Mi direte che occorreva avere 18 anni e dimostrarli con un documento ed io nel 1958 avevo solo 16 anni...
fatta la legge, trovato l'inganno : con due testimoni maggiorenni (immaginate quanto sia difficile trovare un testimone prezzolato a Napoli :lol: ), 3 fotografie formato tessera, 200 lire per il francobollo, si andava alla Posta Centrale e si richiedeva la tessera postale, i dati : nome cognome, data di nascita, li dettavi verbalmente e l'impiegato li trascriveva sulla tessera marroncina.

Erano le maitresse che avrebbero dovuto controllare l'età, ma per loro la tessera postale era sufficiente, quindi cominciamo ad esporre un pò di documentazione in mio possesso

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Questi tariffari erano nella sala d'ingresso, dove c'era il botteghino, ovvero la cassa che, presieduta dalla maitresse, erogava le 'marchette'. Cos'erano? Avete presente i rotoli numerati che prendete alla posta, alla ASL, al comune per seguire l'ordine di essere serviti? Erano molto simili, ma su ognuna era segnato solo il nome della casa, più 'marchette' acquistavi, meglio eri servito in camera. Solo i militario di truppa potevano sperare buona accoglienza acquistando una o due marchette e per loro era obbligatorio l'uso del 'paraschegge (profilattico) così chiamato in gergo.

Le tariffe delle marchette erano diverse a seconda della 'classe e rinomanza' della casa, la più costosa era l'internazionale, al corso V.E. 67, palazzina isolata adiacente al viale, allora completamente disabitato, del parco Comola, civico 66. Via Michelangelo Schipa non esisteva ancora, altrettanto via Giordani per cui l'accesso era solo dal Cso. V-E-
Seconda, per importanza, era quella che il nostro Boss chiama "La Suprema", noi lo conoscevamo come "La favorita", una gita all'internazionale, per noi, era cosa proibitiva, occorrevano anche più di 5.000 lire per essere ben accolti, alla Favorita i prezzi erano meno salati, ma si parlava di 3.000 lire del 1958.
Il terzo in graduatoria era "Franca Veronese" in via Nardones 118, poco da invidiare, come personale femminile, alla Favorita e con 2.000 lire eri un gran signore, anche se non c'erano ne i marmi ne l'ascensore che ti portava ai piani.
C'erano gli altri sui quartieri spagnoli, più a buon mercato, ma 'noi' non li frequentavamo.

Nei salotti d'attesa si facevano incontri ed amicizie, ci si scambiava pareri opinioni e consigli e spesso ci andavamo solo per guardare 'la merce in vetrina' non avendo soldi per comprare e la maitresse lo capiva presto e faceva ritirare nelle loro stanze le ospiti della casa.

Le ospiti erano esperte urologhe e ti visitavano bene prima di procedere, per evitare contagi ed altro.

Quando entravi in camera, la prima cosa che cadeva sotto i miei occhi, erano le catene con lucchetto alle persiane, affinchì non potessero MAI essere aperte, ed è anche per questo che si chiamavano 'case chiuse'

dal campo è tutto, a voi studio centrale
 
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view post Posted on 8/4/2020, 11:51
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Come si spostavano i napoletani prima dell'avvento dell'automobile

Antonio La Gala, ingegnere, giornalista pubblicista ci racconta, nel libro "Quando Napoli andava in tram", un affascinante repertorio di immagini, ricostruisce nei dettagli la storia dei trasporti pubblici a Napoli.
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Agli inizi dell'Ottocento, nella capitale dei Borbone quasi tutti si muovevano a piedi, essendo le carrozze appannaggio dei benestanti e dei nobili.

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C'era però la possibilità di usufruire, su alcuni percorsi, del servizio organizzato da privati con lunghi carrettoni dotati di panche di legno, trainati da cavalli. Su questi "sciaraballi" (dal francese "char a' bancs") il viaggio non era proprio comodo: la seduta rigida, le strade spesso dissestate, improvvisamente attraversate da capre e giovenche, condizionavano la qualità del trasporto. Non si spingevano mai oltre Porta Capuana, Porta Nolana e Porta del Carmine: questo era l'estremo limite dove si fermavano tutte le corse dei cocchieri a nolo e dove stazionavano le diligenze, che giungevano dalle altre parti del vasto Regno.

Più sofisticati degli "sciaraballi", intorno alla metà del secolo comparvero gli "omnibus", vetture "per tutti", eleganti e moderne, verniciate in più colori per contrassegnare le varie linee. Trainate da quattro cavalli, contenevano fino a venti persone; partivano con regolarità ogni dieci minuti e portavano, a prezzi invariabili, i clienti anche nei "villaggi" del Vomero e dell'Arenella. L'accesso ad alcune zone, però, era limitato da restrizioni orarie: gli "omnibus" non potevano transitare nelle ore serali per via Chiaia, perché la strada era trafficata dalle numerose carrozze private, che si dirigevano verso il mare e la frescura della Riviera. Questo efficiente sistema-trasporti, all'inizio regolamentato dalle licenze rilasciate ai singoli, passò poi in gestione a diverse società napoletane, in un proficuo regime di competizione e concorrenza, che spingeva verso continui miglioramenti.
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Alla fine dell'Ottocento, accanto agli "omnibus", iniziarono a circolare i tram, nei primi tempi portati dai cavalli, poi mossi dal vapore, infine agganciati alla rete elettrica. Si delineava così una grande rivoluzione democratica, con cui Napoli conquistava la sua modernità: le stalle, dove a fine giornata tornavano gli animali, venivano trasformate in depositi per le vetture e i binari ridisegnavano lo scenario urbano, regalandogli una prospettiva veloce, quasi cinematografica. L'avvento della Grande Guerra segnò un altro punto di svolta: requisiti i cavalli per le esigenze del fronte, i tram presero il sopravvento.

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Dal primo tratto di binari, che univa la Torretta con l'Immacolatella, i tram cominciarono a scivolare nella metropoli civile immaginata dal Risanamento, nella quale, a partire dal sistema viario innestato su Ferrovia-Rettifilo-Piazza Borsa, ogni luogo doveva essere raggiungibile, in ogni direzione, da San Giovanni fino a Bagnoli. Improvvisamente padroni di una città, che proprio grazie ai moderni trasporti sembrava quotidianamente allargarsi, i napoletani elaboravano un nuovo immaginario. A sollecitarli era l'affascinante tensione che si produceva in queste straordinarie vetture, contemporaneamente chiuse e aperte sul mondo, abitacoli da cui era possibile guardare ed essere osservati.
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Non solo: a Porta Capuana, dove fino a qualche anno prima si erano raccolte le diligenze, venne creato il capolinea dei tram provinciali, attrezzato come una stazione. Da questo momento in poi, Napoli s'apriva a un inarrestabile fenomeno di conurbazione e a una dilatazione dei confini reali, che implicava una maggiore condivisione di luoghi, problemi ma anche di risorse e idee.

 
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view post Posted on 9/4/2020, 14:37
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G I O V E D I' . S A N T O lo struscio



La logica vuole che essendo parte integrante della storia "Napoli che se ne è andata", anche questo importante capitolo va allegato ai nostri ricordi che servono e serviranno a far conoscere una Napoli che non c'è più alle generazioni future.

Lo Struscio era la passeggiata napoletana pasquale da fare con i amici e parenti, recuperando una delle più antiche tradizioni. Pare che la sua nascita risalga al periodo del Vicereame Spagnolo, quando, per questioni di ordine pubblico, era vietata nella Settimana Santa la circolazione di carri, carrozze e animali lungo il tratto di Via Toledo.
La tradizione dei Sepolcri, obbligava cosi i fedeli a percorre a piedi il percorso di visita alle chiese. Da qui, il termine “struscio” indica lo scalpiccio di piedi che “strusciano” senza fretta e richiama il suono onomatopeico degli abiti da festa, inevitabilmente lunghi, che spazzano il marciapiede lungo il percorso. Ecco quindi : fare struscio è diventato sinonimo di farsi belli, agghindarsi, per andare in giro per le strade, senza fretta prendendosi il tempo di osservare le vetrine, fermarsi per prendere una sfogliatella da Pintauro, un caffè da Caflish e cosi di seguito.

Ma cosa sono i Sepolcri che hanno dato origine alla tradizione dello Struscio? Questo è il termine con il quale il popolo continua a chiamare la visita agli altari sacri prevista per il Giovedì Santo, associandoli impropriamente alla sepoltura di Gesù.
Non viene indicato un preciso percorso per i Sepolcri: le chiese da visitare vengono scelte da ciascun fedele in maniera autonoma e anche il numero può variare, anche se tradizionalmente i Sepolcri dovrebbero essere in numero dispari, tre, cinque o sette, numeri che dovrebbero richiamare la SS. Trinità (3), le Piaghe di Gesù (5) e i Dolori di Maria (7).

Ma lo 'struscio' partenopeo d'eccellenza nei ricordi è quello che parte da piazza Dante e prosegue per via Toledo fino a piazza del plebiscito perchè a partire dall’Ottocento la Basilica di San Francesco di Paola è diventata la naturale conclusione del percorso, unico elemento fermo di una tradizione personalizzabile.

Piazza Dante. Cominciamo dalla Chiesa di San Domenico Soriano, splendida chiesa barocca decorata da Cosimo Fanzago. Cercate la Cappella della Famiglia Rinuccini (prima sulla sinistra) con statue di Giuseppe Sammartino (quello del Cristo Velato, per intenderci).

Via Toledo. Chiesa di San Nicola alla Carità. La chiesa è adornata da affreschi e dipinti dei principali pittori del Sei-Settecento campano: Solimena, De Mura, De Matteis. A Natale espone un grande presepe, oggi visitabile nel piano sottostante.

Piazza Carità. Chiesa di Santa Maria della Carità, dove sono stati battezzati alcuni dei principali artisti napoletani da Domenico Scarlatti, a Pacecco de Rosa, a Agostino Beltrani.

Leggera deviazione e si giunge alla Chiesa di Santa Brigida nell'omonima strada. L'origine della chiesa risale al 1609, quando un borghese, Giovanni Antonio Bianco, decise di aprire nella sua abitazione una cappella dedicata a Santa Brigida; a fianco vi realizzò anche un conservatorio per vedove. Questi lavori furono svolti all'insaputa della curia di Napoli e pertanto vennero subito bloccati; le strutture vennero vendute alla pia Giovanna Guevara e, con la licenza arcivescovile e con le sovvenzioni della pia donna, la struttura poté aprire nel 1610. Infine passò ai padri Lucchesi (Ordine della Madre di Dio) che tra il 1637 e il 1640 espansero la chiesa e il convento, che attualmente è parte di Palazzo Barbaja.

Nella realizzazione della nuova chiesa, che rimpiazzò la preesistente cappella del palazzo, furono rispettate le condizioni imposte dalle autorità spagnole, dietro sollecito del castellano del Maschio Angioino, che riteneva un ostacolo al tiro delle cannoniere una cupola di maestose dimensioni; per questo motivo fu innalzata una cupola alta solo nove metri.

Piazza Trieste e Trento. Chiesa di San Ferdinando, con gli splendidi interventi marmorei di Domenico Antonio Vaccaro, tra cui spicca l’altare maggiore.

La basilica reale pontificia di San Francesco di Paola è una basilica di Napoli, ubicata in piazza del Plebiscito, è considerata uno dei più importanti esempi di architettura neoclassica in Italia.
Ferdinando I delle Due Sicilie come voto nei confronti di san Francesco da Paola, che aveva intercesso per lui, decise la costruzione di una chiesa. Venne indetto un concorso che fu vinto dall'architetto Pietro Bianchi, il quale aveva in parte rispolverato il vecchio progetto di Laperuta, oltre a soddisfare tutte le richieste del re, come quella dell'altezza della cupola che non doveva superare il Palazzo Reale, posto proprio di fronte. In definitiva la chiesa fu conclusa nel 1846, rispecchiando pienamente quello che era il gusto neoclassico ed ispirandosi nelle forme al Pantheon di Roma[, oltretutto, grazie al privilegio concesso da papa Gregorio XVI, fu la prima chiesa di Napoli ad avere l'altare rovescio.

A questo punto Arecata vi augura buono struscio virtuale, buon casatiello, questo reale e concreto e Buona Pasqua.
 
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