Le stronzate di Pulcinella

L'invasione dell'Etiopia:pagine ed immagini drammatiche della nostra storia

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view post Posted on 5/10/2013, 08:22
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Le colonie italiane prima dell'Etiopia
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Prima di cominciare a parlare della guerra di Etiopia mi prendo la libertà di ricordare che i possedimenti extra-nazionali che – nel 1922 – il Fascismo si trovò ad ereditare dai precedenti Governi Socialisti e Liberali del Regno d’Italia, erano i seguenti: Eritrea (occupata nel 1869-1885), la concessione di Tien-tisin (7 Giugno 1902) in Cina, Somalia (1889-1908), Libia (1911-1912), Catellorizzo, Rodi ed isole del Dodecanneso (1912), nonché le isole di Saseno e Capo Linguetta (3 Agosto 1920), in Albania. Ed il relativo Ministero delle Colonie, era stato istituito con la Legge del 6 Luglio 1912, n. 749 ed aveva iniziato a funzionare con il R.D. del 20 Novembre 1912, n. 1205.
E’, dunque, con i suddetti territori e quelli dell’Etiopia – nuovamente conquistati, tra il 2 Ottobre 1935 ed il 5 Maggio 1936 – che il Regime fascista proclamò l’Impero, il 9 Maggio del 1936.

Nel 1935 l'Etiopia aveva un’estensione di all’incirca 1.120.400 kmq (quasi 4 volte l’Italia), con una popolazione di all’incirca 28.000.000 di abitanti, di diverse etnie, per lo più di origine camita e caratterizzata da forti influenze arabo-semite e somalo-bantù (da cui, la denominazione araba, per popolazioni miste, Habesh, divenuto, in seguito, in italiano, Abissini).
Insieme alla Liberia, al Sudafrica e al Regno d'Egitto, era uno degli Stati africani indipendenti e sovrani ammessi alla Società delle Nazioni, e quindi universalmente riconosciuti a livello giuridico internazionale, nonostante la schiavitù, abolita solo ufficialmente, fosse ancora diffusa. Oltre a ciò la personalità internazionale dell'Impero d'Etiopia era stata riconosciuta dalle maggiori potenze europee sin dal XIX secolo.
Era uno Stato prettamente tribale/feudale, di modello assolutista, dove l’autorità era interamente nelle mani di un Negus Neghesti o Neguss Neqest (Re dei Re o Signore dei Signori) che la delegava, su base territoriale, ai suoi diversi diretti vassalli, come i Re o Ras del Tigrai, del Goggiam, del Caffa, del Sidamo, dell’Uollo, il Sultano del Gimma, l’Emiro dell’Harar, etc.


Le origini della guerra
Mentre, da una parte, è vero che dopo il 1929, l'espansione imperiale divenne uno dei temi favoriti del governo italiano fascista di Benito Mussolini che aspirava alla ricostituzione di un impero, alla stessa stregua di Gran Bretagna e Francia che possedevano importanti imperi in Africa, d'altro canto voleva vendicare la sconfitta subita nel 1896 durante la Guerra di Abissinia ad Adua.

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Lo spunto per una invasione glie lo diedero gli stessi Etiopi il 4 novembre 1934l con gli incidenti di Gondar e di Ual Ual quando il consolato italiano di Gondar fu attaccato da gruppi armati etiopici che causarono la morte di numerosi ascari eritrei e il 5 dicembre 1934 la postazione italiana di Ual Ual, presidiata da 200 militari, venne sottoposta all'attacco di 1.500 soldati abissini che causò 80 vittime tra i difensori italiani. Quest'ultimo episodio divenne il casus belli.
Secondo alcuni storici, quindi, lo scoppio dell'ostilità fu provocato dall'Etiopia e dallo stesso negus Selassie, che dalla metà del 1934 consentì a bande armate guidate da ras locali di sconfinare in Eritrea e di attaccare i presidi italiani. L'intenzione era quindi quella di intimorire le autorità italiane e di indurle ad avviare una trattativa per la revisione dei confini, prima che la situazione gli sfuggisse di mano.
Mussolini pretese le scuse ufficiali e il pagamento di un'indennità per le famiglie degli uccisi da parte del governo etiope, conformemente a quanto stabilito nell'accordo del 1928. Il negus Selassie, avendone la possibilità in virtù del medesimo trattato, decise invece di rimettersi, tra le proteste italiane, alla Società delle Nazioni (2 gennaio). Ciò provocò la cosiddetta crisi abissina all'interno della Società delle Nazioni che, per far luce sulla vicenda, si impegnò in un arbitrato tra le parti, temporeggiando. Tuttavia i rapporti italo-etiopi erano irrimediabilmente compromessi e le truppe italiane iniziarono a mobilitarsi in previsione di un prossimo conflitto. Come sostenne poi lo stesso Mussolini, fin da dopo la battaglia di Adua gli italiani prepareranno la conquista dell'Etiopia.

Accordo con la Francia
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Tra il 4 e il 7 gennaio 1935 Mussolini incontrò a Roma il ministro degli esteri francese Pierre Laval, col quale vennero firmati accordi in virtù dei quali la Francia accordava all'Italia delle rettifiche di frontiera fra la Libia e l'Africa Equatoriale francese, fra l'Eritrea e la Costa francese dei Somali e la sovranità sull'isola di Dumerrah. L'accordo conteneva soprattutto un esplicito "desistment" francese per una non ben specificata penetrazione italiana in Etiopia. Tale parola, correttamente tradotta come "disinteressamento", venne interpretata dal governo italiano come "mano libera" da parte della Francia all'invasione dell'Etiopia. Laval sperava in tal modo di avvicinare Mussolini alla Francia, al fine di dar vita a un'alleanza in funzione anti-nazista (Hitler rivendicava l'Alsazia-Lorena, persa dai tedeschi dopo la prima guerra mondiale).

un nuovo attacco Etiope


Il 16 gennaio Mussolini assunse la direzione del Ministero delle Colonie e tre giorni dopo la Società delle Nazioni riconobbe "la buona fede" di Italia ed Etiopia nell'incidente di Ual Ual e decise che il caso dovesse essere trattato tra le due parti interessate; tuttavia il 17 marzo gli abissini presentarono un altro ricorso, appellandosi all'articolo XV dell'organizzazione. Nel frattempo il 23 marzo a Om-Hager una pattuglia abissina, oltrepassato il fiume Setit, sconfinò in Eritrea attaccando alcune guardie di confine e uccidendo il buluk-basci Gherenchiel Tesemma.
L'8 giugno a Cagliari, di fronte all'ostilità mostrata in tal senso dalla Gran Bretagna, Mussolini rivendicò il diritto dell'Italia ad attuare una propria politica coloniale e, il 18 settembre, in un articolo pubblicato sul Morning Post, garantì che non sarebbero stati lesi gli interessi francesi e britannici nell'Africa orientale.
Un potenziale alleato del governo etiope avrebbe potuto essere l'impero giapponese, nazione presa a modello da molti intellettuali di Addis Abeba: tuttavia il 16 luglio l'ambasciatore nipponico a Roma Sugimura Yotaro dichiarò a Mussolini che il suo governo si sarebbe mantenuto neutrale in caso di conflitto. Questa presa di posizione fu approvata da Tokyo, che preferiva rinsaldare i suoi rapporti con l'Italia piuttosto che avvicinarsi all'Etiopia, nazione con la quale non aveva particolari affinità; il 2 agosto una richiesta d'aiuto bellica presentata dal negus all'Imperatore Hirohito venne rifiutata, così come una successiva offerta di alleanza non militare.

Il proclama di Mussolini


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Ormai sicuro di non rischiare un conflitto su più fronti, il 2 ottobre Mussolini proclamò alle folle la guerra all'Etiopia dal balcone di palazzo Venezia: nel proclama il capo del fascismo, rispolverando i temi della "vittoria mutilata", ricordò ai popoli di Gran Bretagna e Francia i sacrifici -non adeguatamente ricompensati- sopportati dagli italiani durante la Grande Guerra; i toni minacciosi ("alle sanzioni militari risponderemo con misure militari, ad atti di guerra risponderemo con atti di guerra.
Al proclama non seguì alcuna formale dichiarazione di guerra ai rappresentanti dello Stato etiope.


L'attacco italiano


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Il 3 ottobre 1935 100.000 soldati italiani ed un considerevole numero di Áscari, sotto il comando del maresciallo Emilio De Bono iniziarono ad avanzare dalle loro basi in Eritrea.

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Il 5 ottobre il genero del Negus, Hailè Sellasiè Gugsà, passò dalla parte degli italiani permettendo così all'esercito coloniale di avanzare in territorio abissino per molti chilometri, portando con sé alcuni reparti e interrompendo l'unica linea telegrafica che collegava l'Eritrea ad Addis Abeba.l 6 ottobre, tre corpi d'armata italiani occuparono Adua, cittadina presso la quale gli italiani avevano subito una cocente sconfitta nel 1896 durante la campagna d'Africa Orientale. Il 15 ottobre venne occupata Axum, la capitale religiosa dell'Etiopia. Una delle prime decisioni assunte da De Bono sul territorio abissino conquistato fu la liberazione degli schiavi e l'abolizione della schiavitù il 14 ottobre 1935.

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Dopo una lunga sosta, il 3 novembre, De Bono riprese la marcia verso Macallè con il 1º Corpo d'Armata del generale Ruggero Santini e il Corpo d'Armata Eritreo del generale Alessandro Pirzio Biroli, raggiungendo l'obiettivo sei giorni dopo.
Contemporaneamente all'inizio della campagna nel nord, un contingente comandato dal generale Rodolfo Graziani avanzò dalla Somalia Italiana sul fronte sud e, in una ventina di giorni, occupò i presidi etiopi di Dolo, Ualaddaie, Bur Dodi e Dagnarei, incontrando deboli resistenze.

Le sanzioni contro l'Italia


Attaccando l'Abissinia, che era membro della Società delle Nazioni, l'Italia aveva violato l'articolo XVI dell'organizzazione medesima: "se un membro della Lega ricorre alla guerra, infrangendo quanto stipulato negli articoli XII, XIII e XV, sarà giudicato ipso facto come se avesse commesso un atto di guerra contro tutti i membri della Lega, che qui prendono impegno di sottoporlo alla rottura immediata di tutte le relazioni commerciali e finanziarie, alla proibizioni di relazioni tra i cittadini propri e quelli della nazione che infrange il patto, e all'astensione di ogni relazione finanziaria, commerciale o personale tra i cittadini della nazione violatrice del patto e i cittadini di qualsiasi altro paese, membro della Lega o no".
Per questo motivo, la Società delle Nazioni condannò l'attacco italiano il 7 ottobre e il 18 novembre l'Italia venne colpita dalle sanzioni economiche imposte dalla Società delle Nazioni, approvate da 52 stati con i soli voti contrari di Austria, Ungheria, Albania e Paraguay, questi paesi inviarono i loro osservatori militari per seguire l'andamento delle operazioni militari. In questa commissione di osservatori prese parte anche un colonnello statunitense, mentre l'Albania aveva inviato il tenente colonnello Prenk Pervizi. Gli altri nomi sono andati perduti.
Le sanzioni, peraltro, risultarono inefficaci perché numerosi paesi, pur avendole votate ufficialmente, mantennero buoni rapporti con l'Italia, rifornendola di materie prime. Tra questi la Germania: di fatto, la guerra d'Etiopia rappresentò il primo punto di avvicinamento tra Mussolini e Adolf Hitler, anche se Hitler permise la fornitura di armamenti al Negus ancora nel 1936. Alcuni paesi come la Spagna e la Jugoslavia, pur avendole votate comunicarono al Governo italiano che non intendevano rispettarne diverse clausole.

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Il 18 novembre le sanzioni divennero operative. Per rispondere alle sanzioni, esattamente un mese dopo, il 18 dicembre, fu proclamata la Giornata della fede, giorno in cui gli italiani furono chiamati a donare il proprio oro (soprattutto le fedi nuziali) per sostenere i costi della guerra.Carbone e petrolio non figurano nella lista degli articoli embargati e l'URSS non si fa pregare nel rispettare il suo trattato economico con l'Italia fornendo spregiudicatamente le materie prime necessarie alla guerra imperialista; la marina mercantile degli Stati Uniti non è vincolata giuridicamente dalla decisione dell'organismo internazionale e la Germania ignora l'embargo


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Sia durante la guerra che nel periodo prebellico gli Etiopi furono dotati di armi da molte nazioni europee , tra le quali Francia, Belgio e Regno Unito, che fornirono anche ufficiali per istruire meglio le truppe del Negus, circa il doppio rispetto a quelle italiane.Nell'autunno del 1935 il dispositivo italiano conta in Eritrea 110.000 italiani e 53.000 indigeni, 35.000 quadrupedi, 4.200 mitragliatrici, 580 cannoni, 112 carri armati, 3.700 automezzi e 126 aerei; in Somalia le forze sono inferiori: 24.000 italiani e 30.000 indigeni, 8.000 quadrupedi, 1.600 mitragliatrici, 117 cannoni, 45 carri armati, 1.850 automezzi e 38 aerei. Pronti per l'ultima guerra coloniale del XX secolo. A fronteggiare l'aggressione fascista sono mobilitabili non meno di 300.000 soldati etiopici, ma non sono inquadrati in moderne unità. E' ancora un esercito di tipo feudale, praticamente lo stesso che ha sconfitto Baratieri ad Adua nel 1896. Hailé Selassié, vista l'imminenza della guerra, ha fatto ricorso al mercato internazionale degli armamenti acquistando (da ditte cecoslovacche, danesi, francesi e svizzere) 16.000 fucili, 600 mitragliatrici, alcuni pezzi d'artiglieria (soprattutto contraerea) e 10 milioni di cartucce. Una goccia rispetto agli imponenti mezzi messi in campo da Mussolini. Certo le truppe sono motivatissime e conoscono bene il terreno, possono anche disporre di micidiali pallottole esplosive dum-dum, vietate dalla convenzione di Ginevra, ma tutto questo non varrà a niente quando gli italiani ricorreranno ai non meno vietati gas asfissianti. Centinaia di combattenti abissini verranno sfigurati dall'iprite lanciata dall'aeronautica fascista.



L'avvento di Badoglio
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Nonostante la rapida conquista di Adua, Adigarat e Macallè, due mesi dopo l’inizio delle ostilità, Mussolini decise la sostituzione di De Bono con il maresciallo Badoglio. Il provvedimento probabilmente fu generato dai contrasti con il duce sulla conquista dell’Amba Alagi e dalla contemporanea sfiducia manifestata all’anziano ufficiale da vari settori del partito.
Le dimissioni di De Bono furono raddolcite con la promozione al grado di maresciallo, secondo l’antica lezione del promoveatur ut moveatur. D’altra parte stando alle parole di un autorevole storico come Mack Smith: “… De Bono stava dimostrandosi, come comandante, una scelta sbagliata. Aveva sessantanove anni e non era che un soldato dilettante, timido e privo di fantasia”.
Comunque inizialmente il suo sostituto non ebbe vita facile. Badoglio giunse in colonia il 26 novembre e praticamente non riprese l’iniziativa fino al 20 gennaio, il che permise alle armate dei ras di riconquistare parte del territorio perduto.
Oltre al significato psicologico, le prime operazioni belliche in territorio abissino generarono presto dure ripercussioni a livello internazionale. Velocemente anche il supposto disinteresse francese venne meno per colpa di Mussolini, che non si prese neanche il disturbo di organizzare un falso incidente di frontiera per mascherare l’attacco italiano. Laval, che nel corso dei colloqui di Roma aveva abbracciato la politica del “desistment”, fu messo nell’impossibilità di difendere l’intera operazione.

L'Inghilterra "perfida Albione"
Paradossalmente, le sanzioni fecero il gioco del regime fascista. La splendida occasione di presentare l’Italia come paese vittima dell’assedio economico di 52 nazioni, fu presto sfruttata per frantumare l’ultimo residuo di resistenza al fascismo in Italia. L’azione propagandistica ebbe gioco facile ad accusare le democrazie occidentali, presentate all’opinione pubblica come decadenti, infiacchite e risolute nel voler negare il giusto diritto degli italiani di assicurarsi “un posto al sole”. L’Inghilterra in modo particolare fu dichiarata principale nemica del popolo italiano e per l’occasione venne definita con una perifrasi ormai celebre: “perfida Albione”. Primi segnali di una spaccatura tra Italia e Gran Bretagna destinata ad avere un triste seguito negli anni futuri.
Tra il gennaio e il maggio del 1936, la guerra conobbe la sua seconda fase. Badoglio si dedicò principalmente al consolidamento delle conquiste territoriali, rimandando alla metà di gennaio qualsiasi azione offensiva.
Gli abissini approfittarono della stasi sul fronte settentrionale per dare inizio a una serie di azioni controffensive, che portarono alla fortificazione del fronte all’altezza di Macallè, all’occupazione delle regioni dello Scirè e del Tembien.
Insomma non si poteva certo dire che la situazione bellica fosse delle migliori, se a salvare la faccia non fossero intervenuti i successi militari ottenuti sul fronte meridionale dal generale Graziani. Quest’ultimo grazie a massicce azioni offensive sostenute da bombardamenti in cui fecero la comparsa le bombe all’iprite e altri gas asfissianti, riuscì a penetrare per 400 chilometri e ad occupare Neghelli.

L'impiego dei gas
La pianificazione operativa italiana dell'aggressione all'Etiopia prevedeva fin dall'inizio la possibilità dell'impiego delle armi chimiche, in particolare gas asfissianti; il deposito principale venne organizzato a Sorodocò dove il "servizio K" dell'esercito ammassò tra l'aprile 1935 e il maggio 1936 6.170 quintali di fosgene, cloropicrina, iprite, arsina, lewisite, oltre a 84.000 maschere antigas. Anche il generale Graziani considerava l'impiego di armi chimiche: l'8 settembre 1935 richiese infatti al generale Baistrocchi l'invio nel suo settore di 55.000 maschere e 60.000 proiettili d'artiglieria, bidoni a scoppio, candele e bombe a mano caricate con aggressivi chimici e gas lacrimogeni.
Fu direttamente il generale Badoglio che a partire dal 22 dicembre 1935 prese la decisione di impiegare in modo cospicuo gli aggressivi chimici; questa scelta era motivata dalla situazione operativa sul campo non molto favorevole per l'esercito italiano che si trovava nella necessità di frenare la controffensiva etiopica nello Scirè, nel Tembien e nell'Endertà e venne messa in atto non solo contro le truppe nemiche ma anche per seminare il panico nelle retrovie, tra la popolazione, colpendo con gas tossici villaggi, pascoli, mandrie, laghi e fiumi. Dal 22 dicembre 1935 al 18 gennaio 1936 furono impiegati sui settori settentrionali 2.000 quintali di bombe, di cui una parte con gas; il 5 gennaio 1935 Mussolini aveva richiesto una pausa di queste operazioni per motivi di politica internazionale in attesa di alcune riunioni della Società delle Nazioni, ma fin dal 9 gennaio il generale Badoglio riprese i bombardamenti chimici e comunicò a Roma gli effetti terrorizzanti sul nemico. Mussolini a più riprese approvò questo comportamento; il 19 gennaio 1936 scrisse di "impiegare tutti i mezzi di guerra - dico tutti - sia dall'alto come da terra"; il 4 febbraio ribadì a Badoglio che lo autorizzava a "impiegare qualsiasi mezzo". Ancora il 29 marzo 1936, alla vigilia della battaglia di Mai Ceu, Mussolini confermò l'autorizzazione a Badoglio "all'impiego di gas di qualunque specie e su qualunque scala.
Badoglio e l'apparato militare italiano mantennero uno stretto segreto sulla guerra chimica, i giornalisti furono tenuti lontano, le squadre del "servizio K" bonificarono il terreno vicino alle truppe italiane, solo pochi ufficiali e alcuni piloti furono informati. Grazie a queste precauzioni, la grande maggioranza dei soldati italiani non venne a conoscenza dell'impiego dei gas e non ebbe esperienza diretta dei fatti, al contrario le testimonianze sono numerossissime tra gli ex-combattenti etiopici. A Mai Ceu, secondo i racconti, i soldati abissini, istruiti a "sentire l'odore", "cambiare strada" e "lavarsi subito se contaminati", avrebbero attraversato, prima di entrare in battaglia, un "cordone di iprite" che durante la notte aveva perso parte della sua efficacia.
Nonostante le precauzioni dell'apparato militare di Badoglio, le ricorrenti proteste internazionali, dopo la denuncia del Negus alla Società delle Nazioni del 30 dicembre 1935, testimonianze di osservatori e giornalisti stranieri e il bombardamento italiano di ospedali da campo svedesi e belgi, costrinsero il regime, dopo avere prima negato recisamente, ad ammissioni parziali, minimizzando le dimensioni dei fatti e giustificandoli come ritorsioni "legittime" per l'impiego di pallottole esplosive Dum-dum da parte etiopica, vietati dalla convenzione di Ginevra. Le denunce italiane, erano basate inizialmente su un telegramma falsificato che accusava una ditta britannica delle forniture di queste pallottole; in realtà, in piccole quantità, gli etiopici fecero uso di queste pallottole, generalmente di proprietà personale dei soldati che le impiegavano per cacciare. Gli abissini inoltre praticarono torture e brutalità contro i loro prigionieri di guerra.

Addis Abeba occupata
L’avanzata italiana da questo momento si arrestò solo ad Addis Abeba.
Nella seconda battaglia del Tambien ( 27-29 febbraio) e nella battaglia dello Scirè (29 febbraio – 3 marzo) furono duramente colpite le armate dei ras Sejum, Cassa, Immirù. Badoglio fu così in grado di oltrepassare l’Amba Alagi, che tra l’altro rappresentava la massima espansione italiana del 1895. In qualche modo il “complesso di Adua” era stato superato.
Infine nella battaglia di Mau Ceu (31 marzo), detta anche del lago Ascianghi, venne sconfitta l’ultima armata etiope al comando dello stesso Negus.
Innegabile il valido aiuto dato alle armi italiane dall’aviazione e dall’uso dei gas asfissianti. I dubbi sulla presunta falsità di tale utilizzo, che in passato generò polemiche e che ispirò la famosa querelle tra Indro Monanelli e lo storico Angelo Del Boca di qualche anno fa , oggi sembrano essere stati fugati. Che l’aviazione italiana abbia usato gas venefici e altri strumenti di natura batteriologica è oggi fatto indiscutibile, peraltro confermato da numerose prove oggettive (si pensi solo ai telegrammi di Mussolini a De Bono, Badoglio e Graziani in cui si autorizzano le forze armate ad utilizzare tutti i mezzi per ottenere la vittoria compresi i gas e le armi batteriologiche.
Dopo Mai Ceu il Negus si ritirò verso Addis Abeba senza combattere e rifiutando qualsiasi contatto con le autorità italiane. Raggiunta la capitale il 30 aprile, due giorni dopo decise di lasciare il paese per un esilio volontario. Giunto a Gibuti, qui si imbarcò su una nave da guerra inglese.
Il fatto di non voler trattare la resa da parte di Heillè Salaissè fu di determinante importanza per gli anni a venire, ma di fatto lasciò campo libero a Mussolini in Etiopia per alcuni anni.

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Badoglio entrò nella capitale il 5 maggio, riportando la tranquillità in una città che da tre giorni subiva saccheggi e uccisioni da parte degli shiftà (banditi). Il 9 maggio le truppe di Graziani occuparono Dirè-Daua sulla ferrovia Gibuti-Addis Abeba, dove si ricongiunsero con i soldati di Badoglio, giunti in treno da Addis Abeba.

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La vittoria venne ufficialmente comunicata da Mussolini al popolo italiano la sera del 5 maggio 1936, dopo un messaggio del maresciallo Pietro Badoglio.

Il 7 maggio l'Italia annetté ufficialmente l'Abissinia, e il 9 maggio, dal balcone di Palazzo Venezia, Mussolini annunciò la fine della guerra e proclamò la nascita dell'Impero, riservando per Vittorio Emanuele III la carica di Imperatore d'Etiopia e per entrambi quella di Primo Maresciallo dell'Impero

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Eritrea, Abissinia e Somalia Italiana vennero riunite sotto un unico Governatore, e il nuovo possedimento coloniale venne denominato Africa Orientale Italiana.

Il 4 luglio la Società delle Nazioni decretò terminata l'applicazione dell'articolo XVI e le sanzioni caddero il 15 dello stesso mese (l'unico stato che si oppose fu il Sudafrica). L'Italia richiese infine alla Società delle Nazioni di riconoscere l'annessione dell'Etiopia: tutti le nazioni partecipanti, con l'eccezione dell'Unione Sovietica, votarono a favore
Un'importante conseguenza della vittoria italiana fu la liberazione di oltre 400.000 schiavi (su un totale esistente, stimato dalla SDN, di 2 milioni), in quanto l'Etiopia, pur avendo ricevuto l'obbligo da parte della stessa SDN di abolire la schiavitù quale passo necessario alla sua ammissione, non aveva fatto che operazioni di facciata in questo senso.

Il dopoguerra: periodo difficile




Nonostante i proclami gli Italiani non avranno mai piena ragione del territorio dell'Etiopia nella sua interezza. Badoglio avrebbe voluto seguire l'esempio degli inglesi affidando l'amministrazione del territorio ai vari Ras delle tribu', ma Roma riconobbe a questi solo alcune onorificenze di facciata.
A parte le città e le zone limitrofe, nelle quali in soli cinque anni si comincerà a costruire il nuovo volto dell'impero d'Africa, con una dispendiosa e sistematica politica d'insediamento, economica, urbanistica e sociale, il resto del paese è preda delle azioni di resistenza delle aristocrazie Amhara e Tigrina il cui spirito nazionalista si salda con la tradizionale azione degli sciftà (banditi secondo la lunga tradizione tribale corrispondente ad un'antico sistema di sussistenza economica etiope). La resistenza etiopica, quindi, non era certo stata vinta, ras fedeli al negus stavano organizzando una micidiale guerriglia, le campagne dell'altopiano erano terre insicure per i soldati italiani
E fu cosi' che comincio' un periodo fatto di attentati , rappresaglie ed eccidi che rappresenteranno una pagina tragica e vergognosa della storia del nostro paese.

L'attentato a Graziani


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Il maresciallo Rodolfo Graziani aveva sostituito Pietro Badoglio sul trono di viceré di Addis Abeba. E Graziani aveva deciso, il 19 febbraio del 1937, di compiere un gesto rassicurante, una prova spettacolare della pax italiana. Il viceré doveva dimostrare la "generosità" degli italiani e rompere la cappa di insicurezza che regnava sulla capitale etiopica .Per questo decise di distribuire, nel giorno nel quale i copti celebrano la Purificazione della Vergine, la somma di cinquemila talleri ai poveri della città, la manifestazione aveva anche l'intento di festeggiare la nascita a Napoli dell’erede al trono Vittorio Emanuele.
La cerimonia si svolse sui gradini del Piccolo Ghebì, la vecchia residenza di Hailè Selassié, oggi sede dell'Università di Addis Abeba. La resistenza etiopica decise di colpire proprio in quell'occasione. Due giovani eritrei, ma probabilmente erano più di due, confusi nella folla dei mendicanti, lanciarono diverse bombe a mano contro Graziani. Le vittime dell'attentato furono sette, ma il viceré fu solo ferito, colpito alla schiena da centinaia di schegge.
Una volta ristabilitosi la vendetta tremenda. Una dura rappresaglia che dai primi 300 etiopi uccisi indiscriminatamente sul luogo dei fatti portò alla morte di moltissimi altri (3.000 secondo gli inglesi, 30.000 secondo gli etiopi, 300 per gli italiani). Guarito, il generale Graziani ordinò il massacro al monastero ortodosso di Debre Libanos, ritenuto rifugio temporaneo degli attentatori: morirono 1.600 tra monaci e giovani catechisti, vescovo compreso (secondo le ultime ricostruzioni degli storici Angelo Del Boca, ma soprattutto dei colleghi inglese Ian L. Campbell ed etiopico Degife Kabré Sadik).

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Si incendiarono i tucul, le chiese copte, i raccolti, i terreni coltivati. Si uccide il bestiame e si inquinano i terreni con aggressivi chimici.Graziani ordina quindi la fucilazione di esponenti della intelligencija etiopica e perfino di decine di indovini e cantastorie, colpevoli solo di aver predetto il crollo del regime coloniale.
Le esecuzioni sommarie di presunti colpevoli e fiancheggiatori degli attentatori proseguiranno nelle settimane e nei mesi successivi.

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Durante l’estate scoppiano altre rivolte e continua la repressione, che culmina con l’esecuzione di Hailù Chebbedè, considerato il capo dei ribelli, la cui testa mozzata portata come trofeo in giro per l’Etiopia (si dice in una scatola di latta per biscotti) fu issata su un palo e mostrata nelle piazze dei mercati.
Altri massacri ed episodi efferati vedranno gli italiani protagonisti negli anni successivi, come nel 1939 a Debra Brehan, dove più di mille tra uomini, donne, vecchi e bambini saranno gasati con l’iprite nelle grotte dove si erano rifugiati.
Fu ordinata anche lo sterminio degli indovini e dei cantastorie che stavano annunciando, nelle loro profezie, la fine dell'occupazione italiana.

assalto dei ribelli etiopi al cantiere di Mai Lahlà


Secondo i piani di Mussolini, dopo la conquista dell’Etiopia sarebbe stato avviato un imponente piano di emigrazione di cittadini italiani con le rispettive famiglie . All'inizio furono aperti numerosi cantieri edili che costituirono la principale valvola di sfogo della cronica disoccupazione italiana.
In uno di questi cantieri quello di di Mai Lahlà il 13 febbraio 1936 , dai ribelli etiopi fu conpiuto un vero e proprio massacro che provocò la morte di 85 tra operai e ingegneri.Tutti erano stati orrendemente mutilati.

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Seicento abissini al comando del fitaurari Tesfai, sottocapo del degiacc Aialeu Burrù, attaccarono di sorpresa il cantiere n.1 della ditta Gondrad presso Mahi Lahlà, privo di difesa, massacrando e seviziando tra sessantotto ed ottantacinque operai e tecnici civili , italiani ed eritrei, tra cui il capocantiere, ing. Rocca, la moglie di questi, Lidia Rocca Maffioli, forse uccisa dal marito per evitare che venisse stuprata e seviziata, e la cameriera tigrina della signora, ed il vicedirettore l’ingegner Roberto di Colloredo Mels. Tra i morti non c’era un solo militare. I corpi, compresi quelli delle donne, furono mutilati. Gli operai ed i tecnici del cantiere si difesero furiosamente, ma senza possibilità di successo.
Pare che le Camicie Nere di guardia ai ponti sul Mareb, udite le scariche di fucileria, avessero chiesto via radio il permesso di andare a vedere cosa succedesse, ma il comando italiano non aveva dato l’autorizzazione Durante i rastrellamenti seguiti al massacro, Amedeo Guillet con i suoi Spahis libici trovò in una chiesa vicina, insieme a fucili italiani ed ad oggetti provenienti dal saccheggio, il portello di uno dei CV33 di Crippa distrutti a Dembeguinà .

Perchè la conquista dell'etiopia fu un fallimento



Con la conquista dell'Etiopia Mussolini ottenne una grande popolarità interna e un assoluto sostegno in Italia, ma dal punto di vista economico fu un vero e proprio fallimento. Il regime sperava di creare uno sbocco per le popolazioni contadine più povere evitando in questo modo il flusso emigratorio verso le Americhe . In effetti tutto questo non avvenne anzi questa guerra indeboli' non poco le risorse economiche del paese ,(l’impresa costò 41 miliardi di lire e qualche migliaio di morti di parte italiana) oltre a sfatare il mito degli "Italiani brava gente". Inoltre l'impresa fece inimicare l'Italia con le potenze Inglesi e Francesi e getto' Mussolini nelle braccia di Hitler . Fece nascere l'asse Roma-Berlino ottobre 1936) e il contemporaneo intervento in Spagna rivelarono al mondo che gli Stati democratici nulla più potevano e dovevano concedere a un fascismo ormai pronto ad assimilare e a partecipare alla politica di espansione nazista. Il nazi-fascismo (così cominciò a essere noto) mirava ora ad annettere ogni terra dove vivessero in preponderanza tedeschi e italiani. Austria, Danzica, Sudeti per Hitler; Malta, Tunisi, Gibuti, Nizza, Canton Ticino per l'Italia. Tutte le concessioni che l'Europa democratica aveva fatto a Hitler e a Mussolini (Renania, 1936; Anschluss, 1938; Albania, 1939) furono dettate dalla speranza di salvare la pace, ma il nazi-fascismo rivelava intanto un altro aspetto della sua aberrante dottrina, il razzismo.


Edited by Pulcinella291 - 10/10/2013, 08:03
 
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