Le stronzate di Pulcinella

Il dramma Istriano:foto, documenti filmati e testimonianze

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view post Posted on 7/12/2013, 18:09
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Pulcinella291 Forum

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Prima di parlare dell'esodo, della diaspora forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana che si verificò a partire dalla seconda guerra mondiale e negli anni ad essa successivi dai territori del Regno d'Italia prima occupati dall'Armata Popolare di Liberazione della Jugoslavia del maresciallo Josip Broz Tito e successivamente annessi dalla Jugoslavia, dobbiamo giocoforza accennare agli eventi antecedenti.

L'Istria tra la prima e la seconda guerra mondiale.



A seguito della vittoria italiana nella prima guerra mondiale con il trattato di Saint-Germain-en-Laye (1919) e il trattato di Rapallo (1920), l'Istria divenne parte del Regno d'Italia.
Il censimento del 1921 ribaltò i risultati della rilevazione austriaca del 1910, sia per quanto riguarda la Venezia Giulia nel suo insieme, che per l'Istria, indicando in regione una maggioranza di popolazione culturalmente italiana. Secondo le rilevazioni censuali di quell'anno la popolazione istriana appartenente al gruppo linguistico italiano risultava composta da ben 199.942 unità (58,2% del totale). Seguiva il gruppo croato, predominante secondo i dati del censimento anteriore, con 90.262 parlanti (26,3%), e quello sloveno con 47.489 (13,8%). Le restanti 5.708 unità (1,7%) vennero invece classificate come "altri". Anche questo censimento, come il precedente, fu oggetto di numerose critiche: molti istriani di lingua croata si definirono italiani e in alcune località (Briani, frazione di Fianona, Sanvincenti, ecc.) i dati ottenuti erano scarsamente rappresentativi della realtà linguistica dei rispettivi comuni. Nonostante queste critiche, durante la conferenza di pace, i dati di questo censimento vennero generalmente utilizzati, insieme a quelli del 1910, dai rappresentanti dei paesi partecipanti.
Con l'avvento del fascismo (1922) si inaugurò una politica d'italianizzazione forzata:

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Gran parte degli impieghi pubblici furono assegnati agli appartenenti al gruppo etnico italiano.
Nelle scuole fu vietato l'insegnamento del croato e dello sloveno in tutte le scuole della regione. Con l'introduzione della Legge n. 2185 del 1/10/1923 (Riforma scolastica Gentile), fu infatti abolito nelle scuole l'insegnamento delle lingue croata e slovena. Nell'arco di cinque anni tutti gli insegnanti croati delle oltre 130 scuole con lingua d'insegnamento croata e tutti gli insegnanti sloveni delle oltre 70 scuole con lingua d'insegnamento slovena, presenti in Istria, furono sostituiti con insegnanti originari dell'Italia, che imposero agli alunni l'uso esclusivo della lingua italiana.
In base al Regio Decreto Legge N. 494 del 7 aprile 1926 le autorità fasciste riuscirono a italianizzare i cognomi a decine di migliaia di croati e sloveni. Con una legge del 1928 i parroci e gli uffici anagrafici ricevettero il divieto di iscrivere nomi stranieri nei registri delle nascite.

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Durante la seconda guerra mondiale a causa dell'occupazione della Jugoslavia da parte delle potenze dell'Asse le relazioni fra italiani e slavi peggiorarono ulteriormente. Dopo l'occupazione della Jugoslavia avvenuta nel 1941 e in particolar modo con la diffusione della resistenza partigiana croata e slovena nell'Istria (alcuni episodi ebbero luogo nel 1942, ma l'attività partigiana si registrò soprattutto dopo l'armistizio italiano dell'8 settembre 1943) si intensificarono gli atti di violenza contro i croati e sloveni. Alla politica di bonifica etnica del confine – come venne definita nei documenti fascisti – avviata già nel decennio precedente, attuata perlopiù tramite una legislazione mirata a calpestare le culture slovena e croata, e azioni squadriste dirette contro singoli oppositori, si affiancò una spietata repressione fascista della resistenza partigiana, con rappresaglie, incendi di villaggi e internamenti della popolazione civile, che a seguito dell'occupazione tedesca del territorio finì con l'omologarsi, anche nei metodi, a quella attuata nelle zone occupate della Jugoslavia.
A seguito degli avvenimenti dell'8 settembre del 1943 la comunità italiana restò in balia di tedeschi e della resistenza croata. Quest'ultima era più efficiente e preparata militarmente del movimento di liberazione sloveno che invece operava nella parte settentrionale della penisola. Buona parte della regione cadde, per un breve periodo, sotto il controllo dei partigiani slavi aderenti al movimento partigiano di Tito. In questo breve lasso di tempo si verificarono i primi episodi di violenza anti-italiana, che provocarono un numero non del tutto precisato di vittime (tra 250 a 500).

L'occupazione tedesca dell'Istria
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L’occupazione ebbe inizio nella notte del 2 ottobre 1943 sotto il comando del generale delle SS Paul Hausser. I tedeschi penetrarono in Istria con tre colonne, precedute da forti bombardamenti aerei, raggiungendo in pochi giorni tutte le principali località. I reparti partigiani furono annientati o costretti alla fuga. L'operazione iniziata ai primi di ottobre si concluse il 9 ottobre con la conquista di Rovigno.
Il rastrellamento antipartigiano dell'Istria andò avanti tutto il mese di ottobre, colpendo con brutalità i seguaci del Maresciallo Tito. Le vittime partigiane furono circa 2.000.
Tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1945 l'Istria, grazie allo sforzo congiunto della resistenza locale (sia slava che italiana), fu liberata dall'occupazione tedesca dall'armata jugoslava di Tito.

COL DOPOGUERRA COMINCIA IL DRAMMA DELLE PERSECUZIONI


La successiva politica di persecuzioni, vessazioni ed espropri messa in atto da Tito ai danni della popolazione italiana, culminata nel dramma dei massacri delle foibe, già sperimentato nel settembre del 1943, spinse la massima parte della popolazione locale di etnia italiana ad abbandonare l'Istria, dando vita ad un vero e proprio esodo.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale con il trattato di Parigi (1947), l'Istria fu assegnata alla Jugoslavia che l'aveva occupata, con l'eccezione della cittadina di Muggia e del comune di San Dorligo della Valle inserite nella Zona A del Territorio libero di Trieste.
La Zona B del Territorio libero di Trieste rimase temporaneamente sotto amministrazione jugoslava, ma dopo la dissoluzione del Territorio Libero di Trieste nel 1954 (memorandum di Londra), fu di fatto incorporata alla Jugoslavia; l'assegnazione della Zona B alla Jugoslavia fu ufficializzata col trattato di Osimo (1975).

LA DIASPORA ISTRIANA


Durante e subito dopo la seconda guerra mondiale un certo numero di italiani fu soppresso dai partigiani titini. Sulla quantificazione delle vittime vi sono tuttora aspri dibattiti: le stime vanno da 4.000 a 10.000 italiani trucidati, all'interno di un ben più ampio processo di eliminazione postbellica degli oppositori - reali o presunti - del costituendo regime comunista jugoslavo che durò fino agli anni '50 e le cui stime variano fra le 350.000 e le 800.000 vittime[28]. Alcuni esponenti del PCI giudicarono con estrema durezza gli autori di tali crimini. Lo stesso Vittorio Vidali, istriano di Muggia e figura mitica del comunismo italiano dell'epoca, facendosi interprete della rottura fra Stalin e Tito, si riferì ai «trozkisti titini» come a «una banda di assassini e spie»


Sebbene queste uccisioni sommarie, precedute in alcuni casi da sevizie e maltrattamenti, fossero analoghe a quelle perpetrate in altre zone soggette al controllo dell'armata jugoslava, secondo la cosiddetta "interpretazione intenzionalista" di quei fatti furono invece parte di un disegno di lungo periodo perseguito dallo slavismo ai danni dell'italianità adriatica, per cui foibe ed esodo andrebbero considerati come tappe successive di un medesimo percorso. A conferma di questa tesi viene spesso citata la testimonianza del braccio destro di Tito, Milovan Gilas, che affermò testualmente d'essere andato in Istria assieme a Edvard Kardelj perché «bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. Così fu fatto», tanto che Tra il 1943 ed il 1955, si calcola che furono circa 300-350 mila gli abitanti che preferirono o furono costretti ad abbandonare le proprie case in Istria, Slovenia, Dalmazia e Fiume per rifugiarsi in Italia . L'esodo fu provocato da una feroce politica anti italiana mediante il ricorso ad intimidazioni, minacce, vessazioni, licenziamenti, espropri, carcerazioni e campi di lavoro e di internamento. La stessa sorte subirono alcune migliaia di italiani, perlopiù originari del Friuli, di sentimenti comunisti ed ex partigiani, che dopo la fine della guerra erano affluiti in Iugoslavia, in una sorta di contro esodo, abbracciando la causa di Tito e anteponendo alla solidarietà nazionale i principi di classe e di partito. A quell'epoca la Iugoslavia era dipinta dalla sinistra italiana come il paese dove l'ideale comunista si affermato e realizzato in modo compiuto e molti simpatizzanti furono indotti a trasferirvisi per contribuire alla realizzazione dell'auspicato ordine nuovo. La bufera provocata dalla scomunica lanciata da Stalin alle autorità iugoslave nel 1948 ebbe gravi ripercussioni su questi fuoriusciti, che rimanendo legati all'ortodossia cominformista del Partito comunista italiano, stretto alleato di Mosca, soffrirono pesantemente le persecuzioni ordinate dalla leadership titina. Sullo sfondo dell'esodo della grande maggioranza degli italiani dell'Adriatico orientale, si innestò, quindi, la tragedia che si abbatté sulla minoranza, su coloro cioè che decisero di rimanere, in quanto seguaci dell'ideologia comunista, cui si aggiunsero anche italiani di altre province giunti volontariamente in Iugoslavia per contribuire alla causa rivoluzionaria del compagno Tito. Contro i dissidenti, sostenitori delle tesi di Stalin, si abbatté la persecuzione del Partito comunista iugoslavo. I volontari italiani, che in gran parte avevano preso lavoro come operai nei cantieri navali e nelle industrie di Fiume, furono così espulsi dal paese, dopo aver sofferto la prigione o il gulag.


COMINCIA LA GRANDE FUGA


L'arrivo, nella primavera del 1945, delle forze jugoslave preluse a una nuova fase d'infoibamenti che, secondo certi studiosi, questa volta ebbero meno la valenza di pulizia etnica e più quella di pulizia politica.

In realtà, furono eliminati, non soltanto militari della RSI, poliziotti, impiegati civili e funzionari statali, ma, in modo almeno apparentemente indiscriminato (e cioè lucidamente terroristico) civili di ogni categoria, e furono uccisi o internati in campi che nulla avevano da invidiare a quelli hitleriani o staliniani tutti coloro che avrebbero potuto opporsi alle rivendicazioni jugoslave sulla Venezia Giulia compresi membri del movimento antifascista italiano. Tali azioni spinsero la maggior parte della popolazione di lingua italiana a lasciare la regione nell'immediato dopoguerra. L'esodo era comunque già iniziato prima della fine della guerra per diversi motivi che andavano dal terrore sistematico provocato dai massacri delle foibe, annegamenti, deportazioni dei civili italiani in campi di sterminio operato dalle forze di occupazione jugoslave, al timore di vivere sottomessi alla dittatura comunista in terre non più italiane.
La prima fase dell'esodo si verificò dopo l'armistizio del 1943, poiché molti funzionari e collaboratori del regime fascista, dopo i primi casi di infoibamenti per vendetta, pensarono bene di allontanarsi il più possibile: questo fu il cosiddetto esodo nero, considerando il colore simbolico del fascismo.
Storia a parte fa l'esodo da Zara, ove la maggioranza della popolazione sfollò in Italia per sfuggire ai bombardamenti degli alleati iniziati nell'autunno del 1943 e occupata dai partigiani di Tito nel 1944. Alle uccisioni di rito si accompagnò anni dopo - nel pieno della questione di Trieste nel 1953 - la chiusura dell'ultima scuola italiana e il trasferimento forzato degli studenti nelle scuole croate, che costrinse gli ultimi italiani rimasti a Zara ad esodare o ad assimilarsi con la maggioranza.


Da Pola, così come da alcuni centri urbani istriani (Capodistria, Parenzo, Orsera, ecc.) partì oltre il 90% della popolazione etnicamente italiana, da altri (Buie, Umago e Rovigno) si desumono percentuali inferiori ma sempre molto elevate. L'emigrazione coinvolse a Pola tutte le classi sociali, dai professionisti agli impiegati pubblici ai molti artigiani e operai specializzati dell'industria: in conseguenza di ciò si ebbe una profonda crisi economica delle città, svuotata dall'esodo.



Con la firma del trattato di pace di Parigi, 10 febbraio 1947, che prevedeva la definitiva assegnazione dell'Istria alla Jugoslavia s'intensificò l'esodo da questa zona. Il Trattato di Parigi prevedeva per chi volesse mantenere la cittadinanza italiana l'abbandono della propria terra.
Chi emigrava non poteva portare con sé né denaro né beni mobili (gli immobili erano comunque considerati parte delle riparazioni di guerra che l'Italia doveva alla Jugoslavia).La Jugoslavia non riconosceva loro la cittadinanza e chi non rientrava in Italia rischiava di rimanere apolide. Proprio su questa condizione si pone un problema nella ridda di cifre relative all'esodo, in quanto si riporta spesso una certa cifra, ma si manca di prendere in considerazione che gli apolidi erano in maggior parte proprio Italiani.
Una piccola parte della comunità italiana, soprattutto proletari, scelse, per ragioni ideologiche o per l'impossibilità "fisica" di affrontare l'esilio (per età, salute, vincoli famigliari, ...), di non emigrare e s'integrò nella società jugoslava ottenendo negli anni seguenti il riconoscimento di alcuni diritti, sia pure più formali che sostanziali; alcuni, perfino, non si resero conto che l'autorizzazione all'esilio, rilasciata dalle autorità jugoslave, era soggetta a scadenza, e lasciarono decorrere il termine, magari per prestare le ultime cure ai campi o alle vigne; ad altri Italiani, in generale medici, tecnici, ecc., considerati utili dal regime titoista, fu semplicemente negato il diritto all'opzione e all'esilio; talvolta gli Jugoslavi adottarono l'escamotage di autorizzare la partenza di tutti i membri di una famiglia tranne un figlio o, preferibilmente, una figlia, inducendo così anche gli altri a rinunciare.



I CAMPI PROFUGHI


Di tutti coloro che esodarono la maggior parte, dopo aver dimorato per tempi più o meno lunghi in uno dei 109 campi profughi[21] allestiti dal governo italiano, si disperse per l'Italia, mentre si calcola che circa 80.000 emigrarono in altre nazioni. L'esodo istriano-dalmata è inquadrabile in un fenomeno globale di migrazioni più o meno forzose di interi popoli all'indomani della seconda guerra mondiale e che comportò lo spostamento di oltre trenta milioni d'individui di tutte le nazionalità.In altre parole , Arrivati in Italia portando con sé il minimo indispensabile, gli esuli giuliano-dalmati si trovano a vivere nella condizione di profughi, senza essere in grado, nella maggior parte dei casi, di provvedere autonomamente alla loro sopravvivenza. La sistemazione di questa enorme massa di persone, "cui occorre provvedere a dare un tetto" unitamente "a tutta l'assistenza igienica, sanitaria, alimentare e morale" diventa quindi per gli apparati governativi italiani un problema concreto da affrontare con una certa urgenza e risolvere nel minor tempo possibile. La soluzione individuata per garantire una rapida ed adeguata accoglienza, è quella di affidare la sistemazione dei profughi giuliano-dalmati a campi e centri di raccolta.
Al loro interno i profughi giuliano-dalmati si trovano a convivere con altre categorie di persone come "i prigionieri di guerra che fanno ritorno in patria, i profughi stranieri, gli italiani rimpatriati dalle ex colonie africane e dalle isole greche"i sinistrati e gli sfollati di guerra e i cittadini più indigenti e bisognosi. Per poter ospitare un così vasto numero di persone, la autorità italiane riutilizzano strutture in disuso già esistenti come ospedali, caserme, scuole, conventi, colonie, stabilimenti industriali dimessi, ma anche ex campi di concentramento e prigionia già usati dai nazifascisti per l'internamento dei civili e dei prigionieri di guerra (è il caso, ad esempio, della Risiera di San Sabba a Trieste, del campo di Fossoli a pochi chilometri da Modena, di quello di Laterina in provincia di Arezzo e di in provincia di Cosenza).



LA PRIMA TRAFILA NEI SILOS DI TRIESTE



Nei campi, all'interno dei quali la permanenza si protrae per diversi anni, i profughi giuliano dalmati arrivano dopo il compimento di una trafila ben collaudata che dopo una prima e breve sosta nei locali del Silos di Trieste, un edificio di grandi dimensioni ubicato a pochi passi dalla stazione ferroviaria ed utilizzato in passato come deposito del grano, prevede il trasferimento a Udine dove, tra il 1947 e il 1960 è attivo in via Pradamano un centro di smistamento dal quale, dopo una sosta di pochi giorni, i profughi partono per il campo di destinazione, assegnato non in base alle preferenze dei singoli individui ma alle disponibilità ricettive delle varie strutture della penisola.
Indipendentemente dalla loro localizzazione sul territorio nazionale, il denominatore comune caratterizzante tutti i centri di raccolta, la cui gestione è affidata al Ministero dell'Interno e a quello dell'Assistenza Post-Bellica che operano in totale collaborazione con le autorità comunali e gli Enti Comunali di Assistenza, sembra essere la precarietà che caratterizza le condizioni di vita all'interno di tali strutture, dove interi nuclei familiari vivono in box di pochi metri quadrati separati gli uni dagli altri da coperte, lenzuola o, nei casi più fortunati, da semplici barriere di compensato. Una promiscuità che porta, quasi automaticamente, i profughi a vivere in una condizione di costante incertezza, scandita dall'affiorare di una serie di gravi disagi legati non solo agli ambienti malsani e alle precarie condizioni igieniche, ma anche alla la mancanza pressoché totale di spazi intimi e personali con la conseguente condivisione obbligata degli spazi abitativi, e all'isolamento dal contesto cittadino, dal momento che i campi al cui interno sorgono asili nido e scuole elementari, refettori e cucine, infermerie e biblioteche, esercizi commerciali e luoghi di svago, finiscono per essere un mondo a parte, totalmente estraneo al resto della città, dove la quotidianità è scandita da ritmi, tempi e regole proprie.




continua

Edited by Pulcinella291 - 8/12/2013, 12:08
 
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view post Posted on 9/12/2013, 08:53
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Dove furono allocati i profughi istriani


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La dislocazione dei profughi in Italia vide su una massa provvisoria di circa 150.000 individui, sistemarsi ben 136.116 nel Centro-Nord e solo 11.175 persone nel Sud e nelle isole. Risulta evidente come il più industrializzato Nord poté assorbire il maggior numero di esuli quindi 11.157 si fermarono in Lombardia, 12.624 in Piemonte, 18.174 nel Veneto e 65.942 nel Friuli-Venezia Giulia. Appare chiaro da queste cifre che i profughi scelsero i nuovi territori di residenza sia per ragioni economiche sia per ragioni di costume e di dialetto, ma molti non si allontanarono dal confine per ragioni sentimentali e forse sperando in un prossimo ritorno che mai avvenne. Un altro dato interessante scaturì da uno studio riguardante circa 85.000 profughi, da cui si deduce che oltre 1/3 scelsero di ricostruirsi una vita nelle grandi città (Trieste, Roma, Genova, Venezia, Napoli, Firenze,ecc.). Opera Profughi, tuttavia, non mancò di appoggiare le comunità che elessero loro domicilio le province meridionali d'Italia. L'esperimento più rilevante si ebbe in Sardegna, nelle località di Fertilia, dove trovarono sistemazione oltre 600 profughi. Il programma alloggiativo dell'Opera Profughi ebbe maggior sviluppo in quelle località dove risultava più consistente l'affluenza dei profughi, come Pescara, Taranto, Sassari, Catania, Messina, Napoli, Brindisi. Gli sforzi dell'ente si concentrarono verso quelle zone che permettevano una reintegrazione più completa possibile del profugo e dove era più gradito il domicilio sia per ragioni economiche sia per ragioni sentimentali e umane. I programmi edilizi più importanti sul territorio nazionale italiano furono varati a Roma (Villaggio Giuliano-Dalmata), Trieste, Brescia, Milano, Torino, Varese e Venezia. A Venezia il programma abitativo dell'Opera arrivò a realizzare circa duemila appartamenti, a Trieste oltre tremila e in provincia di Modena fu realizzato un organizzato Villaggio San Marco a Fossoli di Carpi per accogliere soprattutto i profughi dalla zona B dell'Istria. L'Opera si prodigò molto nell'assistenza degli anziani e soprattutto dei fanciulli appartenenti a famiglie disagiate istituendo diversi istituti scolastici e organizzando soggiorni estivi. Nel caso del collocamento al lavoro l'Opera, dal 1960 al 1964, aveva potuto provvedere alla sistemazione di ben 34.531 disoccupati. Il contributo più grande a questo collocamento fu comunque dato dalle grandi industrie del nord e dalle aziende parastatali comprese nel famoso triangolo industriale tra Torino, Milano e Genova. Considerando i dati e i risultati ottenuti dall'Opera per l'Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati, si può constatare che, a partire dai primi anni cinquanta, il problema dell'inserimento sociale e lavorativo degli esuli giuliano-dalmati in Italia andò sempre migliorando. Risulta altresì chiaro che la grande prova di civiltà e di spirito di abnegazione dimostrato dal popolo dell'esodo, nonostante le sofferenze, le violenze, i disagi e i torti subiti, resterà una pagina indelebile di storia.

IL COMPORTAMENTO IGNOBILE CONTRO I PROFUGHI DA PARTE DI GRUPPI COMUNISTI ITALIANI
Fu da molti considerato ""comportamento ignobile contro gli esuli"l'attaggiamento assunto da una parte della popolazione italiana.
Navi cariche di uomini, donne e bambini alle quali fu impedito l’ingresso nei porti; treni carichi di profughi con gli operai, come accadde a Bologna, che impedirono di portare qualsiasi genere di conforto, considerando i giulano-dalmati - poiché fuggivano dalla Jugoslavia comunista - dei fascisti.

IL TRENO DELLA VERGOGNA


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Treno della vergogna è la locuzione popolare con cui s'intende il convoglio ferroviario che nel 1947 trasportò da Ancona chi proveniva dal quarto convoglio marittimo di Pola, carico di esuli italiani .
Fu anche offensivamente definito, da una parte dei ferrovieri di allora, treno dei fascisti, a testimonianza della disinformazione e del contesto estremamente politicizzato in cui tale vicenda si consumò.
Ecco cosa avvenne.
La domenica del 16 febbraio 1947 da Pola partirono per mare diversi convogli di esuli italiani con i loro ultimi beni e, solitamente, un tricolore. I convogli erano diretti ad Ancona dove gli esuli vennero accolti dall'esercito a proteggerli da connazionali, militanti di sinistra, che non mostrarono alcun gesto di solidarietà.Ad accogliere benevolmente gli esuli ci furono tre uomini, dei quali due con la fisarmonica, che cominciarono a cantare vecchie canzoni istriane: questi erano esuli precedentemente sbarcati e che avevano combattuto nella resistenza italiana.

La sera successiva partirono stipati in un treno merci, sistemati tra la paglia all'interno dei vagoni, alla volta di Bologna dove la Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano preparato dei pasti caldi, soprattutto per bambini e anziani. Il treno giunse alla stazione di Bologna solo a mezzogiorno del giorno seguente, martedì 18 febbraio 1947. Qui, dai microfoni di certi ferrovieri sindacalisti fu diramato l'avviso "Se i profughi si fermano, lo sciopero bloccherà la stazione".
Il treno venne preso a sassate da dei giovani che sventolavano la bandiera con falce e martello, altri lanciarono pomodori e altro sui loro connazionali, mentre terzi buttarono addirittura il latte destinato ai bambini in grave stato di disidratazione sulle rotaie.
Per non avere il blocco del più importante snodo ferroviario d'Italia il treno venne fatto ripartire per Parma dove POA e CRI poterono tranquillamente distribuire il cibo trasportato da Bologna con automezzi dell'esercito; la destinazione finale del treno fu La Spezia dove i profughi furono temporaneamente sistemati in una caserma.Anche molti giornali mostrarono purtroppo disprezzo verso gli esuli. Il giornalista de l'Unità Tommaso Giglio, poi direttore de L'Espresso, scrisse un articolo il cui titolo recitava" Chissà dove finirà il treno dei fascisti?."

Una testimonianza


Quello che successe al treno a Bologna ce lo racconta uno di quei profughi, Lino Vivoda.
"Era una fredda domenica, quella dei 16 febbraio dei '47, quando da Pola s'imbarcò con i sacchi, le pentole, le ultime lenzuola e un piccolo tricolore il quarto convoglio marittimo di esuli. Qualcuno aveva voluto portare con sé le ossa dei morti. Tutti avevano gli occhi rivolti alla città che sempre più rimpiccioliva. "Era come voler trattenere dentro l'incomparabile visione della nostra cittadina. Nessuno poteva immaginare quello che ci attendeva in madrepatria". "Ad Ancona l'impatto fu tremendo. C'era un cordone dell'esercito a proteggerci e tanta gente che scendeva dalla parte alta della città. Noi, dal ponte della nave, agitavamo le mani in segno di saluto, con le bandiere al collo, anche perché faceva freddo, nevicava. E loro rispondevano col pugno chiuso". Possibile che nessuno la pensasse diversamente. che non sentisse fratelli quei "veneti di la de mar"? Uno episodio, toccante ci fu. "Da quella folla vennero fuori in tre, due con la fisarmonica, e cominciarono a cantare vecchie canzoni istriane. Erano esuli pure loro, accettati per aver combattuto a fianco dei partigiani. Una scena commovente che un po' ci rincuorò. Anche chi ci insultava per un po' smise.
Da lì partimmo con un lungo treno di vagoni merci la sera di lunedì 17 febbraio, sdraiati sulla paglia, attraverso l'Italia semisepolta dalla neve. Dopo innumerevoli soste in stazioncine secondarie arrivammo a Bologna. Era martedì, poco dopo mezzogiorno. La Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano preparato un pasto caldo, atteso soprattutto dai bambini e dai più anziani". Ma dai microfoni "rossi" una voce gridò: "Se i profughi si fermano, lo sciopero bloccherà la stazione". Poco prima il convoglio, che i ferrovieri chiamavano il "treno dei fascisti", era stato preso a sassate da un gruppo di giovanissimi che sventolavano le bandiere con la falce e il martello. Ci fu perfino chi, per eccesso di zelo, versò sui binari il latte destinato ai bambini già in grave stato di disidratazione.

Il treno scomparve nella nebbia con il suo carico di delusione e di fame: la meta finale sarebbe stata una caserma di La Spezia. I pasti della Poa nel frattempo vennero trasportati a Parma con automezzi dell'esercito e distribuiti dalle crocerossine. "Vi giungemmo a tarda sera, la gente potè rifocillarsi dopo 24 ore di viaggio.

ecco ora alcuni filmati dell'epoca sull' esodo istriano








testimonianze di profughi istraiani


Aldo Tardivelli

E' uno dei coraggiosi che, tra dubbi e incertezze, nel settembre del 1948 ha varcato le soglie del “nuovo confine” italiano per giungere da Fiume presso il campo profughi di Laterina. Oggi ottantenne, Aldo vive a Genova con la sua famiglia, ma il ricordo delle tristi esperienze vissute non l'hanno mai abbandonato.
“Fummo muniti di biglietti ferroviari speciali e di un foglio di via che ci permetteva l'accesso al campo, con l'obbligo di presentarci in Questura entro tre giorni per essere registrati. Un tale che si aggirava nel Centro smistamento di Udine mi aveva soffiato all'orecchio che ci avrebbero preso le impronte digitali: e tristemente constatai che fu proprio così”. Poi, l'arrivo nel Valdarno riservò ulteriori delusioni e tante, troppe, difficoltà di adattamento.
Tutti fummo sgomenti nel vedere la nostra nuova dimora .Un vero e proprio campo di concentramento che dopo lo sgombero degli ultimi reclusi aveva cambiato solo nome. Ambienti freddi e umidi. Dove malandate coperte appese ai fili nascondevano pudicamente l'intimità. Appena giunti a destinazione fummo circondati da centinaia di persone che provenivano dalla terra Istriana e che per tornare ad essere cittadini italiani, per rimanere fedeli alla cultura italiana e alla sua gente, avevano abbandonato tutto. Ma il resto del paese non aveva compreso il motivo per cui avevamo lasciato le nostre città”.

Brunetta Turcino

A Pola ci era stata negata la possibilità di parlare in italiano ed anche la libertà di andare a messa. Eravamo cinque figli e mio padre era un insegnante. Abbiamo lasciato una casa accogliente e tante comodità. Avevo 11 anni quando abbiamo detto addio, con le lacrime agli occhi, alla nostra città; poi, per circa due anni, siamo stati nel campo profughi di Laterina.“Nonostante le baracche non fossero accoglienti, non ho un brutto ricordo di Laterina” racconta Bruna,che poco più che ragazzina ha incontrato tra gli abitanti di Laterina l'uomo che in futuro sarebbe divento suo marito. “Dopo Pola, Laterina è stata la mia casa. In seguito, insieme alla mia famiglia, ci siamo trasferiti a Bergamo. Mio marito ci ha raggiunti, ci siamo sposati e siamo felici, ma il mio cuore rimane nella Valle dell'Arno”.

Sergio Macorini

Sono nato a Pola nel 1940. Poi nel 1943 i miei genitori si sono stabiti a Fiume.Nei miei ricordi di bambino il piubrutto e stato,il vedere colonne di prigionieri scortati dai partigiani e,un soldato austriaco caduto per la fatica che mostrava le foto dei suoi ma,un partigiano gli sparò per non rallentare la marcia.Nel 1947 mio padre che non si volle mai iscrivere in nessun partito,decise di abbandonare la Sua amata terra.Siamo andati con il treno a Ventimiglia perchè gli era stato promesso casa e lavoro.Ma dopo circa un anno,per la mancanza di denaro perchè dove eavamo andati,non gli veniva pagato nessun stipendio.Andammo a Trieste ed io andai in collegio,a Merletto di Graglia un collegio per gli esuli Giuliani e Dalmati.Nel frattempo dopo molti sacrifici e vicissitudini trovò lavoro a Milano.Dopo tanto tempo finalmente la nostra si riuniva.Era solo una stanza ma quanta gioia.Mamma ,papà,mia sorella anche lei tornata dal collegio.Nel 1955 dopo la scuola professionale,trovai anch'io un lavoro.E poi sacrifici dopo sacrifici,si cominciò a ricostruire qualcosa.Nel 1964 mio padre torno dal Creatore.Un grande esempio mi fu dato sul Suo letto di morte,chiese a mia madre e a mia sorella di uscire,mi isse : fra 5 minuti vi lascerò,ti raccomando........e cosi fù. Dopo tanto lavoro ed essermi nel frattempo sposato,con mia moglie decidemmo di metterci nel commercio asseme,nella stessa attività che avevo sempre fatto.Solo nel 1994 ho capito con la mia conversione,la forza che hanno sempre avuto mamma e papà. Infatti tra le varie ragioni per le quali abbandonammo l'Istria era la difficoltà nell'essere Cristiani.Quanto odio avevo verso quella gente che mi aveva defraudato di vivere nella mia terra.Ora ho perdonato e quando posso vado ancora li,e ho fatto apprezzare la nostra amata Istria. ai miei figli. Sergio Macorini.

Maria Curkovic


Le difficoltà che incontrammo non furono queste, ma arrivarono quando papà dopo i primi giorni dedicati a sistemarci, cominciò a cercare lavoro. Erano anni difficili, la guerra era finita da 2 anni, c’erano ancora tante macerie, iniziava la ricostruzione, e la disoccupazione era tanta. I bolognesi non ci accettarono i primi tempi, si sa Bologna era diventata rossa e la politica non mancava a quei tempi, e le teste calde neppure..c’era davvero da avere paura.
Per i comunisti , i profughi, erano tutti sporchi fascisti cacciati dagli slavi, e per i fascisti eravamo sporchi comunisti. Sia da una parte che dall’altra non eravamo che feccia, esseri spregevoli da evitare, se non da fare sparire dalla faccia della terra. Quanti sputi, quante offese, quante minacce ci siamo presi sia da una parte che dall’altra. Era tornata la paura..quella paura che pensavamo di non trovare mai a casa nostra, nella nostra Italia, fra i nostri fratelli italiani. Eravamo stranieri, esuli nella nostra stessa Patria. Sono stati anni difficilissimi per noi, non ci aspettavamo tutto questo, eravamo sicuri che gli italiani avessero capito il motivo dell’abbandono della nostra terra, del dolore che avevamo dentro, e quel pezzo di Italia, non era solo nostro, ma era di tutti, un pezzo di Italia, la Patria di tutti

Marina Gabriella de Marsanich

Nel 1945/1946 quando venne il momento della scelta, qualche previdente e benestante l'aveva già fatta per conto proprio, emigrando verso più tranquilli lidi per sfuggiere ai bombardamenti e ad altri guai. Molti tagliarano la corda all'ultimo momento, altri erano assenti perché sparsi per il mondo dalla bufera della guerra, prigionieri chissà dove. Altri ancora erano in galera, altri infine in qualche foiba. PS: Mio padre da giovane lavorava per la Todt. Un parente...ha fatto la brutta fine in qualche foiba. Un altro zio per sei mesi in campo di concentramento. etc. etc. Mio padre, nonni, zii lasciarano la città del cuore "Fiume" per sempre nel 2/1946 prima per Gorizia, Firenze.
Tempi passati.....Fatto si è che Fiume, da quando appare nei documenti, non appartenne "mai" alla Croazia. Saluti a tutti fiumani nel mondo

Nel 1945/1946 quando venne il momento della scelta, qualche previdente e benestante l'aveva già fatta per conto proprio, emigrando verso più tranquilli lidi per sfuggiere ai bombardamenti e ad altri guai. Molti tagliarano la corda all'ultimo momento, altri erano assenti perché sparsi per il mondo dalla bufera della guerra, prigionieri chissà dove. Altri ancora erano in galera, altri infine in qualche foiba. PS: Mio padre da giovane lavorava per la Todt. Un parente...ha fatto la brutta fine in qualche foiba. Un altro zio per sei mesi in campo di concentramento. etc. etc. Mio padre, nonni, zii lasciarano la città del cuore "Fiume" per sempre nel 2/1946 prima per Gorizia, Firenze.
Tempi passati.....Fatto si è che Fiume, da quando appare nei documenti, non appartenne "mai" alla Croazia. Saluti a tutti fiumani nel mondo

Sergio Vatta

è un nome molto conosciuto soprattutto tra gli appassionati di calcio. In molti lo ricordano come tecnico della Primavera del Toro.
E' stato un profugo istriano ai tempi della dittatura comunista di Tito.
"Io e la mia famiglia abbiamo lasciato Zara il 30 ottobre 1944, il giorno prima che entrassero le truppe di Tito. Avevo sette anni. Abbiamo abbandonato la città presidiata da 70 carabinieri che avrebbero dovuto formalizzare il passaggio delle consegne: l’ingresso dei “titini” era stato concordato. Quei carabinieri sono spariti, non se ne hanno più avute notizie. Sui giornali di regime sono apparsi i titoloni che raccontavano come Tito fosse entrato trionfalmente a Zara dopo un’aspra battaglia, che in realtà non c’è mai stata.
Ci siamo diretti a Fiume con l’ultima nave da guerra tedesca partita dal porto di Trieste. Era un torpediniere, agile e leggero, dotato di siluri e quindi adatto ai combattimenti su mare. Siamo partiti di sera, ma siamo stati attaccati da terra all’altezza dell’isola di Pago, ancora vicina a Zara. Da lì ci hanno cannoneggiati, ma per fortuna si era sparsa la voce che all’interno della nave ci fossero prigionieri titini, così hanno desistito. Sono poi intervenute subito alcune imbarcazioni di appoggio che ci hanno protetti con i fumogeni.Abbiamo passato sei mesi, tutto l’inverno dal 1944 al 1945, all’interno di una galleria del famoso silurificio di Fiume. Non c’era chiaramente il riscaldamento, e molte famiglie sono rimaste stipate lì dentro al freddo. Da lì siamo risaliti verso Trieste, convinti di essere arrivati finalmente in Italia, ma il 1 maggio del 1945 le truppe di Tito erano già arrivate anche li'.I tedeschi sono scesi dai camion a Monfalcone, per arrendersi ai neozelandesi. Noi abbiamo proseguito fino a Trieste, ma lì i soldati di Tito e i partigiani italiani ci hanno presi. Ci hanno chiusi in una scuola, la “Kendler”, tenendoci tre giorni senza cibo. A quel punto abbiamo temuto il peggio, anche perché gli atteggiamenti dei partigiani italiani erano piuttosto minacciosi. Dalle finestre di quella scuola abbiamo assistito all’invasione di Trieste. Tito si era accordato con Togliatti: i partigiani italiani hanno liberato Lubiana in cambio dell’occupazione di Trieste, Un baratto, una vergogna.
Al terzo giorno siamo stati presi in consegna dai neozelandesi. E con loro è andata meglio. Ci hanno promesso l’allestimento di una mensa, ed in effetti siamo stati altri 40 giorni lì dentro senza però soffrire più la fame. Abbiamo stretto amicizia al porto con alcuni neozelandesi che ci davano la roba da lavare. Un bel rapporto, tanto che alla fine hanno voluto salutarci prima che andassimo via: si sono schierati sul molo e ci hanno fatto il saluto militare. Uno di loro ha detto a mia madre ‘Siamo onorati di avervi conosciuti.
Da Trieste ci hanno trasferiti ad Udine, dove c’era un campo di smistamento. In quel periodo abbiamo perso di vista nostro padre, che è voluto rimanere fino alla fine fedele al suo reparto. Dopo 7-8 mesi l’abbiamo ritrovato, ma era già malato. Pochi anni dopo è morto, nel campo profughi Mantova, ma prima ci ha regalato un’altra sorellina, Carmen, nata profuga nel 1947.




Edited by Pulcinella291 - 11/12/2013, 12:22
 
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view post Posted on 9/12/2013, 10:35

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Splendido resoconto su una vicenda,drammatica,della storia italiana ancora poco conosciuta e per tanti motivi.anche a scuola se ne parla poco e ormai,dopo tanti anni,sappiamo come sono andate le cose.io abito in via Martiri delle foibe e in tanti,quando comunico il mio indirizzo,mi chiedono di ripetere perché non conoscono la parola foibe.uno una volta mi disse Martiri delle fobie.ci sarebbe stato da ridere se non ci fosse stato da piangere.
 
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view post Posted on 9/12/2013, 11:27
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Pulcinella291 Forum

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Cara Rosaria, non è colpa loro, la colpa e' di coloro che per anni hanno, volutamente, tenuto nascosto questo eccidio.
 
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view post Posted on 9/12/2013, 12:06

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Hai ragione sembra che di certe cose ancora non si può parlare
 
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Stellina885
view post Posted on 12/12/2013, 02:52




grazie. buona notte
 
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Claudio30
view post Posted on 19/2/2014, 15:39




Di chi è la colpa se abbiamo perso L'Istria la Dalmazia e pola? Dei Fascisti, Mussolini , di Badoglio, Di Degaspari , Di Pella, o dei Regnanti Italiani che dopo l'armistizio del 43 hanno lasciato quelle regioni deboli di assistenza militare?
 
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6 replies since 7/12/2013, 18:10   2892 views
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