Dove furono allocati i profughi istriani
La dislocazione dei profughi in Italia vide su una massa provvisoria di circa 150.000 individui, sistemarsi ben 136.116 nel Centro-Nord e solo 11.175 persone nel Sud e nelle isole. Risulta evidente come il più industrializzato Nord poté assorbire il maggior numero di esuli quindi 11.157 si fermarono in Lombardia, 12.624 in Piemonte, 18.174 nel Veneto e 65.942 nel Friuli-Venezia Giulia. Appare chiaro da queste cifre che i profughi scelsero i nuovi territori di residenza sia per ragioni economiche sia per ragioni di costume e di dialetto, ma molti non si allontanarono dal confine per ragioni sentimentali e forse sperando in un prossimo ritorno che mai avvenne. Un altro dato interessante scaturì da uno studio riguardante circa 85.000 profughi, da cui si deduce che oltre 1/3 scelsero di ricostruirsi una vita nelle grandi città (Trieste, Roma, Genova, Venezia, Napoli, Firenze,ecc.). Opera Profughi, tuttavia, non mancò di appoggiare le comunità che elessero loro domicilio le province meridionali d'Italia. L'esperimento più rilevante si ebbe in Sardegna, nelle località di Fertilia, dove trovarono sistemazione oltre 600 profughi. Il programma alloggiativo dell'Opera Profughi ebbe maggior sviluppo in quelle località dove risultava più consistente l'affluenza dei profughi, come Pescara, Taranto, Sassari, Catania, Messina, Napoli, Brindisi. Gli sforzi dell'ente si concentrarono verso quelle zone che permettevano una reintegrazione più completa possibile del profugo e dove era più gradito il domicilio sia per ragioni economiche sia per ragioni sentimentali e umane. I programmi edilizi più importanti sul territorio nazionale italiano furono varati a Roma (Villaggio Giuliano-Dalmata), Trieste, Brescia, Milano, Torino, Varese e Venezia. A Venezia il programma abitativo dell'Opera arrivò a realizzare circa duemila appartamenti, a Trieste oltre tremila e in provincia di Modena fu realizzato un organizzato Villaggio San Marco a Fossoli di Carpi per accogliere soprattutto i profughi dalla zona B dell'Istria. L'Opera si prodigò molto nell'assistenza degli anziani e soprattutto dei fanciulli appartenenti a famiglie disagiate istituendo diversi istituti scolastici e organizzando soggiorni estivi. Nel caso del collocamento al lavoro l'Opera, dal 1960 al 1964, aveva potuto provvedere alla sistemazione di ben 34.531 disoccupati. Il contributo più grande a questo collocamento fu comunque dato dalle grandi industrie del nord e dalle aziende parastatali comprese nel famoso triangolo industriale tra Torino, Milano e Genova. Considerando i dati e i risultati ottenuti dall'Opera per l'Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati, si può constatare che, a partire dai primi anni cinquanta, il problema dell'inserimento sociale e lavorativo degli esuli giuliano-dalmati in Italia andò sempre migliorando. Risulta altresì chiaro che la grande prova di civiltà e di spirito di abnegazione dimostrato dal popolo dell'esodo, nonostante le sofferenze, le violenze, i disagi e i torti subiti, resterà una pagina indelebile di storia.
IL COMPORTAMENTO IGNOBILE CONTRO I PROFUGHI DA PARTE DI GRUPPI COMUNISTI ITALIANIFu da molti considerato ""comportamento ignobile contro gli esuli"l'attaggiamento assunto da una parte della popolazione italiana.
Navi cariche di uomini, donne e bambini alle quali fu impedito l’ingresso nei porti; treni carichi di profughi con gli operai, come accadde a Bologna, che impedirono di portare qualsiasi genere di conforto, considerando i giulano-dalmati - poiché fuggivano dalla Jugoslavia comunista - dei fascisti.
IL TRENO DELLA VERGOGNA
Treno della vergogna è la locuzione popolare con cui s'intende il convoglio ferroviario che nel 1947 trasportò da Ancona chi proveniva dal quarto convoglio marittimo di Pola, carico di esuli italiani .
Fu anche offensivamente definito, da una parte dei ferrovieri di allora, treno dei fascisti, a testimonianza della disinformazione e del contesto estremamente politicizzato in cui tale vicenda si consumò.
Ecco cosa avvenne.
La domenica del 16 febbraio 1947 da Pola partirono per mare diversi convogli di esuli italiani con i loro ultimi beni e, solitamente, un tricolore. I convogli erano diretti ad Ancona dove gli esuli vennero accolti dall'esercito a proteggerli da connazionali, militanti di sinistra, che non mostrarono alcun gesto di solidarietà.Ad accogliere benevolmente gli esuli ci furono tre uomini, dei quali due con la fisarmonica, che cominciarono a cantare vecchie canzoni istriane: questi erano esuli precedentemente sbarcati e che avevano combattuto nella resistenza italiana.
La sera successiva partirono stipati in un treno merci, sistemati tra la paglia all'interno dei vagoni, alla volta di Bologna dove la Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano preparato dei pasti caldi, soprattutto per bambini e anziani. Il treno giunse alla stazione di Bologna solo a mezzogiorno del giorno seguente, martedì 18 febbraio 1947. Qui, dai microfoni di certi ferrovieri sindacalisti fu diramato l'avviso "Se i profughi si fermano, lo sciopero bloccherà la stazione".
Il treno venne preso a sassate da dei giovani che sventolavano la bandiera con falce e martello, altri lanciarono pomodori e altro sui loro connazionali, mentre terzi buttarono addirittura il latte destinato ai bambini in grave stato di disidratazione sulle rotaie.
Per non avere il blocco del più importante snodo ferroviario d'Italia il treno venne fatto ripartire per Parma dove POA e CRI poterono tranquillamente distribuire il cibo trasportato da Bologna con automezzi dell'esercito; la destinazione finale del treno fu La Spezia dove i profughi furono temporaneamente sistemati in una caserma.Anche molti giornali mostrarono purtroppo disprezzo verso gli esuli. Il giornalista de l'Unità Tommaso Giglio, poi direttore de L'Espresso, scrisse un articolo il cui titolo recitava" Chissà dove finirà il treno dei fascisti?."
Una testimonianza
Quello che successe al treno a Bologna ce lo racconta uno di quei profughi, Lino Vivoda.
"Era una fredda domenica, quella dei 16 febbraio dei '47, quando da Pola s'imbarcò con i sacchi, le pentole, le ultime lenzuola e un piccolo tricolore il quarto convoglio marittimo di esuli. Qualcuno aveva voluto portare con sé le ossa dei morti. Tutti avevano gli occhi rivolti alla città che sempre più rimpiccioliva. "Era come voler trattenere dentro l'incomparabile visione della nostra cittadina. Nessuno poteva immaginare quello che ci attendeva in madrepatria". "Ad Ancona l'impatto fu tremendo. C'era un cordone dell'esercito a proteggerci e tanta gente che scendeva dalla parte alta della città. Noi, dal ponte della nave, agitavamo le mani in segno di saluto, con le bandiere al collo, anche perché faceva freddo, nevicava. E loro rispondevano col pugno chiuso". Possibile che nessuno la pensasse diversamente. che non sentisse fratelli quei "veneti di la de mar"? Uno episodio, toccante ci fu. "Da quella folla vennero fuori in tre, due con la fisarmonica, e cominciarono a cantare vecchie canzoni istriane. Erano esuli pure loro, accettati per aver combattuto a fianco dei partigiani. Una scena commovente che un po' ci rincuorò. Anche chi ci insultava per un po' smise.
Da lì partimmo con un lungo treno di vagoni merci la sera di lunedì 17 febbraio, sdraiati sulla paglia, attraverso l'Italia semisepolta dalla neve. Dopo innumerevoli soste in stazioncine secondarie arrivammo a Bologna. Era martedì, poco dopo mezzogiorno. La Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano preparato un pasto caldo, atteso soprattutto dai bambini e dai più anziani". Ma dai microfoni "rossi" una voce gridò: "Se i profughi si fermano, lo sciopero bloccherà la stazione". Poco prima il convoglio, che i ferrovieri chiamavano il "treno dei fascisti", era stato preso a sassate da un gruppo di giovanissimi che sventolavano le bandiere con la falce e il martello. Ci fu perfino chi, per eccesso di zelo, versò sui binari il latte destinato ai bambini già in grave stato di disidratazione.
Il treno scomparve nella nebbia con il suo carico di delusione e di fame: la meta finale sarebbe stata una caserma di La Spezia. I pasti della Poa nel frattempo vennero trasportati a Parma con automezzi dell'esercito e distribuiti dalle crocerossine. "Vi giungemmo a tarda sera, la gente potè rifocillarsi dopo 24 ore di viaggio.
ecco ora alcuni filmati dell'epoca sull' esodo istriano
testimonianze di profughi istraiani
Aldo Tardivelli
E' uno dei coraggiosi che, tra dubbi e incertezze, nel settembre del 1948 ha varcato le soglie del “nuovo confine” italiano per giungere da Fiume presso il campo profughi di Laterina. Oggi ottantenne, Aldo vive a Genova con la sua famiglia, ma il ricordo delle tristi esperienze vissute non l'hanno mai abbandonato.
“Fummo muniti di biglietti ferroviari speciali e di un foglio di via che ci permetteva l'accesso al campo, con l'obbligo di presentarci in Questura entro tre giorni per essere registrati. Un tale che si aggirava nel Centro smistamento di Udine mi aveva soffiato all'orecchio che ci avrebbero preso le impronte digitali: e tristemente constatai che fu proprio così”. Poi, l'arrivo nel Valdarno riservò ulteriori delusioni e tante, troppe, difficoltà di adattamento.
Tutti fummo sgomenti nel vedere la nostra nuova dimora .Un vero e proprio campo di concentramento che dopo lo sgombero degli ultimi reclusi aveva cambiato solo nome. Ambienti freddi e umidi. Dove malandate coperte appese ai fili nascondevano pudicamente l'intimità. Appena giunti a destinazione fummo circondati da centinaia di persone che provenivano dalla terra Istriana e che per tornare ad essere cittadini italiani, per rimanere fedeli alla cultura italiana e alla sua gente, avevano abbandonato tutto. Ma il resto del paese non aveva compreso il motivo per cui avevamo lasciato le nostre città”.
Brunetta Turcino
A Pola ci era stata negata la possibilità di parlare in italiano ed anche la libertà di andare a messa. Eravamo cinque figli e mio padre era un insegnante. Abbiamo lasciato una casa accogliente e tante comodità. Avevo 11 anni quando abbiamo detto addio, con le lacrime agli occhi, alla nostra città; poi, per circa due anni, siamo stati nel campo profughi di Laterina.“Nonostante le baracche non fossero accoglienti, non ho un brutto ricordo di Laterina” racconta Bruna,che poco più che ragazzina ha incontrato tra gli abitanti di Laterina l'uomo che in futuro sarebbe divento suo marito. “Dopo Pola, Laterina è stata la mia casa. In seguito, insieme alla mia famiglia, ci siamo trasferiti a Bergamo. Mio marito ci ha raggiunti, ci siamo sposati e siamo felici, ma il mio cuore rimane nella Valle dell'Arno”.
Sergio Macorini
Sono nato a Pola nel 1940. Poi nel 1943 i miei genitori si sono stabiti a Fiume.Nei miei ricordi di bambino il piubrutto e stato,il vedere colonne di prigionieri scortati dai partigiani e,un soldato austriaco caduto per la fatica che mostrava le foto dei suoi ma,un partigiano gli sparò per non rallentare la marcia.Nel 1947 mio padre che non si volle mai iscrivere in nessun partito,decise di abbandonare la Sua amata terra.Siamo andati con il treno a Ventimiglia perchè gli era stato promesso casa e lavoro.Ma dopo circa un anno,per la mancanza di denaro perchè dove eavamo andati,non gli veniva pagato nessun stipendio.Andammo a Trieste ed io andai in collegio,a Merletto di Graglia un collegio per gli esuli Giuliani e Dalmati.Nel frattempo dopo molti sacrifici e vicissitudini trovò lavoro a Milano.Dopo tanto tempo finalmente la nostra si riuniva.Era solo una stanza ma quanta gioia.Mamma ,papà,mia sorella anche lei tornata dal collegio.Nel 1955 dopo la scuola professionale,trovai anch'io un lavoro.E poi sacrifici dopo sacrifici,si cominciò a ricostruire qualcosa.Nel 1964 mio padre torno dal Creatore.Un grande esempio mi fu dato sul Suo letto di morte,chiese a mia madre e a mia sorella di uscire,mi isse : fra 5 minuti vi lascerò,ti raccomando........e cosi fù. Dopo tanto lavoro ed essermi nel frattempo sposato,con mia moglie decidemmo di metterci nel commercio asseme,nella stessa attività che avevo sempre fatto.Solo nel 1994 ho capito con la mia conversione,la forza che hanno sempre avuto mamma e papà. Infatti tra le varie ragioni per le quali abbandonammo l'Istria era la difficoltà nell'essere Cristiani.Quanto odio avevo verso quella gente che mi aveva defraudato di vivere nella mia terra.Ora ho perdonato e quando posso vado ancora li,e ho fatto apprezzare la nostra amata Istria. ai miei figli. Sergio Macorini.
Maria Curkovic
Le difficoltà che incontrammo non furono queste, ma arrivarono quando papà dopo i primi giorni dedicati a sistemarci, cominciò a cercare lavoro. Erano anni difficili, la guerra era finita da 2 anni, c’erano ancora tante macerie, iniziava la ricostruzione, e la disoccupazione era tanta. I bolognesi non ci accettarono i primi tempi, si sa Bologna era diventata rossa e la politica non mancava a quei tempi, e le teste calde neppure..c’era davvero da avere paura.
Per i comunisti , i profughi, erano tutti sporchi fascisti cacciati dagli slavi, e per i fascisti eravamo sporchi comunisti. Sia da una parte che dall’altra non eravamo che feccia, esseri spregevoli da evitare, se non da fare sparire dalla faccia della terra. Quanti sputi, quante offese, quante minacce ci siamo presi sia da una parte che dall’altra. Era tornata la paura..quella paura che pensavamo di non trovare mai a casa nostra, nella nostra Italia, fra i nostri fratelli italiani. Eravamo stranieri, esuli nella nostra stessa Patria. Sono stati anni difficilissimi per noi, non ci aspettavamo tutto questo, eravamo sicuri che gli italiani avessero capito il motivo dell’abbandono della nostra terra, del dolore che avevamo dentro, e quel pezzo di Italia, non era solo nostro, ma era di tutti, un pezzo di Italia, la Patria di tutti
Marina Gabriella de Marsanich
Nel 1945/1946 quando venne il momento della scelta, qualche previdente e benestante l'aveva già fatta per conto proprio, emigrando verso più tranquilli lidi per sfuggiere ai bombardamenti e ad altri guai. Molti tagliarano la corda all'ultimo momento, altri erano assenti perché sparsi per il mondo dalla bufera della guerra, prigionieri chissà dove. Altri ancora erano in galera, altri infine in qualche foiba. PS: Mio padre da giovane lavorava per la Todt. Un parente...ha fatto la brutta fine in qualche foiba. Un altro zio per sei mesi in campo di concentramento. etc. etc. Mio padre, nonni, zii lasciarano la città del cuore "Fiume" per sempre nel 2/1946 prima per Gorizia, Firenze.
Tempi passati.....Fatto si è che Fiume, da quando appare nei documenti, non appartenne "mai" alla Croazia. Saluti a tutti fiumani nel mondo
Nel 1945/1946 quando venne il momento della scelta, qualche previdente e benestante l'aveva già fatta per conto proprio, emigrando verso più tranquilli lidi per sfuggiere ai bombardamenti e ad altri guai. Molti tagliarano la corda all'ultimo momento, altri erano assenti perché sparsi per il mondo dalla bufera della guerra, prigionieri chissà dove. Altri ancora erano in galera, altri infine in qualche foiba. PS: Mio padre da giovane lavorava per la Todt. Un parente...ha fatto la brutta fine in qualche foiba. Un altro zio per sei mesi in campo di concentramento. etc. etc. Mio padre, nonni, zii lasciarano la città del cuore "Fiume" per sempre nel 2/1946 prima per Gorizia, Firenze.
Tempi passati.....Fatto si è che Fiume, da quando appare nei documenti, non appartenne "mai" alla Croazia. Saluti a tutti fiumani nel mondo
Sergio Vatta
è un nome molto conosciuto soprattutto tra gli appassionati di calcio. In molti lo ricordano come tecnico della Primavera del Toro.
E' stato un profugo istriano ai tempi della dittatura comunista di Tito.
"Io e la mia famiglia abbiamo lasciato Zara il 30 ottobre 1944, il giorno prima che entrassero le truppe di Tito. Avevo sette anni. Abbiamo abbandonato la città presidiata da 70 carabinieri che avrebbero dovuto formalizzare il passaggio delle consegne: l’ingresso dei “titini” era stato concordato. Quei carabinieri sono spariti, non se ne hanno più avute notizie. Sui giornali di regime sono apparsi i titoloni che raccontavano come Tito fosse entrato trionfalmente a Zara dopo un’aspra battaglia, che in realtà non c’è mai stata.
Ci siamo diretti a Fiume con l’ultima nave da guerra tedesca partita dal porto di Trieste. Era un torpediniere, agile e leggero, dotato di siluri e quindi adatto ai combattimenti su mare. Siamo partiti di sera, ma siamo stati attaccati da terra all’altezza dell’isola di Pago, ancora vicina a Zara. Da lì ci hanno cannoneggiati, ma per fortuna si era sparsa la voce che all’interno della nave ci fossero prigionieri titini, così hanno desistito. Sono poi intervenute subito alcune imbarcazioni di appoggio che ci hanno protetti con i fumogeni.Abbiamo passato sei mesi, tutto l’inverno dal 1944 al 1945, all’interno di una galleria del famoso silurificio di Fiume. Non c’era chiaramente il riscaldamento, e molte famiglie sono rimaste stipate lì dentro al freddo. Da lì siamo risaliti verso Trieste, convinti di essere arrivati finalmente in Italia, ma il 1 maggio del 1945 le truppe di Tito erano già arrivate anche li'.I tedeschi sono scesi dai camion a Monfalcone, per arrendersi ai neozelandesi. Noi abbiamo proseguito fino a Trieste, ma lì i soldati di Tito e i partigiani italiani ci hanno presi. Ci hanno chiusi in una scuola, la “Kendler”, tenendoci tre giorni senza cibo. A quel punto abbiamo temuto il peggio, anche perché gli atteggiamenti dei partigiani italiani erano piuttosto minacciosi. Dalle finestre di quella scuola abbiamo assistito all’invasione di Trieste. Tito si era accordato con Togliatti: i partigiani italiani hanno liberato Lubiana in cambio dell’occupazione di Trieste, Un baratto, una vergogna.
Al terzo giorno siamo stati presi in consegna dai neozelandesi. E con loro è andata meglio. Ci hanno promesso l’allestimento di una mensa, ed in effetti siamo stati altri 40 giorni lì dentro senza però soffrire più la fame. Abbiamo stretto amicizia al porto con alcuni neozelandesi che ci davano la roba da lavare. Un bel rapporto, tanto che alla fine hanno voluto salutarci prima che andassimo via: si sono schierati sul molo e ci hanno fatto il saluto militare. Uno di loro ha detto a mia madre ‘Siamo onorati di avervi conosciuti.
Da Trieste ci hanno trasferiti ad Udine, dove c’era un campo di smistamento. In quel periodo abbiamo perso di vista nostro padre, che è voluto rimanere fino alla fine fedele al suo reparto. Dopo 7-8 mesi l’abbiamo ritrovato, ma era già malato. Pochi anni dopo è morto, nel campo profughi Mantova, ma prima ci ha regalato un’altra sorellina, Carmen, nata profuga nel 1947.
Edited by Pulcinella291 - 11/12/2013, 12:22