Le stronzate di Pulcinella

attori non protagonisti e semplici comparse della II guerra mondiale

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Pulcinella291
view post Posted on 27/3/2014, 09:40 by: Pulcinella291
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UNIONE SOVIETICA

Leningrado il sacrificio di una citta'



Quello di Leningrado fu un martirio inutile voluto da Stalin che fece troppo poco per salvare la città.
La gente muore anche al fronte e nei territori occupati», rispose a chi gli parlava della terribile odissea che si stava svolgendo nella capitale del Nord.
Le cifre ufficiali parlano di 632.253 morti su due milioni e mezzo di abitanti, ma si tratta solo dei decessi che furono notificati, escludendo perciò quelli avvenuti durante i caotici e drammatici tentativi di evacuazione, che fecero vittime fra vecchi e bambini (una colonna venne una volta indirizzata lungo una pista nei boschi che si considerava sgombra e aperta). Un'odissea durò dall'8 settembre 1941 al 27 gennaio 1944 durante la quale la popolazione fu sottoposta a sofferenze e sacrifi atroci.

Le riserve si ridussero ulteriormente. Il petrolio da illuminazione, già scarso, divenne introvabile, le vecchie stufe a legna, inutilizzate da tempo, furono rimesse in funzione nelle case e nelle fabbriche bruciando i solai smontati delle case bombardate. Per la fame, comunque, non esisteva alcun rimedio.


Cominciò la caccia agli animai randagi, cani, gatti, perfino topi, e i cavalli che cadevano morti dal freddo erano macellati sul posto. Nel gennaio 1942, al culmine della crisi, la razione giornaliera di pane era ridotta a 125 gr. ma era composto da tutto fuorché farina di frumento. La lista di quello che si mangiava era innominabile. Si recuperava anche fra i vecchi rifiuti.

In città le fabbriche belliche continuavano però a funzionare e a sfornare artiglierie antiaeree e terrestri. Continuavano a funzionare scuole, teatri. Qui Dmitri Shostakovich compose la Settima sinfonia, sinfonia “dedicata alla città di Leningrado”. Composta di getto - «con un unico tratto di penna» - nel caos drammatico dei primi mesi di assedio. I primi tre movimenti furono scritti a Leningrado, l’ultimo sugli Urali, dove il governo aveva fatto sfollare i principali artisti dell’Unione Sovietica. La Settima fu terminata in dicembre ed ebbe la prima esecuzione il 5 marzo 1942. Il 9 agosto 1942 la Settima risuonò anche a Leningrado, nella Sala della Filarmonica, mentre la città sotto assedio era ridotta in condizioni terribili. Con un viaggio avventuroso attraverso la Persia e l’Egitto, la Settima giunse anche a New York dove fu eseguita il 19 luglio dall’orchestra della NBC diretta da Arturo Toscanini. L’assalto alla città si era comunque spento perché Hitler aveva spostato la sua attenzione su Mosca ed anche per questo a Leningrado si continuò a soffrire la fame. I trasporti che potevano essere impiegati per Leningrado venivano dirottati per spostare da Mosca agli Urali gli impianti dell’industria bellica.
Nel solo anno 1942, Leningrado fu bombardata per 254 giorni, i militari tedeschi accerchiarono la città bloccando tutte le vie di rifornimento e la popolazione fu decimata dalla fame e dalle bombe.
Decidendo di assediare la città, invece, i germani speravano di poterla logorare poco a poco, con i bombardamenti, con attacchi locali, con continue azioni di pattuglie. Essi, poi, confidavano so/prattutto su una grande alleata: la fame.Ben presto il blocco l'avrebbe ridotta alla fame, le munizioni si sarebbero esaurite, lo spirito combattivo dei difensori si sarebbe affievolito. Leningrado, così, avrebbe dovuto chiedere la resa. « Leningrado alzerà le braccia senza che glielo si ordini. Presto o tardi cadrà. Nessuno la libererà. Nessuno potrà sfondare le linee che abbiamo costruito. Leningrado è condannata a morire di fame ». Così aveva detto Hitler e i suoi piani erano tutt'altro che infondati. Tuttavia il più grande amico della città assediata fu l'inverno. Non è un controsenso. L'inverno, col suo clima glaciale provocò infiniti, gravissimi disagi alla popolazione, che era rimasta senza combustibili, senza viveri, senza energia elettrica, miete vittime a migliaia, sul fronte e dietro il fronte, ma rese anche possibile la costruzione della famosa strada sul Ladoga. I tedeschi avevano raggiunto quella meridionale. La città, quindi, era serrata da ogni lato e solo attraverso il lago avrebbe potuto ricevere rifornimenti e aiuti. Però, durante la buona stagione, la via non era praticabile: mancavano barche, chiatte, lance armate.
Sul lago ghiacciato, era infatti possibile convogliare rapide colonne motorizzate, per portare in città quanto occorreva. Zhdanov fece quindi costruire, da migliaia di operai, una strada attraverso il Ladoga e, grazie a questo cordone ombellicale, Leningrado non solo ricevette i viveri e le munizioni indispensabili alla vita e alla resistenza, ma poté addirittura aumentare il suo potenziale bellico.

Così, per non essere riusciti a conquistare la sponda orientale del Ladoga, per non aver potuto completare l'accerchiamento di Leningrado, i tedeschi videro fallire il loro piano, basato sullo strangolamento della città, sul suo affamamento, sul suo esaurimento. Nel gennaio 1944 una decisa controffensiva russa riuscì a cacciare i tedeschi dalla zona sud della città ponendo di fatto termine al lunghissimo assedio.


Le donne di Leningrado


nella citta' assediata e martoriata, le donne, la maggioranza della popolazione, si ritrovarono a ricoprire il doppio ruolo di civili e di soldati, di lavoro nelle fabbriche di armi e nel servizio antiaereo e antinciendio.
Una figura important e di particolare risalto , fu quella di Vera Inberpoetessa e scrittrice.

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Durante la seconda guerra mondiale ha vissuto a Leningrado assediata dove il marito lavorava come direttore di un istituto medico. Durante tutta l'epoepa della città condusse una trasmissione radiofonica. Per sollevare il morale recitava le sue poesie dedicate all'eroica resistenza della popolazione di Stalingrado.

Le donne sovietiche nella guerra


La massiccia partecipazione delle donne russe alla Seconda Guerra Mondiale (intesa come prender parte direttamente ai combattimenti) è un'esperienza praticamente unica nella storia moderna.
Nel conflitto le donne sono intervenute un po' in tutti i paesi, ma generalmente la loro partecipazione è stata generalmente limitata a ruoli non combattenti anche se magari non esenti da qualche pericolo.

Il conflitto tra Germania e URSS invece vide presto le donne in prima linea. Va chiarito che l'esercito sovietico non le desiderava particolarmente, ma le condizioni della Seconda Guerra Mondiale erano eccezionali: per quanto fosse un esercito di proporzioni colossali e con armamenti qualitativamente non disprezzabili, l'Armata Rossa venne inizialmente travolta soffrendo perdite elevatissime, e questo permise all'invasione tedesca di penetrare in profondità. Si rivelò il carattere di guerra totale di questa invasione, che vide fin dall'inizio brutalità e stermini indiscriminati. Questo fu il principale motivo che spinse numerose donne a prendere le armi. Le necessità militari spinsero le autorità ad accettare questo contributo che, nella maggior parte dei casi, non era stato sollecitato.
Le donne parteciparono in tutti i ruoli: infermiere, addette all'artiglieria contraerea (ruolo che potrebbe sembrare non di prima linea ma ugualmente pericoloso), tiratrici scelte, spie, combattenti partigiane, carriste, equipaggi nelle navi, piloti di aerei da bombardamento e da caccia. Ovviamente non mancarono nella fanteria.


Le donne pilota sono state senza dubbio le più famose. Marina Raskova, pioniera dell'aviazione russa, ottenne da Stalin il permesso di organizzare le prime unità femminili da combattimento. La Raskova, che aveva una valida preparazione tecnica ma pochi collaboratori altrettanto esperti, si sforzò di trovare donne che avessero già esperienza di volo: qualcuna ce n'era grazie al Komsomol, organizzazione giovanile del partito, che fra le tante attività aveva insegnato il pilotaggio a molti giovani sovietici. Nacquero così le famose Streghe della Notte, unità di disturbo che volavano su piccoli biplani PO-2. Si trattava di aerei di legno il cui ruolo era stato quello di addestratori. Recuperati alla guerra, erano senz'altro robusti ma assai poco performanti.
Marina Raskova morì in un incidente ma molte delle sue allieve giunsero ad accumulare una quantità impressionante di missioni di bombardamento.
Altre donne pilotarono dei bombardieri più pesanti (PE-2) e ci furono pure le donne pilota da caccia. Sembra che il 13 settembre 1942 sia stato il giorno del primo abbattimento da parte di una donna, quando Lidya Litvyak

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ebbe la meglio su un asso tedesco presso Stalingrado (il poveretto non credette di esser stato abbattuto da una donna fino a che lei stessa gli descrisse com'era andato il combattimento).
Nell'agosto 1943 Lidya Litvyak venne abbattuta dopo aver conseguito 11 vittorie contro gli aerei tedeschi (più un pallone aerostatico). Per conferirle la decorazione di Eroe dell'Unione Sovietica il partito voleva conferma che fosse morta e non finita in prigionia. Facendo uso di testimonianze venne trovato il suo luogo di sepoltura (ai tempi di Gorbachev) ma non venne esumata. Pertanto rimane il dubbio (secondo altre fonti) che sia stata fatta prigioniera dai Tedeschi o che sia sopravvissuta in qualche modo alla guerra.
Le donne con competenze di macchinari e veicoli si trovarono spesso a guidare automezzi nelle forze armate. Dal momento che le forze corazzate mancavano di personale addestrato, le donne si trovarono presto anche alla guida dei carri armati. Irina Levchenko, il cui padre era stato vittima del terrore voluto da Stalin, passò da un ospedale per bambini a un'unità corazzata, dove le sue mansioni non prevedevano il combattimento.Respinte le sue richieste di passare alle truppe combattenti, persuase l'ufficiale che l'aveva rifiutata scoppiando a piangere e implorandolo. Questi allora acconsentì e fece in modo che la Levchenko ricevesse il certificato di idoneità fisica che avrebbe dovuto esserle rifiutato in quanto la donna, che aveva già ricevuto la prima di numerose ferite di guerra, era invalida. La Levchenko morì a soli 48 anni, dopo la fine della guerra; scrisse però delle sue esperienze.

Oktyabrskaya Mariya Vasil'yevna


vendette tutto quello che aveva alla notizia della morte del marito sul fronte. Con il suo denaro e le donazioni che raccolse, raggranellò il necessario per finanziare la costruzione di un carro armato e chiese di poterlo guidare. Nonostante fosse una donna di mezz'età, e di piccola statura, le fu concesso. Se la storia sembra un'invenzione di propaganda, considerate il fatto che il marito era un ufficiale politico e lo stesso nome di questa eroina era stato cambiato in onore alla rivoluzione di ottobre. Vista inizialmente con sospetto dai giovani carristi la Vasil'yevna riuscì a farsi onore in diverse battaglie. Nel gennaio 1944, uscendo dalla protezione del suo T34 per riparare un cingolo danneggiato dalle armi anticarro nemiche, venne ferita a morte da un'esplosione.

Le donne Russe aiutarono molti soldati italiani


Numerosi sono i racconti dei reduci in cui si parla degli aiuti che spesso i notri soldati ricevevano dalle donne russe. Vediamo qui qualche raccnto.
Viktoria Zavgorodnya una donna russa rivela l'esperienza di sua bisnonna.
Nel gennaio 1943 l’esercito sovietico ha sconfitto le divisioni italiane. Sopravvissuti, i soldati dovevano ritirarsi a piedi per sfuggire dalla campagna di Russia, in condizioni climatiche alle quali non erano preparati: neve alta, temperatura tra -35° e -50°, tante tempeste e vento gelido.

I soldati italiani avevano pochi mezzi di trasporto, i vestiti erano insufficienti per coprirsi dal freddo. Tanti giacevano nella desolata steppa russa, morivano dalla fame o congelati dal freddo, ma alcuni sono stati salvati dalle donne. Una di queste era la mia bisnonna, Vera Cernova, nata come me a Kharkov, in Ucraina.

Nei villaggi, allora, c’erano solo donne, curavano chiunque fosse bisognoso. Suo marito era militare e in quel tempo combatteva; lei era rimasta a casa con tre figli, tra cui mia nonna: Nina, Tonia e Pietro. Un giorno tre uomini italiani bussarono alla sua porta. Erano esauriti dal freddo, dalla fame e dalla lunga marcia. Erano magri e vestiti con indumenti leggeri.

Vera diede loro i vestiti del marito, li ha curati e, insieme alle vicine, raccolto cibo perché potessero mangiare. In tempo di guerra, c’era fame anche nelle città sovietiche. Dopo che si ripresero, continuarono il lungo cammino verso il ritorno in Italia.

Sono molto fiera della mia bisnonna e del popolo sovietico in generale, perché anche in tempo di guerra la maggioranza aveva il cuore generoso, pronti ad aiutare chi ne avesse bisogno. La guerra mette tutti sullo stesso piano.
la popolazione russa dei territori occupati dalle truppe italiane , ben presto s'era istintivamente accostata agli alpini; la gente d'Ucraina aveva trovato via d'intesa con gli uomini dalla penna nera e si mostrava larga di simpatia e di attenzioni verso quei ragazzi gioviali; offriva spontanea ospitalità nelle isbe e si intratteneva volentieri a conversare fino a tardi . Questo ci deve far riflettere sul fatto che la guerra è come elemento inutile di odio. Molte sono, infatti, le testimonianza dei pochi reduci che raccontano di episodi di solidarieta' con alcuni soldati russi, che soffrivano come lui la fame e il freddo. Questi hanno diviso il cibo con la famiglia che occupava l’abitazione in un clima di pace e serenità. Nella foto che segue una donna russa porge ai soldati italiani dell'acqua prelevandola da un pozzo


Riccardo Di Raimondo, 91 anni, siciliano, è uno dei pochi superstiti italiani della spedizione in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale. A distanza di 70 anni, racconta tutto in un libro fotografico,sottolineando in ogni passaggio la grande generosità dei russi nonostante fossero degli invasori."Soprattutto perché rivedevano in noi in fuga le sofferenze che potevano provare i figli impegnati in guerra. Non dimenticherò mai la coppia di anziani che salvarono la vita a me e un altro soldato della mia divisione che stava morendo per polmonite. Ci preparavano da mangiare, ci coprivano e piangevano. In lacrime per i propri ragazzi. Una sera incontrai una contadina russa che si accorse del principio di congelamento che mi stava colpendo: mi passò un po’ di neve sul naso. E poi mi ospitò a casa sua".
Poi un grande amore:racconta di essersi invaghito per una donna russa, per poi cedere alla legge della sopravvivenza:"La patria è la patria. Dovevo continuare a rappresentarla al meglio. E volevo tornare a casa mia, vedere i miei familiari, la mia Sicilia. E poi, mai sarei sopravvissuto: i russi non accettavano l’amore tra un nemico e una donna russa. Ci cercavano, saremmo stati fucilati entrambi. Ho pensato anche al suo bene. C’era il dolore del distacco reciproco, certo ma non si poteva fare altrimenti. Gli italiani erano ricercatissimi dalle donne russe. Un vero mito. Forse perché amatori o perché cercavano sempre di curare l’aspetto o per i modi gentili".
Continua






Edited by Pulcinella291 - 27/3/2014, 12:10
 
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