Le stronzate di Pulcinella

attori non protagonisti e semplici comparse della II guerra mondiale

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Pulcinella291
view post Posted on 5/4/2014, 07:58 by: Pulcinella291
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Quelli di Cassino nel luogo sbagliato al momento sbagliato



Per nove lunghi mesi le popolazioni dell’odierno Lazio meridionale, dell’alta Campania, del medio Molise e Abruzzo sono state coinvolte, loro malgrado, in un vortice crescente di patimenti, sofferenze e morte che ha raggiunto il punto massimo il 15 febbraio 1944 con la distruzione della millenaria abbazia di Montecassino ed esattamente un mese dopo con la distruzione della città di Cassino.



Oltre all' altissimo il tributo pagato dagli eserciti (si ricordano i cinque sacrari militari disseminati su questo territorio ), il tributo è stato pagato anche da queste popolazioni e da questo territorio , un sacrificio enorme n termini umani, per le centinaia e centinaia di persone morte e ferite in quei momenti e anche negli anni dopo la guerra, nonché per l’annientamento totale dei beni materiali pubblici e privati distrutti dai bombardamenti e dai cannoneggiamenti.
I bombardamenti di Cassino e Montecassino da parte degli angloamericani sono stati definiti di volta in volta come una necessità militare o un crimine di guerra.



Tuttavia furono anche degli errori tattico-strategici perché l’esercito alleato non riuscì a trarre nessun beneficio dai due bombardamenti anzi offrì l’opportunità ai tedeschi di poter utilizzare a scopo difensivo le rovine del monastero e della città.


In definitiva le distruzioni di Cassino e Montecassino possono essere ritenute alla stregua di un inutile sacrificio che è stato pagato dalla inerme popolazione civile e da questo territorio a causa della perdita, innanzi tutto, di tante vite umane (uomini, donne, bambini colpevoli solo di trovarsi nel luogo sbagliato, nel momento sbagliato) e di tutto il patrimonio edilizio pubblico, privato e religioso che ha totalmente cambiato il volto di Cassino e profondamente quello di tanti altri paesi.
Per la popolazione, ignara, in una zona che sarebbe divenuta ben presto un importante snodo di operazioni militari, furono giorni di provata durezza e crudeltà.


Eppure la valle del Liri, i monti Ausoni ed Aurunci, la valle dell’Ausente e le zone limitrofe, fino al 1943 erano stati considerati come siti privilegiati, lontani dai pericoli della guerra, senza apparenti obbiettivi militari e con una certa abbondanza di viveri, dovuta alla presenza di migliaia di capi di bestiame, di pascoli e di estese coltivazioni. Erano così tranquilli quei paesi che molte famiglie napoletane, terrorizzate dai bombardamenti aerei, li avevano scelti come sede di sfollamento, fin dal 1942.
Il primo campanello di allarme suonò nella notte fra il 19 ed il 20 luglio 1943, quando fu bombardato l’aeroporto di Aquino e molti si chiesero fino a quando sarebbero stati risparmiati. Poi seguirono l’incursione su Cassino, il 10 settembre, quella su Esperia, il 30 settembre, quella sul nodo ferroviario di Roccasecca, il 23 ottobre, e quella, terribile, su Pontecorvo, il 1 novembre.


I bombardamenti aerei causarono la prima grande fuga da città e paesi verso la campagna e le montagne, e cominciò la caccia alle masserie o alle caselle sui monti; i primi trovarono quattro mura, gli ultimi dovettero accontentarsi.
Subito dopo l’8 settembre 1943, si presentò un altro pericolo che colpì la popolazione maschile. I tedeschi emisero dei bandi con l’obbligo di presentazione ad un servizio del lavoro e la reazione fu un’ulteriore fuga verso le montagne con conseguenti rastrellamenti, che spesso coincisero con rappresaglie, omicidi, arresti ed un vero e proprio saccheggio del bestiame.


Con l’avvicinarsi del fronte e la decisione di attestarsi sulla Linea Gustav, i tedeschi adottarono altre misure, fra le quali lo sgombero coatto dei centri abitati. Se all’inizio la vita sulle montagne fu almeno sopportabile, con il passare dei mesi toccò il limite della sopravvivenza.
Nei primi tempi, molti dei proprietari di bestiame preferirono macellare gli animali prima che fossero confiscati dai tedeschi o dai militi della nuova polizia di Salò. Questa relativa abbondanza di carne e le scorte che i fuggitivi riuscivano a recuperare dai paesi abbandonati in rischiose calate notturne, li salvarono.
Le montagne, almeno nel periodo invernale, offrirono le necessarie riserve d’acqua, ma con l’aumento della popolazione e l’arrivo di una primavera particolarmente secca, anche queste diminuirono pericolosamente.
Una parte dei fuggitivi preferì rientrare in paese per usufruire dei vecchi pozzi scavati nelle case dove veniva raccolta l’acqua piovana, rifugiandosi nel profondo delle cantine e sfidando le granate alleate, la presenza di una moltitudine di soldati tedeschi ed una fame che aumentava con il passare dei giorni. Molti preferirono, nonostante il rischio grandissimo, attraversare le linee alleate. Si viveva in ogni tipo di riparo: i più fortunati nei pochi manufatti in muratura esistenti, ma anche in stalle e porcili; i più si sistemarono in caverne naturali o nei “pagliari”, una piccola costruzione, composta da un muretto di pietre a secco circolare, sul quale si poggiavano dei rami ricoperti di rami e “stramma”, una sorta di saggina, destinati normalmente alle pecore.
Finito anche il bestiame, durante i primi mesi del ’44 ebbe inizio il periodo della fame nera. Era allora fortunato chi riusciva a procurarsi qualche pugno di granoturco o di carrube o di sale. Fu allora che l’erba dei prati costituì una voce non trascurabile della sempre più magra dieta giornaliera.
Se però questa vita grama metteva al riparo dai bombardamenti, persisteva il pericolo dei tedeschi, che salivano con puntate improvvise alla caccia di bestiame da predare e di uomini da adibire ai lavori forzati. Ovunque fu organizzato un servizio di vedette, svolto soprattutto da ragazzini, e, quando apparivano i militari, tutta la popolazione maschile fuggiva a nascondersi nei boschi o su per la montagna.
Fu così che si arrivò a quella notte fra l’11 ed il 12 maggio 1944.
Un’intera umanità di anziani, donne e bambini, affamata, lacera, sporca, abbandonata, stanca, avvilita fu svegliata dall’immenso fragore del bombardamento ed il cielo, verso il Garigliano, si illuminò a giorno; capì immediatamente che stava per succedere qualcosa di grande e che si era arrivati alla fase finale della battaglia.


Mano a mano che le truppe francesi avanzavano, la gente uscì dai rifugi e si trovò davanti i soldati nordafricani, prima incredula – tutti s’aspettavano gli americani – poi resa più sospettosa dai primi furti.
E’ ovvio che la prima reazione all’apparire di truppe alleate dopo i tanti patimenti subiti per mesi, qualsiasi esse fossero, fu di sincera gioia, ma i guai cominciarono subito.
Quasi tutti i rifugiati sulle montagne avevano portato con se ogni bene di valore che fosse trasportabile e nascondibile: orologi, oggetti in oro e argento come anelli, catenine, collane, braccialetti, quasi sempre ricordi di famiglia, denaro liquido.
Tutto ciò sparì in un batti baleno.
Persino le cartelle dei buoni del tesoro, la cui commerciabilità, qualcuno, italiano o francese, aveva indicato ai nordafricani.
Così fu per tutti quegli animali, salvati con tanta fatica dai rastrellamenti tedeschi: mucche, asini, capre, pecore, maiali, conigli, galline... .
Chi si opponeva veniva minacciato dai fucili o dai mitra puntati.
Le case distrutte vennero attentamente perquisite, alla ricerca di armi o di soldati tedeschi, ma particolare attenzione venne riservata a pavimenti e mura, sondati con i calci di fucili alla ricerca di tesori nascosti; persino orti e giardini furono setacciati con aste metalliche.
Quindi fu la volta di biancheria, vestiti, stoviglie e persino di arredi.


Poi si verificarono casi più gravi di violenza: omicidi, aggressioni a mano armata, e gli stupri che colpirono in maggioranza la popolazione femminile, ma anche quella maschile.È una storia atroce quella che è stata imposta alla Ciociaria in quella primavera del 1944, una storia della quale già nell’inverno precedente, nelle Mainarde, si erano manifestate le prime avvisaglie.
Eppure nessuno fece nulla per prevenire ed evitare che quelle sofferenze si ripetessero, aggiungendo dolore al dolore laddove già la guerra di per sé aveva creato la disperazione. Il fine ultimo degli alti comandi Alleati era di scacciare i tedeschi dalla loro Linea Gustav, riprendersi dalle sconfitte patite nei primi quattro mesi del 1944 ed entrare finalmente a Roma; tutto ciò fece dimenticare ad Alexander, a Clark e a tutti gli altri comandanti di tenere a freno comportamenti che non ebbero nulla a che vedere con l’etica del soldato.
Ma di questo abbiamo gia' parlato in un altro capitolo di questa sezione del forum.



ORTONA :una storia dimenticata



Una pagina di storia quasi del tutto dimenticata fu quella che fu costretta a scrivere la citta' di Ortona che nel dicembre 1943 diviene epicentro di uno scontro cruento che si svolge tra le vie e i luoghi della città, coinvolgendo i civili che cercano di rifugiarsi nelle chiese, nelle cantine, ma che in molti cadranno vittime della guerriglia urbana.“La piccola Stalingrado”, come sarà tristemente rinominata la cittadina abruzzese, vede da una parte schierati i canadesi guidati dal Generale Chris Vokes, con l’intento di rompere “la linea Gustav” e proseguire verso Roma; dall’altra, i paracadutisti tedeschi nascosti tra le macerie.


Quella che era chiamata la “linea Gustav” correva da Ortona e dalla costa Adriatica fino a Cassino tagliando l’Italia in due, e rappresentava una barriera naturale, un ostacolo per le truppe alleate che volevano prendere la capitale.
La Prima Divisione Fanteria canadese entrò nel territorio abruzzese attraversando i fiumi Trigno e Sangro e conquistò il ponte sul fiume Moro per garantirsi facile accesso a Ortona.


I combattimenti, pero', si rivelarono più duri del previsto, sia dal punto di vista fisico che morale. A seguito di una tremenda battaglia, combattuta corpo a corpo, casa a casa, 1400 soldati canadesi persero la vita. La battaglia di Ortona era iniziata il 20 Dicembre e dopo sei giorni di intensi combattimenti il Terzo Battaglione della Seconda Brigata, assieme ai carri armati della Prima Brigata Corazzata Canadese, intervennero in rinforzo riuscendo dopo altri due giorni di combattimenti a sconfiggere i tedeschi. Fu un vero massacro di militari e civili colpevolmente dimenticato dalla storia della liberazione nazionale. Un inferno di trabocchetti ed esche esplosive, mine, tiro incrociato di mitragliatrici e di cecchini con fucili di precisione, combattimenti corpo a corpo.
Tra i due schieramenti in lotta aspra si ritrovano i civili intrappolati nelle cantine, nei rifugi, nelle chiese, nell’ospedale, senza cibo né acqua, che aumenteranno la macabra contabilità dei caduti: alla fine saranno migliaia.
Tanti uomini morirono - e Ortona venne distrutta, con il suo prezioso patrimonio artistico.



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LE BANDE DELLA MAIELLA


Erano chiamati banditi perché messi al bando dalle numerose ordinanze emesse dai tedeschi. Mossi dalla voglia di ricacciare dalle proprie terre l'invasore, per liberarsi dall'occupazione e dai tanti soprusi subiti. Furono numerosi i gruppi di partigiani che si formarono nell'Abruzzo meridionale in quel periodo. Gruppi armati come capitava: dal fucile da caccia alla mitragliatrice rubata, talvolta con destrezza, ai Tedeschi. Persone che venivano immediatamente giustiziate quando rastrellate o catturate, in quanto considerati traditori e non riconosciuti come combattenti avversari.
Tra i vari gruppi emergono quello guidato da Domenico Troilo


operante inizialmente a Gessopalena e quello dell'avvocato Ettore Troilo,


socialista, che aveva preso il nome della Majella, la montagna madre, per battezzare la sua formazione. I due, nonostante avessero lo stesso cognome, non avevano alcun vincolo di parentela.Altre bande operavano sulle località montane della Majella, nei pressi di Sulmona, nel chietino e in numerosi centri abruzzesi.
continua


Edited by Pulcinella291 - 6/4/2014, 11:03
 
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