Le stronzate di Pulcinella

attori non protagonisti e semplici comparse della II guerra mondiale

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 2/4/2014, 16:24
Avatar

Pulcinella291 Forum

Group:
AMMINISTRAZIONE
Posts:
42,063

Status:


Prof, sui misteri della morte del duce e di Claretta abbiamo gia' ampiamente parlato. Se ti va vai qua
 
Web  Top
view post Posted on 3/4/2014, 07:59
Avatar

Pulcinella291 Forum

Group:
AMMINISTRAZIONE
Posts:
42,063

Status:


El ALAMEIN:gli eroi italiani


Questa targa commemorativa che delimita il punto di massima avanzata dell'esercito italiano, afferma che manco' la fortuna e non il valore, io direi che mancarono soprattutto i mezzi adeguati .I nostri tank «erano adatti per controllare i civili o impaurire i cavalleggeri africani, ma non ci si poteva aspettare altro. Scarsamente corazzati, avevano insufficiente portata di fuoco e consentivano dall' interno una visibilità molto limityata.
I soldati italiani in quella che fu la madre di tutte le battaglie combattute in Africa oltre al loro valore dimostrarono anche dignita' umana.
«Tre carri armati britannici avanzarono: erano muniti di altoparlanti che trasmettevano messaggi d' ammirazione per il coraggio dei nemici, completamente accerchiati, e offrivano loro onorevoli condizioni per cessare le ostilità, minacciando l' annientamento totale se si fossero rifiutati. I paracadutisti gridarono "Folgore" e aprirono il fuoco. I tank si ritirarono. Poi prevalsero la sete e la fame». E' un passo del saggio di John Bierman e Colin Smith, autori di The battle of Alamein, in uscita a Londra per la Viking, che analizza la più cocente sconfitta dell' esercito italo-tedesco nella Seconda Guerra Mondiale. Un libro che riserva parecchie sorprese . A partire dal racconto di quella resa non accettata finendo alla storica resa firmata con platonica fierezza. Alla fine della battaglia di El Alamein, proprio gli ufficiali di Sua Maestà vollero rendere l' onore delle armi al lacero stendardo tricolore.

Gli italiani mangiamacaroni esausti di promesse mai mantenute, degradati con armi ed equipaggiamenti farsescamente inadeguati non arretrarono neanche sotto l' assalto dei carri armati e neanche dopo l' abbandono delle truppe di Rommel in fuga (già, perché a scappare furono loro). E quando finirono le munizioni, gli italiani, «affamati e senz' acqua», riempirono di esplosivo le scatole di pomodori e usarono quelle.

Furono sconfitte , ma le nostre divisioni Ariete e Folgore entrarono nel mito.La presenza italiana è ricordata dal grande Sacrario Militare di El Alamein, a Quota 33 sulla litoranea per Alessandria, che raccoglie i resti di oltre 5.200 soldati italiani e 232 ascari libici.


Semplici comparse, ma eroi da ricordare.



Luigi Baron un asso dell'aviazione


Luigi Baron (Castelfranco Veneto, 10 luglio 1917 – Udine, 6 febbraio 1988) fu sergente maggiore nella nostra aeronautica. Fu un vero asso della nostra aviazione. Venne inviato in Africa Orientale per prestare servizio presso la 412ª Squadriglia Autonoma Caccia Terrestri.Ottenne complessivamente 12 vittorie confermate, e 2 in compartecipazione.
Il 25 marzo Baron sostenne l'ultimo combattimento aereo sui cieli di Cheren quando venne colpito.
ma prima di precipitare si lanciò in collisione contro il velivolo attaccante, conseguendo così la sua dodicesima vittoria. Il caccia inglese precipitò al suolo ed il pilota, tenente Robin Pare, rimase ucciso. L'aereo di Baron era gravemente danneggiato e il pilota gravemente ferito, in quanto una pallottola che gli aveva letteralmente fatto esplodere il polpaccio. Riuscì a lanciarsi con il paracadute atterrando vicino alle linee italiane, dove venne immediatamente soccorso. A causa della grave ferita rimase per un lungo periodo ricoverato in ospedale, dove la sua fidanzata del tempo, una crocerossina, gli salvò la gamba dalla gangrena. Una volta ristabilitosi si tenne nascosto per lunghi mesi nel sottoscala dell'abitazione della sua fidanzata, insieme ad altri compagni, per evitare di essere catturato dagli inglesi. Quando il governo britannico acconsentì al rimpatrio dei civili italiani dall'Africa Orientale, vennero organizzate alcune missioni umanitarie con grossi piroscafi portanti le insegne della Croce Rossa. Durante una di queste missioni Baron riuscì ad imbarcarsi a bordo del Duilio, sotto falso nome, come malato di mente. Al suo arrivo in Italia nessuno conosceva la sue imprese, e gli furono conferite una Medaglia d'argento al valor militare, una Medaglia di bronzo al valor militare, la Croce di Guerra e in seguito la Croce di Ferro tedesca di II classe.

Livio Bassi: medaglia d'oro al valore militare alla memoria


Livio Bassi (Trapani, 8 ottobre 1918 – Roma, 2 aprile 1941). Dopo l'Accademia fu promosso tenente pilota in S.P.E. e inviato alla 395ª Squadriglia del 154º Gruppo Autonomo, presso l'aeroporto di Berat in Albania nell'ottobre 1940. Il 20 febbraio 1941 fu abbattuto nel corso di un combattimento aereo sui cieli di Grecia. Bassi, aveva cercato di portare aiuto al commilitone e collega di corso in Accademia Alfredo Fusco, circondato da sei caccia Hawker Hurricane inglesi, ma furono colpiti entrambi
Volava su un caccia Fiat G.50 "Freccia".L'aereo di Fusco esplose in volo uccidendo il pilota sul colpo, Bassi riuscì ad atterrare pur con l'aereo danneggiato, ma il velivolo prese fuoco ustionandolo molto gravemente. Nella battaglia aveva abbattuto due aerei inglesi, portandosi ad un totale di sei abbattimenti, sufficienti per fargli conseguire la qualifica di "Asso dell'aviazione. Morì per le ustioni il 2 aprile 1941 all'Ospedale militare del Celio. A entrambi gli sfortunati aviatori fu conferita la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
A Livio Bassi è stato intitolato nel 1949 il vecchio Aeroporto militare di Chinisia nei pressi di Trapani, poi in disuso e, successivamente, il nuovo Aeroporto militare di Trapani-Birgi


Giuseppe "Bepi" Biron


Giuseppe Biron (Legnago, 15 ottobre 1914 – Treviso, 23 febbraio 2011) fu un asso dell'aviazione italiana, pluridecorato durante la seconda guerra mondiale.Sottotenente Giuseppe "Bepi" Biron, del 22° Gruppo Autonomo, distaccato dal 51° Stormo per essere inviato in Russia. Biron fu l'inventore dello stemma del 22° Gruppo, uno spauracchio in un triangolo bianco che si "Fuma" le stelline rosse che rappresentano i caccia russi, visibile sulla fusoliera del Macchi C.200 alle sue spalle. Dopo il rientro in Italia nel 1942, il 22° Gruppo assegnato alla difesa territoriale in Italia meridionale. Dopo l'8 Settembre Biron optò per l'ANR dove combatté prima nel Gruppo Autonomo Montefusco-Bonet e poi nel 1° Gruppo Caccia. Espulso dall'Aeronautica alla fine del conflitto, fu poi richiamato in servizio e terminò la sua carriera come Colonnello nel 1971. E' stato decorato con cinque medaglie d'argento, due di bronzo e una Croce di Ferro di seconda classe.

Franco Bordoni Bisleri (Robur)



Franco Bordoni-Bisleri (Milano, 10 gennaio 1913 – Chiavari, 15 settembre 1975) è stato un pilota della Regia Aeronautica, Medaglia d'Oro al Valor Militare .Durante la seconda guerra mondiale gli furono accreditati 19 aerei abbattuti tra Bristol Blenheim (quattro), Hawker Hurricane, Curtiss P-40 (sei), B-26 e B-17 "Fortezze volanti" (sei). Le sue vittorie sono state conseguite ai comandi del biplano Fiat C.R.42 e dei monoplani Macchi M.C.202 ed M.C.205.

Salvo D'Acquisto


Salvo D'Acquisto nacque a Napoli il 7 ottobre 1920. Nel 1939 si arruolò nell'Arma dei Carabinieri, segnalandosi per le sue qualità. Pur vivendo in un'epoca alquanto difficile era caratterizzato da ottimismo e gioia di vivere. Aspirava a formarsi una famiglia. Di lui si conservano ancora le bellissime lettere scritte alla sua fidanzata. Le sue doti di bontà ed il senso cristiano della vita risplendono nell'atto eroico di Palidoro (Roma), allorché, Vice-Comandante della locale stazione dell'Arma, si offrì come vittima innocente per salvare la vita a 22 ostaggi che stavano per essere fucilati.
Dopo l' 8 settembre del 1943, un reparto di SS si era installato in una caserma abbandonata della Guardia di Finanza sita nella Torre di Palidoro, presso la località di Torrimpietra. In tale caserma, la sera del 22 settembre, alcuni soldati tedeschi, rovistando in una cassa, provocarono lo scoppio di una bomba a mano: uno dei militari rimase ucciso e altri due furono gravemente feriti. L'episodio, del tutto fortuito, fu attribuito dai tedeschi ad un attentato dei partigiani.
La mattina dopo, il comandante del reparto tedesco, recatosi nella Stazione di Torrimpietra per cercare il comandante della locale stazione dei Carabinieri, vi trovò il vice brigadiere D'Acquisto, al quale ordinò di individuare i responsabili dell'accaduto.
Il giovane sottufficiale tentò senza alcun risultato di convincerlo che si era trattato solo di un tragico incidente. L'ufficiale tedesco fu irremovibile e promise una rappresaglia esemplare.
Poco dopo, Torrimpietra fu circondata e 22 cittadini innocenti furono rastrellati, caricati su un camion e trasportati presso la Torre di Palidoro.
Il vice brigadiere Salvo D'Acquisto, resosi conto che stava per accadere l'irreparabile, affrontò una seconda volta il comandante delle SS, nel tentativo di ricondurlo ad una valutazione oggettiva dell'accaduto. La risposta fu: "Trovate i colpevoli"! Alle rimostranze del giovane sottufficiale, l'ufficiale nazista reagì in modo spietato. Gli ostaggi furono costretti a scavarsi una fossa comune, alcuni con le pale, altri a mani nude.
Visto questo gesto Salvo D'Acquisto si autoaccusò come responsabile dell'attentato e chiese che gli ostaggi fossero liberati.
Subito dopo la liberazione degli ostaggi, il vice brigadiere venne freddato da una scarica del plotone d'esecuzione nazista. Aveva ventitre anni.
Alla Memoria del vice brigadiere Salvo D'Acquisto il Luogotenente Generale del Regno, con Decreto Motu Proprio del 25 febbraio 1945, conferì la Medaglia d'Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
"Esempio luminoso di altruismo, spinto fino alla suprema rinunzia della vita, sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, erano stati condotti dalle orde naziste 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, non esitava a dichiararsi unico responsabile d'un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così da solo, impavido, la morte imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell'Arma".
Il 4 novembre 1983, nella sede dell'Ordinariato Militare, è stato insediato il Tribunale ecclesiastico per la causa di beatificazione del vicebrigadiere dei Carabinieri Salvo D'Acquisto.







Continua
 
Web  Top
view post Posted on 4/4/2014, 08:17
Avatar

Pulcinella291 Forum

Group:
AMMINISTRAZIONE
Posts:
42,063

Status:


Quelli di Cefalonia



I fatti di Cefalonia, nonostante i tanti libri e i più numerosi articoli, sono i meno studiati dai ragazzi delle scuole. Allo stesso tempo rientra nel lungo elenco degli orrori della seconda guerra mondiale: lo sterminio di massa degli ebrei e delle altre minoranze etniche e religiose o dei minorati psichici.Ecco cosa avvenne:
8 settembre 1943: l’armistizio mise in una situazione drammatica gli ufficiali e i soldati italiani - circa 12.000- della divisione Acqui che presidiava l’isola di Cefalonia. Sull'isola c'erano, fra l'altro, due reggimenti di fanteria e uno di artiglieria, tre compagnie del Genio.
13 settembre 1943: dopo alcuni giorni di trattative, il comando tedesco impose di cedere le armi agli italiani guidati dal generale Gandin.

23 settembre 1943: al termine di dieci giorni di combattimenti i caduti furono 1.300. Più di 6.000, compreso il comandante, furono massacrati dalla Wehrmacht, nonostante avessero deposto le armi. Degli scampati, circa 3.000 morirono nelle stive delle navi affondate durante il trasporto al Pireo.
La vendetta tedesca fu spietata e senza ragionevole giustificazione. Il Comando superiore tedesco ribadì che "a Cefalonia, a causa del tradimento della guarnigione, non devono essere fatti prigionieri di nazionalità italiana, il generale Gandin e i suoi ufficiali responsabili devono essere immediatamente passati per le armi secondo gli ordini del Führer.Il 24 settembre Gandin( in memoria insignito della medaglia d'oro al valor militare ) venne fucilato alla schiena e i suoi resti non sono stati recuperati; in una scuola 600 soldati italiani con i loro ufficiali furono falciati dal tiro delle mitragliatrici; 360 ufficiali furono uccisi a gruppetti nel cortile della casetta rossa.
A questi ragazzi, soldati, marinai, avieri, carabinieri e finanzieri ,semplici comparse nello scenario della terribile guerra, che con il loro martirio si coprirono di onore preferendo il plotone di esecuzione alla resa , va il nostro ricordo imperituro e grato.

La casetta rossa


Quella che vediamo nella foto è la casetta rossa è il luogo piu' rappresentativo della strage dei soldati italiani della divisione Acqui a Cefalonia. Un villino tinteggiato di rosso colpito dalle bombe tedesche, nei pressi di Capo S. Teodoro, all’estremità sud del golfo di Argostoli, nella parte occidentale dell’isola di Cefalonia, fu il punto di raccolta degli ufficiali della Divisione Acqui destinati alla fucilazione. Lì, oltre un centinaio di ufficiali, prigionieri di guerra, trascorsero le loro ultime ore di vita, in attesa del loro turno davanti al plotone d’esecuzione. Gruppi di otto alpini tedeschi si alternarono, per una intera mattinata, davanti a tre fosse naturali per assolvere al loro macabro rituale di morte. Questa casa in riva al mare, circondata da un giardino recintato, si può e si deve considerare uno dei simboli dell’eccidio di Cefalonia e quindi di uno dei più iniqui massacri di prigionieri di guerra dell’intera seconda guerra mondiale.
La Psychological Warfare Branch, una branca dei servizi segreti angloamericani addetti alla propaganda, scriveva nel suo bollettino: “Il comportamento degli ufficiali italiani alla triste ‘Casetta rossa’ di Cefalonia non appartiene alla storia ma al mito.


Quelli della divisione Garibaldi in Jugoslavia

La Divisione italiana partigiana Garibaldi fu una formazione partigiana che si costituì il 2 dicembre 1943, nelle campagne di Pljevlja in Montenegro, dalla volontaria adesione dei militari del Regio Esercito Italiano appartenenti alla 19ª Divisione fanteria "Venezia", alla 1ª Divisione alpina "Taurinense", al Gruppo artiglieria alpina "Aosta" e ai superstiti della 155ª Divisione fanteria "Emilia", raggruppati nel Battaglione "Biela Gora", che si trovavano dopo l'8 settembre 1943 nei Balcani a seguito delle complesse vicissitudini della occupazione italiana del Montenegro.
La Divisione, che per richiamarsi a Garibaldi utilizzava un fazzoletto rosso, fu inquadrata, come unità dell'Esercito italiano, nel II° Korpus dell'Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo comandato dal generale Peko Dapčević
La stretta collaborazione con i partigiani slavi si concretizzò in numerose azioni, tra le quali si ricorda l'episodio dell'agosto del 1944, in cui la divisione ruppe l'assedio tedesco sul monte Durmitor (2.522 m) in Montenegro, coprendo così la ritirata delle formazioni partigiane, delle loro strutture ospedaliere e dei feriti.
L'8 marzo 1945 la divisione rientrò in Italia. Dei 16.000 effettivi originari, 3.800 rimpatriarono armati, 2.500 erano precedentemente rientrati feriti o ammalati, 4.600 rientrarono dai campi di prigionia. Quasi la metà degli uomini risultò caduto o disperso. Anche queste furono comparse di questa assurda guerra. Nel rigido inverno del 1943-44, uno dei più rigidi del secolo, sostennero combattimenti contro i tedeschi fra la neve, nonostante una limitata o scarsa alimenentazione . I viveri ridotti a carne di pecora ed orzo, assicuravano a mala pena le calorie per la sopravvivenza. Talvolta l'orzo fu distribuito in grani per l'impossibilità di utilizzare i mulini bloccati dal gelo. In tal caso occorreva adattarsi e abbrustolire l'orzo sulle stufe o macinarlo coi denti. Anche per il vestiario il logorio e gli strappi risultavano evidenti. Ma la preoccupazione maggiore era costituita per le scarpe slabbrate oppure rimaste a pezzi nella neve. Si ricorse allora agli abiti civili e alle tonache -montenegrine, ricavate da pelli grezze, tenute ferme ai piedi con un reticolo di lacci. Purtroppo ad un certo punto apparve chiaro che non era più possibile continuare con le requisizioni, poiché oramai l'economia del Montenegro era esausta per la necessità di mantenere oltre alla popolazione circa ventimila partigiani.Anche loro combatterono per un ideale ed anche loro vanno ricordati per il loro sacrificio
continua
.

Edited by Pulcinella291 - 4/4/2014, 10:28
 
Web  Top
view post Posted on 4/4/2014, 13:57

Hero member

Group:
Moderatori
Posts:
2,033

Status:


Aggiungo un paio di particolari in merito alla vicenda di Cefalonia.Il Generale Gandin aveva ricevuto la croce di ferro ( importante onoreficenza militare tedesca) .prima di essere fucilato se la strappò di dosso gettandola,in segno di disprezzo,verso il plotone di esecuzione.
Anche la divisione Aqui è stata insignita della medaglia d'oro al valor militare
 
Top
view post Posted on 5/4/2014, 07:58
Avatar

Pulcinella291 Forum

Group:
AMMINISTRAZIONE
Posts:
42,063

Status:


Quelli di Cassino nel luogo sbagliato al momento sbagliato



Per nove lunghi mesi le popolazioni dell’odierno Lazio meridionale, dell’alta Campania, del medio Molise e Abruzzo sono state coinvolte, loro malgrado, in un vortice crescente di patimenti, sofferenze e morte che ha raggiunto il punto massimo il 15 febbraio 1944 con la distruzione della millenaria abbazia di Montecassino ed esattamente un mese dopo con la distruzione della città di Cassino.



Oltre all' altissimo il tributo pagato dagli eserciti (si ricordano i cinque sacrari militari disseminati su questo territorio ), il tributo è stato pagato anche da queste popolazioni e da questo territorio , un sacrificio enorme n termini umani, per le centinaia e centinaia di persone morte e ferite in quei momenti e anche negli anni dopo la guerra, nonché per l’annientamento totale dei beni materiali pubblici e privati distrutti dai bombardamenti e dai cannoneggiamenti.
I bombardamenti di Cassino e Montecassino da parte degli angloamericani sono stati definiti di volta in volta come una necessità militare o un crimine di guerra.



Tuttavia furono anche degli errori tattico-strategici perché l’esercito alleato non riuscì a trarre nessun beneficio dai due bombardamenti anzi offrì l’opportunità ai tedeschi di poter utilizzare a scopo difensivo le rovine del monastero e della città.


In definitiva le distruzioni di Cassino e Montecassino possono essere ritenute alla stregua di un inutile sacrificio che è stato pagato dalla inerme popolazione civile e da questo territorio a causa della perdita, innanzi tutto, di tante vite umane (uomini, donne, bambini colpevoli solo di trovarsi nel luogo sbagliato, nel momento sbagliato) e di tutto il patrimonio edilizio pubblico, privato e religioso che ha totalmente cambiato il volto di Cassino e profondamente quello di tanti altri paesi.
Per la popolazione, ignara, in una zona che sarebbe divenuta ben presto un importante snodo di operazioni militari, furono giorni di provata durezza e crudeltà.


Eppure la valle del Liri, i monti Ausoni ed Aurunci, la valle dell’Ausente e le zone limitrofe, fino al 1943 erano stati considerati come siti privilegiati, lontani dai pericoli della guerra, senza apparenti obbiettivi militari e con una certa abbondanza di viveri, dovuta alla presenza di migliaia di capi di bestiame, di pascoli e di estese coltivazioni. Erano così tranquilli quei paesi che molte famiglie napoletane, terrorizzate dai bombardamenti aerei, li avevano scelti come sede di sfollamento, fin dal 1942.
Il primo campanello di allarme suonò nella notte fra il 19 ed il 20 luglio 1943, quando fu bombardato l’aeroporto di Aquino e molti si chiesero fino a quando sarebbero stati risparmiati. Poi seguirono l’incursione su Cassino, il 10 settembre, quella su Esperia, il 30 settembre, quella sul nodo ferroviario di Roccasecca, il 23 ottobre, e quella, terribile, su Pontecorvo, il 1 novembre.


I bombardamenti aerei causarono la prima grande fuga da città e paesi verso la campagna e le montagne, e cominciò la caccia alle masserie o alle caselle sui monti; i primi trovarono quattro mura, gli ultimi dovettero accontentarsi.
Subito dopo l’8 settembre 1943, si presentò un altro pericolo che colpì la popolazione maschile. I tedeschi emisero dei bandi con l’obbligo di presentazione ad un servizio del lavoro e la reazione fu un’ulteriore fuga verso le montagne con conseguenti rastrellamenti, che spesso coincisero con rappresaglie, omicidi, arresti ed un vero e proprio saccheggio del bestiame.


Con l’avvicinarsi del fronte e la decisione di attestarsi sulla Linea Gustav, i tedeschi adottarono altre misure, fra le quali lo sgombero coatto dei centri abitati. Se all’inizio la vita sulle montagne fu almeno sopportabile, con il passare dei mesi toccò il limite della sopravvivenza.
Nei primi tempi, molti dei proprietari di bestiame preferirono macellare gli animali prima che fossero confiscati dai tedeschi o dai militi della nuova polizia di Salò. Questa relativa abbondanza di carne e le scorte che i fuggitivi riuscivano a recuperare dai paesi abbandonati in rischiose calate notturne, li salvarono.
Le montagne, almeno nel periodo invernale, offrirono le necessarie riserve d’acqua, ma con l’aumento della popolazione e l’arrivo di una primavera particolarmente secca, anche queste diminuirono pericolosamente.
Una parte dei fuggitivi preferì rientrare in paese per usufruire dei vecchi pozzi scavati nelle case dove veniva raccolta l’acqua piovana, rifugiandosi nel profondo delle cantine e sfidando le granate alleate, la presenza di una moltitudine di soldati tedeschi ed una fame che aumentava con il passare dei giorni. Molti preferirono, nonostante il rischio grandissimo, attraversare le linee alleate. Si viveva in ogni tipo di riparo: i più fortunati nei pochi manufatti in muratura esistenti, ma anche in stalle e porcili; i più si sistemarono in caverne naturali o nei “pagliari”, una piccola costruzione, composta da un muretto di pietre a secco circolare, sul quale si poggiavano dei rami ricoperti di rami e “stramma”, una sorta di saggina, destinati normalmente alle pecore.
Finito anche il bestiame, durante i primi mesi del ’44 ebbe inizio il periodo della fame nera. Era allora fortunato chi riusciva a procurarsi qualche pugno di granoturco o di carrube o di sale. Fu allora che l’erba dei prati costituì una voce non trascurabile della sempre più magra dieta giornaliera.
Se però questa vita grama metteva al riparo dai bombardamenti, persisteva il pericolo dei tedeschi, che salivano con puntate improvvise alla caccia di bestiame da predare e di uomini da adibire ai lavori forzati. Ovunque fu organizzato un servizio di vedette, svolto soprattutto da ragazzini, e, quando apparivano i militari, tutta la popolazione maschile fuggiva a nascondersi nei boschi o su per la montagna.
Fu così che si arrivò a quella notte fra l’11 ed il 12 maggio 1944.
Un’intera umanità di anziani, donne e bambini, affamata, lacera, sporca, abbandonata, stanca, avvilita fu svegliata dall’immenso fragore del bombardamento ed il cielo, verso il Garigliano, si illuminò a giorno; capì immediatamente che stava per succedere qualcosa di grande e che si era arrivati alla fase finale della battaglia.


Mano a mano che le truppe francesi avanzavano, la gente uscì dai rifugi e si trovò davanti i soldati nordafricani, prima incredula – tutti s’aspettavano gli americani – poi resa più sospettosa dai primi furti.
E’ ovvio che la prima reazione all’apparire di truppe alleate dopo i tanti patimenti subiti per mesi, qualsiasi esse fossero, fu di sincera gioia, ma i guai cominciarono subito.
Quasi tutti i rifugiati sulle montagne avevano portato con se ogni bene di valore che fosse trasportabile e nascondibile: orologi, oggetti in oro e argento come anelli, catenine, collane, braccialetti, quasi sempre ricordi di famiglia, denaro liquido.
Tutto ciò sparì in un batti baleno.
Persino le cartelle dei buoni del tesoro, la cui commerciabilità, qualcuno, italiano o francese, aveva indicato ai nordafricani.
Così fu per tutti quegli animali, salvati con tanta fatica dai rastrellamenti tedeschi: mucche, asini, capre, pecore, maiali, conigli, galline... .
Chi si opponeva veniva minacciato dai fucili o dai mitra puntati.
Le case distrutte vennero attentamente perquisite, alla ricerca di armi o di soldati tedeschi, ma particolare attenzione venne riservata a pavimenti e mura, sondati con i calci di fucili alla ricerca di tesori nascosti; persino orti e giardini furono setacciati con aste metalliche.
Quindi fu la volta di biancheria, vestiti, stoviglie e persino di arredi.


Poi si verificarono casi più gravi di violenza: omicidi, aggressioni a mano armata, e gli stupri che colpirono in maggioranza la popolazione femminile, ma anche quella maschile.È una storia atroce quella che è stata imposta alla Ciociaria in quella primavera del 1944, una storia della quale già nell’inverno precedente, nelle Mainarde, si erano manifestate le prime avvisaglie.
Eppure nessuno fece nulla per prevenire ed evitare che quelle sofferenze si ripetessero, aggiungendo dolore al dolore laddove già la guerra di per sé aveva creato la disperazione. Il fine ultimo degli alti comandi Alleati era di scacciare i tedeschi dalla loro Linea Gustav, riprendersi dalle sconfitte patite nei primi quattro mesi del 1944 ed entrare finalmente a Roma; tutto ciò fece dimenticare ad Alexander, a Clark e a tutti gli altri comandanti di tenere a freno comportamenti che non ebbero nulla a che vedere con l’etica del soldato.
Ma di questo abbiamo gia' parlato in un altro capitolo di questa sezione del forum.



ORTONA :una storia dimenticata



Una pagina di storia quasi del tutto dimenticata fu quella che fu costretta a scrivere la citta' di Ortona che nel dicembre 1943 diviene epicentro di uno scontro cruento che si svolge tra le vie e i luoghi della città, coinvolgendo i civili che cercano di rifugiarsi nelle chiese, nelle cantine, ma che in molti cadranno vittime della guerriglia urbana.“La piccola Stalingrado”, come sarà tristemente rinominata la cittadina abruzzese, vede da una parte schierati i canadesi guidati dal Generale Chris Vokes, con l’intento di rompere “la linea Gustav” e proseguire verso Roma; dall’altra, i paracadutisti tedeschi nascosti tra le macerie.


Quella che era chiamata la “linea Gustav” correva da Ortona e dalla costa Adriatica fino a Cassino tagliando l’Italia in due, e rappresentava una barriera naturale, un ostacolo per le truppe alleate che volevano prendere la capitale.
La Prima Divisione Fanteria canadese entrò nel territorio abruzzese attraversando i fiumi Trigno e Sangro e conquistò il ponte sul fiume Moro per garantirsi facile accesso a Ortona.


I combattimenti, pero', si rivelarono più duri del previsto, sia dal punto di vista fisico che morale. A seguito di una tremenda battaglia, combattuta corpo a corpo, casa a casa, 1400 soldati canadesi persero la vita. La battaglia di Ortona era iniziata il 20 Dicembre e dopo sei giorni di intensi combattimenti il Terzo Battaglione della Seconda Brigata, assieme ai carri armati della Prima Brigata Corazzata Canadese, intervennero in rinforzo riuscendo dopo altri due giorni di combattimenti a sconfiggere i tedeschi. Fu un vero massacro di militari e civili colpevolmente dimenticato dalla storia della liberazione nazionale. Un inferno di trabocchetti ed esche esplosive, mine, tiro incrociato di mitragliatrici e di cecchini con fucili di precisione, combattimenti corpo a corpo.
Tra i due schieramenti in lotta aspra si ritrovano i civili intrappolati nelle cantine, nei rifugi, nelle chiese, nell’ospedale, senza cibo né acqua, che aumenteranno la macabra contabilità dei caduti: alla fine saranno migliaia.
Tanti uomini morirono - e Ortona venne distrutta, con il suo prezioso patrimonio artistico.



<b>

LE BANDE DELLA MAIELLA


Erano chiamati banditi perché messi al bando dalle numerose ordinanze emesse dai tedeschi. Mossi dalla voglia di ricacciare dalle proprie terre l'invasore, per liberarsi dall'occupazione e dai tanti soprusi subiti. Furono numerosi i gruppi di partigiani che si formarono nell'Abruzzo meridionale in quel periodo. Gruppi armati come capitava: dal fucile da caccia alla mitragliatrice rubata, talvolta con destrezza, ai Tedeschi. Persone che venivano immediatamente giustiziate quando rastrellate o catturate, in quanto considerati traditori e non riconosciuti come combattenti avversari.
Tra i vari gruppi emergono quello guidato da Domenico Troilo


operante inizialmente a Gessopalena e quello dell'avvocato Ettore Troilo,


socialista, che aveva preso il nome della Majella, la montagna madre, per battezzare la sua formazione. I due, nonostante avessero lo stesso cognome, non avevano alcun vincolo di parentela.Altre bande operavano sulle località montane della Majella, nei pressi di Sulmona, nel chietino e in numerosi centri abruzzesi.
continua


Edited by Pulcinella291 - 6/4/2014, 11:03
 
Web  Top
view post Posted on 7/4/2014, 08:08
Avatar

Pulcinella291 Forum

Group:
AMMINISTRAZIONE
Posts:
42,063

Status:


la rabbia e l'esasperazione dei napoletani


Il 27 Settembre 1943 iniziavano le 4 giornate di Napoli. Un episodio eroico, unico nella storia italiana, che è stato tramandato con il nome di “quattro giornate di Napoli”: infatti per quattro giorni, dal 27 al 30 settembre 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, i Napoletani insorsero contro i tedeschi e riuscirono da soli a liberare la loro città dall’occupazione nazista.
Da soli, senza esercito. Da soli, combattendo per le strade non soltanto con armi, trovate con espedienti, ma anche con mobili, materassi, vasche da bagno che venivano gettati dai balconi e dalle finestre per sbarrare la strada alle truppe tedesche. Da soli, uomini, donne, bambini, studenti, negozianti, tassisti.
Le quattro giornate valsero alla città di Napoli il conferimento della medaglia d’oro al valore militare.
Una medaglia assegnata a tutti i protagonisti e alle loro storie.

Gennarino Capuozzo.


Tra le tante storie da ricordare e da raccontare c'è quella di Gennarino Capuozzo (1931 – Napoli, 29 settembre 1943).
Era uno dei tanti apprendisti commessi napoletani che si trasformo' in eroe durante le 4 giornate di Napoli, partecipando nonostante la sua giovane eta' (12 anni)alla insurrezione contro i tedeschi,dapprima rifornendo di munizioni i patrioti e poi impugnando egli stesso le armi. "In uno scontro con carri armati tedeschi, in piedi, sprezzante della morte, tra due insorti che facevano fuoco, con indomito coraggio lanciava bombe a mano fino a che lo scoppio di una granata lo sfracellava sul posto di combattimento insieme al mitragliere che gli era al fianco. Prodigioso ragazzo che fu mirabile esempio di precoce ardimento e sublime eroismo. Napoli, 28-29 settembre 1943".Fu questa la motivazione del conferimento della sua Medaglia d'oro al valor militare. Gennarino Capuozzo era uno scugnizzo come tanti ragazzini di Napoli che la fame e la guerra avevano reso sfrontato e ribelle, così come lo sono ancora oggi tanti ragazzini di Napoli che sin da bambini devono confrontarsi con la realtà della città. Gennarino era un bel ragazzino, con i capelli nero pece e gli occhi vivaci. Era nato nel 1932 in una casa umida e buia dei vicoli del centro storico e imparò presto a vivere più per strada che nei pochi metri quadrati che divideva con i genitori e i 3 fratelli. Sua madre si chiamava Concetta e dopo di lui aveva infatti messo al mondo altri 3 figli. Quando suo padre, nel 1941, partì per combattere in una guerra che mai fu dei napoletani, si trovò improvvisamente a fare il capofamiglia.La città da giorni subiva i bombardamenti delle truppe angloamericane. Le vittime furono moltissime: si parla di oltre 20.000 morti sotto i bombardamenti degli angloameriacani!


Quella di Filippo Illuminato di anni 13 fu una storia simile.


Apprendista meccanico, Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.Il suo sacrificio, insieme a quello di altri 151 cittadini combattenti caduti (19 dei quali senza nome), ha contribuito, nei giorni dal 26 al 30 settembre 1943, alla liberazione della città dagli occupanti tedeschi. Nella motivazione della ricompensa al valore a Filippo Illuminato si legge: "...solo e con sublime ardimento, mentre gli uomini fatti cercavano riparo, muoveva incontro ad una autoblinda che dalla piazza Trieste e Trento stava per imboccare via Roma. Lanciata una prima bomba a mano continuava ad avanzare sotto il fuoco nemico e lanciava ancora un'altra bomba prima di cadere crivellato di colpi".

Quelli di Sant'Anna di Stazzema


La strage di Sant’Anna di Stazzema desta ancora oggi un senso di sgomento e di profonda desolazione civile e morale, poiché rappresenta una delle pagine più brutali della barbarie nazifascista, il cancro che aveva colpito l’Europa e che devastò i valori della democrazia e della tolleranza. Rappresentò un odioso oltraggio compiuto ai danni della dignità umana. Quel giorno l’uomo decise di negare se stesso, di rinunciare alla difesa ed al rispetto della persona e dei diritti in essa radicati.
Il nostro ricordo va a coloro che qui e nelle altre stragi nazifasciste persero la vita. Va anche a quegli italiani che parteciparono a esecuzioni del genere qui ed in altre parti d’Italia, A coloro che volevano non sentirsi minori dei loro padroni; dimostrare d’essere capaci di ciò in cui loro eccellevano; dimostrarlo a se stessi e a quanti non lo credevano. Volevano partecipare anch’essi al «gioco» senza preoccuparsi se nella posta vi; erano vite umane e la loro stessa. Comparse, semplici comparse che, per qualche ora, hanno ricoperto il ruolo di protagonisti nel terremoto della seconda guerra mondiale.

Camelo Borg Pisani, tradito da un amico d'infanzia.


Il nome di quest'uomo a molti, probabilmente, non dirà niente, eppure è una storia da non dimenticare. Camelo Borg Pisani, maltese, è stato un pittore e un ardente patriota; dopo aver frequentato l’Accademia delle Belle Arti a Roma, si impegnò in varie attività patriottiche, aderì al fascismoe. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, trovandosi in Italia, notificò all’ambasciatore americano (che curava gli interessi inglesi) la sua volontà di rinunciare alla cittadinanza britannica per assumere quella italiana, che egli sentiva come l’unica “vera”. Arruolatosi nella Milizia volontaria per poter partecipare alle operazioni di guerra (la sua debole vista lo aveva fatto scartare alla visita militare da parte dell’Esercito), prese parte alla campagna di Grecia. Nel novembre del 1942 chiese di partecipare a una rischiosa missione segreta per preparare la progettata invasione dell’isola; ma, mentre era ricoverato in un ospedale militare a causa di un incidente occorsogli, venne riconosciuto da un amico d’infanzia, il capitano Tom Warrington, che lo denunciò e lo fece arrestare; processato da una corte marziale, fu condannato per cospirazione e tradimento nei confronti di Sua Maestà britannica e impiccato, nonostante egli avesse rinunciato alla cittadinanza britannica e fosse un membro delle Forze armate italiane. Il procedimento contro di lui si svolse a tempo di record: giudicato il 12 novembre, a porte chiuse, per evitare le proteste del pubblico; condannato il 19 e giustiziato, nella prigione di Corradino, il giorno 28 dello stesso mese.lasciava scritto Nella sua cella la seguente frase, naturalmente in lingua italiana: "I VILI E I SERVI NON SONO GRADITI A DIO".
Vittorio Emanuele III, di propria iniziativa, gli conferì la medaglia d’oro al valor militare alla memoria; peraltro, le prime informazioni parlavano di fucilazione e così fu scritto nella motivazione; solo in seguito si apprese che Borg Pisani era stato impiccato.

Pasqualino Vitocco e Giovanni Natali due italiani cancellati dalla storia

La storia della Seconda Guerra Mondiale è piena di eventi che sono stati dimenticati, cancellati dalla memoria e dal ricordo. E così è accaduto a due uomini, una Guardia Forestale e un Carabiniere che nei giorni frenetici del 12 settembre 1943, ad Assergi, alle pendici del Gran Sasso, compirono il loro dovere fino in fondo: erano i giorni successivi al caos dell’armistizio di quattro giorni prima, il Fascimo era già caduto il 25 luglio 1943 e Benito Mussolini era stato imprigionato in un rifugio proprio sulla cima più alta dell’Abruzzo, a Campo Imperatore. Dopo la destituzione e l’arresto del Duce, Adolf Hitler cercò in tutti i modi possibili di liberare il suo vecchio alleato. venne così pianificata l’Operazione Quercia, affidata a un reparto di SS, agli ordini del Capitano Otto Skorzeny, e ai Fallschirmjager, le truppe paracadutiste comandate da Harald Otto Mors. L’operazione, iniziata qualche minuto prima delle 12.30 del 12 settembre 1943, venne compiuta con un blitz fulmineo, che colse quasi di sorpresa i pochi agenti di pubblica sicurezza che presidiavano la cima.non venne sparato neanche un colpo e, anzi, molte sono le fotografie che ritraggono le guardie italiane sorridenti accanto ai Tedeschi.


Se sulla sommità del Gran Sasso le poche guardie di pubblica sicurezza non accennarono alcuna reazione, del resto del tutto inutile di fronte ai reparti tedeschi che piovvero dal cielo con gli alianti armati con mitragliatrici pesanti a cui si sarebbero opposti solo degli uomini armati di pistole e moschetti, ad Assergi, giù nel fondo valle, la storia ha completamente fatto sprofondare nell’abisso della memoria due uomini, una Guardia Forestale ed un Carabiniere, le uniche vittime che causò l’Operazione Quercia: una storia tanto dimenticata che è pure difficile da ricostruire con precisione. Sappiamo soltanto, da ricerche effettuate dallo storico e giornalista abruzzese Marco Patricelli, che la Guardia Forestale Pasqualino Vitocco, mentre si trovava a casa in licenza, vide passare per le vie di Assergi una colonna motorizzata di soldati tedeschi in direzione della funivia che conduceva a Campo Imperatore. Molti, probabilmente, in quei giorni così frenetici del settembre 1943 sarebbero rimasti chiusi in casa, ben guardandosi dall’uscire per la strada: ebbene, Pasqualino sapeva di indossare una divisa e volle così compiere il suo dovere fino in fondo: tentò, infatti, di raggiungere la stazione dei Carabinieri a guardia della funivia per avvertirli dell’imminente pericolo che stava profilandosi ma, venendo scoperto, venne colpito da una raffica di mitra; morirà il giorno seguente all’ospedale de L’Aquila. La stessa sorte toccò pochi minuti dopo al Carabiniere Giovanni Natali, di guardia alla funivia: vedendo la colonna tedesca sopraggiungere, ingaggiò un breve conflitto a fuoco, venendo sopraffatto pochi istanti dopo, mentre altri due suoi colleghi rimasero feriti dallo scoppio di una granata. Pasqualino Vitocco e Giovanni Natali furono gli unici due Italiani a morire quel giorno: uccisi e dimenticati, tanto che in molti testi su internet il nome della Guardia Forestale viene indicato con Pasqualino Di Tocco, chiaro segno di una memoria perduta. Vitocco e Natali forse neanche compresero quello che stava accadendo più in alto, lassù sulla cima del Gran Sasso, a Campo Imperatore: quel 12 settembre 1943 decisero di compiere una scelta, senza domandarsi se fosse quella giusta oppure quella sbagliata. E, certamente, non tocca a noi giudicare, specie se coloro che caddero sotto il fuoco morirono con indosso una divisa. Comparse luminose perché furono le uniche due ad opporsi alla liberazione del dittatore, gli unici in quella congerie di eventi tumultuosi e di ordini contraddittori a tenere automaticamente fede al senso dello Stato, della loro funzione a protezione dei civili e delle regole.
continua


Edited by Pulcinella291 - 8/4/2014, 09:00
 
Web  Top
view post Posted on 9/4/2014, 09:36
Avatar

Pulcinella291 Forum

Group:
AMMINISTRAZIONE
Posts:
42,063

Status:


STATI UNITI

John Basilone un italo americano l'unico Marine che ricevette sia la Medal of Honor sia la Navy Cross


Fra i combattenti della feroce battaglia di Guadalcanal contro i Giapponesi c'era anche John Basilone un figlio della nostra terra.
John era nato a Buffalo, nel New Jersey, il 4 novembre 1916. Il padre Salvatore era emigrato con i suoi genitori da Colle Sannita, suo paese natìo, appena diciassettenne in cerca di fortuna. La madre, Dora Bencivenga, proveniva da una famiglia italoamericana originaria di Napoli e diede alla luce dieci figli, fra cui, appunto, John.
A 17 anni John si arruolò nel corpo dei Marines e partì per un periodo di 3 anni alla volta delle
Filippine. Qui si distinse come ottimo boxeur, diventando campione della categoria ultraleggera, ed
i suoi commilitoni gli affibbiarono il soprannome di “Manila” John.
Tornato a casa si dedicò a diversi lavori ma fu richiamato alle armi dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour del 7 dicembre 1940. Divenuto sergente, è nel 1942 a Guadalcanal, che John“Manila” Basilone entra nella storia e nelle leggenda.
La notte tra il 24 e il 25 ottobre 1942 la sua unità fu sotto attacco da parte di un reggimento giapponese di circa 3000 soldati. I giapponesi iniziarono un attacco frontale con mitragliatrici, granate e mortai contro l'artiglieria americana. Basilone comandò due sezioni di mitragliatrici che combatterono per 48 ore, fino a che solo lui e altri due uomini furono in grado di continuare a combattere. Basilone spostò una mitragliatrice in un'altra posizione al fine di mantenere un "fuoco continuo" contro i giapponesi che avanzavano. Riparò e equipaggiò anche un'altra mitragliatrice, mantenendo così la linea difensiva fino all'arrivo dei rinforzi. Con la battaglia che continuava, le loro munizioni divennero criticamente basse, e le linee di approvvigionamento erano tagliate. Basilone, allora, passò tra le linee nemiche e tornò con le munizioni per i suoi mitraglieri. Alla fine della battaglia, il reggimento giapponese era stato praticamente sconfitto. Per le sue azioni durante questa battaglia, John Basilone, ha ottenuto la più alta onorificenza militare degli Stati Uniti per il coraggio, la Medal of Honor.
Dopo che la sua richiesta di tornare a combattere fu approvata (perché dopo la Guadalcanal fu rimandato negli Stati Uniti per vendere buoni di guerra), fu assegnato al 1º battaglione, 27º reggimento Marine, 5ª divisione Marine durante l'invasione di Iwo Jima. Il 19 febbraio 1945 era in servizio come capo sezione mitragliatrici in azione contro le forze nemiche giapponesi .
Durante la battaglia i giapponesi concentrarono tutto il loro fuoco contro gli americani in arrivo, mentre loro erano attestati all'interno di postazioni fortificate sparse per tutta l'isola. Con la sua unità bloccata, Basilone ha agito in modo da aggirare il fianco delle postazioni giapponesi finché non fosse proprio sopra il fortino, per poi distruggerlo con granate. Poi si è fatto strada fino al campo di aviazione nº 1 per liberare un carro armato americano che era intrappolato in un campo minato sotto fuoco intenso di mortai giapponesi e sotto pesante artiglieria. Ha guidato il mezzo sul terreno mettendo a rischio la propria sicurezza, nonostante il pesante fuoco a cui era sottoposto. Mentre si muoveva sul bordo del campo di aviazione morì a causa dell'esplosione di una granata da mortaio giapponese. Le sue azioni hanno permesso ai Marines di penetrare nelle difese giapponesi e di scendere alla spiaggia di atterraggio durante le fasi iniziali dell'invasione. Per il valore delle azioni compiute durante l'invasione di Iwo Jima a John Basilone è stata data la seconda più alta onorificenza del Corpo dei Marines per il coraggio: la Navy Cross. Il suo corpo fu sepolto nel cimitero nazionale di Arlington in Virginia .Tra le tante onorificenze, gli furono dedicate strade e basi militari.

Varian FryVarian Mackey Fry (New York, 15 ottobre 1907 – Redding, 13 settembre 1967) è stato un giornalista e intellettuale statunitense.




Durante la seconda guerra mondiale, in Francia, a Vichy, salvò più di 2000 persone fra professori, letterati, ed artisti, dalla deportazione nazista, organizzandone la fuga verso gli Stati Uniti tramite Spagna e Portogallo. Nel 1940 agevolò l'espatrio anche di André Breton e Jacqueline Lamba Breton.
Nel 1941 venne espulso dalla Francia con l'accusa di collaborazionismo e difesa di criminali dediti all'anti-nazismo e tornò negli Stati Uniti.
Nonostante la pubblicazione di un libro e di vari articoli di accusa sull'olocausto, la sua vicenda e la sua biografia hanno acquisito notorietà soltanto dopo la sua morte.
È stato insignito della legion d'onore francese. Nel 1995 è stato il primo cittadino americano inserito nella lista dei giusti tra le nazioni. Nel 1998 ha avuto la cittadinanza ad onore dello stato di Israele.

William Friedman


William Frederick Friedman (24 settembre 1891 – 12 novembre 1969) è stato un crittografo statunitense. Fu crittologo dell'esercito americano. Negli anni trenta ha diretto la divisione ricerca del SIS (Army's Signals Intelligence Service) (SIS). Nel settembre del 1940 il lavoro della divisione portò alla decifrazione del codice giapponese denominato PURPLE, usato dal Ministero degli Esteri giapponese per interloquire con le ambasciate giapponesi nel mondo, consentendo così alle autorità americane l'accesso ai messaggi segreti trasmessi o ricevuti dai diplomatici giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Un attore non protagonista che la storia ha dimenticato.

Quelli di Pearl Harbur

L'attacco di Pearl Harbor (nome in codice "operazione Z",[7] ma conosciuto anche come "operazione Hawaii" o "operazione AI")[8] fu un'operazione che ebbe luogo il 7 dicembre 1941 nella quale forze aeronavali giapponesi attaccarono la flotta e le installazioni militari statunitensi stanziate nella base navale di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii. L'operazione fu attuata in assenza della dichiarazione di guerra da parte giapponese, che fu formalizzata soltanto ad attacco iniziato, e provocò l'ingresso nella seconda guerra mondiale degli Stati Uniti .
I risultati dell'attacco diventarono, dunque, materia prima per i sussidiari scolastici: tre navi distrutte, sei affondate, sette gravemente danneggiate, due parzialmente danneggiate, quattro lievemente danneggiate, 188 aerei distrutti e 159 danneggiati, 2.403 morti. Al confronto le perdite giapponesi – 64 uomini e qualche aereo – furono un'inezia.
Qualcuno parla ancora oggi di una disfatta programmata e di una notevole opera di disinformazione e che gli Usa conoscevano bene le intenzioni giapponesi , un fatto è certo ci furono 2.403 martiri.
Tra questi I tenenti statunitensi George Whiteman, Samuel Bishop e Hans Christiansen tentarono finalmente di decollare ma vennero subito attaccati dai caccia nipponici. Bishop e Whiteman furono abbattuti, mentre iniziavano a salire in quota

Whiteman rimase ucciso mentre Bishop cadde nell'oceano con il suo velivolo e venne recuperato seriamente ferito; Christiansen invece non riuscì neppure a decollare e venne ucciso dal fuoco degli aerei giapponesi mentre cercava di salire a bordo del suo P-40.
Un ricordo particolare vanno anche al capitano [color=red]Colin Kelly
[/color

]


che perse la vita il 10 Dicembre 1941 durante una missione di bombardamento vicino all’Isola di Luzon.
Un eroe che sacrificò la propria vita per salvare il suo equipaggio ,il suo aereo fuil primo americano B-17 per essere abbattuto in combattimento.

continua
 
Web  Top
view post Posted on 10/4/2014, 09:58
Avatar

Pulcinella291 Forum

Group:
AMMINISTRAZIONE
Posts:
42,063

Status:


GIAPPONE



Quelli di Hiroshima e Nagasaki

E terminiamo questo post con quella che fu la piu' grande tragedia di tutta la seconda guerra mondiale.
Il 6 agosto del 1945, l’aeronautica militare statunitense sganciò la famosa “Little Boy” sul Giappone, la bomba atomica che devastò la città di Hiroshima a cui, dopo soli 3 giorni, seguì l’altrettanto letale “Fat Man”, su Nagasaki. Una tragedia che pose fine definitivamente alla seconda guerra mondiale, un bombardamento che ha segnato profondamente la storia e che ha causato la morte di circa duecentomila persone, per lo più civili.

Le implicazioni etiche di tale grave episodio sono state tante, perché per la prima volta, durante un conflitto bellico, si è utilizzata un’arma di distruzione di massa come la bomba atomica.
Secondo il punto di vista degli Americani i bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki erano stati previsti per accorciare i tempi della Seconda Guerra mondiale, risparmiare parecchie vite tra i militari e i civili ed evitare l’invasione da parte del Giappone. L’opinione pubblica giapponese, invece, è di un altro avviso: si tratta di un vergognoso crimine di guerra messo in atto per portare alla resa il Giappone. Resta il fatto che un simile episodio non si è mai più replicato durante i conflitti belli. Ma fu utile sacrificare tante vite nell'immediato e anche nel futuro?

Gli episodi di Hiroshima e Nagasaki si ricordano per le modalità e l’arma utilizzate, ma gli Alleati erano soliti colpire gli avversari con bombardamenti che causavano tantissime perdite umane (è noto in Germania il bombardamento di Dresda, mentre in Italia furono pesantemente colpite città come Catania, Napoli, Bari, Messina e Foggia. Nell’estate del 1945 ad essere distrutte furono le due città di Tokyo e Kobe. Gli Stati Uniti decisero di non “sprecare” la bomba atomica contro un arsenale militare, ma di puntare ai centri abitati per sfruttare gli effetti psicologici che l’episodio avrebbe avuto sulla popolazione ed il governo giapponese.Secondo il punto di vista di alcuni studiosi, se la bomba atomica doveva essere un “avvertimento” le stragi di Hiroshima e Nagasaki potevano essere evitate scegliendo di lanciarla in una zona non abitata. Alcuni storici considerano gli episodi di Hiroshima e Nagasaki come veri e propri atti di terrorismo di stato. Alcuni invece ritengono che l’uso della bomba atomica sia stato inutile, visto che i Giapponesi nella realtà erano già stati sconfitti. Per altri commentatori la bomba atomica che ha colpito le due città giapponesi era un chiaro monito anche per l’Unione Sovietica. Insomma, a quanto pare ci sono anche elementi di strategia militare che hanno determinato la scelta di un arma di distruzione di massa, ma comunque la si guardi la storia la ricorderà come una scelta deprecabile.
Per questa insensata iniziativa si salvarono solo il 20% della popolazione e molti morirono successivamente per avvelenamento a causa delle radiazioni e per le necrosi sopraggiunte.

Takashi Paolo Nagai


Fu un medico radiologo giapponese che si è convertito al cattolicesimo ed è un superstite del bombardamento atomico di Nagasaki. La sua successiva vita di preghiera e di servizio gli ha fatto ottenere il soprannome di "Santo di Urakami".
Una storia bellissima la sua. che vale la pena raccontare e con cui vale la pena chiudere questo capitolo tremendo della nostra storia.
Il 26 aprile 1945, un raid aereo su Nagasaki miete numerose vittime. L'ospedale è sopraffatto. Takashi spende i suoi giorni e le sue notti al servizio dei feriti, nel suo reparto di radiologia. Nel suo campo di lavoro e di ricerca, le norme di sicurezza erano male comprese, conducendo ad un tasso elevato di incidenti tra i ricercatori, legati all'esposizione alle radiazioni. E, di fatto, nel giugno 1945, apprende che una leucemia l'ha colpito e che la sua speranza di vita è dai due ai tre anni. Questa malattia è probabilmente dovuta alle esposizioni ai raggi X subite all'epoca degli esami radiologici praticati con osservazione diretta. Ne parla con Midori e Makoto. Con la loro fede in Dio, restano uniti per vivere insieme questi momenti.

La sera del 6 agosto, il dottor Nagai viene a conoscenza che una bomba atomica è stata lanciata dagli americani su Hiroshima. Con Midori, decide di allontanare i loro bambini a 6 chilometri, nella campagna, a Matsuyama, accompagnati dalla madre di Midori. La mattina dell'8 agosto, sotto lo sguardo sorridente di Midori, Takashi parte per il suo lavoro di una notte di guardia all'ospedale. Avendo dimenticato il suo pasto, torna a casa, inaspettatamente, e sorprende Midori in lacrime. Si dicono "arrivederci" ma sarà un addio.

Il 9 agosto 1945, alle 11:02, la seconda bomba atomica lanciata dagli americani sul Giappone colpisce Nagasaki. All'istante del bombardamento, il dottor Nagai è in servizio in radiologia all'ospedale universitario di Nagasaki. Riceve una seria ferita che tocca la sua arteria temporale destra, ma si unisce al resto del personale medico superstite per dedicarsi alla cura dei feriti. Più tardi, redigerà un rapporto medico di 100 pagine a proposito delle sue osservazioni.

L'11 agosto, Takashi Nagai ritrova l'area della sua casa e, tra un mucchio di ceneri, delle ossa carbonizzate: Midori e la sua corona del rosario vicino a lei. Il suo nome da ragazza era Maria Midori Moriyama. Paolo Takashi Nagai ha voluto scrivere il suo nome da sposata sulla croce della sua tomba: "Marina Nagai Midori, deceduta il 9 agosto 1945, a 37 anni" (Marina è un diminutivo di Maria).

Per i cinquantotto giorni seguenti Nagai continua a curare le vittime della bomba atomica ed insegnare all'università di Nagasaki. Ma è colpito gravemente dalla leucemia, il 8 settembre 1945, ed egli deve restare a riposo per un mese, la morte gli sembra vicina. Si trasferisce nel quartiere di Urakami, quello dell’ ipocentro della bomba, il 15 ottobre 1945. Fa costruire una piccola capanna, dai pazienti riconoscenti e da suoi allievi, fatta coi pezzi della sua vecchia casa. Denominata "Nyoko-dō" ("Amate gli altri come voi", secondo le parole di Gesù "amerai il tuo prossimo come tu stesso"), rimane coi suoi due bambini scampati (Makoto e Kayano), sua suocera e due altri genitori. Questa capanna misura un poco più di sei tatami, costruita per lui nel 1947 da un carpentiere legato alla famiglia Moriyama. Quando la sezione locale della società San Vincenzo de' Paoli offre di costruirgli un'altra casa, nella primavera 1948, chiede di ingrandire leggermente la capanna esistente, per fare un favore al suo fratello e la sua famiglia e per stabilire una struttura semplice, simile ad un salone del tè, largo due tatami, per sé. In questo piccolo rifugio alle maniere di un eremo, trascorre i suoi ultimi anni in preghiera e contemplazione.

Per i 6 mesi successivi, osserva il lutto di Midori e si lascia crescere la barba e i capelli. Il 23 novembre 1945, una messa è celebrata, davanti alle rovine della cattedrale, per le vittime della bomba. Takashi dà un discorso riempito di fede, paragonando le vittime ad un'offerta consacrata per ottenere la pace. Comincia a scrivere molti rapporti medici ("Atomic Illness and Atomic Medicine") che le prove che saranno tradotte in parecchie lingue: "Le Campane di Nagasaki" ("Nagasaki no Kane"), finito il 9 agosto 1946, è il più celebre - un film giapponese dello stesso nome ne è stato tratto, poco dopo la sua morte. Nel luglio 1946, crolla sulla piattaforma della stazione. Diventato invalido, vive ormai allettato.

In 1948, utilizza i 50.000 ¥ versati da “Kyushu Time” per piantare 1000 ciliegi di tre anni nel quartiere di Urakami per trasformare questa terra devastata in "Collina in fiore". Anche se alcuni sono stati sostituiti, questi ciliegi sono chiamati sempre "Nagai Senbonzakura" (i 1000 ciliegi di Nagai) ed i loro fiori decorano le case di Urakami nella primavera.

Il 3 dicembre 1949, è fatto cittadino onorario della città di Nagasaki, malgrado le proteste dovute alla sua fede cattolica. Riceve la visita di Helen Keller. È visitato anche nel 1949 dall'Imperatore Hirohito e dal cardinale Gilroy, emissario del Papa.

Il 1º maggio 1951, chiede che lo si porti all'università affinché gli studenti in medicina possano osservare gli ultimi istanti di un uomo che si prepara a morire di leucemia. Ma perisce poco dopo il suo arrivo: sono le 21 e 30. Muore a 43 anni. Il 3 maggio, 20.000 persone assistono alle sue esequie davanti alla cattedrale. La città di Nagasaki osserva un minuto di silenzio nel momento in cui suonano le campane di tutti gli edifici religiosi. Il 14 maggio, una cerimonia ufficiale ha luogo in memoria del dottor Nagai poi i suoi resti sono sepolti nel cimitero internazionale Sakamoto.

FINE
 
Web  Top
costanza pocechini
icon11  view post Posted on 9/9/2016, 15:47




RIVERISCO

Encomiabile operatore pro-cultura et informazione.
 
Top
23 replies since 19/3/2014, 09:24   8074 views
  Share