Le stronzate di Pulcinella

attori non protagonisti e semplici comparse della II guerra mondiale

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view post Posted on 19/3/2014, 09:24
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Pulcinella291 Forum

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Premessa

La seconda guerra mondiale è stato il drammatico evento che ha contraddistinto la seconda meta' del secolo scorso. Un conflitto nel quale furono coinvolti quasi tutti i paesi del mondo, combattuto dal 1939 al 1945 che provoco' la caduta o la fine di imperi, distrutto regimi e monarchie e rese possibile l'infamia e la vergogna dell'Olocausto.
Su questa maledetta guerra sono stati scritti migliiaia di libri, ne è stata ricostruita la storia politica e militare , ma è stato trascurato l'elemento umano forse perchè è stato ritenuto insignificante se rapportato alla portata storica di quello scontro di dimensioni enorme.
In questo topic, noi non parleremo di strategie o di battaglie ma accenneremo a coloro i quali quella guerra l'hanno vissuta da attori non protagonisti o da semplici comparse . Parleremo di coloro i quali ne sono stati coinvolti loro malgrado e loro malgrado l'hanno dovuta subire come carnefici e come vittime.
Se il lettore avra' la compiacenza di seguirmi, forse conoscera' tanti altri aspetti di questa immane catastrofe .

IN GERMANIA


Giovani comparse


Un signore sui sessanta con il bavero del cappotto rialzato , il berretto con l'aquila calcato in testa , passa in rassegna, con l'aria stanca, dei ragazzi in uniforme, piuttosto malmessi anche loro. Il signore guarda i ragazzi con occhio affettuoso, e ogni osservatore si commuoverebbe per quel che vede. Se il trasporto, però, viene trattenuto, è perché ogni osservatore adulto della nostra epoca sa che il signore di mezza età è Adolf Hitler, che passa in rassegna una unità della Hitlerjugend che si schiera alla difesa di Berlino.
Sono quei ragazzi che durante l'invasione della Germania, vennero arruolati nell'esercito seppure ancora bambini e che, durante la battaglia di Berlino nel 1945, costituivano grossa parte delle difese tedesche.


La Gioventù Hitleriana combatté con grande ardore nazionalistico durante la battaglia finale.
Questi ragazzini, reclutati alla men peggio, furono schierati inutilmente a difesa dei ponti di Spandau e Pickelsdorf. Altri 1200 di questi bambini combatterono anche nel resto della città: per esempio a Tempelhof dove un attacco di assaggio, condotto dai piccoli camerati e da ottocento granatieri finì in un massacro spaventoso nei dintorni dello stadio di calcio .L'Armata Rossa oramai aveva vinto.



Il cameriere personale di Hitler

Heinz Linge (Brema, 23 marzo 1913 – Amburgo, 9 marzo 1980) è stato un ufficiale tedesco delle SS e il cameriere personale di Adolf Hitler, al cui servizio rimase dal gennaio 1935 al 1945, raggiungendo il grado di Obersturmbannführer. In gioventu' fece il muratore. All'età di vent'anni entrò volontario, il 17 marzo 1933, nella 1ª Divisione Panzer SS "Leibstandarte SS Adolf Hitler". Il 24 gennaio 1935 fu scelto da Hitler come cameriere personale e dopo un periodo di istruzione presso la scuola alberghiera di Monaco-Pasing entrò al servizio del dittatore. Dopo le dimissioni di Karl Krause, 10 settembre 1939, Linge divenne il cameriere preferito di Hitler, nella posizione di Chef des persönlichen Dienstes ("capo dei servizi personali"), e rimase sino alla fine nella cerchia più intima del Führer.
Il 30 aprile 1945, nel giardino della Cancelleria del Reich, con Joseph Goebbels, Martin Bormann, il medico di Hitler Ludwig Stumpfegger, l'attendente Otto Günsche e l'autista Erich Kempka, Heinz Linge partecipò alla cremazione dei corpi di Adolf Hitler ed Eva Braun.
Negli ultimi giorni della Seconda guerra mondiale (2 maggio 1945), dopo la disfatta e l'abbandono del Führerbunker, fu fatto prigioniero dai sovietici; fu condotto a Mosca nella prigione della Lubjanka e interrogato dai servizi segreti dell'NKVD, non senza torture, circa la sorte di Hitler (i sovietici non credevano infatti al suicidio e ritenevano fosse fuggito). Nel 1946 fu condotto per breve tempo a Berlino e indicò il punto preciso nei giardini della Cancelleria in cui, un anno prima, erano stati sepolti i resti.
I sovietici dal maggio 1945 avevano riesumato, in quell'area devastata, numerosi corpi, di conseguenza non erano sicuri che i resti ritrovati fossero effettivamente quelli di Hitler ed Eva Braun.
Processato nel 1950 da un tribunale sovietico, Linge fu condannato a 25 anni di lavori forzati. Linge racconto’ alla polizia sovietica che dovette somministrare al Fuehrer della cocaina per calmare il dolore all’occhio destro che batteva per il nervosismo. Hitler paragonava se stesso a Federico il Grande che perse i suoi denti a causa dello stress accumultato nella Guerra dei Sette Anni.

Heinz Linge raccontò inoltre che Hitler era praticamente incapace di relazioni interpersonali. Il suo unico amico era il pastore alsaziano Bondi. “Era più facile per lui -rivelò il maggiordomo- firmare la condanna a morte per un ufficiale al fronte che apprendere cattive notizie sulla salute del suo cane”. Hitler, secondo il documento conservato a Mosca, era comunque dotato di un certo humor, per quanto glaciale.
Nel 1955, con molti altri prigionieri di guerra, fu liberato in seguito alla storica visita di Konrad Adenauer a Mosca. Dopo il ritorno in patria divenne agente commerciale per una ditta di prefabbricati, il che gli consentì una certa agiatezza economica; lavorò in questa posizione fino a 65 anni. Morì in una clinica di Amburgo il 9 marzo 1980.

Walther Hewel un ambasciatore senza alcuna destinazione

Walther Hewel (Colonia, 2 gennaio 1904 – Berlino, 2 maggio 1945) è stato un diplomatico tedesco, che operò prima e durante la seconda guerra mondiale.
Hewel nacque nel 1904 da Anton ed Elsa a Colonia, dove il padre gestiva una fabbrica di cacao. Il padre morì nel 1913 e l'azienda passò nelle mani della moglie Elsa.

Nonostante all'epoca fosse ancora un ragazzo, Hewel fu uno dei primi membri del nazista e si ritiene che sia stato una delle prime 300 persone ad unirsi al gruppo.Si diplomò nel 1923 e frequentò la Technische Universität di Monaco di Baviera. Nello stesso anno prese parte al fallito putsch di Monaco da parte del partito nazista. Dopo l'arresto di Hitler per tradimento, Hewel finì insieme a lui nel carcere di Landsberg facendogli praticamente da valletto.Negli anni trenta Hewel tornò in Germania, dove gli venne assegnato un ruolo in campo diplomatico e inviato in Spagna. Il giornalista James P. O'Donnell osserva che, in quel periodo, Hewel "fu quasi certamente un agente dell'Abwehr dell'Ammiraglio Canaris".

Nel 1938 Hitler richiamò Hewel in patria, dove rinsaldò la sua vecchia amicizia con il dittatore. Prestò servizio come diplomatico per il ministero degli esteri e, il 15 marzo 1939, effettuò la trascrizione del colloquio tra Hitler e il presidente ceco Emil Hácha
Tecnicamente Hewel fu un ambasciatore e avrebbe dovuto badare ai rapporti tra von Ribbentrop e Hitler. In realtà trascorse la maggior parte della guerra senza alcun incarico ufficiale e una volta si autodefinì "un ambasciatore senza alcuna destinazione.
Nelle sue memorie Traudl Junge, segretaria personale di Hitler, ha descritto Hewel come una specie di maggiordomo di Hitler. Sempre secondo la Junge, Hewel aveva l'incarico di coordinare i domestici, mantenere buoni i rapporti tra i militari e i civili dello staff di Hitler e tenere d'occhio i rapporti tra uomini e donne all'interno della cerchia.
Quasi tutti i racconti lo descrivono come un uomo simpatico e gentile, anche se non molto intelligente. Di solito si occupava delle faccende e delle situazioni che Hitler non voleva gestire, come ad esempio informare la Junge della morte del marito in Normandia.
Hewel rimase al fianco di Hitler fino al 30 aprile 1945, giorno in cui il dittatore si tolse la vita. Si dice che abbia tentato fino all'ultimo di sostenere e rasserenare Hitler. Apparentemente fu l'ultima persona ad avere una lunga conversazione personale con lui.
Dopo il suicidio di Hitler Hewel fuggì dal Führerbunker insieme ad un gruppo guidato da Wilhelm Mohnke, ma apparve molto provato da un forte stress psicologico. Nelle sue memorie Traudl Junge afferma che, dopo la morte di Hitler, Hewel sembrava estremamente confuso e incapace di prendere le decisioni anche più semplici.
Poco prima dell'armistizio del 2 maggio 1945 Hewel rese nota la sua intenzione di suicidarsi. Nonostante gli sforzi del dottor Ernst-Günther Schenck, che tentò di dissuaderlo dall'idea, Hewel si uccise nello stesso modo di Hitler, ingerendo una capsula di cianuro e sparandosi contemporaneamente alla testa.

Traudl Junge, la segretaria privata di Hitler




Traudl Junge, nata Humps (Monaco di Baviera, 16 marzo 1920 – Monaco di Baviera, 10 febbraio 2002),
è stata una tra le ultime segretarie private di Adolf Hitler.Nel 1933, Traudl sognava di diventare ballerina come la sorella, ma la situazione economica della sua famiglia non glielo permetteva, e nel 1936 studiò per diventare segretaria. Trovò lavoro come impiegata, assistente in un giornale e segretaria in una società.
Nel 1942, Traudl Humps raggiunse a Berlino sua sorella Inge, che nel frattempo era diventata una ballerina del Deutsches Theater, e, con l'aiuto di Martin Bormann trovò lavoro nella Cancelleria del Reich. Si occupava della corrispondenza del Führer, finché venne indetto un concorso riservato al personale della Cancelleria per sostituire una delle segretarie personali di Hitler Gerda Christian, che si era presa un lunga pausa dal lavoro. Traudl vi partecipò senza interesse, sognava ancora di diventare ballerina. Sostenne delle prove di dettatura nella Wolfsschanze (Tana del Lupo), dove per la prima volta incontrò Adolf Hitler in persona, e venne assunta.
Per tre anni circa lavorò a stretto contatto con il Führer seguendolo nei suoi spostamenti .
Nei primi mesi del 1945, Traudl si trasferì con tutti i membri del personale di Hitler nel Führerbunker sotto la Cancelleria del Reich (Reichskanzlei), dove rimase fino alla morte del dittatore. La notte tra il 20 e il 21 aprile, quando ormai la fine era vicina e la sconfitta della Germania inevitabile, Hitler propose al personale femminile di lasciare il bunker e trasferirsi al Berghof. Johanna Wolf e Christa Schroeder partirono mentre Traudl Junge e Gerda Christian decisero di rimanere insieme a Constanze Manziarly, cuoca, Else Krüger, segretaria di Bormann, e Eva Braun, compagna del Führer.
Il I maggio 1945 la Junge fuggì dal bunker. Inizialmente viveva sotto lo pseudonimo di Gerda Alt. Fu catturata dagli alleati, classificata come collaboratrice giovanile e liberata.
Nel 1946 scrisse le memorie degli anni passati al servizio di Hitler, che cercherà invano di pubblicare nel 1947. Solo alcuni anni prima della sua morte ne venne pubblicato un libro.
Traudl Junge hsempre sostenuto di non essere mai stata una nazista (non era iscritta al partito nazista) e di non avere avuto sentore del genocidio messo in atto da Hitler.

Constanze Manziarly, cuoca e dietologa di Hitler, scomparsa nel nulla.


Constanze Manziarly (Innsbruck, 14 aprile 1920 – scomparsa da Berlino, 2 maggio 1945) è stata la cuoca e la dietologa di Adolf Hitler dal 1943 agli ultimi giorni nel Führerbunker, nel 1945.Iniziò a lavorare per Hitler a partire dai suoi soggiorni al Berghof del 1943 continuando fino ai suoi ultimi giorni nel bunker di Berlino nel 1945.
Le venne chiesto di lasciare il bunker da Hitler in persona il 22 aprile 1945, come accadde a Traudl Junge e Gerda Christian.La donna lasciò il bunker il 1º maggio con il gruppo guidato dal Brigadeführer delle SS Wilhelm Mohnke che con difficoltà riuscì a ricongiungersi con un gruppo di soldati tedeschi sulla Prinzenallee di cui facevano parte il dottor Ernst-Günther Schenck e le segretarie di Hitler Else Krüger, Traudl Junge e Gerda Christian.
Anche se alcune voci sostengono che il 2 maggio abbia preso una capsula di cianuro per uccidersi, la Junge ha testimoniato che la Manziarly era partita con il suo gruppo il giorno prima, vestendosi come un soldato. Nel 1989, sempre la Junge ha ricordato che l'ultima volta che Costanze Manziarly fu vista fu quando il loro gruppo di quattro donne incaricate di consegnare un rapporto a Karl Dönitz si divise e la Manziarly cercò di confondersi in un gruppo di civili.
Nella sua autobiografia del 2002 Bis Zur Letzten Stunde: Hitlers Sekretärin erzählt ihr Leben, la Junge accenna al fatto di aver visto la Manziarly, che rappresentava il modello ideale di femminilità russa, formosa e con le guance piene, mentre veniva condotta in un tunnel della U-Bahn da due soldati sovietici e che aveva rassicurato il gruppo dicendo vogliono solo controllare i miei documenti. Nessuno la vide mai più.

Eva Braun:l'amante romantica e piena di sogni o dissoluta e intrigante'


Eva Anna Paula Braun-Hitler (Monaco di Baviera, 6 febbraio 1912 – Berlino, 30 aprile 1945)fu la compagna e, nell'ultimo giorno della sua vita, la moglie di Adolf Hitler.
L'incontro tra la giovane ragazza e il futuro Führer avviene nell'ottobre del 1929, ma, inizialmente, Eva non rimane particolarmente impressionata da quel signore «di una certa età con dei buffi baffetti». La loro relazione diventa seria intorno al 1932: la presunta amante di Hitler, la nipote Angelika Maria "Geli" Raubal, figlia della sorella Angela Hitler, si è suicidata l'anno precedente, ed Eva incomincia a frequentare assiduamente l'appartamento dell'uomo, all'insaputa dei suoi genitori.
In vista delle importanti elezioni del 1932, Hitler e il suo entourage girano la Germania in lungo e in largo, occupati con la campagna elettorale. Eva rimane sola per lungo tempo, fino a che, il 1º novembre, si spara un colpo in gola. Miracolosamente salva, il suo gesto attira però l'attenzione di Hitler, che aveva ancora in mente sua nipote Geli Raubal e la sua tragica fine. Il 28 maggio 1935, tenta nuovamente il suicidio, ingerendo sonniferi, ma anche stavolta riesce a salvarsi.
Nell'autunno del 1935 Hitler le dona una villetta nel quartiere residenziale di Monaco ed Eva vi si trasferisce assieme alla sorella Gretl.

Ama trascorrere le vacanze al Berghof, la residenza personale di Hitler, dove può comportarsi da padrona di casa e intrattenere numerose feste per ospiti illustri. È libera di fare ciò che vuole, compreso bere e fumare, ma viene descritta come «la donna più infelice del Terzo Reich».
Nel febbraio del 1945, Eva torna a Monaco per festeggiare con la famiglia i suoi 33 anni, ma riparte subito per Berlino, per restare accanto al compagno, in un estremo atto di coraggio e di amore. I due si sposano il 29 aprile, alla presenza di Joseph Goebbels e Martin Bormann. La sposa indossa un vestito nero di seta ed è orgogliosa di poter scrivere sul documento ufficiale il nome "Eva Hitler". Secondo voci diffuse, Eva Braun e Adolf Hitler si sarebbero suicidati nel pomeriggio di lunedì 30 aprile 1945, intorno alle 15.30. Lui si spara un colpo di pistola, mentre lei si avvelena con il cianuro. I corpi vengono bruciati e seppelliti nel giardino della Cancelleria, con una solenne cerimonia presieduta da Goebbels, che era appena succeduto a Hitler come Cancelliere del Reich. Dunque le nozze furono celebrate alle due di notte, sotto terra in un bunker, al riparo dalle bombe. E non con lo champagne, ma con il cianuro. Così ebbe fine uno dei peggiori incubi che la storia dell’umanità abbia mai vissuto e la storia “d’amore” tra la Braun e il Fuhrer. Anche se per i due non si può parlare d’amore. La coppia si consolidò con la fine del Terzo Reich. Allora Hitler, in preda alle sue manie persecutorie, si fidava solo di Blondie, una femmina di pastore alsaziano, e di Eva, cui “regalò” le nozze come premio fedeltà.
Ma Eva fu una donna romantica, piena di sogni o dissoluta e intrigante? Una cosa è certa Eva fu sempre tenuta nell'ombra, si contentava di poco. Le piacevano i bei vestiti, il lusso, le scarpe dovevano essere italiane, amava gli argenti, le porcellane pregiate, i suoi cagnolini di piccola taglia. E in effetti, non sarà stato facile stare accanto ad un pervertito che, sempre secondo fonti ufficiali, aveva perversioni che oscillavano tra sadismo, masochismo, escretofilia. Molte delle sue depravazioni, pare, avessero origine da una precoce infezione di sifilide contratta, giovanissimo da una prostituta ebrea a Vienna. Inoltre, l’autopsia sul suo corpo rilevò l’assenza del testicolo destro. Nonostante questo il suo letto brulicava di donne su cui sfogava le sue depravazioni.

La Braun fu la sola che riusci' a restargli accanto sino alla fine, quando le sue fobie si moltiplicarono e tra queste c’erano anche l’orrore per il contatto fisico, l’impulso a lavarsi di continuo (riscontrate quando era ancora un ragazzo).Sedici anni accanto ad Hitler. In attesa di un premio grande, le nozze, che arrivarono il giorno della sua morte. Non avrebbe mai immaginato che dopo alcuni anni dal loro primo incontro sul diario avrebbe scritto: “Perché il diavolo non mi porta via? Con il diavolo starei meglio che qui”.

Magda Goebbels:sacrifica se stessa e i figli

(Berlino, 11 novembre 1901 – Berlino, 1 maggio 1945) è stata la moglie del ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels. Fu un eminente membro del Partito Nazionalsocialista e ardente sostenitrice della politica di Adolf Hitler.
Alla fine della seconda guerra mondiale, mentre Berlino veniva conquistata dall'Armata Rossa, uccise i suoi sei figli e quindi si suicidò.
Verso la fine di aprile 1945 l'Armata Rossa entra a Berlino e la famiglia Goebbels si rifugia nel Führerbunker, sotto la Cancelleria del Reich. Una delle stanza che occupano è stata da poco abbandonata dal medico personale di Hitler Theodor Morell. L'unico bagno per lavarsi è quello di Hitler, che lo mette volentieri a disposizione di Magda e dei bambini. Nel frattempo a Berlino si diffonde la notizia che le truppe sovietiche nella loro avanzata si abbandonano a stupri e saccheggi. Hitler e sua moglie Eva Braun si suicidano nel pomeriggio del 30 aprile.

Due giorni dopo Magda scrive una lettera d'addio a suo figlio Harald Quandt, che è prigioniero di guerra in un campo in Nordafrica. Questa lettera è l'unica scritta di suo pugno che ci resta.
« Mio figlio adorato! Siamo nel Führerbunker già da sei giorni - papà, i tuoi sei fratellini e sorelline ed io - nell'intento di dare alle nostre vite nazionalsocialiste l'unica possibile onorevole conclusione... sappi che sono rimasta qui contro la volontà di papà, e che anche domenica scorsa il Führer voleva aiutarmi ad andarmene. Tu conosci tua madre - abbiamo lo stesso sangue - non ho avuto alcuna esitazione. Il nostro glorioso ideale è andato in rovina e con esso tutto ciò che di bello e meraviglioso ho conosciuto nella mia vita. Il mondo che verrà dopo il Führer e il nazionalsocialismo non è più degno di essere vissuto e quindi porterò i bambini con me, perché sono troppo buoni per la vita che li attenderebbe, e un Dio misericordioso mi capirà quando darò loro la salvezza... I bambini sono meravigliosi... mai una parola per lamentarsi o una lacrima. Le bombe scuotono il bunker. I bambini più grandi proteggono quelli più piccoli, la loro presenza è una benedizione e riescono a far sorridere il Führer di tanto in tanto. Possa Dio aiutarmi a trovare la forza di superare la prova finale e più difficile. Ci resta un solo obiettivo: la lealtà verso il Führer anche nella morte. Harald, mio caro figlio - voglio trasmetterti quello che ho imparato nella vita: sii leale! Leale verso te stesso, leale verso le persone e leale verso il tuo paese... Sii orgoglioso di noi e cerca di tenerci tra i ricordi più cari... »
(Magda Goebbels)
Il giorno seguente, 1º maggio 1945, i sei figli di Goebbels vengono storditi con la morfina e uccisi con delle capsule di cianuro spezzate nelle loro bocche.



Hans Scholl emblema della ribellione non violenta al Reich.


Hans Scholl nacque il 22 settembre 1918 figlio del sindaco della cittadina di Ingersheim.Nel 1933, come tutti i giovani della sua età - venne inquadrato nella Hitlerjugend, l’organizzazione giovanile nazista, inizialmente infiammato dalla propaganda ben presto divenne consapevole della realtà del Nazismo. Prese allora contatto con la “Jugendbewegung” una organizzazione giovanile non nazista.
Hans era un giovane con spinte romantiche e culturali unite ad uno spirito insofferente rispetto ai divieti imposti dal regime. Fu in questo periodo che iniziò a leggere proprio i libri vietati dal nazismo.
Nel 1937 Hans e i suoi amici vennero arrestati e imprigionati per un breve periodo con l’accusa di attività sovversiva. Rilasciato nel marzo del 1937 venne arruolato nell’organizzazione che coordinava il lavoro dei civili.Nei due anni successivi venne arruolato in una unità di cavalleria dell’esercito a Bad Cannstatt.
Mentre prestava servizio militare iniziò gli studi in medicina a Monaco di Baviera, nella primavera del 1939, e attraverso le letture che andava facendo sviluppò pian piano una fede religiosa sempre più radicata.
Nell’estate del 1940 partecipò all’invasione della francia come caporale nel corpo medico. Alla fine dello stesso anno ritornò a Monaco per continuare gli studi di medicina considerando la possibilità di studiare anche filosofia e scienze politiche.
In questo periodo strinse contatti con intellettuali, scienziati, filosofi e artisti messi a tacere dal regime.
Dalla fine di luglio sino all’ottobre 1942 venne nuovamente arruolato e inviato sul fronte orientale insieme a due suoi amici, Alexander Schmorell e Jurgen Wittenstein, qui conobbero Willi Graf.
Prima di partire per il fronte - tra giugno e luglio - Hans e i suoi amici avevano già scritto e distribuito quattro volantini antinazisti della "Rosa Bianca" , un gruppo un gruppo di studenti cristiani che si opposero in modo non violento al regime della Germania nazista.
Operativo a Monaco di Baviera, il gruppo pubblicò sei opuscoli, che chiamavano i tedeschi a ingaggiare la resistenza passiva contro il regime nazista. Un settimo opuscolo, che potrebbe essere stato preparato, non venne mai distribuito perché il gruppo cadde nelle mani della Gestapo. E fu cosi' che Il 18 febbraio 1943 Hans e sua sorella Sophie vennero arrestati con l’accusa di aver distribuito volantini sovversivi all’Università di Monaco.
Insieme con Sophie e Christopher Probst, Hans venne condannato a morte dalla “Corte del Popolo” il 22 febbraio 1943 e ghigliottinato lo stesso giorno.
Morì inneggiando alla libertà.

Le vittime di Dresda,un gesto di crudelta' follia degli Angloamericani


Dresda non era mai stata toccata seriamente dalla guerra sia per la sua posizione geografica sia perché non aveva né industrie né impianti militari rilevanti (era addirittura priva di difesa antiaerea) ed era così forte la convinzione che fosse esente da pericoli che le autorità tedesche vi avevano fatto affluire le centinaia di migliaia di profughi (soprattutto vecchi, donne e bambini) in fuga dalle regioni orientali sotto l’incalzare della Armata Rossa e gran parte dei feriti provenienti dal fronte. Si pensava che considerazioni umanitarie e il rispetto per una Città d'arte amata in tutto il mondo avrebbero indotto gli angloamericani a risparmiarla. E invece fu deliberatamente distrutta. La distruzione arrivò su questa Città del febbraio del '45 quando le sorti della guerra erano ormai segnate. Fu una carneficina
Il bombardamento di Dresda da parte della Royal Air Force britannica e della United States Army Air Force statunitense, avvenuto fra il 13 e il 14 febbraio 1945, fu uno degli eventi più tragici della seconda guerra mondiale.

I bombardieri alleati rasero al suolo una gran parte del centro storico di Dresda (bombardamento a tappeto), causando una strage di civili, con obiettivi militari solo indiretti. Fu uno dei bombardamenti con più vittime civili della seconda guerra mondiale. Nei primi decenni dopo la guerra il numero delle vittime fu stimato in 250.000, cifra oggi considerata inattendibile.Un'inchiesta indipendente commissionata dal consiglio municipale di Dresda nel 2010 ha stabilito che le vittime furono tra le 22.700 e le 25.000. Gente inerme, semplici comparse di questa immane follia , vittime di un deliberato terrorismo aereo . Si, Dresda fu sottoposta, col deliberato intento di seminar strage fra la popolazione civile, ad un micidiale attacco sferrato contro i quartieri del centro, non contro gli stabilimenti o le linee ferroviarie che erano gia' stati ampiamente bombardati in precedenza.

La distruzione di Dresda ha un sapore epico e tragico. Era una città meravigliosa, simbolo dell'umanesimo barocco e di tutto ciò che c'era di più bello in Germania. Allo stesso tempo, conteneva anche il peggio della Germania del periodo nazista. La tragedia fu un perfetto esempio degli orrori del modo di concepire la guerra nel XX secolo .


Alle 22,15 del 13 febbraio oltre 500 bombardieri inglesi Lancaster scaricarono sulla città indifesa le terribili bombe dirompenti block buster. Poi si allontanarono in direzione di Strasburgo.
I soccorritori iniziarono ad affluire dalle città vicine, mentre gli scampati escono lentamente dai rifugi.
Era quello che gli inglesi attendevano: far uscire la gente, far arrivare i soccorritori e tornare a colpire.
Ore 1,28 del 14 febbraio arriva, indisturbata come la prima, la seconda ondata. Questa volta però i bombardieri pesanti della Raf portano nelle stive 650.000 bombe incendiarie caricate a benzina e a fosforo in grado di sviluppare un calore che fonde il ferro (la versione aggiornata, le famigerate bombe al napalm, sarà poi sperimentata dagli americani in Vietnam). L’effetto fu devastante.
Dresda si trasformò in un immenso rogo esteso un centinaio di chilometri quadrati e visibile ad oltre 300 Km di distanza.


All’alba del 14 febbraio, quando per i sopravvissuti delle zone periferiche della città sembrava che il peggio fosse passato, ecco giungere la terza ondata. Gli americani, che non potevano essere da meno degli inglesi, con le loro “fortezze volanti” scaricarono su ciò che restava della città e dei suoi abitanti il loro carico di morte e distruzione mentre i caccia “mustang” a volo radente mitragliavano le colonne di profughi che cercavano di fuggire dall’inferno di Dresda. Fu il macabro record di disumanità, non eguagliato neanche dai bombardamenti atomici sul Giappone che causarono “solo” 150.000 morti.




<p align="center">L'OLOCAUSTO DEI SOLDATI TEDESCHI A STALINGRADO



In questo topic abbiamo premesso che non avremmo parlato di strategie o di battaglie , ma che avremmo accennato a coloro i quali, quella maledetta guerra, l'hanno vissuta da attori non protagonisti o da semplici comparse . Parleremo di coloro i quali ne sono stati coinvolti loro malgrado e loro malgrado l'hanno dovuta subire come carnefici e come vittime.
Come non parlare, quindi, delle centinaia di migliaia di soldati tedeschi morti o fatti prigionieri durante l'assedio di Stalingrado, attori non protagonisti e semplici comparse che quella guerra non la volevano e che avrebbero senz'altro preferito starsene a casa accanto ai loro genitori, ai loro figli , alle loro compagne. E invece furono mandati a morire in questa lunga e gigantesca battaglia, definita da alcuni storici come "la più importante di tutta la Seconda guerra mondiale" e che segno l'inizio della ine del terzo Reich. Secondo la storiografia sovietica la battaglia di Stalingrado iniziò il 17 luglio 1942 .
Le prime fasi della battaglia furono caratterizzate da tenaci sforzi difensivi sovietici, che vennero via via superati dalle forze tedesche dopo duri scontri, e da alcuni tentativi di contrattacco delle limitate forze corazzate sovietiche disponibili che vennero schiacciati, con gravi perdite.
I primi giorni sembrarono, quindi confortare, i progetti del generale Paulus


Ma di là degli apparenti successi tattici la situazione di Paulus rimaneva complicata come confermato dalle continue richieste di rinforzi e dal nervosismo, manifestato anche dall'accentuarsi del suo tic al volto e della sua gastroenterite somatica. I sovietici non apparivano scoraggiati e riaccendevano continuamente la battaglia con contrattacchi che costringevano a riprendere i combattimenti sempre negli stessi posti e per le stesse rovine.
Le perdite tedesche salivano, il morale delle truppe cominciava a risentire della durezza e della lunghezza inattesa degli scontri, i continui colpi sui fianchi dello schieramento costringevano Paulus a dirottare parte delle forze. l nervosismo, in realtà, era il sentimento predominante ,le truppe erano esasperate ed esaurite dalle perdite e dalla durezza degli interminabili scontri, tra i soldati regnava ormai un sentimento di ansiosa attesa e di preoccupazione per l'esito della battaglia, senza contare che ai primi di novembre grosse lastre di ghiaccio cominciavano a formarsi, rendendo progressivamente più difficile l'approvvigionamento di vivere e materiale bellico.
Poi i ruoli furono improvvisamente e completamente ribaltati. Gli assedianti si erano ora trasformati in assediati ed i difensori in attaccanti. Si calcola che tra i 250 ed i 280 000 soldati dell'Asse furono accerchiati in quella che sarebbe passata alla storia come la "Sacca di Stalingrado". Molti strateghi militari fecero ripetute pressioni su Hitler a favore di una immediata ritirata, mettendo in dubbio la possibilità di resistenza delle truppe accerchiate in inverno e sottolineando la difficoltà di organizzare una pronta ed efficace controffensiva di salvataggio. Tuttavia i tentativi di convincere il Führer della pericolosità della situazione fallirono di fronte alla sua ostinata risolutezza nel tenere la "Fortezza Stalingrado".
In effetti le forze radunate erano in realtà fortemente ridotte rispetto agli ottimistici piani iniziali e l'avanzata tedesca aveva però ormai esaurito la sua energia propulsiva e di fronte alla crescente resistenza dei sovietici le possibilità di un'ulteriore marcia in avanti si ridussero a zero. In questa fase il processo decisionale tedesco fu particolarmente ingarbugliato, con Hitler che rifiutò fermamente di autorizzare la sortita (apparentemente perché convinto dell'impossibilità tecnica di questa operazione allo scoperto e d'inverno) e Paulus e von Manstein ugualmente dubbiosi sul da farsi, pronti a scaricarsi reciprocamente le responsabilità della conduzione di un'operazione di ripiegamento così rischiosa da parte di un'intera armata ormai già vistosamente logorata da un mese di accerchiamento. Alla fine, di fronte a queste indecisioni e contraddizioni, la 6ª Armata finì per rimanere ferma dentro la "sacca", in attesa del suo triste destino, in mezzo all'inverno russo.

Va anche sottolineato che, di fronte agli sviluppi catastrofici per i tedeschi e le forze dell'Asse dell'operazione Piccolo Saturno, iniziata dai sovietici il 16 dicembre, ormai il problema della 6ª Armata per l'OKH, von Manstein ed anche Hitler passava in secondo piano. Ma Hitler continuava ad incitare alla resistenza ad oltranza e il suo rifiuto ad accettare una resa formale, incurante delle sofferenze e delle atrocita' .
In pochissimi giorni la situazione dell'Asse si aggravò in maniera disastrosa con l'irruzione del 17º Corpo corazzato sovietico a Kantemirovk. Il generale Paulus, dopo aver eseguito disciplinatamente tutti gli ordini di Hitler (prima quello di rinchiudersi dentro la "Fortezza Stalingrado" e poi di non effettuare una disperata sortita solitaria), ora accettò anche questo ruolo finale di sacrificio e, almeno esteriormente e nei proclami finali alle truppe accerchiate, mantenne fiducia in Hitler e nel risultato della lunga battaglia. Un sentimento di amara delusione si diffuse peraltro ormai tra le truppe e anche nei comandi (Paulus e Schmidt inclusi) di fronte alle sempre maggiori difficoltà di vettovagliamento, al moltiplicarsi delle sofferenze, all'imperversare del clima invernale e alla coscienza di come fosse ormai impossibile ricevere aiuti dall'esterno.



Il 10 gennaio 1943 ebbe inizio l'ultimo atto della lunga battaglia di Stalingrado. Inizio'una nuova travolgente offensiva sovietica.
Stalin e il comando sovietico poterono scatenare finalmente, dopo numerosi rinvii dovuti all'evolversi della situazione generale e alla necessità di raggruppare le forze necessarie per distruggere la massa di truppe tedesche accerchiate.


Inutile risultò quindi la presentazione da parte dei comandi sovietici di un ultimatum, formalmente corretto, per invitare alla resa la 6ª Armata prima dell'attacco finale e per evitare un ulteriore spargimento di sangue.La lotta finale, che si svolse dal 10 gennaio al 2 febbraio, venne condotta dalle due parti con particolare accanimento fino all'ultimo: i sovietici fecero uso in massa dell'artiglieria per distruggere i nuclei di resistenza delle truppe tedesche fortemente indebolite dal lungo assedio; le successive linee di arroccamento predisposte dai tedeschi per prolungare al massimo la resistenza vennero superate.
Si verificarono i primi episodi di panico collettivo e di dissoluzione dei reparti (per via aerea durante l'assedio erano infatti stati evacuati almeno 30.000 soldati tra feriti, specialisti e ufficiali superiori). La maggior parte dei soldati furono uccisi sul posto. Chi scampò alla morte si riversò assieme a feriti e sbandati verso le rovine di Stalingrado dove si sviluppò l'ultima resistenza.
Paulus, isolato nella sacca meridionale, venne catturato il 31 gennaio 1943 dalle truppe della 64ª Armata del generale Šumilov senza opporre ulteriore resistenza e senza una resa formale; gli ultimi nuclei tedeschi nella sacca settentrionale, si arresero definitivamente il 2 febbraio 1943, ben consapevoli che altre atroci sofferenze gli sarebbero toccate.


La lunga battaglia era finita, con esiti disastrosi per l'invasore tedesco.
Chi avrebbe potuto recriminare, al povero soldato tedesco, di aver cercato solo di non rischiare la propria vita e quindi di aver seguito ordini che egli non condivideva? Era forse una colpa quella di aver cercato di sopravvivere nel momento più buio della storia europea non avendo il coraggio e l’eroismo necessari per ribellarsi?
Leggiamo ora alcune lettere o brani di diario di soldati tedeschi impegnati a Stalingrado


“23 agosto. Ottime notizie: le nostre truppe hanno raggiunto il Volga conquistando una parte della città. I russi avevano due opzioni: retrocedere lungo il Volga oppure arrendersi. In realtà è accaduto qualcosa di inspiegabile. A Nord i nostri eserciti prendono la città e arrivano fino al Volga; a Sud le divisioni ormai senza scampo continuano a opporre un’accanita resistenza. Fanatici…”. Dal diario del soldato tedesco Wilhelm Goffman.

“26 settembre. Dopo che il silo è stato preso, i russi hanno continuato a combattere con la stessa tenacia. Non li si vede proprio, si sono insediati nelle case e negli scantinati e da lì sparano dappertutto; hanno metodi da briganti. I russi hanno smesso di arrendersi. Se riusciamo a prendere un prigioniero è solo perché è ferito a morte e non può muoversi. Stalingrado è un inferno. Quelli che sono stati feriti sono fortunati, se ne andranno a casa e festeggeranno la vittoria con le loro famiglie…”. Dal diario del soldato tedesco Wilhelm Goffman.

"Mi ricordo i miei compagni in Francia che mi dicevano: Ecco, adesso andiamo in Russia e assaggiamo il prosciutto di carne d’orso, cosa non hanno da quelle parti!. Pensavano che l’avanzata sarebbe riuscita bene come in Francia. Ma la piega che hanno preso gli eventi è stata per tutti un vero e proprio choc”. Dai ricordi dell’artigliere Chajnic Chun"

“30 novembre. Vi mando qualche notizia su di me, la situazione qui è molto grave. I russi hanno circondato la divisione armata, siamo in una sacca. Sabato ci hanno attaccato, ci sono stati molti morti e feriti. Il sangue scorreva a fiumi. La ritirata è stata terribile. Il nostro comandante è stato gravemente ferito, ora non abbiamo più nemmeno un ufficiale”. Dalla lettera del sottoufficiale Georg Kriger.

1° dicembre. Tempo orribile, gli aerei con i viveri non riescono ad arrivare, ma credo comunque che prenderemo Stalingrado e se resisteremo fino a marzo le cose andranno meglio”. Dalla lettera di un soldato tedesco.

“26 dicembre. Ci siamo mangiati tutti i cavalli. Mi sarei mangiato anche il gatto, dicono che anche la carne di gatto sia buona. I soldati assomigliano a cadaveri o a sonnambuli, cercano qualcosa da mettersi in bocca. Ormai non provano più a ripararsi dalle raffiche dei russi, non hanno le forze per muoversi o nascondersi”. Dal diario del soldato tedesco Wilhelm Goffman.

“26 dicembre. Oggi, visto che era festa, abbiamo cucinato il gatto”. Dal taccuino di Werner Klei.

“24 gennaio 1943. Caro fratello! Scusa la brutta calligrafia, ho le mani gelate e una gran confusione nella testa. Mi riscaldano soltanto i ricordi e i pensieri per la mia Yulia e la piccola Margo. Da qui non ne esco. Lo sfondamento non si farà. Qui siamo già tutti morti e se non ci decomponiamo è soltanto per il freddo russo”. Dalla lettera del primo tenente Helmut Quandt.

“Ti dico addio, perché dopo questa mattina è stato tutto chiaro. Non ti scrivo della situazione al fronte, è evidente, e totalmente nelle mani dei russi. La questione è soltanto quanto a lungo riusciremo ancora a resistere, forse qualche giorno o forse qualche ora”. Dalla lettera di un soldato tedesco.

“Sono passato da Paulus, gli ho fatto il saluto e ho riferito che era arrivato un telegramma via radio che gli avevano conferito il titolo di feldmaresciallo generale e lui mi risponde: Ora sono il più giovane generale dell’esercito e devo consegnarmi al nemico. Rimasi di sasso perché credevo – e anche Hitler di certo lo pensava – che si sarebbe suicidato. Paulus disse: Sono cristiano, credente, condanno il suicidio. Anche se appena quattordici giorni prima diceva che un ufficiale non ha il diritto di finire prigioniero. Ecco come ora aveva rivoltato la cosa”. Dai ricordi del primo tenente Gerard Hindenlang.

I soldati non muoiono solo durante i combattimenti, molti restano congelati nelle lunghe notti passate nelle trincee, non hanno sufficienti medicine per cui si ammalano di tifo e il cibo scarseggia.
Dalla lettera di un soldato tedesco.

Mangiamo quando e dove possiamo mentre i russi sfruttano la collaborazione degli abitanti ancora presenti, piccoli punti di ritrovo autogestiti.
Dalla lettera di un soldato tedesco.

Un soldato tedesco racconterà anni dopo: "Dopo due settimane passate a scappare per le fogne della città e a dormire tra i calcinacci, ero così sporco che non mi resi conto che la biancheria si era letteralmente attaccata alla mia pelle"
"Queste lettere furono scritte da soldati tedeschi assediati nella sacca di Stalingrado nel dicembre 1942 e partirono con l'ultimo l'aereo per la Germania.
Non arrivarono mai alle famiglie: Hitler le fece sequestrare dalla censura militare per un sondaggio sul morale delle truppe. Furono ritrovate dopo la fine della guerra negli archivi dell'esercito, e ne è stato tratto un libro.


Continua nella prossima pagina.

Edited by Pulcinella291 - 22/3/2014, 12:44
 
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PAESI BASSI



Helga Deen e il suo diario segreto: l'impossibile è diventato possibile



La storia di Helga Deen (Stettino, 6 aprile 1925 – Campo di sterminio di Sobibór, 16 luglio 1943) e quella dei suoi familiari (il padre Willy, la madre Käthe Wolff e il fratello Klaus Gottfried, minore di tre anni, tutti di religione ebraica e abitanti di Tilburg, nel sud dei Paesi Bassi) presenta sorprendenti affinità con quelle di un'altra vittima storica della Shoah, Anna Frank, ed anche le due rispettive testimonianze sono state, sia pure con le dovute proporzioni, comparate. Se non altro per l'innegabile valore documentario, ai fini della memoria, di questi scritti (quello di Deen è il terzo diario da un campo di concentramento - ma il primo tenuto da una donna - rinvenuto in Olanda nel dopoguerra.
Helga che al momento dell'arresto frequentava l'ultimo anno delle scuole superiori - riuscì a far avere il diario ed altre sue piccole cose (tra cui una penna stilografica, alcune lettere e cartoline e una ciocca di capelli) racchiuse in una borsetta al suo fidanzato, il fotografo Kee van den Berg, che lo ha tenuto nascosto come una reliquia fino alla morte, avvenuta nel 2004.
Le circostanze in cui, nel giugno del 1943, prima di essere trasferita a Sobibór, la giovane fece avere il suo memoriale al fidanzato, sono rimaste - secondo David Barnouw, direttore dell'Istituto olandese per la documentazione di guerra (NIOD) - un enigma totale. La famiglia Deen - già sfrattata nel febbraio 1943 dalla propria casa di Pelgrimsweg 45, data in affitto ad un ispettore di polizia - il 1º giugno 1943 sulla base di una delazione fu deportata a Vught, per essere internata nel campo di concentramento di Herzogenbusch; un mese dopo avvenne il trasferimento in quello di Westerbork (presso Midden-Drenthe, lo stesso in cui fu reclusa Anna Frank e, infine, quello nel campo di Sobibór, dove l'intera famiglia venne uccisa il 16 luglio.Redatto in ventuno pagine di un quadernetto verde, il diario è stato pubblicato con il titolo Kamp Vught, dal nome della località in cui si trovava il campo di raccolta.


Helga, che aveva 18 anni, scrisse il suo diario in un quadernetto verde in un linguaggio semplice, diretto, ma in forma accorata, come inevitabilmente è immaginabile che sia nella scrittura di una giovane che si trovi di fronte ad un'esperienza drammatica e senza ritorno. In esso viene dato conto dei numerosi convogli di trasferimento carichi di donne e bambini verso i vari campi della Germania e della Polonia. Il suo diario comincia così:"«1 Giugno 1943. Carissimo, la situazione, finora, va meglio del previsto. Sono in una baracca vuota, sulla brandina più bassa (ce ne sono tre una sull’altra) e se da qui guardo fuori dalla finestra vedo betulle, abeti, il cielo azzurro con delle nuvole bianche».Si rivolge a Kees, il ragazzo con cui ha avuto una storia d’amore e che non rivedrà mai più. Gli scrive: «Forse questo diario ti deluderà perché non contiene fatti. Ma forse sarai felice di trovare me tra queste righe: i conflitti, i dubbi, la disperazione, la timidezza».Dalle pagine, alcune delle quali corredate con disegni, affiorano le comprensibili paure di una giovane donna rispetto ad un domani privo di sbocchi, prossimo al compimento: dettagli di vita quotidiana all'interno del lager che restituiscono il disagio della vita in cattività (Oggi siamo stati "spidocchiati" e non possiamo uscire dalla baracca ...), si intersecano con frammenti di ricordi sentimentali (Ho pensato a ieri notte, quando eravamo felici, distesi l'uno vicino all'altra, e guardavamo il cielo ...). La speranza è precaria ma non ancora del tutto doma (Che condizioni spaventose ci sono qui. Sono distrutta, ma voglio andare avanti ... giorno per giorno vediamo la libertà al di là dei fili spinati).Il 6 giugno 1943 Helga trascrive un trasferimento che l’ha impressionata. «E’ troppo. Sono a pezzi e domani ci sarà di nuovo. Ma se la mia forza di volontà muore, allora muoio anch’io. Il 12 giugno, Helga annota a matita: «Anche se proprio tutti sono gentili con me, mi sento così sola. Ogni giorno vediamo la libertà attraverso il filo spinato». Lei spera di poter lavorare, per rimandare il suo trasferimento. Di lì a poco le comunicano che il 2 luglio potrà andare, «anche se in prova», alla fabbrica della Philips. Poi la doccia fredda: anche lei sarà trasferita. E così compila il diario per l’ultima volta: «Un mese, un giubileo e che giubileo... Debbo far su le mie cose, stamattina la morte di un bambino mi ha messo sottosopra. Ma tutto questo non ha nessuna importanza rispetto a quanto segue: c’è ancora un trasferimento e questa volta faremo anche noi parte del viaggio».
L'ultimo pensiero, il 2 luglio, quando ormai Helga sta per essere definitivamente separata dai suoi familiari, e la loro sorte ormai segnata, lo dedica ai suoi affetti giovanili: la persona amata e due comuni amici (che appella come: Cari voi tre ...): Oggi è passato un mese (nota: dalla prima reclusione a Vught), che anniversario! ... È annunciato un nuovo trasferimento e ora tocca a noi. Poi, rivolgendosi evidentemente all'amato: Il diario riuscirai ad averlo ... non ho più paura, non ci sono più sorprese spaventose, l'impossibile è diventato possibile"


Erik Hazelhoff Roelfzema:il soldato d'orange, un eroe olandese



La Storia di Erik Hazelhoff Roelfzema (3 aprile 1917-26 settembre 2007) pilota pilota olandese, spia olandese e scrittore, è stata trasformata in un film del 1977 diretto da Paul Verhoeven e interpretato da Rutger Hauer .
Hazelhoff nacque a Surabaya , a Giava in Indie Orientali Olandesi (oggi Indonesia ), il figlio di Siebren Erik Hazelhoff Roelfzema, anziano, e Cornelia Vreede. La sua famiglia si trasferì a L'Aia nel 1930, e poi Wassenaar . Ha viaggiato negli Stati Uniti nel 1938, scrivendo un libro delle sue esperienze nel 1939, Rendezvous a San Francisco .
Era uno studente di giurisprudenza presso l'Università di Leiden , quando scoppio' la seconda guerra mondiale E 'entrato nella riserva dell'esercito olandese. Quando i nazisti occuparono l'Olanda . Riuscì a fuggire nel Regno Unito come membro d'equipaggio a bordo del Santo Cerque, una nave mercantile svizzera nel giugno 1941, insieme a Bram van der Stok e altri due. A Londra, Hazelhoff Roelfzema, con l'aiuto del generale François van 't Sant , direttore del CID olandese (Service Central Intelligence) comincio' a far parte dei servizi segreti. Lo scopo era quello di stabilire un contatto con la resistenza nei Paesi Bassi. Ma ben presto i tedeschi decifrarono il linguaggio segreto utilizzato dagli Olandesi e dovette rinunciare .
Ma non abbandono' la lotta per il suo paese. Si unì alla Royal Air Force nel 1942. Frequentato la scuola di volo in Canada, dove divenne il miglior cadetto pilota del suo gruppo. Tornato in Inghilterra nel 1944, e si unì No. 139 Squadron RAF , parte dell'élite Pathfinder Forza , con il compito di illuminare obiettivi per i bombardieri notturni del Bomber Command della RAF . Ha fatto 72 sortite in bombardieri Mosquito , di cui 25 sono andati a Berlino, e ha ricevuto il Distinguished Flying Cross .
continua sotto

Edited by Pulcinella291 - 22/3/2014, 19:05
 
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POLONIA



Il sacrificio del popolo polacco



russi e tedeschi in Polonia


Quello polacco fu uno dei popoli piu' martoriati della seconda guerra mondiale. Furono circa sei milioni i cittadini che persero la vita divisi equamente tra ebrei e non ebrei . La maggior parte dei civili furono uccisi dalle azioni della Germania Nazista, dell'Unione Sovietica a suo tempo alleati ed intenzionati a spartirsi tutto il territorio polacco.
Dopo l'invasione della Polonia, infatti, il 1º settembre 1939 da parte della Germania e dei loro alleati sovietici il 17 settembre 1939, la Polonia fu divisa fra i due. La Germania si annesse 91.902 km quadrati con 10 milioni di cittadini e il controllo del cosiddetto Governatorato Generale che consisteva in ulteriori 95.742 km con 12 milioni di cittadini. L'Unione Sovietica occupò 202.069 km quadrati con oltre 13 milioni di cittadini.
Ci sono numerose somiglianze fra le due azioni di occupazione, ad esempio il fatto di sparare sui civili e sui prigionieri di guerra. Esaminiamole piu' in particolare.
I Sovietici.


Solamente una piccolissima minoranza di cittadini Polacchi accolse l'invasione sovietica. I sovietici cercarono di distruggere l'autodeterminazione polacca deportando centinaia di migliaia di cittadini polacchi e costringendoli al loro sistema di Governo. sovietici decisero di rimuovere un migliaio di anni di cultura polacca. La lingua polacca venne sostituita nell'uso ufficiale. Le scuole diffusero la propaganda dei Soviet e l'educazione religiosa fu vietata. I monumenti furono distrutti, cambiati i nomi delle strade, chiuse le librerie, bruciate le biblioteche e vennero chiuse le case editrici. Le leggi di censura sovietica furono rigorosamente applicate. Anche il suono delle campane delle chiese fu messo al bando.La tassazione fu alzata, forzando le istituzioni religiose a chiudere. I sovietici rimpiazzarono Zloty polacco con il rublo, applicando un cambio 1:1 molto sfavorevole ai polacchi. Ciononostante la produzione fu forzata a continuare e a vendere a prezzi pre-guerra, permettendo quindi ai soldati di acquistare facilmente beni con il rublo. Interi ospedali, scuole e industrie furono trasferite in URSS.
I sovietici utilizzarono gli stessi metodi di sottomissione utilizzati contro i loro stessi cittadini, in particolar modo quello della deportazione. Nel 1940 e nella prima metà del 1941, i sovietici deportarono più di 1.500.000 polacchi, la maggior parte in quattro deportazioni di massa. La prima deportazione avvenne il 10 febbraio 1940, con più di 220,000 uomini inviati nel Nord della Russia Europea; la seconda tra il 13 e il 15 aprile 1940, con l’invio di 300.000 [- 330.000 principalmente nel Kazakistan; una terza ondata, che ammontava a più di 240.000, forse 400.000 uomini, nel giugno e nel luglio del 1940; la quarta si verificò nel mese di giugno 1941, e riguardò 200.000 persone, tra cui numerosi bambini. Alla ripresa delle relazioni diplomatiche polacco-sovietiche nel 1941, è stato stimato sulla base di informazioni sovietiche che più di 760.000 dei deportati morì, di cui una gran parte erano bambini, i quali ammontavano a circa un terzo dei deportati.



Il massacro di Katyn fu un'altra atrocità commessa dai Russi. una delle pagine più tristi e meno conosciute degli orrori della seconda guerra mondiale ed una delle più imponenti fosse comuni dell'intera Europa, il teatro di un eccidio di proporzioni colossali che ha visto la morte di quasi 22 mila tra ufficiali e cittadini polacchi uccisi a sangue freddo dai soldati dell'Armata Rossa nel 1940. Il massacro rispondeva ad una logica ben precisa di ulteriore indebolimento della Polonia appena asservita. Infatti, poiché il sistema di coscrizione polacco prevedeva che ogni laureato divenisse un ufficiale della riserva, il massacro doveva servire ad eliminare una parte cospicua della classe dirigente nazionale.

I Tedeschi


L'Esercito tedesco fu inviato, come sentenziato da Adolf Hitler poco prima dell'invasione: "con l'ordine di uccidere senza pietà e tregua tutti gli uomini, donne e bambini della razza polacca. I tedeschi vedevano sia i polacchi che gli ebrei polacchi come popolazione ad essi inferiore. I tedeschi condussero massacri ed esecuzioni fin dall'inizio. Si stima che furono condotte 200 esecuzioni al giorno. Tipicamente, le esecuzioni venivano effettuate in un luogo pubblico, ad esempio la piazza del villaggio.





Così come i civili, anche i soldati polacchi venivano massacrati; anche nel primo giorno di battaglia, il 1º settembre, i prigionieri di guerra polacchi vennero uccisi a Pilchowice, Czuchów, Gierałtowice, Bojków, Lubliniec, Kochcice, Zawiść, Ornontowice and Wyry. Oltre 156 città e villaggi furono attaccati dalla Luftwaffe.[ Varsavia soffrì particolarmente della combinazioni di bombardamento aereo e fuoco d'artiglieria che ridusse gran parte del centro storico in macerie. L'Unione Sovietica assistette i tedeschi permettendo loro di usare un radiofaro da Minsk per guidare i loro piani di battaglia.


Durante l'invasione della Polonia (1939), squadre speciali delle SS e della polizia (la Einsatzgruppen) vennero schierate nei territori appena conquistati per arrestare ed uccidere i civili che offrivano resistenza ai tedeschi o quelli che erano considerati capaci di farlo, in base alla loro posizione sociale. Diecimila tra ufficiali del governo, proprietari terrieri, sacerdoti, e membri della classe colta — insegnanti, dottori, giornalisti, ed altri (sia polacchi che ebrei) - vennero uccisi in esecuzioni di massa o mandati in prigione ed in campi di concentramento.Le unità dell'esercito tedesco e le forze paramilitari di difesa del Selbstschutz, composte da cittadini di etnia tedesca (Volksdeutsche) parteciparono ad esecuzioni di civili. Il Selbstschutz, insieme alle unità delle SS, prese attivamente parte agli omicidi di massa di Piaśnica, in cui furono uccisi tra i 12.000 ed i 16.000 civili polacchi. Uno dei casi più noti fu la deportazione in campi di concentramento del novembre 1939 di 180 professori dell'università di Cracovia. Gli occupanti tedeschi lanciarono la AB-Aktion nel maggio 1940, un piano per eliminare la classe colta e quella dirigente.[ Oltre 16,000 di loro trovarono la morte nella sola Operazione Tannenberg:




La chiesa cattolica romana fu soppressa nel Reichsgau Wartheland più duramente che altrove: le chiese vennero sistematicamente chiuse; la maggior parte dei preti venne uccisa, imprigionata o deporatata al Governatorato Generale. I diari del governatore generale dei territori occupati in Polonia, Hans Frank, mostrano come egli pianificasse una "guerra al clero". I tedeschi chiusero inoltre i seminari ed i conventi e perseguirono i monaci e le suore. Tra il 1939 ed il 1945 vennero uccisi circa 2,801 membri del clero polacco (in tutta la Polonia); di questi, 1926 in campi di concentramento (798 di loro a Dachau).
Centootto di loro vengono ricordati come beati martiri, Massimiliano Maria Kolbe come santo.


Padre Kolbe fu un sacerdote polacco, frate francescano conventuale, che si offrì di prendere il posto di un padre di famiglia, destinato al bunker della fame nel campo di concentramento di Auschwitz .Vi giunse il Il 28 maggio 1941 dove venne immatricolato con il numero 16670 e addetto a lavori umilianti come il trasporto dei cadaveri.


Venne più volte bastonato, ma non rinunciò a dimostrarsi solidale nei confronti dei compagni di prigionia. Nonostante fosse vietato, Kolbe in segreto celebrò due volte una messa e continuò il suo impegno come sacerdote.
Alla fine del mese di luglio dello stesso anno venne trasferito al Blocco 14 e impiegato nei lavori di mietitura. La fuga di uno dei prigionieri causò una rappresaglia da parte dei nazisti, che selezionarono dieci persone della stessa baracca per farle morire nel cosiddetto bunker della fame.
Quando uno dei dieci condannati, Francesco Gajowniczek, scoppiò in lacrime dicendo di avere una famiglia a casa che lo aspettava, Kolbe uscì dalle file dei prigionieri e si offrì di morire al suo posto.
Il dialogo con il comandante del campo:
Un uomo esce dalle fila - numero 16670 - e con passo deciso si presenta
"Cosa vuole da me questo sporco polacco?"
"Vorrei morire al posto di uno di quelli"
"Perché?"
"Sono vecchio, ormai, e buono a nulla - La mia vita non può più servire gran che."
"E per chi vuoi morire?"
"Per lui, ha moglie e bambini"
"Ma tu chi sei?"
"Un prete cattolico" P. Massimiliano Kolbe - n° 16670 - dice semplicemente "un prete" per offrire a "testa di mastino"(così era chiamato il comandante) un valido pretesto che giustificasse quel suo ritorno su una decisione già presa.
"Accetto: il 16670 sostituisce il 5659. Tutto è a posto. I conti tornano."
In modo del tutto inaspettato, lo scambio venne concesso: i campi di concentramento erano infatti concepiti per spezzare ogni legame affettivo e i gesti di solidarietà non erano accolti con favore. Kolbe venne quindi rinchiuso nel bunker del Blocco 13. Dopo due settimane di agonia senza acqua né cibo la maggioranza dei condannati era morta di stenti, ma quattro di loro, tra cui Kolbe, erano ancora vivi e continuavano a pregare e cantare inni a Maria.
La calma professata dal sacerdote impressionò le SS addette alla guardia, per le quali assistere a questa agonia si rivelò scioccante. Kolbe e i suoi compagni vennero quindi uccisi il 14 agosto 1941, vigilia della Festa dell'Assunzione di Maria, con una iniezione di acido fenico. Il loro corpo venne cremato il giorno seguente, e le ceneri disperse.
All'ufficiale medico nazista che gli fece l'iniezione mortale nel braccio, Padre Kolbe disse: «Lei non ha capito nulla della vita...» e mentre l'ufficiale lo guardava con fare interrogativo, soggiunse: «...l'odio non serve a niente... Solo l'amore crea!». Le sue ultime parole, porgendo il braccio, furono: «Ave Maria».
Fu lo stesso tenente medico nazista che raccontò dopo alcuni anni questo fatto, che fu messo agli atti del processo canonico.


Francesco Gajowniczek riuscì a sopravvivere ad Auschwitz. Tornato a casa, trovò sua moglie viva, ma i suoi due figli erano rimasti uccisi durante un bombardamento russo. Morì nel 1995.







Continua

Edited by Pulcinella291 - 24/3/2014, 08:49
 
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sarò un illuso, ma credo, e spero, che non tutti i russi fossero sovietici.... del resto, circa il popolo russo, ci sono storie assai diverse da queste tragiche pagine, colme di umanità.
 
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Nel capitolo dedicato alla Russia parleremo anche di questo .
 
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Lavoro ben fatto Seb.pagine atroci,drammatiche per tutti gli uomini coinvolti,da non dimenticare.
 
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FINLANDIA




Carl Gustav Mannerheim un eroe di cui la storia parla poco



Mannerheim nasce nel 1869 da una aristocratica famiglia finlandese. Durante questo periodo la Finlandia è un ducato della Russia e nel 1902 Mannerheim diventa capitano dell’esercito russo imperiale .
Nel 1917 la Finlandia dichiara la sua indipendenza dalla Russia e affida a Carl Gustav Mannerheim il comando delle nuove forze armate del paese.Forze armate impegnate a difendere l’indipendenza della Finlandia dalle truppe bolsceviche che si erano costituite dopo la rivoluzione di Ottobre, sino al maggio 1918. Dopo aver partecipato alla Costituzione della Repubblica Finlandese del 1919, si ritira a vita privata.Nel periodo interbellico si dedicò ad azioni umanitarie. Supportò la Croce Rossa Finlandese e creò la Fondazione Mannerheim per l'Infanzia.


Dopo che Pehr Evind Svinhufvud fu eletto presidente nel 1931, assegnò a Mannerheim l'incarico di presidente del Consiglio di Difesa della Finlandia.
Mannerheim cercò di rafforzare l'esercito e fece costruire in Carelia la “linea Mannerheim” per contenere eventuali attacchi sovietici.
Nel Novembre 1939, l’Unione Sovietica invade la Finlandia e Mannerheim viene richiamato dal paese ed assume la carica di comandante della Forze Armate .Con un esercito minuscolo, nel periodo 1939-1940, i Finlandesi combattono una guerra o meglio una "non guerra di resistenza", riuscendo a sfuggire dalla morsa a tenaglia portata avanti dal potente esercito sovietico. L'esercito finlandese sembro' essere diventato invisibile. Qualcuno, piu' tardi, affermo' che nelcielo della Finlandia era apparso un Angelo che opero' il miracolo.

.
Il 30 novembre 1939 le forze sovietiche invasero la Finlandia, ma il piano russo di una guerra lampo, sullo stile della Blitzkrieg tedesca, fallì miseramente davanti alla strenua difesa attuata dalle forze finlandesi. Seppur inferiori in numero e mal equipaggiati, i Finlandesi mostrarono eccezionale coraggio e attuarono la strategia militare della guerriglia per ovviare all’evidente disparità di forze tra i due schieramenti.
L’inverno del 1939-40 fu molto rigido, con temperature che raggiunsero anche i meno 40 gradi. Le truppe finlandesi furono eccezionali nel trasformare il freddo, le lunghe ore di buio, la foresta e la quasi assenza di vie percorribili a proprio vantaggio. Vestiti completamente di bianco ed equipaggiati con sci da fondo, i soldati finlandesi riuscivano a muoversi molto agilmente e furono spesso anche nella condizione di passare al contrattacco in alcune zone della Finlandia centrale.Capiti alcuni degli errori commessi precedentemente, gli alti comandi sovietici concentrarono un numero maggiore di soldati in un numero minore di divisioni per sfondare la resistenza finlandese sfruttando la loro maggiore forza d’urto. A quel punto, la Finlandia avrebbe seriamente rischiato di subire un’invasione sovietica su tutto il suo territorio. Anche i russi dal canto loro erano però stremati da una guerra che si dimostrò più lunga e dispendiosa del previsto, oltre ad essere preoccupati su altri fronti per gli sviluppi della II Guerra mondiale.


Dopo l'aggressione sovietica alla Finlandia, Mannerheim assunse il comando supremo dell'esercito (1939-1944, dal 1942 col grado di maresciallo di Finlandia) e condusse le due guerre contro l'URSS (Guerra d'inverno, 1939-1940, e Guerra di Continuazione, 1941-1944), non riuscendo a spuntarla sulla superiorità numerica del nemico, nonostante, nella seconda occasione, potesse contare sull'aiuto militare tedesco. Nonostante la Finlandia si fosse alleata con la Germania Nazista allo scopo di riconquistare i territori persi durante la Guerra d'inverno egli comprese che Finlandia e Russia avrebbero dovuto comunque preservare relazioni di vicinato. Mannerheim perciò improntò la campagna militare al fianco dell'alleato tedesco alla riconquista della Carelia e degli altri territori persi senza fornire assistenza all'esercito tedesco durante l'assedio di Leningrado.

È doveroso citare un aneddoto curioso riguardo ai rapporti tra Mannerheim e Hitler: in occasione del compleanno per i 75 anni compiuti dall'anziano uomo politico e militare finlandese il 4 giugno del 1942 Adolf Hitler in persona venne in visita in Finlandia per convincerlo ad attaccare Leningrado, ma Mannerheim per tutta risposta fece fare al dittatore tedesco e ai suoi generali un paio d'ore di anticamera. Il luogo dell'incontro era un vagone fermo ad un binario morto nei pressi di Immola ed Hitler e il suo seguito stettero ad aspettare con impazienza di essere ricevuti. Mannerheim finalmente ricevette Hitler e nonostante i discorsi del dittatore tedesco confermò la sua linea di azione.
Nel frattempo la situazione militare incominciò a cambiare in favore nell'Unione Sovietica e divenne chiaro a Mannerheim e al governo finlandese che urgeva sganciarsi dal pericoloso alleato. Come primo passo il presidente della Repubblica firmatario del patto di alleanza con la Germania si fece parte sciogliendo, almeno formalmente, la Finlandia da qualsiasi tipo di vincolo con la Germania Nazista. Il 4 agosto 1944 fu eletto presidente della Repubblica dopo le dimissioni del presidente Risto Ryti. Concluse l'armistizio con l'URSS (novembre 1944) e cacciò l'esercito tedesco dal suolo finlandese durante la cosiddetta Guerra lappone. Ammirato dai finlandesi come uno degli eroi della nazione, si ritirò a vita privata ma, sempre per i problemi di salute, entrò in una clinica a Losanna, in Svizzera, ove morì nel 1951.

NORVEGIA




GLI EROI DI TELEMARK



Ora, tutti noi sappiamo che anche i tedeschi stavano lavorando all’equivalente crucco della bomba atomica e che, fortunatamente, non hanno fatto in tempo a completarlo grazie a quella che oggi è considerata la miglior operazione di sabotaggio di tutta la seconda guerra mondiale e, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non avvenne in Germania o in Francia o nell’est Europa, ma avvenne in Norvegia.
Mentre negli USA gli Americani ci davano dentro per produrre le prime bombe atomiche in Germania non erano da meno.
Sebbene gli USA potessero contare su un gran quantitativo di fondi, fisici ben preparati e ottimi ingegneri capaci di trasformare la teoria in qualcosa che poi effettivamente esplodesse (magari portandosi dietro una città o due) i tedeschi avevano comunquedalla loro un buon numero di ottimi fisici (Heisenberg in primis), laboratori e università all’avanguardia e le risorse di un intero continente occupato.
Ricordiamoci che la meccanica quantistica è nata in Europa e i tedeschi facevano la parte del leone.
Nonostante ciò i tedeschi perseguivano (per varie ragioni) una via decisamente meno profittevole di quella seguita dagli americani e si prefiggevano di creare del buon Plutonio 239 per le loro bombe.
L’acqua pesante (acqua che contiene del grasso deuterio, qui la spiegazione chimica) era stata prodotto per la prima volta nel 1934 e l’impianto capace di produrre tale composto era lo stabilimento di Vemork in Norvegia.
Nel 1940 quando gli Alleati pisolavano nelle trincee francesi e gli Americani credevano che Hitler l’avrebbe piantata di li a poco i tedeschi umiliarono i loro avversari invadendo e occupando in pochi giorni la Norvegia e, ovviamente, mettendo in sicurezza lo stabilimento di Vemork e iniziando a produrre acqua pesante.
Presto il quantitativo fu portato a 5 kg al giorno, contro i 10 kg mensili precedenti. Quella curiosa richiesta si trasformò subito in sospetto e mise in moto le migliori intelligenze del mondo scientifico. La risposta ai dubbi “norvegesi” non tardò ad arrivare e fu lo stesso padre teorico della bomba atomica Albert Einstein a fornirla a Roosvelet e a Churchill. Da quel momento la fabbrica di Rjukan diventò un incubo per gli Alleati. Il solo pensiero che Hitler potesse disporre della bomba atomica metteva i brividi al mondo intero. L’Acqua Pesante costituiva una terribile minaccia per il mondo libero e andava neutralizzata ad ogni costo e con ogni mezzo.
Ma c’era un grosso problema da risolvere: la fabbrica norvegese era arroccata fra le montagne e appariva come una fortezza medievale inespugnabile. Era stata costruita in quella posizione per canalizzare un’imponente cascata d’acqua verso numerosi generatori di corrente idroelettrica. Uno stretto ponte collegava le ripide pareti alte 900 metri e sul fondo del vallone scorreva il torrente Måna nell’ombra perenne. Una rotaia usciva infine dal ventre dell’edificio e serviva a trasportare i suoi prodotti alla stazione ferroviaria di Rjukan. L’invasione nazista costrinse Re Haakon a rifugiarsi a Tromsø nel Settentrione Artico non ancora occupato, ma per evitare l’arresto riparò molto presto in Inghilterra dove costituì un Governo in esilio. In Norvegia il potere passava di conseguenza al capo dei collaborazionisti locali Vidkun Quisling, mentre a Londra nasceva il SOE (Special Operation Executive), un ramo dei Servizi Segreti incaricato di addestrare giovani “saboteurs” per azioni militari mirate ad indebolire le forze armate tedesche nei Paesi occupati. I giovani patrioti norvegesi raggiungevano l’Inghilterra a bordo di pescherecci collaborativi e, a fine corso, rientravano lanciati con il paracadute sulle zone operative. Vista l’importanza dell’Acqua Pesante, gli Inglesi decisero che la prima operazione di sabotaggio all’impianto si sarebbe tentata il 19 novembre ‘42 con l’impiego di 50 commando inglesi supportati da esperte guide locali. Purtroppo, l’Halifax che rimorchiava l’Aliante (Horsa Mk I) degli incursori fu abbattuto dalla contraerea tedesca proprio quando si trovava alle spalle di Vemork sull’altipiano Hardangervidda. I pochi superstiti furono catturati, interrogati ed uccisi dalla Gestapo.

Ma nella notte tra il 27 ed il 28 febbraio 1943, il commando norvegese (alcuni erano di Rjukan e conoscevano bene la fabbrica) decisero di vendicare gli inglesi caduti per la Norvegia mettendo in atto uno spettacolare piano di sabotaggio all’impianto che da tempo essi stessi avevano studiato nei minimi particolari. Erano provetti sciatori, rocciatori e conoscitori del territorio, ma soprattutto si erano scelti a vicenda per il coraggio, la freddezza e l’odio verso gli invasori. Il gruppo di guastatori non ebbe grossi problemi, sia nel calarsi dalla parete del vallone opposto alla fabbrica, sia nell’attraversare il fiume sotto le armi spianate dei tedeschi, ma neppure nel risalire la ripida roccia ghiacciata e nel penetrare infine dal retro dell’edificio poco “spazzolato” dai riflettori. Avevano scelto semplicemente il tragitto che i tedeschi ritenevano impossibile da affrontare nella totale oscurità di quel duro inverno. Uno di loro, Knut Haukelid (leader della copertura) rimase all’esterno per affrontare l’eventuale reazione dei tedeschi, Joachim Rønneberg (leader dell’azione di sabotaggio) salì diversi piani dell’edificio con la scorta di due soli compagni e raggiunse indisturbato il cuore dell’impianto. Collegò velocemente l’esplosivo (timer 2’) alle sue parti vitali sotto lo sguardo incredulo dell’unico guardiano presente. L’operazione fu compiuta senza uno sparo e l’esplosione, stranamente silenziosa, distrusse l’impianto e 18 serbatoi di di Acqua Pesante .
Il commando rientrò indisturbato alla base seguendo lo stesso impervio tracciato dell’andata. Sul posto, i giovani (media 25 anni d’età) lasciarono un mitra inglese Sten per convincere i tedeschi che l’azione militare aveva una matrice alleata evitando in questo modo feroci rappresaglie alla popolazione locale. Il successo ebbe grande risonanza e fu importante sotto il profilo psicologico in quanto la fabbrica si era dimostrata oggettivamente vulnerabile. Tuttavia, la produzione di Acqua Pesante riprese dopo soltanto una settimana. I tedeschi non erano ancora in grado di produrre l’importante moderatore della f.n. in patria, ma avevano previsto l’eventualità di sabotaggi in Norvegia. In breve, i componenti danneggiati arrivarono in volo dopo alcuni giorni dalla Germania e furono montati senza neppure intaccare la tabella di marcia della produzione. La posta in gioco era quindi sempre altissima e la sicurezza del mondo era ancora più in pericolo. Agli Alleati non rimaneva che l’ultima opzione, quella del bombardamento aereo che all’epoca era tutt’altro che chirurgico. Ma nessuno osava assumersi la responsabilità di mettere in gioco la vita dei civili che vivevano a Rjukan e che rischiavano di cadere vittime del fuoco amico. Le opinioni erano talmente contrastanti che fu necessario ricorrere allo stesso Re Haakon. Maturò infine la decisione di bombardare la fabbrica perché il sacrificio di pochi avrebbe salvato la vita di milioni di persone ancora libere nel mondo. La fabbrica era davvero difficile da bombardare e quando i piloti Alleati ci provarono, il 16 novembre del ’43, con 161 Fortezze Volanti (B-17), ne risultò un fallimento totale: 30 furono le vittime tra la popolazione civile di Rjukan che non era riuscita ad evacuare in tempo, e almeno 50 le abitazioni completamente distrutte. Per contro, i danni alla fabbrica furono irrilevanti, e diversi aerei alleati caddero sotto i colpi della Flak, per l’occasione rinforzata da una intera brigata, in quel limitato perimetro, peraltro minato. Nonostante il parziale successo difensivo, i tedeschi, ormai stressati dai continui attacchi portati alla fabbrica da ogni direzione, decisero di trasferire fabbrica e riserve di Acqua Pesante in Germania. Dopo la disfatta di Stalingrado, la guerra sul campo si stava mettendo al peggio per il Terzo Reich e Hitler aveva sempre più bisogno dell’arma atomica per shockare il mondo e capovolgere le sorti della guerra. La Resistenza norvegese scoprì il piano d’evacuazione tedesco e mise in allerta il comando alleato a Londra che diede l’ordine di distruggere il prezioso carico. L’operazione di sabotaggio fu affidata a Knut Haukelid che richiese ancora una volta l’assenso del Re Haakoon per dividere con tutti i norvegesi la responsabilità dell’eventuale morte di passeggeri e membri dell’equipaggio del Ferry HYDRO incaricato dell’operazione.

L’Acqua Pesante, stivata in barili d’acciaio, arrivò con il treno della fabbrica al terminale di Mael sul lago Tinnsjøn ed imbarcò sul ferry HYDRO. L’itinerario prevedeva l’arrivo a Notodden alla fine del lago, la partenza via treno per Oslo e l’arrivo presso una destinazione segreta in Germania. Ma la notte del 20 febbraio 1944 Knut Haukelid, con la scorta di un solo compagno, s’introdusse nella sentina del traghetto e piazzò diverse cariche d’esplosivo. Il timer, (due grosse e antiquate sveglie) funzionò alla perfezione. L’esplosione avvenne dopo 40 minuti dallo stacco da terra. Il traghetto s’inabissò di prua facendo scivolare in un attimo vagoni, barili, armi e persone. Un plotone di soldati tedeschi e quattordici civili norvegesi, tra cui alcuni bambini, persero la vita. Grazie al coraggio di pochi uomini, la produzione di Acqua Pesante di un anno andò irrimediabilmente perduta negli abissi di un lago profondo e sconosciuto. Hitler dovette rinunciare per sempre alla BOMBA ATOMICA. Tutti gli EROI DI TELEMARK continuarono la loro attività clandestina in Norvegia e sopravvissero alla guerra.



FRANCIA



Robert Brasillach un caso controverso



Tra le comparse e gli attori non protagonisti della guerra non possiamo escludere Robert Brasillach (Perpignano, 31 marzo 1909 – Montrouge, 6 febbraio 1945) uno scrittore, giornalista e critico cinematografico francese da molti definito un traditore da altri solo un uomo orgoglioso.
Riassumiamo per sommi capi la sua triste vicenda.
Molto conosciuto in Francia per le sue opere letterarie fu un grande sostenitore del Fascismo e del Nazionalsocialismo prima della guerra e poi durante il conflitto, dal 1937 al 1943 (con l'intervallo della prigionia tedesca dal 1940 al 1941 a seguito della chiamata alle armi e della sconfitta francese) caporedattore del settimanale fascista Je suis partout, nel quale diede espressione al proprio antisemitismo. Polemizzò non poco contro il Fronte Popolare francese, contro la Terza Repubblica francese ed espresse la sua ammirazione per il nazionalsocialismo.
Convinto della giustezza delle sue idee, Brasillach fu paradossalmente allontanato a causa della sua linea: fascista convinto, rivendicava un fascismo alla francese, che fosse alleato col nazionalsocialismo tedesco e non un semplice clone; pur favorevole alla vittoria della Germania, la giudicava sempre meno probabile e rifiutava di annunciarla pubblicamente come certa.

Ucciso per le sue idee

Dopo lo sbarco in Normandia, Brasillach si rifiutò di fuggire all’estero, nascondendosi nel Quartiere latino a Parigi. Nel settembre del 1944, essendo stata arrestata sua madre con l'accusa di collaborazionismo, si costituì alla Prefettura di polizia di Parigi, consegnandosi alle autorità per salvare l'anziana donna.
Brasillach fu arrestato immediatamente e rinchiuso nella prigione di Fresnes (attuale Val-de-Marne) dove attese il suo processo, che ebbe luogo nel gennaio del 1945 davanti alla corte di assise della Senna. Il giorno stesso fu condannato a morte dopo un processo durato venti minuti. Nei giorni che seguirono, una petizione di famosi intellettuali tra i quali Paul Valéry, Paul Claudel, François Mauriac, Daniel-Rops, Albert Camus, Marcel Aymé, Jean Paulhan, Roland Dorgelès, Jean Cocteau, Colette, Arthur Honegger, Maurice de Vlaminck, Jean Anouilh, Jean-Louis Barrault, Thierry Maulnier ecc., sostenuta anche dagli studenti parigini e molti accademici, implorò al generale De Gaulle la grazia per il condannato a morte. Il generale respinse la domanda. Alla lettura della sentenza una voce dal pubblico urla indignata: “È una vergogna!”. Calmissimo, Brasillach ribatte: “È un onore!”.Il 6 febbraio 1945 cadeva fucilato al Forte di Montrouge. Aveva appena gridato "Vive la France!". Uomo di pensiero e di brucianti passioni, poeta e romanziere, aveva dato intima adesione al Fascismo non tanto per la sua ideologia quanto per la poesia e il giovanile lirismo che in esso aveva trovato; e mai, nemmeno sul punto di essere condannato a morte soltanto per la sua idea, rinnegò quel che aveva creduto e quel che aveva amato. Dalle lettere scritte durante la prigionia, si evince come Brasillach auspicasse una possibile riconciliazione franco-tedesca, in chiave europeista e anti-americana.




Una storia quasi simile a quella di Brasillach ma con un epilogo diverso, fu quella di Jacques Benoist-Méchin (Parigi, 1º luglio 1901 – Parigi, 24 febbraio 1983) giornalista, storico, musicologo, uomo
politico e grande intellettuale del suo tempo.
La giovane età, unitamente al grande interesse per la cultura germanica e ad una vera e propria fascinazione per la figura di Hitler (nel quale riconosceva il federatore dell'Europa, secondo l'esempio di Alessandro Magno, all'indomani della conquista della maggior parte del continente) fecero di lui un collaborazionista. Prende parte attiva al collaborazionismo, al Ministero degli Affari Esteri. Ciò che gli vale un processo del 1947, condannato a morte, è graziato da Vincent Auriol e recluso a Clairvaux. È liberato nel 1954. Non è un paradosso, se il generale de Gaulle lo ammirava molto, nel 1944 farà ristampare Histoire de l'armée allemande: De Gaulle vede a giusto titolo in quest'opera la migliore comprensione della storia politica della Germania e dei problemi militari del secolo.

Michel Hollard un eroe sconosciuto a molti(1898-1993


Nell’Ottobre del 1943 un francese 45enne di nome Michel Hollard , che in un giorno imprecisato di quel mese stava attraversando il confine con la Svizzera come faceva spesso , portando in spalla un sacco di patate , espediente che gli dava l’aspetto di un boscaiolo , attento però a non essere individuato dalle pattuglie tedesche . In realtà quest’uomo basso e muscoloso era una spia degli alleati , ex disegnatore industriale che aveva fornito agli stessi alleati non poche informazioni importanti come per esempio aeroporti tedeschi segreti in Francia , batterie costiere , i piani per una base di U-boot a Boulogne , oltre ad aver segnalato il movimento di intere divisioni tedesche , e come detto aveva varcato la frontiera svizzera una cinquantina di volte .
Ma quel giorno portava con se una informazione di vitale importanza , al confronto della quale quelle precedenti erano quasi di minore importanza . In quel sacco di patate portava nascosto un documento che avrebbe salvato Londra dalla distruzione totale , abbreviando la guerra di molti mesi ; aveva infatti occultato una pianta delle basi di lancio della nuovissima e terribile bomba volante di Hitler , la cosiddetta V1 ideata con scopi molto diversi dagli scienziati Hermann Oberth e Wernher von Braun. Hitler ne voleva far arrivare 50.000 su Londra al ritmo di 5000 al mese . I preparativi erano rimasti segreti , le rampe di lancio erano state approntate con il duro lavoro di operai olandesi e polacchi che non parlavano francese , quindi non potevano rivelarne i piani , ed erano state ultimate in più di cento località . Nato a Epinay in Francia il 10 Luglio del 1897 , Hollard era sposato con Yvonne Gounelle e aveva tre figli . Quando la Francia capitolò durante l’invasione nazista , non sopportando la tirannia tedesca decise di offrire i suoi servigi all’Intelligence Service britannica . Gli inglesi dapprima furono scettici al riguardo , ma quando Hollard portò loro la relazione della sua prima missione , rimasero altamente impressionati e lo nominarono agente segreto con il grado di colonnello . Dopo la caduta della Francia , aveva lavorato in una fabbrica dove si producevano motori di auto alimentati a gas estratto dal carbone di legna prodotto al confine franco-svizzero . Durante un viaggio di lavoro nell’estate del 1943 , sentì casualmente due industriali che parlavano di strane costruzioni in allestimento col cemento armato . Trovata una carriola per il trasporto di materiale , si finse un religioso che voleva distribuire opuscoli ai lavoratori . Visitando molti siti in costruzione , con l’aiuto di una bussola tascabile controllò l’allineamento di alcune piattaforme , che si rivelarono tutte puntate in direzione di Londra . Ben 60 siti in cemento armato erano indirizzati verso la capitale inglese . Con astuzia un agente che aveva reclutato rubò un progetto da una tasca di una giacca incustodita del suo capo tecnico tedesco mentre era in bagno , che ricopiò e spedì a Berna in Svizzera . Successivamente Hollard lo fece pervenire a Londra . Il progetto si rivelò essere la cosiddetta V 1 , la bomba volante del Terzo Reich , che Hitler come abbiamo detto aveva intenzione di far lanciare su Londra in maniera massiccia . Nonostante Hollard non usasse la radio per evitare di essere intercettato , nel mese di Febbraio del 1944 fu tradito e cadde in una imboscata in un caffè di Parigi . La Gestapo lo arrestò e lo portò in un luogo segreto per interrogarlo , dove fu torturato , picchiato , affamato e immerso in acqua fredda. Ma con grande stoicismo Hollard non fiatò per non rivelare la sua rete spionistica , fu condannato a morte e successivamente graziato e imprigionato nella stiva di una nave mercantile che i tedeschi volevano affondare ; ma la nave fu bombardata dagli alleati e Hollard fu miracolosamente tra i pochi superstiti . Finalmente salvo, grazie a lui molte postazioni di V 1 furono individuate e distrutte dagli aerei inglesi e Londra si salvò dalla distruzione totale , grazie anche alla rete di spie francesi di Hollard che ne trovarono le dislocazioni . Alla fine del conflitto fu premiato come eroe di guerra con la Legion d’Onore francese e la Distinguished Service Order della Gran Bretagna da Winston Churchill . Questo “ quasi “ sconosciuto eroe della Seconda Guerra Mondiale è morto il 16 Luglio 1993 , alla veneranda età di 96 anni .

Nazzareno Torriani un italo-francese insignito in Francia della Croce Nazionale al Merito



Nazzareno Torriani nasce a Cattolica nel 1899.Famiglia socialista, egli stesso socialista. Il fascismo prende il potere ed il giovane si fa tatuare la falce ed il martello sull’avambraccio sinistro. Una sfida. Una sera, durante un ballo, dà uno schiaffo ad un potente capo del fascismo cattolichino. E’ l’ultimo atto di tanti affronti.
Viene messo sulla lista nera. Una squadra di Rimini viene incaricata di dargli una sonora lezione: gli volevano mozzare il braccio tatuato. La famiglia ed il suo destino gli giungono in soccorso. Il fidanzato della nipote, fascista, lo avverte e gli consiglia di scappare.Nazzareno Torriani lascia Cattolica senza una lira in tasca, destinazione: Francia. Valica la frontiera a Ventimiglia. Non trova lavoro al sud. Si dirige verso nord. Va nella regione di Lilla, zona di minatori. Si stabilisce in una piccola cittadina, Orchies. Sbarca il lunario alla meno peggio, vendendo fazzoletti ai minatori che escono dalle miniere. Il cattolichino sa appena leggere e scrivere, ma è lesto di mente e forte di spirito. Sposa una ragazza francese, Denise, dalla quale ha un figlio Paul, morto nel ’96 a soli 67 anni.
Lavora, acquisisce la cittadinanza francese; la sua posizione economica migliora. Durante la Seconda guerra mondiale, dopo che la Francia è stata messa in ginocchio dai tedeschi, parte volontario nelle forze alleate.

Viene fatto prigioniero e per via di quella falce e martello rinchiuso in un campo di concentramento tra i detenuti politici. Tenta la fuga due volte, la seconda è quella giusta.
Nel ’44 entra nel Comitato di liberazione nazionale francese. Nel dopoguerra lo vogliono candidare a sindaco. Ma l’uomo si schermisce: “So appena leggere e scrivere”. Fu Insignito della Croce Nazionale al Merito. Gliela appose sul petto Pierre Mauray, primo ministro Socialista.
Nazzareno Torriani, anzi “Toriani”, muore nell’agosto del ’92 a 92 anni. Sulla bara: il tricolore. La comunità che lo aveva accolto gli tributa grandi onori, per una vita eroica ed umanitaria.




continua.


Edited by Pulcinella291 - 25/3/2014, 09:47
 
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GRAN BRETAGNA



Bransome Burbridge 4 Febbraio 1921 un eroe abbandonato

Uno degli eroi più decorati della Seconda Guerra Mondiale, l’inglese Bransome Burbridge, ex pilota della Raf, ha scoperto a novantatrè anni che una nazione in crisi economica non conosce la parola riconoscenza. Burbridge, che abbattè la bellezza di ventuno aerei tedeschi tra il 1941 e il 1945 - nel cielo di Berlino, sopra la Manica, ovunque volasse il nemico - sarà costretto a vendere le medaglie ricevute dalla Gran Bretagna perché è malato di Alzheimer e i familiari non sanno come pagargli l’assistenza. Il figlio del leggendario comandante, come ha rivelato giorni fa il quotidiano «Daily Mail», scuotendo l’intero Paese, metterà all’asta anche il giubbetto con cui il padre si metteva ai comandi di un «Mosquito» per intercettare senza sosta i caccia e i bombardieri della Luftwaffe.
Vive a Dulwich, a sud-est di Londra, è stato considerato per decenni un monumento nella galleria d’onore dalla Raf e della cosiddetta Battaglia d’Inghilterra. La straordinaria attitudine al combattimento notturno gli valse, in coppia con il navigatore Bill Skelton, l’appellativo di «Night Hawk», Falco della Notte. Burbridge, uno degli assi dell’aviazione mondiale, era in verità un obiettore di coscienza profondamente credente, tanto che da giovanissimo era lettore della Bibbia nelle scuole. Ma nel 1941, a soli ventun’anni, occhi chiari, corporatura asciutta, sorriso aperto, decise di arruolarsi con una convinzione: «Combattere per il proprio Paese contro il male del Nazismo - disse agli amici - è il miglior modo per servire il Signore».
Ora, nell’ora del Suo bisogno, è costretto a vendersi le medaglie di guerra per pagare le cure.


Peter Townsend (22 novembre 1914 – Rambouillet, 19 giugno 1995)



Pilota aviatore, fu uno dei più capaci comandanti di Squadron della Battaglia d'Inghilterra, prestando servizio per tutta la durata dei combattimenti come leader del No. 85 Squadron RAF.
L'11 luglio 1940 Townsend, ai comandi dello Hurricane VY-K (P2716) intercettò un Dornier Do 17 del KG 2 e lo costrinse a compiere un atterraggio di fortuna ad Arras. Il fuoco di risposta del Dornier colpì il sistema di raffreddamento dello Hurricane: Townsend dovette ammarare venti miglia al largo della costa inglese e fu poi soccorso da un peschereccio d'altura. Il 31 agosto, durante uno scontro con dei Messerschmitt Bf 110 sopra Tunbridge Wells, Townsend fu abbattuto e ferito al piede sinistro da un proiettile di cannone che perforò il serbatoio del liquido di raffreddamento esplodendo nell'abitacolo. Mantenne il comando del reparto da terra anche dopo che questa ferita ebbe come conseguenza l'amputazione dell'alluce. Ritornò a volare operativamente il 21 settembre e, all'inizio di quel mese, aggiunse una "sbarra" alla sua DFC (l'equivalente di una seconda medaglia.
Nel 1944 fu nominato temporaneamente Equerry di Sua Maestà Giorgio VI. Nello stesso anno la nomina divenne permanente ed egli servì in tale posizione fino al 1953, quando divenne Extra Equerry, un incarico onorifico che egli conservò fino alla morte.
Il colonnello Townsend è più noto alle cronache mondane per la sua sfortunata storia d'amore con la Principessa Margaret. Malgrado la sua onorevole carriera non vi fu alcuna possibilità per lui di sposare la Principessa, poiché era divorziato, e la loro relazione causò un'enorme polemica ai primi degli anni cinquanta.

Nancy Wake (Wellington, 30 agosto 1912 – Londra, 7 agosto 2011)


Nata in Australia a 16 anni andò via di casa a lavorare come infermiera. Grazie ai soldi del testamento di una zia, viaggiò a New York, quindi Londra, dove imparò a fare la giornalista.
Lavoro' anche a Parigi.Nel 1937 conobbe Henri Edmond Fiocca (1898–1943), un industriale francese, che sposò il 30 novembre 1939. Quando la Francia fu invasa dai tedeschi vivevano a Marsiglia. Dopo la caduta della Francia negli anni 40, lei divenne messaggero per la Resistenza Francese e più tardi fece parte della rete di fuga del capitano Ian Garrow. La Gestapo la soprannominava il "topo bianco" per la sua abilità nel passare inosservata. La Resistenza Francese dovette essere molto attenta alle sue missioni visto che la sua vita era costantemente in pericolo e la Gestapo intercettava le sue chiamate e la sua posta.
Nel 1943 era la persona più ricercata dalla Gestapo, con una taglia di 5 milioni di franchi sulla sua testa. Quando la rete fu tradita, lei dovette volare via da Marsiglia. Suo marito rimase indietro e più tardi, all'insaputa di Wake, venne catturato, torturato ed ucciso dalla Gestapo il 16 novembre 1943.
Wake fu arrestata a Tolosa ma fu rilasciata quattro giorni dopo. Riuscì, al suo sesto tentativo, ad attraversare i Pirenei verso la Spagna.
Quindi raggiunse il Regno Unito ed entrò nello Special Operations Executive e nella notte del 29-30 aprile 1944 venne paracadutata in Francia, nell'Alvernia, permettendo il collegamento tra Londra ed il gruppo locale di maquisard, comandato dal Capitano Henri Tardivat. Lei coordinò l'attività della resistenza prima dello Sbarco in Normandia e reclutò nuovi membri. Comandò anche l'attacco all'installazione tedesca a Montluçon.
Dall'aprile del 1944 fino alla completa liberazione della Francia, i suoi 7000 maquisard combatterono contro 22000 soldati delle SS, causando 1400 vittime e subendo 100 perdite. I suoi compagni francesi, specialmente Henri Tardivat, ammiravano il suo spirito combattivo, ampiamente dimostrato quando uccise una sentinella delle SS con le mani per non fargli suonare l'allarme durante un raid.

Ospite di una casa di riposo per reduci di guerra da quando aveva subito un attacco cardiaco nel 2003 è morta nel 2011.

continua


 
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UNIONE SOVIETICA

Leningrado il sacrificio di una citta'



Quello di Leningrado fu un martirio inutile voluto da Stalin che fece troppo poco per salvare la città.
La gente muore anche al fronte e nei territori occupati», rispose a chi gli parlava della terribile odissea che si stava svolgendo nella capitale del Nord.
Le cifre ufficiali parlano di 632.253 morti su due milioni e mezzo di abitanti, ma si tratta solo dei decessi che furono notificati, escludendo perciò quelli avvenuti durante i caotici e drammatici tentativi di evacuazione, che fecero vittime fra vecchi e bambini (una colonna venne una volta indirizzata lungo una pista nei boschi che si considerava sgombra e aperta). Un'odissea durò dall'8 settembre 1941 al 27 gennaio 1944 durante la quale la popolazione fu sottoposta a sofferenze e sacrifi atroci.

Le riserve si ridussero ulteriormente. Il petrolio da illuminazione, già scarso, divenne introvabile, le vecchie stufe a legna, inutilizzate da tempo, furono rimesse in funzione nelle case e nelle fabbriche bruciando i solai smontati delle case bombardate. Per la fame, comunque, non esisteva alcun rimedio.


Cominciò la caccia agli animai randagi, cani, gatti, perfino topi, e i cavalli che cadevano morti dal freddo erano macellati sul posto. Nel gennaio 1942, al culmine della crisi, la razione giornaliera di pane era ridotta a 125 gr. ma era composto da tutto fuorché farina di frumento. La lista di quello che si mangiava era innominabile. Si recuperava anche fra i vecchi rifiuti.

In città le fabbriche belliche continuavano però a funzionare e a sfornare artiglierie antiaeree e terrestri. Continuavano a funzionare scuole, teatri. Qui Dmitri Shostakovich compose la Settima sinfonia, sinfonia “dedicata alla città di Leningrado”. Composta di getto - «con un unico tratto di penna» - nel caos drammatico dei primi mesi di assedio. I primi tre movimenti furono scritti a Leningrado, l’ultimo sugli Urali, dove il governo aveva fatto sfollare i principali artisti dell’Unione Sovietica. La Settima fu terminata in dicembre ed ebbe la prima esecuzione il 5 marzo 1942. Il 9 agosto 1942 la Settima risuonò anche a Leningrado, nella Sala della Filarmonica, mentre la città sotto assedio era ridotta in condizioni terribili. Con un viaggio avventuroso attraverso la Persia e l’Egitto, la Settima giunse anche a New York dove fu eseguita il 19 luglio dall’orchestra della NBC diretta da Arturo Toscanini. L’assalto alla città si era comunque spento perché Hitler aveva spostato la sua attenzione su Mosca ed anche per questo a Leningrado si continuò a soffrire la fame. I trasporti che potevano essere impiegati per Leningrado venivano dirottati per spostare da Mosca agli Urali gli impianti dell’industria bellica.
Nel solo anno 1942, Leningrado fu bombardata per 254 giorni, i militari tedeschi accerchiarono la città bloccando tutte le vie di rifornimento e la popolazione fu decimata dalla fame e dalle bombe.
Decidendo di assediare la città, invece, i germani speravano di poterla logorare poco a poco, con i bombardamenti, con attacchi locali, con continue azioni di pattuglie. Essi, poi, confidavano so/prattutto su una grande alleata: la fame.Ben presto il blocco l'avrebbe ridotta alla fame, le munizioni si sarebbero esaurite, lo spirito combattivo dei difensori si sarebbe affievolito. Leningrado, così, avrebbe dovuto chiedere la resa. « Leningrado alzerà le braccia senza che glielo si ordini. Presto o tardi cadrà. Nessuno la libererà. Nessuno potrà sfondare le linee che abbiamo costruito. Leningrado è condannata a morire di fame ». Così aveva detto Hitler e i suoi piani erano tutt'altro che infondati. Tuttavia il più grande amico della città assediata fu l'inverno. Non è un controsenso. L'inverno, col suo clima glaciale provocò infiniti, gravissimi disagi alla popolazione, che era rimasta senza combustibili, senza viveri, senza energia elettrica, miete vittime a migliaia, sul fronte e dietro il fronte, ma rese anche possibile la costruzione della famosa strada sul Ladoga. I tedeschi avevano raggiunto quella meridionale. La città, quindi, era serrata da ogni lato e solo attraverso il lago avrebbe potuto ricevere rifornimenti e aiuti. Però, durante la buona stagione, la via non era praticabile: mancavano barche, chiatte, lance armate.
Sul lago ghiacciato, era infatti possibile convogliare rapide colonne motorizzate, per portare in città quanto occorreva. Zhdanov fece quindi costruire, da migliaia di operai, una strada attraverso il Ladoga e, grazie a questo cordone ombellicale, Leningrado non solo ricevette i viveri e le munizioni indispensabili alla vita e alla resistenza, ma poté addirittura aumentare il suo potenziale bellico.

Così, per non essere riusciti a conquistare la sponda orientale del Ladoga, per non aver potuto completare l'accerchiamento di Leningrado, i tedeschi videro fallire il loro piano, basato sullo strangolamento della città, sul suo affamamento, sul suo esaurimento. Nel gennaio 1944 una decisa controffensiva russa riuscì a cacciare i tedeschi dalla zona sud della città ponendo di fatto termine al lunghissimo assedio.


Le donne di Leningrado


nella citta' assediata e martoriata, le donne, la maggioranza della popolazione, si ritrovarono a ricoprire il doppio ruolo di civili e di soldati, di lavoro nelle fabbriche di armi e nel servizio antiaereo e antinciendio.
Una figura important e di particolare risalto , fu quella di Vera Inberpoetessa e scrittrice.

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Durante la seconda guerra mondiale ha vissuto a Leningrado assediata dove il marito lavorava come direttore di un istituto medico. Durante tutta l'epoepa della città condusse una trasmissione radiofonica. Per sollevare il morale recitava le sue poesie dedicate all'eroica resistenza della popolazione di Stalingrado.

Le donne sovietiche nella guerra


La massiccia partecipazione delle donne russe alla Seconda Guerra Mondiale (intesa come prender parte direttamente ai combattimenti) è un'esperienza praticamente unica nella storia moderna.
Nel conflitto le donne sono intervenute un po' in tutti i paesi, ma generalmente la loro partecipazione è stata generalmente limitata a ruoli non combattenti anche se magari non esenti da qualche pericolo.

Il conflitto tra Germania e URSS invece vide presto le donne in prima linea. Va chiarito che l'esercito sovietico non le desiderava particolarmente, ma le condizioni della Seconda Guerra Mondiale erano eccezionali: per quanto fosse un esercito di proporzioni colossali e con armamenti qualitativamente non disprezzabili, l'Armata Rossa venne inizialmente travolta soffrendo perdite elevatissime, e questo permise all'invasione tedesca di penetrare in profondità. Si rivelò il carattere di guerra totale di questa invasione, che vide fin dall'inizio brutalità e stermini indiscriminati. Questo fu il principale motivo che spinse numerose donne a prendere le armi. Le necessità militari spinsero le autorità ad accettare questo contributo che, nella maggior parte dei casi, non era stato sollecitato.
Le donne parteciparono in tutti i ruoli: infermiere, addette all'artiglieria contraerea (ruolo che potrebbe sembrare non di prima linea ma ugualmente pericoloso), tiratrici scelte, spie, combattenti partigiane, carriste, equipaggi nelle navi, piloti di aerei da bombardamento e da caccia. Ovviamente non mancarono nella fanteria.


Le donne pilota sono state senza dubbio le più famose. Marina Raskova, pioniera dell'aviazione russa, ottenne da Stalin il permesso di organizzare le prime unità femminili da combattimento. La Raskova, che aveva una valida preparazione tecnica ma pochi collaboratori altrettanto esperti, si sforzò di trovare donne che avessero già esperienza di volo: qualcuna ce n'era grazie al Komsomol, organizzazione giovanile del partito, che fra le tante attività aveva insegnato il pilotaggio a molti giovani sovietici. Nacquero così le famose Streghe della Notte, unità di disturbo che volavano su piccoli biplani PO-2. Si trattava di aerei di legno il cui ruolo era stato quello di addestratori. Recuperati alla guerra, erano senz'altro robusti ma assai poco performanti.
Marina Raskova morì in un incidente ma molte delle sue allieve giunsero ad accumulare una quantità impressionante di missioni di bombardamento.
Altre donne pilotarono dei bombardieri più pesanti (PE-2) e ci furono pure le donne pilota da caccia. Sembra che il 13 settembre 1942 sia stato il giorno del primo abbattimento da parte di una donna, quando Lidya Litvyak

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ebbe la meglio su un asso tedesco presso Stalingrado (il poveretto non credette di esser stato abbattuto da una donna fino a che lei stessa gli descrisse com'era andato il combattimento).
Nell'agosto 1943 Lidya Litvyak venne abbattuta dopo aver conseguito 11 vittorie contro gli aerei tedeschi (più un pallone aerostatico). Per conferirle la decorazione di Eroe dell'Unione Sovietica il partito voleva conferma che fosse morta e non finita in prigionia. Facendo uso di testimonianze venne trovato il suo luogo di sepoltura (ai tempi di Gorbachev) ma non venne esumata. Pertanto rimane il dubbio (secondo altre fonti) che sia stata fatta prigioniera dai Tedeschi o che sia sopravvissuta in qualche modo alla guerra.
Le donne con competenze di macchinari e veicoli si trovarono spesso a guidare automezzi nelle forze armate. Dal momento che le forze corazzate mancavano di personale addestrato, le donne si trovarono presto anche alla guida dei carri armati. Irina Levchenko, il cui padre era stato vittima del terrore voluto da Stalin, passò da un ospedale per bambini a un'unità corazzata, dove le sue mansioni non prevedevano il combattimento.Respinte le sue richieste di passare alle truppe combattenti, persuase l'ufficiale che l'aveva rifiutata scoppiando a piangere e implorandolo. Questi allora acconsentì e fece in modo che la Levchenko ricevesse il certificato di idoneità fisica che avrebbe dovuto esserle rifiutato in quanto la donna, che aveva già ricevuto la prima di numerose ferite di guerra, era invalida. La Levchenko morì a soli 48 anni, dopo la fine della guerra; scrisse però delle sue esperienze.

Oktyabrskaya Mariya Vasil'yevna


vendette tutto quello che aveva alla notizia della morte del marito sul fronte. Con il suo denaro e le donazioni che raccolse, raggranellò il necessario per finanziare la costruzione di un carro armato e chiese di poterlo guidare. Nonostante fosse una donna di mezz'età, e di piccola statura, le fu concesso. Se la storia sembra un'invenzione di propaganda, considerate il fatto che il marito era un ufficiale politico e lo stesso nome di questa eroina era stato cambiato in onore alla rivoluzione di ottobre. Vista inizialmente con sospetto dai giovani carristi la Vasil'yevna riuscì a farsi onore in diverse battaglie. Nel gennaio 1944, uscendo dalla protezione del suo T34 per riparare un cingolo danneggiato dalle armi anticarro nemiche, venne ferita a morte da un'esplosione.

Le donne Russe aiutarono molti soldati italiani


Numerosi sono i racconti dei reduci in cui si parla degli aiuti che spesso i notri soldati ricevevano dalle donne russe. Vediamo qui qualche raccnto.
Viktoria Zavgorodnya una donna russa rivela l'esperienza di sua bisnonna.
Nel gennaio 1943 l’esercito sovietico ha sconfitto le divisioni italiane. Sopravvissuti, i soldati dovevano ritirarsi a piedi per sfuggire dalla campagna di Russia, in condizioni climatiche alle quali non erano preparati: neve alta, temperatura tra -35° e -50°, tante tempeste e vento gelido.

I soldati italiani avevano pochi mezzi di trasporto, i vestiti erano insufficienti per coprirsi dal freddo. Tanti giacevano nella desolata steppa russa, morivano dalla fame o congelati dal freddo, ma alcuni sono stati salvati dalle donne. Una di queste era la mia bisnonna, Vera Cernova, nata come me a Kharkov, in Ucraina.

Nei villaggi, allora, c’erano solo donne, curavano chiunque fosse bisognoso. Suo marito era militare e in quel tempo combatteva; lei era rimasta a casa con tre figli, tra cui mia nonna: Nina, Tonia e Pietro. Un giorno tre uomini italiani bussarono alla sua porta. Erano esauriti dal freddo, dalla fame e dalla lunga marcia. Erano magri e vestiti con indumenti leggeri.

Vera diede loro i vestiti del marito, li ha curati e, insieme alle vicine, raccolto cibo perché potessero mangiare. In tempo di guerra, c’era fame anche nelle città sovietiche. Dopo che si ripresero, continuarono il lungo cammino verso il ritorno in Italia.

Sono molto fiera della mia bisnonna e del popolo sovietico in generale, perché anche in tempo di guerra la maggioranza aveva il cuore generoso, pronti ad aiutare chi ne avesse bisogno. La guerra mette tutti sullo stesso piano.
la popolazione russa dei territori occupati dalle truppe italiane , ben presto s'era istintivamente accostata agli alpini; la gente d'Ucraina aveva trovato via d'intesa con gli uomini dalla penna nera e si mostrava larga di simpatia e di attenzioni verso quei ragazzi gioviali; offriva spontanea ospitalità nelle isbe e si intratteneva volentieri a conversare fino a tardi . Questo ci deve far riflettere sul fatto che la guerra è come elemento inutile di odio. Molte sono, infatti, le testimonianza dei pochi reduci che raccontano di episodi di solidarieta' con alcuni soldati russi, che soffrivano come lui la fame e il freddo. Questi hanno diviso il cibo con la famiglia che occupava l’abitazione in un clima di pace e serenità. Nella foto che segue una donna russa porge ai soldati italiani dell'acqua prelevandola da un pozzo


Riccardo Di Raimondo, 91 anni, siciliano, è uno dei pochi superstiti italiani della spedizione in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale. A distanza di 70 anni, racconta tutto in un libro fotografico,sottolineando in ogni passaggio la grande generosità dei russi nonostante fossero degli invasori."Soprattutto perché rivedevano in noi in fuga le sofferenze che potevano provare i figli impegnati in guerra. Non dimenticherò mai la coppia di anziani che salvarono la vita a me e un altro soldato della mia divisione che stava morendo per polmonite. Ci preparavano da mangiare, ci coprivano e piangevano. In lacrime per i propri ragazzi. Una sera incontrai una contadina russa che si accorse del principio di congelamento che mi stava colpendo: mi passò un po’ di neve sul naso. E poi mi ospitò a casa sua".
Poi un grande amore:racconta di essersi invaghito per una donna russa, per poi cedere alla legge della sopravvivenza:"La patria è la patria. Dovevo continuare a rappresentarla al meglio. E volevo tornare a casa mia, vedere i miei familiari, la mia Sicilia. E poi, mai sarei sopravvissuto: i russi non accettavano l’amore tra un nemico e una donna russa. Ci cercavano, saremmo stati fucilati entrambi. Ho pensato anche al suo bene. C’era il dolore del distacco reciproco, certo ma non si poteva fare altrimenti. Gli italiani erano ricercatissimi dalle donne russe. Un vero mito. Forse perché amatori o perché cercavano sempre di curare l’aspetto o per i modi gentili".
Continua






Edited by Pulcinella291 - 27/3/2014, 12:10
 
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ITALIA

Era 10 giugno 1940 quando il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano convoco’ i due ambasciatori inglese e francese a Palazzo Chigi per le ore quattro e trenta del pomeriggio. Li accolse in divisa di ufficiale dell’aeronautica, la stessa che aveva indossato durante la guerra d’Etiopia e consegno' loro la dichiarazione di guerra. Alle sei del pomeriggio di quel tiepido 10 giugno 1940 Mussolini rende partecipe il suo popolo, raccolto in tutte le piazze d’Italia. Grido' "vinceremo!" Molti , moltissimi acclamarono , pochi restarono in silenzio.Comincio' cosi' la triste avventura Italiana . E noi qui, ora, racconteremo alcune storie di coloro che, in quel momento particolare, si fecero trasportare dal clamore tonante e degli altri che invece restarono in un tetro silenzio.

Nella steppa russa


Nel 1942 sul Don, nei pressi di Staligrado, le truppe italo-tedesche cedono sotto l'urto dell'Armata Rossa. In una terribile marcia di ritirata sulla neve, dei duecentoventimila soldati italiani ne sopravvivranno meno della metà attori non protagonisti e semplici comparse di una pagina epica e controversa della nostra ultima storia di guerra, come un po tutte le campagne militari impegnate dal nostro esercito, in una guerra che non era degli italiani (ne cercata e neanche voluta).

Tra il 5 agosto 1941 e il 30 luglio 1942, il CSIR ebbe 1.792 morti e dispersi, e 7.858 feriti e congelati. Tra il 30 luglio 1942 e il 10 dicembre 1942, l'ARMIR ebbe 3.216 morti e dispersi, e 5.734 feriti e congelati. Per quanto riguarda le perdite durante la battaglia sul Don e la ritirata (11 dicembre 1942 - 20 marzo 1943), le cifre ufficiali parlano di 84.830 militari che non rientrarono nelle linee tedesche, e che furono indicati come dispersi, oltre a 29.690 feriti e congelati che riuscirono a rientrare. Le perdite ammontarono quindi a 114 520 militari su 230 000[39]. Andarono inoltre perduti il 97% dei cannoni, il 76% di mortai e mitragliatrici, il 66% delle armi individuali, l'87% degli automezzi e l'80% dei quadrupedi.Circa il destino dei dispersi, l'unico dato certo è che a partire dal 1946 vennero rimpatriati dalla Russia 10.030 prigionieri di guerra italiani (gli ultimi 28 prigionieri, tra cui il maggiore MOVM Alberto Massa Gallucci furono rilasciati nel 1954, a oltre undici anni dall'armistizio del 3 settembre 1943); è quindi possibile calcolare che 74.800 militari italiani morirono in Russia, in quattro distinte fasi: durante i combattimenti sul Don; di stenti durante la ritirata; durante le marce di trasferimento verso i campi di prigionia, le famigerate "marce del Davaj" (dalla parola usata come incitamento dai soldati russi di scorta) e i successivi trasferimenti in treno; e durante la prigionia stessa. Ripartire i caduti tra le diverse fasi è molto difficile: come dato orientativo e molto discusso, si parla di circa 50.000 italiani morti nei campi di prigionia, durante il viaggio per raggiungerli o, seppure in cifre inferiori rispetto ai soldati tedeschi, uccisi nei momenti immediatamente successivi la cattura, sorte che toccava in particolar modo a chi non era in grado di compiere la marcia verso i campi di prigionia (feriti, congelati gravi, ammalati).

Alberto Massa Gallucci (Napoli, 1905 – Napoli, 13 novembre 1970)
Primo comandante della Divisione corazzata Pozzuolo del Friuli, ricostituita nel 1955, reduce di Russia, ove combatté con il grado di maggiore in servizio di stato maggiore presso il Quartier Generale della 9ª Divisione fanteria "Pasubio", meritò la medaglia d'oro al valor militare e rimase prigioniero dei sovietici fino al 1954.Le motivazioni della medaglia:«Ufficiale di Stato Maggiore del Comando Divisione « Pasubio », distintosi per ardire in precedenti azioni, inviato in un settore reggimentale già intaccato per infiltrazioni di pattuglie avversarie, eseguiva instancabilmente, con 36 gradi sotto zero, continue sortite, di giorno e di notte, per raccogliere sicure informazioni, riuscendo anche ad avere ragione, con l’aiuto di due carabinieri, di elementi avversari. Con tale generosa e temeraria opera, dava apporto decisivo al ristabilimento della situazione, così da consentire successivamente l’inizio ordinato del ripiegamento da parte del reggimento. Il secondo giorno del ripiegamento, rimasto isolato dalla colonna cui apparteneva, alla testa di un reparto di formazione riusciva a guidare in terreno irto di insidie, fra popolazioni ostili, combattendo strenuamente contro agguerrite truppe fra le quali catturava anche prigionieri. All’imbrunire, in impari lotta contro mezzi corazzati, dopo aver reiterato altissime prove di valore, con la fede dei forti iniziava il tormentoso travaglio di undici anni di prigionia, durante i quali riconfermava le sue luminose doti di capo e di soldato, opponendo fiera resistenza a minacce, sevizie, punizioni e condanne. Dimostrava così che si può essere vinti materialmente, ma spiritualmente invitti"
Scrisse sulla sua esperienza bellica il libro No! Dodici anni prigioniero in Russia, in cui ricorda le terribili vicende della prigionia degli italiani in Russia, e, con particolare evidenza quella degli ultimi 28 prigionieri italiani rimasti prigionieri in Russia (tra cui il tenente Italo Stagno, morto a pochi giorni dalla liberazione) dopo il 1946 e fino al 1954.


Italo Stagno era nato a Cagliari nel 1902. È famosa la sua preghiera, imparata a memoria e riportata in Italia dal Ten. Medico M.O.V.M. Enrico Reginato suo compagno di prigionia.
Fu assieme all’allora maggiore Alberto Massa Gallucci uno dei maggiori esponenti dell’opposizione alla propaganda sovietica tra i prigionieri italiani. Morì pochi giorni prima di essere liberato. Il generale Alberto Massa Gallucci, una volta tornato in Italia si batté per la concessione al tenente Stagno di una medaglia d'oro per il suo contegno sia in guerra che in prigionia.

« ... Sono stanco
e occorre che vada
che trovi l'ultimo lido
prima che venga notte ...
Dammi, o Signore, la strada! »
Dopo aver frequentato la scuola allievi ufficiali di complemento, svolge nel 1937 il servizio come sottotenente nel 7° reggimento alpini. Alla sua conclusione rientra quale funzionario del Ministero delle Corporazioni a Roma fino al successivo richiamo per istruzione nell’ottobre 1939. Ripresa la sua attività professionale, è già una nota figura del sindacalismo nazionale, valente giornalista e deputato al parlamento, viene promosso al grado di tenente dal 1° gennaio 1940 ed il 2 ottobre 1941 è richiamato in servizio per mobilitazione. Assegnato a disposizione del reparto comando del 7° reggimento alpini divisione “ Pusteria ” che opera in Montenegro, lo raggiunge in zona di guerra. Rientrato in Italia nel giugno 1942 è trasferito al 1° reggimento alpini della divisione “Cuneense” e, assegnato al comando reggimentale, il 28 luglio parte per il fronte russo. Il 25 settembre è in linea sul Don. Con la grande offensiva russa del gennaio 1943, il 17 inizia con l’ordine di ripiegamento la tragica odissea. Nei giorni che seguono emergono le sue doti che lo vedono, con eroici slanci, battersi sempre alla testa dei suoi uomini. Dopo dieci giorni di marce forzate ed aspri combattimenti, il 28 gennaio a Valujki sopraffatto dopo disperata resistenza viene catturato. Inizia così il calvario della prigionia affrontata in ogni circostanza con fierezza e generoso altruismo nei campi di concentramento a Susdal, campo 171 a Kazan, campo 5 a Kiev. Subisce più volte punizioni quale organizzatore di clandestine S.Messe, per le aperte difese dei compagni colpiti da ingiustizie e illegali vessazioni e per aver sempre respinto come ufficiale la revisione del proprio passato. Più volte leva la voce sopra tutti per esortare e ricordare il giuramento e il dovere di essere degni della bandiera e della fede per la dignità e memoria dei compagni caduti. Fra il novembre e dicembre 1946 scrive due sublimi lunghe preghiere che ne raccolgono ed evidenziano tutto il nobile animo. Colpito da grave morbo viene internato al Wald-Lazaret dove muore il 24 settembre 1947. Alla memoria dell’eroico ufficiale viene decretata la medaglia d’oro al valor militare.

Don Guido Maurilio Turla



era nato a Sulzano in Provincia di Brescia l’11 ottobre 1910. Entrato nei frati minori cappuccini è ordinato sacerdote nel 1935 e dopo vari incarichi nei conventi di Albino e Sovere, nel gennaio 1941 viene assegnato quale cappellano militare al battaglione “Saluzzo” del 2° reggimento alpini divisione “Cuneense” che opera sul fronte greco-albanese. Durante questo periodo idea la Madonna degli alpini tradotta poi al rientro in Italia nel maggio 1941 in un significativo quadro. Questa immagine, consacrata dall’Ordinario Militare Mons. Angelo Bartolomasi, viene riprodotta su una cartolina ed una medaglia adottata da tutti gli alpini. Il 5 agosto 1942 riparte con il “Saluzzo” destinato al fronte russo, dove ancora si distingue come sacerdote e soldato meritando nel dicembre la medaglia di bronzo al valor militare. Con il forzato ripiegamento dal Don, inizia dal 17 gennaio 1943 il suo calvario con le marce forzate ed i combattimenti, prodigandosi verso i feriti e congelati a rischio della propria vita ed è decorato di croce di guerra. Il 28 gennaio cade prigioniero a Waluiki. Internato nel campo di Krinowaja, qui nel marzo 1943 compone la Preghiera del prigioniero in Russia. La sua opera di dedizione e carità verso il prossimo, ma anche di sofferenza, prosegue nei campi di Oranki, Susdal e Odessa fino al 9 luglio 1946 quando finalmente liberato rientra in patria. Minato nel fisico deve sottoporsi a varie cure fino all’aprile 1951 quando, sufficientemente ristabilito, è designato parroco nel centro termale di Boario. Qui si dedica in particolare alla realizzazione di un tempio dedicato alla Madonna degli alpini quale voto fatto in prigionia. L’imponente opera portata a termine nel 1957 viene inaugurata il 29 settembre dall’Arcivescovo di Brescia con l’intervento di numerose autorità civili ed i suoi mai dimenticati alpini. Le sue memorie legate alla prigionia, compaiono a puntate già nel 1946 su alcuni giornali, poi raccolte in un primo libro pubblicato nel 1948, quindi in un secondo edito nel 1964 dal titolo “7 rubli al cappellano”. La sua vita terrena si chiude il 17 maggio 1976 ed è sepolto nella cripta all’interno del tempio con il commosso saluto degli alpini che ne onorano la bella figura di cappellano militare.

I prigionieri dei russi


Tragica fu infine la sorte dei soldati italiani caduti prigionieri dei sovietici durante la battaglia sul Don. Dei circa 68.000 prigionieri, circa 20.000 perirono già durante le durissime marce a piedi verso i campi di detenzione per le carenze logistiche e organizzative sovietiche e per il brutale trattamento subito. Altri 27.000 morirono nei campi a causa di malattie e delle scadenti condizioni di detenzione; solo circa 21.000 fecero ritorno in patria nel periodo 1945-1947.

Questi prigionieri furono costretti a marciare per centinaia di chilometri e poi a viaggiare su carri bestiame per settimane, in condizioni allucinanti, senza mangiare, senza poter riposare la notte, con temperature siberiane. Coloro che riuscirono a raggiungere i lager di smistamento — improvvisati, disorganizzati, con condizioni igieniche medioevali — erano talmente denutriti e debilitati che le epidemie di tifo e dissenteria ne falciarono ben presto la maggior parte. Esausti dalla lunga e faticosa ritirata, condotta in condizioni climatiche avverse nel lungo inverno russo, lungi dal trovare presso i reparti dai quali venivano catturati, comprensione e conforto materiale, essi furono esposti al più inumano dei trattamenti. Depredati di tutto con sadica gioia (dagli oggetti preziosi, fino agli occhiali, al fazzoletto, alle foto delle persone care) quelli che scamparono alla immediata fucilazione al momento della cattura (quanti furono trucidati unicamente perchè portavano i gradi di ufficiali e quanti soltanto per essersi chinati a raccogliere una foto strappata e gettata via con disprezzo! ) privati degli effetti di corredo più idonei a proteggere dal freddo intenso, essi venivano ordinati in interminabili colonne che si allungavano tragicamente, lente, nella steppa bianca, durante giornate, durante settimane, spesso oltre la durata di un mese. Sovente le colonne venivano arrestate in aperta steppa ventosa e deserta, e bisognava spogliarsi al solo scopo di una ulteriore depredazione. Nessuna pietà per chi, privato delle scarpe, avrebbe dovuto continuare la marcia coi piedi avvolti in qualche straccio andando incontro al sicuro congelamento, o per chi, gia depredato del pastrano, privato della giacca, rimaneva con la sola camicia alla temperatura di 25-30 gradi sottozero. Di notte, luride stalle senza imposte erano il ricovero insufficiente di quei poveri relitti umani, costretti per intere settimane a dormire accovacciati l'uno contro 1'altro per mancanza dello spazio necessario a sdraiarsi. E quando la stalla c'era, era una fortuna. Perchè tante furono le volte in cui il bisognò dormire sul pavimento gelido d'una chiesa sfinestrata o sotto una semplice tettoia.
Per intere settimane, non un tozzo di pane. Persino le brave donne ucraine ben disposte verso gl'italiani che avevano imparato a conoscere, venivano spesso cacciate via in malo modo, quando si avvicinavano ad offrire un tozzo di pane o un po' d'acqua. Il personale di scorta era stato imbestialito dalla propaganda. E lo stato di esaurimento cresceva inesorabilmente. I feriti, i congelati, gli esausti, sempre più di frequente si abbandonavano su un ciglio nevoso del pesante cammino. E l'unico conforto che ricevevano era la raffica liberatrice di un mitra (1). Man mano che si procedeva verso i primi campi di raccolta (lontani centinaia di chilometri dal fronte) diventavano più frequenti quei corpi cerei, nudi, stecchiti, che dal ciglio fissavano con occhi vitreo il cielo. E più nessuno vi faceva caso. Si possono contare sulle dita di una sola mano coloro i quali, tra i superstiti, non sono venuti a contatto di tali tragiche scene. Fu questa la prima colossale falcidia. Ma ben presto seguirono le altre, quelle dei campi di smistamento: Krinowaja, Tambow, Miciurinsk.

Kaput yest?
Dove i sovietici superarono se stessi fu nel campo di Krinovaja. Furono buttati l’un sull’altro sani ed ammalati, ridotti ormai tutti larve di uomini, carichi di pidocchi, nei locali destinati ai quadrupedi di una grande caserma, in 27 nel box destinato ad un solo cavallo, senza paglia, senza luce, senza vetri alle finestre per fortuna scarsissime, senza alcuna possibilità di lavarsi, senza un locale destinato alla soddisfazione dei bisogni corporali, senza altra possibilità di attingere acqua che ad un pozzo, nel quale si trovavano i cadaveri di diversi militari ungheresi.
Languivano ed agonizzavano nel campo alcune decine di migliaia di uomini di diverse nazionalità.
Il vitto per gli ufficiali, consisteva giornalmente in un centinaio di grammi di pane di segala a forte coefficiente di umidità e pieno di scorie, ed in due gavettini con sì e no qualche buccia di patata; e, per i soldati, della stessa razione, distribuita ogni 4 o 5 giorni. Ben pochi ne uscirono vivi. In poco più di 30 giorni tra febbraio e marzo morirono in quel campo circa 27.000 uomini. La fame e la psicosi da essa determinata erano tali che negli ultimi tempi si ebbero a riscontrare tra i soldati diversi casi di antropofagia al giorno. Inutile parlare dell’assenza assoluta di ogni trattamento sanitario. Ne molto migliori furono le condizioni nei campi di Tambow e di Miciurinsk dove la mortalità raggiunse del pari cifre altissime.
Si giunge cosi al periodo delle epidemie, le qua1i in simili condizioni ambientali trovarono il loro terreno più adatto (tifo petecchiale, tifo addominale, dissenteria, e più tardi difterite) (2). In tali condizioni ebbe luogo verso la meta di marzo 1943 il trasferimento dai campi di smistamento a quelli di concentramento. Ed ebbe luogo soltanto per quelli che riuscivano a trascinarsi o ad essere trascinati da qualche compagno in stato fisico migliore, per i chilometri che separavano i campi dalle stazioni. Gli altri rimasero. E mai più nessuno ne ha saputo nulla.
In treno, oltre al tormento della fame, quello della sete. Davano un pezzo di pesce secco salatissimo e impedivano persino di scendere a prendere un pugno di neve. Ci si concedeva il ghiaccio che si formava lungo le pareti dei vagoni. E quanti hanno bevuto la propria urina! Si stava chiusi in 45 per ogni carro merci. Mancava, come sempre ormai da mesi, e cioè dal giorno della cattura, lo spazio materiale per stendersi. Tuttavia, giorno per giorno, un po’ di spazio si faceva. Ogni mattina, infatti, al saluto di prammatica del russo di scorta: “Kaput jest?” (E’ morto qualcuno?), la pesante porta di ciascun carro scorreva cigolando lugubremente sulla sua rotaia per lasciar passare almeno un morto.
Poi, finalmente, i campi. Tutti vedevano in essi la resurrezione. Quanti vi trovarono invece la morte! Una nuova marcia nella neve, spesso di decine di chilometri, a passo di corteo funebre. E nei campi, la moria, il dilagare delle epidemie, la pellagra, la distrofia, le polmoniti, le cancrene da congelamento. Rapidamente la zona dei “lazzaretti” si estese a tutti i singoli locali dei campi. E si chiamavano lazzaretti, non perchè là si venisse curati, ché mancava ogni più elementare mezzo di cura e di assistenza, dai medicinali al letto, ma perchè lì si moriva.
L'alimentazione, alquanto maggiorata, era sempre fortemente deficiente; negli ospedali si riceveva allora 400 grammi del solito pane nero immangiabile, 10 grammi di zucchero, due zuppe assolutamente liquide in cui galleggiava qualche pezzo di verdura, e pochi cucchiai di “cascia” (cereali bolliti). In compenso era sorto pero nei russi il culto dell'igiene, il quale si esauriva nel farci fare il bagno. Ogni pochi giorni gli infermi di qualsiasi malattia, e in qualsiasi stato, venivano accompagnati, seminudi, attraverso interminabili, gelidi cortili, spesso privi di sensi, e perciò barellati, al bagno. Ed il bagno mieté anch'esso le sue vittime. Quanti vi rimasero. E quanti morirono delle conseguenze!Comparse semplici comparse di questa immane tragedia.
Continua
 
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view post Posted on 31/3/2014, 14:17

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Racconto terribile e purtroppo vero.altrattanto drammatica fu la ritirata di quanti non furono fatti prigionieri.quelli che rientravano a guerra ancora in corso furono quasi tenuti nascosti per non raccontare la terribile disfatta e le condizioni di partenza.
 
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view post Posted on 1/4/2014, 07:44
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Pulcinella291 Forum

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Donna Rachele, la moglie contadina



Nasce a Salto, in Romagna, l'11 del 1890. Ultima di cinque sorelle, era di umilissime origini essendo figlia di contadini. Frequentò la scuola elementare dove incontrò per la prima volta Benito che, maestro elementare, sostituiva talvolta la madre, Rosa Maltoni. All'età di otto anni rimase orfana di padre: cominciò così per la sua famiglia un periodo di estrema miseria, umiliazione e fame.Si trasferirono a Forlì, dove Rachele andò a servizio in alcune ricche famiglie. Nel 1909, Benito convocò suo padre Alessandro Mussolini e la madre di Rachele, entrambi rimasti vedovi, comunicando loro che Rachele e lui avevano intrapreso una stabile relazione e, indicando la giovane con una rivoltella in mano, minacciò di uccidere lei e sé stesso se non avesse ottenuto il permesso di sposarla. In seguito, durante e dopo il ventennio fascista, convisse con Mussolini fin dal gennaio 1910 a Forlì e ne ebbe una figlia, Edda, prima del matrimonio, quindi illegittima secondo la legislazione dell'epoca. Fu registrata all'anagrafe come figlia di Mussolini e di madre ignota, anche se in alcune versioni storiche è il padre di Edda ad essere ignoto in quanto Mussolini non credeva nello stato e quindi non firmò all'anagrafe, contrassegnando il padre di Edda come ignoto.
Benito Mussolini sposò poi Rachele una prima volta con rito civile il 16 dicembre 1915 durante una degenza come ferito di guerra all'ospedale di Treviglio ed una seconda volta con rito religioso nel 1925, quando era ormai presidente del Consiglio.La coppia ebbe cinque figli:

Edda (1º settembre 1910 - 9 aprile 1995)
Vittorio (27 settembre 1916 - 13 giugno 1997)
Bruno (22 aprile 1918 - 7 agosto 1941)
Romano (26 settembre 1927 - 3 febbraio 2006)
Anna Maria (3 settembre 1929 - 25 aprile 1968)
Nata contadina e analfabeta, pratica e sbrigativa, donna Rachele raduna tutta la paccottiglia dei riconoscimenti ottenuti dal marito: le targhe, le coppe, le medaglie; ori e argenti che fa fondere per ricavarne il denaro con cui poi compra una «cucina economica. Era cresciuta a fianco del marito, pur tenendosi apparentemente al di fuori della politica e della società del potere fascista, ma un certo peso lo ebbe certamente.
Fu forse lei far cadere Leandro Arpinati, il pontefice nero,per essersi opposto a concedere la gestione delle Terme di Castrocaro al candidato voluto da lei stessa, Starace cadde perché lei denunciò al duce che in tempo di guerra mandava l' attendente a passeggiare i suoi cani al parco.
Detestava il genero Ciano (forse anche perché sapeva molte cose) e spietatamente lo volle morto, condividendo la mancata concessione della grazia, peraltro negata soprattutto dai tedeschi. Si sa anche che aveva una personale polizia, ossia una rete privata di informatori romagnoli, mezzo parenti e mezzo profittatori, i quali la tenevano al corrente di tutti i retroscena del regime; e non si capisce perché lo facesse, se i compiti da lei sempre rivendicati erano quelli di tirare la sfoglia, di allevare le galline a Villa Torlonia e di tenere unita una famiglia con un capo invisibile, deificato e puttaniere, una figlia ribelle e quanto a sesso presto postasi sulle orme paterne, anche lei per vendetta.Molte fonti concordano nell'affermare che Donna Rachele avesse un temperamento severo e autoritario, a volte anche più del marito, inoltre negli ultimi mesi del 1943 andava ogni sera a colloquio per due ore con Buffarini Guidi, ministro dell'Interno della Repubblica Sociale Italiana, chiedendogli più severità al fine di ristabilire l'ordine interno. Sapeva della relazione di suo marito con la Petacci che chiamava "quella donna "ma pare che avesse per lei una sorta di rispetto. Da buona romagnola dagli impulsi forti e dalle decisioni senza appello, capiva quello che Claretta aveva dovuto affrontare. E il fatto che, pur avendone la possibilità, non si fosse sottratta all’esecuzione, in una certa misura mitigava il suo risentimento.
Non una semplice comparsa,Donna Rachele , ma un'attrice non protagonista.


Claretta :la sua morte fu il riscatto di amore clandestino



Fu per molti ritenuta la puttana del duce, e , forse, senza quella morte cosi' atroce, sarebbe stata ricordata come una delle tanti amanti del dittatore, una bella , raffinata e giovane amante di un uomo molto piu' anziano. Ma l'essersi sacrificata assieme al suo amato Ben, mentre avrebbe potuto salvarsi, Claretta salvo' la sua figura e riscatto' la banalita' di un amore proibito. Senza il suo sacrificio, la Petacci sarebbe stata una comparsa manco citata nei titoli di coda del film della seconda guerra e nella Storia d'Italia.
Sarebbe passata quasi inosservata , ricordata, forse, per la sua lussuosa villa sulla Camilluccia , o per la scia di profumo che lasciava al suo passaggio, nulla piu'. Come dice il giornalista Mauro Mazza:"Quella morte per amore , solo per amore , la fece ingombrante e d’improvviso così grande, costituendo una vergogna per la memorialistica resistenziale ricordare che , insieme al dittatore, fu assassinata una donna senza colpa alcuna” Con quella morte, Claretta aveva dimostrato che il suon amore non era una buffonata e si era presa la rivincita sui gerarchi, che l’avevano sempre detestata , odiata , ritenendola un’intrigante e un’approfittatrice , una sorta di Pompadour in sedicesimo, corresponsabile di molte decisioni sballate del duce, mentre in realtà Mussolini non confidò mai nulla dei segreti di Stato alla propria amante , e le rarissime volte in cui lei intervenne in questioni politiche che non conosceva la zittiva bruscamente dicendole in modo assai poco elegante: “Clara, non dire coglionerie”.
Era riuscita ad avvicinarlo in una soleggiata giornata d'aprile , sul lungomare di Ostia, accompagnata dal suo fidanzata. Finalmente era riuscita a parlare a quell'uomo che lei riteneva, come tante donne di allora, un demiurgo, il salvatore di un'Italia uscita dalla prima guerra con le pezze al culo. Cosi' comincio' la sua storia d'amore e cosi' fini' tragicamente:






continua

Edited by Pulcinella291 - 2/4/2014, 08:53
 
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view post Posted on 2/4/2014, 16:02

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Interssante il confronto tra due donne tanto importanti nella vita del duce.donne importanti ma mai determinanti nelle scelte e decisioni politiche dell'uomo.
Non credo che Rachele abbia determinato la sorte di Starace.certo non lo sopportava.ma la storia dei cani ė una scusa.starace andava bene negli anni precedenti con le sue farse le sue parate di cartapesta.i saluti e le celebrazioni.quando si avvicina l'alleanza con la Germania nazista Mussolini opera un cambio di guardia e apre gli occhi sul segretario.
Rachele come giustamente ricordi,non era la ignara massaia rurale.col suo clan brigava,si informava,faceva pressioni sul marito.quando Mussolini torno a casa la notte del 25 luglio gli consiglio di farli arrestare tutti e di non andare dal re.ma lui non ascoltò.
Ritengo invece Claretta più ingenua e davvero innamorata.lei ingenua,non la sua famiglia,chiamati quella della Camilluccia,che di arricchirono ė trassero vantaggi.qualcuno pago con la vita.il fratello Marcello,catturato mentre scappava fu fucilato dai partigiani davanti ai figli e la compagna.
Claretta pago con la vita senza aver commesso reato alcuno.forse fu violentata dai partigiani.quando fu appesa a piazzale Loreto si vede una corda sulla gonna.era senza biancheria intima e un sacerdote,mosso da pena,legò la gonna per impedire alla folla inferocita e curiosa la vista delle nudità .
Ancora non sappiamo la verità sulla morte di Claretta e del duce.certo non è quella che racconta la storia ufficiale.sicuramente non ė stato Walter Audisio.
Ma questa è un'altra storia.
 
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23 replies since 19/3/2014, 09:24   8074 views
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