Le stronzate di Pulcinella

UNA BELLA NOTIZIA - 2 -, "Il mio desiderio di oggi" da Giovanni Keller

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view post Posted on 4/4/2014, 13:37
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Solo esigenze tecniche. Ho pensato che il vecchio thread con lo stesso nome
avesse ormai un numero troppo grande di pagine e quindi continuiamo qui.
Solo il secondo tomo di un grande volume che speriamo si arricchisca ancora per molto





IL VECCHIO THREAD LO TROVATE QUI https://pulcinella291.forumfree.it/?t=61126890
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Licola 4/4/2014





Il racconto-43



Don Antonio, girando per le case, chissà dove e quando aveva ascoltato una frase che quando qualcuno di noi stava studiando il latino, ripeteva a memoria storpiandola a modo suo, tanto che diventava incomprensibile: “Doatùs portatùs est militès ne fugiret” La sua conoscenza delle lingue comprendeva anche l’abissino, era stato infatti in Abissinia durante l’ultimo conflitto mondiale e ci raccontava che una volta aveva visto una donna che gli era parsa moribonda al che aveva chiesto ad un’altra donna li vicino: “ancì” che significherebbe donna “ morillo o non morillo?” e quella di rimando: “Morillo e non morillo”. Dopo un paio di giorni ripassò in quel posto e vide la donna malata in buono stato, seppe che l’avevano portata dallo stregone ed era guarita si affrettò quindi a congratularsi dicendo: “Ancì non morillo?!” e quella: “ Non morillo, non morillo!” Dopo questo racconto per rincarare la dose snocciolava una serie di suoni che ci spiegava erano i numeri in abissino: “amst, culàt, sost, aràt, .... sertéa, assertéa .....”

Don Antonio era un portento, non si limitava a farci ridere, ci faceva sognare col suo modo di raccontare che all’epoca non sapevamo ancora si chiamasse “affabulazione”.

Un giorno volle strabiliarci con le sue capacità fisiche e all’età penso di circa sessant’anni, poggiò le mani a terra e sollevati i piedi in aria fece qualche movimento sostenendosi solo sulle mani.

Il suo fare accattivante, la sua verve e la sua spontanea simpatia, facevano sì che accogliessimo con allegria le sue visite nonostante il taglio dei capelli che noi ragazzi non accettavamo tanto volentieri, un po’ per la frequenza ed un po’ perché si incominciava ad intravedere la moda dei capelli lunghi.




Anche queste esperienze hanno concorso a formare quel che sono. Un abbraccio a tutti. Giovanni
 
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view post Posted on 4/4/2014, 18:20
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Oggi Giovanni mi ha fatto ricordare un personaggio della mia gioventu' del quale domani, forse, parlero' .
 
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view post Posted on 5/4/2014, 10:35
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Licola 5/4/2014





Atmosfera



Nell'ombra della notte si ritorna soli. È l'ora che preferisco per viaggiare in bicicletta, al raggio delle stelle su la strada vuota, per la bianchezza della quale l'occhio vede da lungi sicuramente. Dove si corre?
Alfredo Oriani




Di Oriani sapevo che aveva dato il nome alla scuola in cui Pina ha svolto i suoi ultimi anni d’insegnamento e conoscevo la sua statua in una piazza di Faenza. Ora sono andato a cercarmi un po’ di notizie e mi è sembrata appropriata la collocazione della sua effige in una posto un po’ malinconico della cittadina romagnola che gli ha dato i natali. Gli artisti romagnoli sono maestri nella rappresentazione delle atmosfere e la frase di Oriani tratta dal libro di racconti “La bicicletta”, mi ha subito preso, quindi ho voluto proporvela.

Un abbraccio a tutti. Giovanni
 
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view post Posted on 6/4/2014, 12:00
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Licola 6/4/2014





Il racconto-44



Don Antonio, se non sbaglio, aveva tre figli. Un maschio ed una femmina in età di matrimonio e forse un’altra femmina più piccola. Il maschio si sposò mentre la femmina rimase nubile. Una volta ci raccontò che la figlia aveva baciato un loro conoscente ma ci tenne a precisare che l’aveva baciato guancia a guancia, “perché” disse “mia figlia non bacia”. Quando diventò nonno ci raccontò dell’avvenimento ma non riusciva a ricordare il nome del nipote, poi facendo uno sforzo e utilizzando la relazione logica tra nomi, disse: “Ah fabio ferraro. Sì si chiama Fabio.” Fuori la porta, sul ballatoio, mentre andava via e scambiava le ultime parole con papà, fece un forte starnuto a causa del quale gli sfuggì la dentiera che volo letteralmente al ballatoio di sotto. Don Antonio era imprevedibile, era capace di stupirci sempre. Dopo aver tagliato i capelli a tutti, prima di andar via faceva una partita a carte con papà. Non saprei che gioco facessero, forse una scopa o un tre sette, fatto sta che papà che non era assolutamente un giocatore accanito, ci metteva tutto l’impegno.

Quando penso a don Antonio, penso a noi ragazzi che facevamo i compiti, a mamma che lavorava a maglia o ricamava, Nina seduta al tavolo che faceva le parole crociate o si guardava in giro, penso al nostro quotidiano normale ed a questa persona che veniva a distrarci, a farci divertire, ad incuriosirci, a giocare con la sua cultura piccola e la sua vita grande, veniva e faceva il clown con la naturalezza di chi sta svolgendo la più normale delle attività. Voglio ricordare il volto raggrinzito di questo piccolo grande uomo quando provò la tintura imperiale, liquore di novanta gradi fatto dai cistercensi dell’abazia di Casamari: mentre parlava, d’improvviso tacque e, le guance risucchiate all’interno della bocca a causa della mancanza di alcuni denti, le labbra serrate e protese in avanti, un occhio completamente chiuso mentre l’altro era parzialmente aperto, cominciò a lacrimare. Ciao don Antonio forse ci rincontreremo.




Usiamo i nostri ricordi per riappropriarci del buono che abbiamo vissuto.

Un abbraccio a tutti. Giovanni
 
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view post Posted on 7/4/2014, 10:46
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Licola 7/4/2014





Misticanza



Un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, 1909


Elvira è stata scelta per realizzare l’opera da assegnare ad una figura di spicco del mondo della formula uno nell’ambito del “Trofeo Baldini”. Insieme al marito Alberto, ha progettato un oggetto in maiolica rappresentante un’auto da corsa di un colore rosso fiammante con gli scacchi bianco-neri della bandiera che viene sventolata a fine corsa. Ha una forma deliziosa, arrotondata, senza spigoli ma anche il disegno di un triangolo isoscele col vertice acuto rivolto in avanti che contiene in se tutta la carica della velocità, questa stilizzazione rappresenta la bellezza dell’auto-oggetto ma anche l’energia che nasconde in essa e i sogni dell’uomo sulla sua onnipotenza.
Ho quindi subito pensato alla frase di Marinetti che avevo da parte. Mi piace questa frase, si sposa bene con l’oggetto di Elvira ed Alberto. Ma Marinetti mi piace? Ed i futuristi? Devo dire che certo non mi piace l’ideologia che li ispirava e tanto meno l’esaltazione per le imprese belliche. Com’è che mi piace la frase di qualcuno di cui non condivido le idee? Devo però anche dire che mi affascina l’Iliade che certo osanna le gesta guerriere, mi piace la ricerca del bello nella realizzazione scientifica dei futuristi ed anche il loro ricercare l’arte nel gesto dell’operaio che stringe un bullone tra scintille e sferragliare di macchinari. Ho forse tendenze fasciste? Marinetti aveva forse tendenze comuniste quando esaltava la massa come elemento innovatore? Siamo impastati di tutto un po’. Siamo un’insalata mista: misticanza.

Un abbraccio a tutti. Giovanni
 
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view post Posted on 8/4/2014, 10:43
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Licola 8/4/2014





Il racconto-45



Alcuni mesi fa lessi ”Il tamburo di latta” di Gunter Grass. Oskar Matzerath, il protagonista, narra, tra l’altro, di fatti leggendari relativi alla nonna ed alle sue quattro gonne che indossava sempre una sull’altra. Oggi dal fondo della mia memoria, la figura di questa donna dalle tante gonne ha riportato un’altra figura di donna dalle molte gonne. Veniva, quando abitavamo ancora alla ferrovia, una contrabbandiera, una donna anziana che vestiva sempre di nero, portava le sigarette per mio padre e per mio zio Tullio ed una volta in casa cominciava a tirar fuori le stecche di Lucky strike da sotto le sue gonne e sollevando grembiuli, gonne , sottogonne, sembrava avesse un’infinità di strati tra i quali non so come fosse capace di trasportare tante stecche senza che ciò apparisse dall’esterno.

L’ago trasporta il filo che unisce i fatti di ieri ai fatti di oggi e, guidato da una mano che sa il fatto suo, ne fa un’unica stoffa così compatta da rendere impossibile distinguere i pezzi che la compongono. Oggi ho sessantasette anni e mezzo ma sono veramente lontano sessant’anni dal bambino di sette anni e mezzo che fui? Il piacere nel mangiare una frittura di pesce lo appresi allora e forse perché Nina mi diceva che piaceva molto a mio nonno Giovanni ed io oggi mangio con piacere il pesce ma col dubbio che se non fosse piaciuto a mio nonno, forse non sarebbe piaciuto neanche a me. Non basta una vita per svelarne i misteri.




Continua il lavoro di ricomposizione del mosaico andando a ripescare le vecchie tessere. Un abbraccio a tutti. Giovanni
 
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view post Posted on 9/4/2014, 18:33
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Licola 10/4/2014





Il racconto-46



L’undici febbraio del millenovecentottanta, nel primo pomeriggio, nella cucina di casa nostra sulla Domiziana, Delia, nel cadere da uno sgabello, si tirò addosso una pentola di acqua bollente, ustionandosi gravemente.

C’è un punto nelle nostre vite in cui tutto si accentra e da cui tutto parte, da esso si dipana la strada sciogliendosi come da un gomitolo in cui trova ragion d’essere; in questo grumo di energia c’è il fertile humus ricco del DNA della nostra esistenza. Se riusciamo ad individuare quest’inizio, siamo a buon punto sulla via della coscienza ma non basta, la conoscenza chiede di percorrere strade sconosciute e nuove, strade che spesso siamo costretti ad aprire avanzando come il rompighiaccio che si arrampica sulla banchisa per spezzarla e crearsi con forza e fatica il passaggio.



Il dolore è un grande maestro, non vanifichiamolo ma impariamo ad ascoltare i suoi insegnamenti. Un abbraccio a tutti. Giovanni


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Per quanto mi riguarda, quel giorno fu l'inizio di tutto.
 
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view post Posted on 10/4/2014, 10:59
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Licola 9/4/2014





Riempire



A riempire una stanza basta una caffettiera sul fuoco.
Erri De Luca


Ho sempre avuto la tendenza a riempire. Non mi piaceva il modo di dire di una mia amica: “Chiodo scaccia chiodo”, volevo aggiungere chiodi senza togliere i precedenti. Non volevo perdere niente. Nelle mie rappresentazioni grafiche, una volta tracciato il disegno provvedo a riempirlo. Nella casa in cui vivo, con un lavoro da antico egizio, ho provveduto a riempire una scarpata che c’era nel giardino. Riempire, occupare, prendere, è una catena che può imbrigliare l’esistenza. Bisogna decidersi a mollare di tanto in tanto e comprendere che forse non ci manca niente: “A riempire una stanza basta una caffettiera sul fuoco”. Un abbraccio a tutti. Giovanni
 
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view post Posted on 11/4/2014, 11:05
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Licola 11/4/2014








Le persone che amo





Le persone che amo


Vivono in un posto ben preciso.


A me non è dato conoscerlo


Ma quando ho bisogno di dare o ricevere amore


Seguo il filo che ci unisce ed ecco siamo insieme.





Riscalda l’animo incontrare le persone che si amano nei momenti in cui si vuol condividere un’emozione. In questi giorni di cambio di stagione le parole di comprensione e d’amore che mi inviate leniscono il mio mutevole umore.

Un Forte abbraccio a tutti. Giovanni
 
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view post Posted on 12/4/2014, 10:25
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Faenza 12/4/2014





Il racconto-47



Il mio primo vero maestro fu il professor Pollice. Lo incontrai all’età di sette anni nella scuola Giacomo Leopardi di Fuorigrotta. Dopo le vicissitudini dei primi due anni di elementari, iniziai con regolarità il mio corso scolastico che si protrasse fino alla fine con estrema regolarità e costanza. Sono stato sempre promosso a giugno, tranne al liceo classico quando ho portato a settembre una volta il greco e due volte il latino, all’università invece dei quattro anni, ho impiegato cinque anni per laurearmi. Un curriculum, per l’epoca, ritenuto regolare, come si diceva: senza infamia e senza lode. La costanza però c’era anche nel peso che sopportavo negli studi, mi mancava sempre qualcosa in più per esser ritenuto bravo a scuola, dovevo sempre essere aiutato, spesso da mamma ed a volte mediante lezioni private con altri insegnanti. Sono vissuto sempre nella convinzione di essere mediocre, in quanto inadeguato alle aspettative. Quest’opinione di me non sono certo di essermela scrollata di dosso, è radicata nel profondo ma la conosco, la guardo in faccia ed a volte ci gioco.

Il professor Pollice era un maestro all’antica, bonario ma severo, che sapeva accattivarsi l’attenzione dei bambini raccontando gli episodi della sua vita, era stato in guerra; teneva in riga la scolaresca e quand’era il caso somministrava punizioni. Avevamo, non tutti ma molti, un astuccio portapenne, era un parallelepipedo di legno con il coperchio formato da una striscia di compensato che scorreva in due binari ricavati nel legno dell’astuccio. I fortunati avevano un astuccio a due piani, una volta tirato il coperchio all’indietro, si poteva far ruotare la parte del parallelepipedo incernierata sul lato corto, in modo da scoprire il vano inferiore che raddoppiava la possibilità di stivaggio del portapenne. La striscia-coperchio di quest’oggetto veniva all’occorrenza usata dal maestro per distribuire le cosiddette bacchettate sul palmo della mano tesa. A volte è capitato anche a me ed a volte sono stato messo in punizione dietro la lavagna, una volta poi addirittura il maestro scrisse un biglietto a mio padre nel quale diceva che io ero stato discolo. Ricordo ancora quando lo consegnai a papà con fare compunto, consapevole che l’avevo fatta grossa, il vero errore lo commisi però quando chiesi: “ Che significa discolo?”.




È interessante osservare le opinioni che abbiamo avuto di noi stessi nel corso degli anni e paragonare il nostro giudizio di oggi a quello di ieri.

Un abbraccio a tutti. Giovanni
 
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view post Posted on 12/4/2014, 19:50

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Anche le tue parole spesso leniscono la mia sofferenza.
Grazie Giovanni,buona domenica
 
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view post Posted on 12/4/2014, 22:44
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le bacchettate sulle mani!... ne ho avute una sola volta in vita mia...
Non per colpa mia, solo per un errore... e me la cavai alla grande, meglio di come me la saprei cavare ora.

Ma mi fece bene, mi insegnò a campare meglio e mi è servito.

Grazie.
 
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view post Posted on 14/4/2014, 12:19
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Faenza 14/4/2014





Il racconto-48



Alla scuola Giacomo Leopardi si svolgevano una serie di attività che allietavano la mia esperienza di alunno. Erano attività parascolastiche di cui molte a sfondo sociale, oggi che esiste il Welfare attribuiremmo a questo dicastero lo svolgimento di queste attività ma esse non esistono più. Ogni settimana ricevevamo delle vitamine sotto forma di palline rosse saporitissime, noi bambini aspettavamo con piacere il momento in cui ce le distribuivano. Ogni giorno, a metà mattinata, un paio di noi eravamo incaricati di ritirare la refezione. Quando il maestro sceglieva anche me, ero contento sentendomi importante per l’incarico ricevuto; scendevamo in locali interrati già adibiti in passato ad uso cucine dove ci consegnavano un cesto con i panini, quasi sempre rosette, ed a turno dei formaggini o dei pezzi di cotognata o dei gianduiotti, anche detti per il loro confezionamento: formaggini a cioccolato; questi ultimi, ovviamente erano i più apprezzati e siccome la refezione spettava soltanto ai ceti più poveri, alcuni di noi che non ne avevano diritto, a volte, se eccedeva qualche razione speravamo di riceverla quando capitava il gianduiotto. A volte andavamo in palestra per controlli medici o per le vaccinazioni stabilite per legge. In un salone si svolgevano le proiezioni cinematografiche che costituivano un motivo di allegria e di svago e per noi che non avevamo ancora la televisione e raramente andavamo a cinema, era bellissimo vedere film e cartoni animati in bianco e nero. Un giorno ci fecero scendere per scegliere fra di noi quelli che avrebbero fatto parte del coro scolastico. Un maestro suonava una scala al pianoforte e noi, chiamati uno alla volta, dovevamo ripeterla con la voce; quando venne il mio turno dopo il primo tentativo fui immediatamente scartato. Ho dovuto aspettare l’età avanzata prima che la mia costanza fosse premiata e finalmente potessi cantare in un coro.



Ricostruire significa anche mettere le cose al posto giusto e comprendere quando c’è un vuoto e che cosa deve colmarlo.

Un abbraccio a tutti. Giovanni
 
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view post Posted on 15/4/2014, 10:14
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Faenza 15/4/2014





Riconoscimento



Così sempre corre il giovane verso la donna: ma è davvero amore per lei a spingerlo? O non è amore soprattutto di sé, ricerca d'una certezza d'esserci che solo la donna gli può dare?

-- Italo Calvino

"Il cavaliere inesistente"




Ci riconosciamo solo specchiandoci nell’altro. Da soli siamo inesistenti. Nella mia vita le mie azioni sono state confermate dagli altri e per giunta sempre attraverso gli altri ho conosciuto coloro che vivevano accanto a me. Una vita da autistico ci rende inesistenti a noi stessi.

Un abbraccio a tutti. Giovanni
 
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view post Posted on 16/4/2014, 18:36
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Faenza 16/4/2014





Il racconto-49



Così trascorsero i primi anni di scuola regolare e contemporaneamente imparavo il mio nuovo quartiere, quasi perdendo di botto la memoria delle vecchie strade, la nuova casa soverchiava la vecchia, il fascino del nuovo non lasciava spazio alla nostalgia per il vecchio. Tutto mi sembrava illuminato, tutto chiaro, bello; tranne via Cumana e via Leopardi, le altre strade, meno qualche isolata eccezione, avevano palazzi nuovi, abitati da famiglie giovani che portavano dai loro posti d’origine la voglia di un futuro ricco di aspettative, con figli che avrebbero dato loro grandi soddisfazioni, mentre loro si allontanavano sempre più dagli stenti passati e dalle paure dell’ultimo conflitto.

Incominciarono subito a radicarsi le nuove abitudini. La scuola era superaffollata, una volta capitai in una classe di settantadue alunni, e quando si decise di diminuire il numero di allievi per classe si dovettero fare i turni, prima due poi addirittura tre al giorno. Quando andavo a scuola dopo pranzo, Nina mi dava una mela che io avrei mangiato lungo la strada. Dopo i primi tempi andavo a scuola da solo, le strade erano tranquille ed il traffico pressoché inesistente. Scendevo da casa, uscivo dal cancello su via Fuorigrotta, giravo l’angolo e mi trovavo su piazza Italia, attraversavo i giardinetti, davo uno sguardo alla grande fontana circolare col suo alto zampillo che quando c’era vento copriva di vapore acqueo chi si avvicinava troppo, superavo quindi la due carreggiate ed il marciapiedi centrale del viale Augusto, percorrevo il vicoletto fino a via Leopardi e di corsa arrivavo a scuola, per un totale di sei-sette minuti. Lungo la strada avrei incontrato: nel vicoletto la latteria di Fortuna, in cui lavorava un ragazzino che stava nella mia stessa scuola e che un giorno mi diede un passaggio alla Leopardi sul suo carrettino spinto da una bicicletta, “o culurista” don Rafele in piedi all’ingresso del suo negozio con il viso sempre bianco di gesso ed un cappello in testa fatto di carta di giornale, il negozio del carbonaio col proprietario dal viso e le mani sempre neri di polvere di carbone, la cartoleria Sanghez in cui spesso mi fermavo a comprare matite o penne ed in seguito cartoline di monumenti, l’ultimo incontro era all’ingresso della scuola, a fianco alle scale d’accesso stazionava don Peppe col suo carrettino carico di giocattoli, figurine, palloni, trombette colorate e soprattutto una scatola piena di bustine, per cinque lire si poteva partecipare alla pesca e vincere il premio scritto all’interno della bustina estratta.




Il gioco ci aiuta a completare il quadro dei ricordi.

Un abbraccio a tutti. Giovanni
 
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