Le stronzate di Pulcinella

'on Peppe a 'o Museo

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view post Posted on 11/4/2014, 05:44
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‘On Peppe al Museo




Durante la guerra, Peppino aveva fatto la fame.

Come tanti, direte, ed avete ragione.
Ma per Peppino fu peggio che per tanti: io conosco tutta la storia e ve la posso raccontare, cercando di ricordare le sue parole che una certa brutta sera mi disse con gli occhi umidi e la voce ferma della disperazione senza alternativa … e forse vi dirò qualcosa anche di quella sera … poi vediamo.

Aveva fatto la fame, Peppino, ed il ricordo di quei giorni si incise nella sua memoria di bambino ancora vuota ed assorbente; quel pezzo di memoria che dovrebbe riempirsi di stupori, di gioie, di sogni, di coccole della mamma. Invece, Peppino la mamma la perse, in quei giorni.
Lei morì senza spiegargli il perché, e se la portarono via per sempre, fredda ed immobile, quegli uomini neri e gentili ma fermi, che non ci fu modo di fermarli.
E la cosa peggiore è che mamma non gli aveva detto perché andava via … lei che diceva sempre tutto, e gli parlava del fratellino che sarebbe arrivato dopo gli americani, e che avrebbe giocato con lui e mangiato tutti i giorni, che ci sarebbe stata abbondanza di ogni cosa…

Ancora peggio del peggio… o chissà invece l’unica fortuna, furono le parole che biascicò commare Emma ad una vicina durante la veglia funebre e lui carpì involontariamente:
«maledetti!... l’hanno lasciare morire di fame…».
Udì, Peppino, e fece il suo giuramento; quei giuramenti che resistono per sempre, perché incisi nel cuore vivo di un bambino, che ancora è uomo d’onore:
«la fame, lui non l’avrebbe fatta mai più!».
Cosa comportasse il giuramento ovviamente Peppino non lo sapeva, ma è irrilevante. Un giuramento vero non scende a compromessi.

La sua occasione arrivò presto, quando il “Dodge” telonato americano fu fermato da una scheggia di cannonata nel motore e prese fuoco.

Scapparono via tutti, compresi i soldati, paurosi che in quella via stretta e coi palazzi pericolanti intorno scoppiasse il serbatoio della benzina e facesse una strage.


Scapparono via tutti, ma non la banda di “scugnizzi” del vicolo attenti ad ogni piccolo espediente di sopravvivenza, e subito, incuranti del pericolo, si buttarono al saccheggio del mezzo in fiamme … che pietoso verso di loro non esplose.

Peppino era fra i più piccoli e fra gli ultimi arrivati, nella banda; ci si era aggregato dopo la morte di mamma, ma ebbe comunque la sua parte di bottino: una cassetta di legno nemmeno troppo pesante, che le sue braccia piccole riuscivano a reggere grazie alla disperazione.
Una cassetta di legno coperta di simboli strani ed incomprensibili scritte.

Comunque qualcosa; qualcosa americana, perciò certamente nuova e preziosa.

La nasconde, Peppino, la cassetta, sotto il letto dove dorme, nel sottoscala del palazzo dove aveva vissuto con mamma, ed adesso gli lasciano occupare per pietà.
La aprirà stasera, quando il portone è chiuso e non ci sono sguardi indiscreti e per ora fa la guardia, sogna, e prega:

«Angelo Custode, Gesù, fa che dentro ci sia un tesoro … io non l’ho rubata … quella è bottino di guerra … fa che ci sia un tesoro, quello che vuoi tu, che mi basti finché divento grande, e posso andare anch’io a fare la guerra …»

I tesori, voi lo sapete tutti, sono come i doni del Cielo.
Il loro valore sta in quanto uno li sa apprezzare. Se sai dire grazie, il tuo tesoro è grande, se sei ingrato rimarrai comunque un pezzente, anche se affogherai nell’oro.

La parte del bottino preso alla fureria americana e toccata a Peppino era il rifornimento di corameria del battaglione alleato. Stringhe, lacci di cuoio, tacchi da scarponi anfibi, bullette, lunette d’acciaio e di gomma, mezze piante, solette, guicce, rocchetti di refe, lesine, trincetti… un assortimento completo … praticamente un mezzo negozio!

Il bambino Peppino era un bambino del suo tempo, mente fulminea e spirito di iniziativa da vendere, oltre la capacità di arrangiarti, altrimenti puoi considerarti morto.

Il “carruociolo” di ieri, il povero giocattolo di quattro cuscinetti come ruote e la cassetta da imballaggio come scafo, protagonista di tante corse gioiose ora ha mutato funzione: a sostenere la provvidenziale cassetta di accessori da ciabattino è diventato strumento di lavoro, carretto da ambulante prima, e poco dopo negozio semovente. Il tempo degli spassi è finito, ora si lavora, siamo in commercio!

Era il 1945; Peppino aveva otto anni.

Subito ha scoperto che per il suo lavoro è più proficuo stare fermo in un posto che non girare per i vicoli a dare la grida. Quando la scarpa si rompe, la gente vuol sapere dove trovare il ricambio giusto ed andare a colpo sicuro, non andare in cerca del negozio.
Il posto va cercato con cura, e ce n’è uno ideale a via Pessina, vicino a Museo Nazionale.

Lì c’è un balcone basso e parecchio sporgente, un abuso edilizio di quando di abusi edilizi non si sapeva ed ognuno aggiustava casa sua come credeva, giusto sullo spazio libero fra due vetrine di negozi d’abbigliamento e telerie.
Poco più di due metri di muro pieno, ma più che sufficienti per il carrettino di Peppino, e li non ci piove, quando piove dritto e c’è anche un poco d’ombra, quando il sole picchia in alto.
In più e meglio, e questo rende strategica la posizione, a due passi ci sono le salite ripide di Salvator Rosa e Santa Teresa degli Scalzi … e la gente prima di arrampicarsi, non se la da una controllatina ai lacci delle scarpe?...

Non si arricchirà mai, Peppino, col suo commercio, lo sa bene, e forse mai una volta ci ha pensato, ma lui è li, tutti i santi giorni, a lucrare centesimo sopra centesimo, e poi lira dopo lira, e centolire dopo centolire…:

«Si, lo so, signora, che i lacci so’ aumentati dalla volta scorsa, ma quella è colpa della moneta svalutazionata, io che ci posso fare?… e menomale che vui i lacci ve li sapete far durare…».

Passano gli anni e Peppino riesce a tirare avanti, sempre saltando qualche pasto, ma poi mica tanti!... ed un poco di dieta fa anche bene a chi si muove poco.
E riesce anche a costruirsi una bacheca fissata al muro del palazzo, a metterci una porticina con la chiave, a trasformare la porticina in una vetrinetta apribile, ad ingegnarsi un banchetto estraibile dalla parte bassa della struttura…
I capelli cominciano ad ingrigire, il nostro Peppino, ormai diventato ‘On Peppe al Museo, non arriva più al mattino con il suo carrettino sgangherato.
Ora ha le chiavi ed “apre il negozio”, quella specie di meraviglia di ingegneria ed inventiva che da un anonimo parallelepipedo di legno ed alluminio che si vede di notte, quasi d’incanto si trasforma in un fornitissimo emporio calzaturiero… perché per il suo settore “Da ‘On Peppe al Museo si trova tutto!” Merito della tigna di una determinazione infinita.
L’occasione donata dal Destino va onorata con la perfezione!

In tanti anni di attività, quest’uomo grigio e deciso non ha mai avuto un tentennamento, mai un dubbio sul suo destino; s’è accontentato del poco, non ha mai cercato di fregare nessuno, si è fatto benvolere da tutti. E quando al mattino dal negozio di telerie gli viene restituita la sua seggiola, lì custodita per la notte ‘On Peppe non lesina ringraziamenti, come per aver ottenuto un grande favore.

Quel negozio originale, quel capolavoro d’ingegno partenopeo lo conosciamo tutti, perché non è cosa che passi inosservata, perché è sempre lì, da sempre, sempre aperto, perché ci sarà certo capitato di comprarci qualcosa ricavandoci gratis anche cortesia, una parola gentile, un complimento …

Una volta lo fecero vedere anche in un film ma non ricordo il titolo, e ‘On Peppe al Museo ebbe anche il suo attimo di gloria sugli schermi dicendo un paio di battute.

E fu anche considerato dalla camorra, per l’inevitabile pizzo … un dovere per tutti!... ma per lui importo ridotto, grazie alla simpatia ed alla cortesia.

Pagare qualcosa per poter lavorare è anche sopportabile, anche in cambio della protezione per non vedersi sfasciare l’attività, e ‘On Peppe al Museo accettò anche quello senza lagnare.

Purtroppo però i tempi cambiano, e la civiltà avanza!... e recentemente la nuova Giunta Comunale, ed il nuovo Sindaco hanno pensato che anche per Napoli è giunta l’ora di una nuova verginità!... occorre che venga depurata dei troppi abusi perpetrati, degli illeciti accumulati negli anni e colpevolmente lasciati cronicizzare…

«Per esempio, quel vecchio che sta a via Pessina ad ingombrare il marciapiede ed abusare delle pubbliche mura per attaccarci le sue cianfrusaglie …, si quel certo “ ‘On Peppe al Museo “ pare che così si faccia chiamare … ma la regolare licenza al commercio, ce l’ha?... e nemmeno la licenza come ambulante?... e come fa a stare lì?...
Occupazione di suolo pubblico! lo si multi severamente, e lo si faccia sloggiare!... cominciamo a dare degli esempi concreti, a che la gente capisca che la pacchia è finita, e che finalmente anche Napoli diventerà una città degna di questo nome!...»

Continua a parlarmi, il vecchio canuto, da qualche giorno piegatosi improvvisamente come una canna spezzata, e senza più la fierezza negli occhi che gli ricordo da sempre… ma nemmeno adesso, si lamenta della sua condizione.
Sta solo raccontando un fatto, testimoniando una sconfitta.

« Hai capito, guagliò?... tu mi conosci da sempre, a te lo posso dire. Hanno tricato parecchio, li ho fatti sudare… ma alla fine hanno vinto loro, come con mammà, che di forza ne aveva più di me … hanno vinto loro, i maledetti. Adesso, possono far morire di fame pure a me …»

Una lacrima scende lenta su quel volto fermo di uomo, e mi viene da pensare che non sia una lacrima sua; non so immaginare ‘On Peppe al Museo che piange.
Forse è solo un Peppino che presta gli occhi alla mamma che lei non ha più i suoi.

Questa camera bianca di Ospizio mi sembra troppo piccola per poter contenere una così grande determinazione, tanta fedeltà ad una parola, tanta dignità.


Lucio Musto 30 gennaio 2013
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view post Posted on 11/4/2014, 19:30

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Proprio bello.
Una grande testimonianza
 
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view post Posted on 11/4/2014, 20:58
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Tu potresti ricordarlo, venticinque,ventisei anni fa c'era ancora!
 
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Mamma mia che bel racconto, quanta saggezza e pucundria nelle sue parole, mi avrebbe piaciuto assaie conoscere a questo Peppino, grazie per condividere con noi questa storia nonno Lucio!
 
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Grazie a te, Mirella!...
Ci sono persone che incontriamo per le strade della vita che ci insegnano un sacco di cose!... non ce ne rendiamo conto, ma sono doni preziosi, che andrebbero conservati e ricordati... alla fine sono loro che formano la nostra saggezza!
 
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CITAZIONE (Lucio Musto @ 12/4/2014, 20:11) 
.. alla fine sono loro che formano la nostra saggezza!

...e quanto è vero quello che hai detto carissimo nonno, quanto è vero :)!
 
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view post Posted on 13/4/2014, 00:51
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"Forse è solo un Peppino che presta gli occhi alla mamma che lei non ha più i suoi."

Ho ragione
quando dico che l'arte tua
è poetare.
E' da pochi la capacità
di far migrare gli occhi di Peppino
nelle orbite della mamma
per nascondere le lacrime
di un uomo che "alla fine"
è costretto ad arrendersi.
Complimenti!!!!!

 
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view post Posted on 13/4/2014, 05:19
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grazie Sefora. Mi sento lusingato
 
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view post Posted on 13/4/2014, 06:43

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Sefora si ė espressa in modo splendido.condivido e sottoscrivo.
No,Lucio non ricordo Peppino,frequentavo Napoli e università in quel periodo,ma non quella zona che in effetti conosco molto poco
Quando un vecchio se ne va si porta via un po' di storia ,quella grande e quella piccola,fatta da tutti coloro che gli sono passati accanto e hanno preso e lasciar qualcosa.Ho conosciuto tanti Peppino e mi sforzo di ricordarlo,ma andranno via con me.
 
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