Le stronzate di Pulcinella

i ricordi del sud:l'uomo dalla nascita alla morte nelle tradizioni popolari

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view post Posted on 26/4/2014, 10:32
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Pulcinella291 Forum

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Parleremo qui del percorso della vita dell'uomo nella tradizione popolare del nostro Sud, tradizioni che sono quasi oramai scomparse, ma che conservano, comunque , un proprio fascino .
Parleremo di alcune vicende della vita popolare nella storia e cultura del nostro Meridione. Dalla nascita del bambino e alla sua infanzia e crescita, alle nozze e al matrimonio, alla morte e alle tradizioni per il lutto.

Il parto


Avveniva in casa e le puerpere erano assistite dalla mammana che era una figura tipica della cultura contadina meridionale .
Già nel nome la mammana richiama la maternità, in effetti era colei che aiutava le donne gravide a partorire. La mammana non era una vera e propria ostetrica: non aveva titoli di studio né corsi di formazione alle spalle. Era solo una donna ormai esperta che si assumeva l’incarico di aiutare le gestanti del paese, peraltro non richiedendo nulla in cambio (anche se spesso avveniva che le famiglie stesse la ripagassero con qualche bene di consumo: una gallina, ortaggi, ciò che si potevano permettere).
S’incaricava di far bollire l’acqua, utile alle abluzioni della mamma e del figlio, a bagnomaria per sterilizzarla; portava sempre con sé panni, forbici e garze; ripuliva il bambino dal liquido amniotico (che, se dava al pargolo un colorito giallognolo, si diceva fosse “nato con la cammisa”, letteralmente significa "è nato con la camicia" cioè fortunato), di solito l'affermazione era dovuto al fatto che il pargolo fosse nato con la placenta..Dava anche importanti indicazioni alle madri, come quella di mangiare per tre giorni dal parto solo brodo di pollo, per evitare febbri e per avere latte buono. Poi, però, la figura della mammana venne scomparendo, lasciando il posto alle ostetriche condotte.
Il parto veniva aiutato dalle astanti, di solito madre, suocera e qualche cognata sposata con preghiere e invocazioni a particolari santi, quali, oltre Sant'Anna, S. Nicola e S. Francesco di Paola.
Nella sfera della religiosità popolare rientravano, invece,"o sacchetiello o vurzella" contenente un'immagine sacra o una preghiera, un involucro di pezza che si attaccava al collo del neonato.

Il battesimo



Una volta avvenuto il parto, ovviamente fatto in casa alla presenza “tla mmammara” (la levatrice), si organizzava immediatamente il battesimo. Non erano i genitori a portare la creatura in chiesa, ma il padrino e la madrina scelti dai genitori, con i quali venivano stabiliti legami affettivi duraturi. Era comunque usuale scegliere “'o cumpare e 'a cummare” tra coloro che occupavano posizioni importanti nel paese appartenenti al mondo dell’arte, della cultura, della medicina, della religiosità e in particolar modo della loro posizione benestante e l’elevato ceto sociale. Quando non si riusciva a trovare qualcuno era sempre “la mmammana” a sacrificarsi come madrina, insieme a qualche parente della coppia, come padrino. La scelta del nome non era difficile come oggi, perché seguiva un iter prestabilito: Primogenito = si doveva chiamare come il papà del marito; Primogenita = si doveva chiamare come la mamma del marito; Secondogenito = si doveva chiamare come il papà della mamma; Secondogenita = si doveva chiamare come la madre della mamma. Al primo nome ne veniva aggiunto un secondo che generalmente scaturiva da motivi affettivi oppure per mettere sotto la protezione di un santo il neonato.
La levatrice con il compare e la commare) portavano il neonato fino al fonte battesimale e lo reggevano col braccio destro, se maschio, sinistro se femmina e chi lo reggeva non doveva mai voltarsi indietro altrimenti la creatura poteva crescere paurosa. Finito il battesimo, si ritornava in casa, dove la mamma insieme agli altri parenti aspettava con ansia la propria creatura; la madrina formulava quel rituale purtroppo oggi scomparso “tu me l’hai dato pagano e io te lo porto cristiano”. L’avvenimento si concludeva con un piccolo rinfresco fatto di rosolio e taralli annasprati .

Cresima e Comunione



In passato era usanza vivere i due momenti (cresima e Comunione) nello stesso giorno, mentre oggi il rito dell’Eucaristia si compie quando il bambino ha circa 10 anni, mentre quello della Cresima (che viene anche chiamato sacramento della Confermazione) è previsto quando il ragazzo ha circa 13 – 14 anni, proprio per distinguere nettamente i due riti di passaggio dell'infanzia e della prima giovinezza.


Continua

Edited by Pulcinella291 - 26/4/2014, 19:22
 
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view post Posted on 27/4/2014, 10:03
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Il fidanzamento nella tradizione popolare del sud


Guardare per strada un giovane, per le ragazze del meridione, era un tabu'. Dovevano sempre mostrasi morigerate poichè al benchè minimo tentativo di indipendenza o di ribellione , sopratutto in ambito amoroso, venivano picchiate da genitori e fratelli. Dovevano poi dimostrare, sopratutto nei piccoli borghi, di saper essere perfette donne di casa :" “Se una ragazza non scopa bene la casa e lascia qua e là l’immondizia, dovrà sposare un giovane tignoso”.
Non era facile a quei tempi agganciare la promessa sposa.
Spesso passavano anni prima di annunciare un fidanzamento. Anni fatti di sguardi furtivi, di pedinamenti quando si andava a messa e di passeggi sotto balconi e finestre. Se in famiglia c'era gia' una promessa sposa non poteva entrare in casa un altro legame sentimentale.


Il posto più tranquillo per adocchiare l’anima gemella, in quei periodi, era il luogo in cui la domenica i fedeli si riunivano per ascoltare la Santa Messa. Perché le fanciulle non potevano uscire nei giorni settimanali, a meno che non erano obbligate per incarichi come spesa e compiti vari, sempre sotto stretto controllo. Erano dedite alle faccende domestiche o nei campi ad aiutare i genitori. Insomma, mai sole.


Solo sguardi erano permessi, pigli rubati che duravano istanti. Lei tentava di fuggire alle attenzioni, -mai guardare negli occhi un uomo, glie l’avevano inculcato sin da bambina- cercava, piuttosto, di abbassare lo sguardo per non incontrare quell’espressione che la divorava, ma che incominciava a segnare momenti memorabili.
Insomma a quei tempi non era facile che due giovani avessero occasioni per incontrarsi e conoscersi. La donna usciva raramente da casa e quando lo faceva era in compagnia della madre o qualche parente, spesso i fratelli minori facevano da guardiani e da spie. Il suo comportamento doveva essere irreprensibile e guai se “avia fatte l’amuri cu n’atu e s'era lassata”, se era stata fidanzata e lasciata da qualcuno. Le dicerie del popolo potevano infangare l’onore della ragazza e lasciare il segno per molto tempo.
Spesso i matrimoni erano combinati dal parroco di paese , dai sensali o mezzani i quali si recavano nella casa della ragazza dicendo:"“Vengo per onore e onore vi porto e onore vi chiedo:il figlio maggiore di tal dei tali vorrebbe sposare vostra figlia , se la cosa vi fa piacere, domenica prossima verrà la famiglia a fare la richiesta di fidanzamento.
Generalmente quando una ragazza era in età da maritare, cioè al di sotto dei vent’anni e non dopo i venticinque, età oltre la quale cominciava ad essere considerata zitella, e piaceva ad un giovanotto, questo cominciava a corteggiarla, facendo in modo che lei lo notasse. I luoghi favoriti erano l’angolo di casa, dietro cui riusciva a sbirciarla o ripassando più volte nella via dove abitava fino che lei non sfornava un sorriso, oppure manifestava di non gradirlo facendo la stizzosa. Le occasioni per la dichiarazione d’amore erano diverse secondo i ceti e le opportunità, più sorvegliate e spartane quelle d’estrazione contadina.
In alcuni casi si ricorreva alla dichiarazione scritta o fatta scrivere sotto dettatura se l’innamorato era un analfabeta. Qualcuno, invece, copiava dai libri che riportavano esempi di dichiarazioni con fervide frasi d’amore, le quali erano fatte recapitare a mano, a volte di nascosto, da qualche amico in comune: l’ammasciatore che doveva ricevere la risposta ma mettere pure una buona parola nella casa che aveva l’effettivo potere, indipendentemente dalla volontà dell’interessata.


Dopo un po’ che i due ragazzi “facevano all’amore”, vedendosi in luoghi pubblici come la chiesa o al ritorno dal lavoro in campagna, il ragazzo si faceva coraggio e si presentava a casa della ragazza, alcune volte accompagnato dal padre. Si chiedeva se i due ragazzi potevano “fare l’amore” e se il padre accettava il ragazzo “poteva entrare in casa”, cioè si rendeva pubblico il rapporto tra i due giovani. Alcune volte, specie all’inizio, il giovane se ne stava in piedi. Poi venne invitato a sedersi, ma lontano dalla giovane per rispetto ai suoi genitori.
Spesso le serenate sotto la finestra fatte dal pretendente coronavano l’opera di convincimento. Anche se i genitori acconsentivano al fidanzamento, non significava uscire liberamente. E allora le studiava tutte, l’imprudente, passava sotto casa fischiettando o cercava di soffiarsi il naso in maniera spropositata. In quest’occasione la ragazza si affacciava, scendendo per strada con un pretesto e qualcosa in mano, il telaio o il ferro da stiro che mandava su e giù perché si accendessero i carboni. Oppure trovava la scusa di andare alla fontana a prender l’acqua fresca con la vumbula, un orcio di terracotta che portava in capo. Il consenso paterno era seguito da un’attenta valutazione: delle qualità morali, della serietà e della consistenza economica del patrimonio del pretendente. Dopodiché se tutto filava liscio arriva il matrimonio.
continua sotto


Edited by Pulcinella291 - 28/4/2014, 09:22
 
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IL MATRIMONIO NELLA TRADIZIONE POPOLARE DEL SUD


Il passo successivo al fidanzamento era la preparazione del corredo e la presentazione dei pannamenti e delle carte di capitolo spesso firmate davanti al notaio. Variava a seconda delle classi sociali, si davano panni a quattro a sei e a otto. In casa di ricchi si poteva arrivare a quaranta. Le donne avevano cominciato a preparare il corredo da bambine, ricamavano sulle porte di casa pizzi “a rinascimento”, “tombolo”, “filèt di Cantù”, “sfilato siciliano”».
In molti paesi è ancora viva l'usanza della serenata prima del matrimonio.Il futuro sposo usa recarsi sotto il balcone dell'amata in compagnia di cantori locali per dedicarle canzoni d'amore in attesa che lei accenda la luce e si affacci al balcone, questo viene interpretato come il suo "si" pubblico e da li la festa procede fra canti e buon cibo, di solito offerto dai genitori di lei. Il giorno del matrimonio è un giorno di grandi festeggiamenti, di solito il ricevimento può durare anche un intero pomeriggio e protrarsi fino a sera con canti e balli.
In Campania è considerato di cattivo auspicio sposarsi a Maggio.
Di comune accordo si decideva un giorno in cui i genitori del giovane si recavano a casa della giovane per far incontrare i futuri consuoceri (anche se spesso già si conoscevano visto che abitavano nello stesso paese) e per fare “u parlamentu”, in cui si decideva il giorno delle nozze e si donava l’anello di fidanzamento, detto “neddhu de u parlamentu”. Iniziavano i preparativi per il matrimonio, arrivando ad una settimana prima dell’evento che si svolgeva sempre di domenica. La domenica prima si doveva mostrare il corredo che la sposa portava in dote, detto “la dota”, mentre il giovedì prima del matrimonio veniva preparato il letto nuziale. Il corredo si sistemava sopra il letto. La madre della sposa aveva già avvisato le vicine e i familiari che la figlia avrebbe mostrato la dote. Il giorno del matrimonio tutto il paese era felicemente in fermento per i preparativi, e all'ora stabilita gli invitati (solo uomini) si recavano a casa dello sposo per prelevarlo e accompagnarlo all'abitazione della sposa. Nel frattempo a casa della sposa c'era una grande agitazione per la vestizione e l'acconciatura dei capelli che richiedeva molto tempo e precisione. Raggiunta la casa, ad accoglierli c'era una persona fidata, indicata dalla famiglia, incaricata a fare da cerimoniere poiché tutto doveva seguire un certo ordine prestabilito. Prima però di avviarsi verso la chiesa c'era un altro rituale da rispettare: la suocera adornava la sposa di catenina e orecchini d'oro oppure, a seconda della possibilità, di una parure completa di collana, orecchini, anello e bracciale. Dopo di che bisognava brindare e mangiare i dolci e i confetti che erano disposti su una bellissima tavola imbandita e, solo a questo punto, ci si avviava verso la chiesa.

Per quanto riguarda corteo, dietro gli sposi, in perfetto ordine, c'erano i genitori ma con i coniugi scambiati e così, via via seguivano tutte le altre persone accoppiate e a braccetto a secondo del grado di parentela e di amicizia e per ultimo il gruppo di uomini senza la dama. Si andava così a piedi fino alla chiesa e tutti i bambini aspettavano questo momento festoso poiché i famigliari degli sposi lanciavano, oltre ai confetti e cannellini (confetti piccoli farciti alla cannella) anche le monete, tanto che a volte si scatenava una gara a chi raccoglieva più soldi. Dopo la cerimonia si tornava a casa per i festeggiamenti: si mangiava il famoso “paninu de a zita” con mortadella e provola piccante, panini con i pezzetti di carne al sugo, panini con le alici e la ricotta ‘scante, olive, finocchi, lupini, sedano, vino, si preparava il caffè, c’erano dolci, “cupete” e liquori fatti in casa. Si ballava fino a sera finché non arriva l’ora di andare a dormire. La mattina successiva, di buon’ora, arrivava la suocera per pulire casa e per controllare se il letto era pulito o meno (quasi ad indagare sulla verginità della ragazza). E così cominciava la vita coniugale per i due giovani. Dopo una settimana in casa della famiglia dello sposo c’era il pranzo con la famiglia della sposa e i parenti dello sposo (nonni e zii). Dopo l’altra settimana si faceva il contrario, il pranzo a casa della sposa con la famiglia della sposo e i parenti della sposa.
continua sotto


Edited by Pulcinella291 - 28/4/2014, 09:39
 
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view post Posted on 29/4/2014, 07:48
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La morte nella tradizione dell'Italia del Sud


Questo tragico evento, una tappa della vita alla quale nessun essere vivente, nessuna comunità può sottrarsi, nel meridione d'Italia veniva visto in modo differente, spesso rifugiandosi in credenze e superstizioni e assumendo atteggiamenti particolari e originali. La maggior parte di queste, al giorno d’oggi, si sono dimenticate o non si conoscono affatto.
In molte zone, morta la persona, i familiari non potevano perdersi d'animo ma si dovevano occupare di
vestire il defunto, preparare il feretro, la casa e tutto ciò che potesse servire. La prima cosa che si faceva era quella di spalancare porte e finestre affinché l'anima potesse uscire il più presto possibile all'aperto.
I parenti, o gli estranei, si occupavano di vestire il morto.
La salma era vestita di nero con le mani incrociate sul petto, nelle quali veniva messo un fazzoletto bianco piegato e la corona del Santo Rosario; alle donne, inoltre, veniva messo il fazzoletto nero in testa, mentre al defunto veniva legato un fazzoletto bianco tra la testa e il collo affinché non rimanesse a bocca aperta a seguito del rilassamento dei muscoli facciali, fino all'irrigidimento degli stessi.
La medesima cosa avveniva per i piedi intorno ai quali era legato un fazzoletto al fine di tenerli uniti.

Uno dei familiari si recava dal prete per far suonare le campane. i primi tre tocchi cupi indicavano la morte di un uomo, i primi tre tocchi chiari di una donna; infine, se le campane suonavano a gloria, era deceduto un bambino.

In molti paesi si era solito le chiamare le comari per il pianto, le prefiche( in Campania erano dette "e zitelle scapillate")le quali erano delle donne che, vestite con abiti scuri e coperte in viso con un velo nero, si recavano presso la dimora in cui giaceva il defunto e, stringendosi intorno al feretro, avevano il triste compito di compiangerlo e di decantarne le virtù. In effetti queste donne non piangevano, ma con i loro lamenti facevano piangere i familiari del morto. Era consuetudine, infatti, recitare delle cantilene, tramandate oralmente, con voce triste e sommessa, accompagnandole con lunghi lamenti e singhiozzi e, molto spesso, con un gesto del fazzoletto.
Quando arrivava la bara , al suo interno erano messi i suoi effetti personali di poco valore come il cappello, il bastone o gli occhiali ma anche le lenzuola e i vestiti nei quali si erano consumate le ultime sue ore da
vivente.
Il feretro era posto al centro della camera e tutto intorno ad esso erano poste fiori e appese coperte e lenzuola, le più belle, e non solo per dare un aspetto migliore alla stanza, ma anche per nascondere la grande povertà di quei tempi. Si usavano le coperte più belle che, solitamente erano conservate; se si era molto poveri, queste le procurava il vicinato, come avveniva spesso per gli stessi indumenti del defunto. Si riteneva che queste coperte, anche con il passare del tempo, non sarebbero tarlate ma il motivo,
tuttavia, non si conosceva e non si conosce.
Terminato il funerale e accompagnato il defunto al luogo della sepoltura, tutta la gente si recava per dare le condoglianze presso la casa del defunto.
Il corteo funebre, all'andata, era capeggiato dagli uomini; poi, al ritorno, lungo il tratto di strada che andava dal Cimitero alla casa del defunto, si disponevano in prima fila le donne.
Inumato il corpo, i parenti tornavano a casa e riordinavano la stessa, togliendo tutto ciò che era stato a contatto con il defunto, altrimenti la benedizione non avrebbe avuto l'esito desiderato.
Nei primi otto giorni che seguivano il funerale, i parenti non facevano baldoria, non lavoravano e non uscivano nemmeno per comprare il cibo. Durante questi giorni, i compari, le zie e il vicinato portavano da mangiare ai parenti del defunto, questa funzione era chiamata "cusuolo"perché bisognava consolare chi era stato colpito da questo grande dolore.
I cibi erano portati in una cesta con piatti, forchette e bicchieri. Si andava avanti così per diversi giorni, ovvero fino alla messa in suffragio, dopo di che i familiari tornavano a lavorare per guadagnarsi il pane quotidiano. Dopo otto giorni, si celebrava la messa, si cantava il Requiem come si era fatto durante
il funerale e infine la gente si recava di nuovo a dare le condoglianze.
Se il triste evento accadeva nel periodo estivo e, in particolare, durante la mietitura, la messa era detta dopo tre giorni perché bisognava ritornare nei campi, altrimenti il raccolto sarebbe andato perduto.
Un lutto in famiglia condizionava anche il modo di vestirsi dei familiari che cambiava
radicalmente per un po' di tempo o per tutta la vita.
Il lutto poteva durare fino a due, tre anni.
In caso di morte dell'uomo, la moglie si vestiva di nero per tutta la vita. L'uomo che perdeva la moglie, il giorno del funerale indossava un vestito nero o blu e un cappello nero che non si sarebbe tolto fino alla propria morte. I parenti del defunto si mettevano, durante il tempo che intercorreva dal funerale alla
messa, un bottone nero al petto e una fascia nera al braccio o attorno al cappello.
Sempre durante questi otto giorni non si radevano la barba.
 
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view post Posted on 22/2/2015, 17:07
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Questo post l'ho spostato nella sezione dei ricordi, merita di essere qui.
 
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e... merita di essere letto... Complimenti Pulcinella!
 
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view post Posted on 10/3/2015, 07:01
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interessantissimo davvero!... bravo Pulcinella!
e giustamente lo hai indicato come tradizioni del nostro sud, mescolando sfumature continentali (mi pare) ad altre più
squisitamente siciliane.

Un sacco di cose non le sapevo...

C'è sempre da imparare con Pulcinella!
 
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view post Posted on 10/3/2015, 09:13

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Bello anche per me!
 
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