Le stronzate di Pulcinella

la mala milanese :BRUNO BRANCHER:ladro, scrittore e galeotto

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view post Posted on 6/3/2015, 11:29
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Pulcinella291 Forum

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Nato il 5 dicembre del 1931 nel quartiere Ticinese da una famiglia povera (madre di estrazione contadina e padre ignoto), scopre giovanissimo l’arte di arrangiarsi. In quei tempi, del resto, lungo il Naviglio ai ragazzini si insegna che ai poliziotti è meglio non parlare.

Brancher entra ed esce dai riformatori, poi passa alle patrie galere. Quando ci riesce, evade. In una delle sue rocambolesche fughe mette a segno un colpo d’autore. Il primo furto è un successo mediatico: “Rubata la bici di Fausto Coppi”, titolano in prima pagina i quotidiani. Ma è un caso. Lui quella bici l’aveva trovata appoggiata a un muro del Vigorelli, dove il Campionissimo si stava allenando.
Al Beccaria si fa la fama di riottoso fomentatore di rivolte e assaggia le violenze degli agenti di custodia. Nel primo dopoguerra tenta il reinserimento sociale e lavora come manovale. Ma non è la strada giusta. Brancher vuole i soldi che non ha mai avuto. Così diventa un eroe della mala milanese, la “ligera” come si chiamava allora.

Esordisce come spiombatore: asporta i piombi dai vagoni merci e ruba tutto quello su cui riesce a mettere le mani. Poi passa a svuotare i cassoni dei camion dei corrieri. Di nuovo tenta di rimettersi in carreggiata. Emigra in Belgio, a Charleroi, dove fa il minatore. È un lavoro duro, che esalta Bruno. “Per scampare alla miniera – scriverà -devi essere uno tosto, di forgia, fai in qualche modo parte di un’elite”. È già presente in lui la voglia rabbiosa di distinguersi dalla massa che lo accompagnerà sempre.
Nel ’57 torna Milano dopo una parentesi parigina (“mi ospitavano le prostitute di Pigalle”) e la fuga dalla legione straniera. Insomma, un giovane ladro nella Milano di quegli anni, pulita, bella, diversa dalla città grigia e deturpata di oggi. La balbuzie indirizza il suo percorso criminale. Non potendo dedicarsi alle rapine, si specializza in gioiellerie: spaccate con mazza. Per arrotondare fa l’armiere di gruppi che si dedicano a rapine più serie: porta armi sul luogo del delitto e le tiene in deposito.
In carcere conosce detenuti politici che gli spiegano cos’è la dignità. La coscienza di classe lo trasforma in alfiere dei diritti dei reclusi. Sposa il ribellismo e aderisce a numerose rivolte carcerarie negli anni in cui Sante Notarnicola, Cavallero e Panizzari, tutti gangster di prima levatura, infiammano i penitenziari.
È un irriducibile dalla scorza di ferro, che le prende e non molla mai. Alcune proteste gli costano un incremento degli anni di detenzione. In prigione intanto entra in contatto con Soccorso Rosso, l’associazione che paga gli avvocati ai prigionieri politici e anche ad alcuni detenuti comuni.
Piano piano nasce l’amore per la scrittura. È il “So scrivere!” del poeta analfabeta che lo lancia in una carriera letteraria decisamente originale.
Esordisce nel ’77 con “Disamori”, l’editore è Primo Moroni. Bazzica l’università irrompendo nelle aule dei giovani letterati con ciclostilati delle sue poesie. Tratteggia in breve la propria biografia e propone agli studenti un materiale strano, essenziale ed emotivamente diretto, a tratti innovativo. Quella in cui scrive è una lingua scritta mai banale, ricca di spunti interessanti, che gli vale i complimenti di Umberto Eco.
Ormai Brancher è un uomo cambiato, nella scrittura ha trovato finalmente il riscatto sociale. Le malefatte della gioventù non si cancellano, ma si collocano in una mare grigio di iniquità sociale e di desiderio di emergerne. La salute però lo abbandona, morirà il 27 novembre del 2009.
 
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