| . Ite, missa est
- 1 - « Andate, la Messa è finita »
Per moltissimi cattolici, queste frasi di congedo finale pronunciate dal sacerdote al termine della Cena del Signore, sono la stessa cosa, un originale latino e la sua corretta traduzione in italiano. Non è così, né nella lettera, né soprattutto nell'intenzione.
Ne voglio parlare, e voglio approfittare dell'occasioni per soffermarmi su alcuni altri punti della massima espressione liturgica della nostra religione con l'intento, assolutamente nulla volendo togliere di sacrale e di solenne alla Celebrazione Eucaristica ché non ne avrei autorità né competenza!, di fugare alcune perplessità molto diffuse, alcune incongruenze, alcuni compromessi "storici" che sedimentando nell'uso hanno assunto nella devozione comune significati affatto distorti.
Niente di dottrinario quindi o di eretico, o di bisognoso di imprimatur ecclesiastico!... solo delle precisazioni, e solo in omaggio ad una conferenza che anni fa gettò nuova luce sulla mia esistenza di credente rassegnato e mediocre. Il cammino dell'uomo, anche quello della fede è un percorso di salite, falsipiani e sentieri accidentati. Quella conferenza per me, fu un punto cruciale, come quando nel cammino un brusco svolto ti mostra un panorama nuovo, simile, ma differente da quello che vedevi prima.
« Andate, la messa è finita ». Il brutto refrain, fortunatamente sempre meno usato, ha sottolineato per anni, dopo il Concilio Vaticano secondo, la conclusione di quello che per molti di noi era uno strazio obbligatorio, il "dovere domenicale" imposto dalla Gerarchia delle "Feste di Precetto" sin dalla primissima infanzia, fin dall'incoscienza, quando le nostre mamme erano preoccupate per la salvezza della loro anima non ci avessero portati in chiesa la Domenica, e solo in seguito fissatoci in mente da un catechismo senza se e senza ma, con spiegazioni approssimative, contraddittorie e poco comprensive.
Tanti dictat e pochi chiarimenti.
A quel saluto liberatorio in lingua volgare, che interpretavamo come un benigno congedo: "siete liberi di andarvene, avete fatto il vostro dovere e qui si sbaracca!" faceva omaggio un sentito ringraziamento in lingua dotta: "Deo Gratias!", esattamente tradotto, nell'intenzione, con un "ed era ora!... oggi l'hai fatta più lunga di sempre!"
Dicevo che fortunatamente oggi, quel brutto saluto è sempre più spesso sostituito da più edificanti espressioni, come la bellissima: "Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto. " chissà perché riservata alle Domeniche del tempo di Pasqua.
L'improvvida traslazione è dovuta solo all'assonanza delle parole, ed all'ignoranza di innumerevoli generazioni.
Il latino "ite, missa est", si traduce infatti con "andate, [la cosa] è state inviata" .
A quale "cosa" ci si riferisce, ed a chi è diretta l'espressione?
L'invito è rivolto ai Diaconi (oggi lo sarebbe anche ai Ministri dell'Eucaristia) e rappresenta al tempo stesso una autorizzazione ed una sollecitazione:
Il pane della cena è stato benedetto, spezzato e diviso fra i presenti nell'Assemblea.
A seguito di questo (lo vedremo meglio in seguito) è diventato "Corpo del Signore" pronto per essere distribuito e proficuamente mangiato ed assimilato.
Ora finalmente è "Eucaristia", cioè "rendimento di grazie" ed i Diaconi hanno il compito di portarne al mondo, in uno con sé stessi, secondo il dettato del Signore.
Ricordate il miracolo dei cinque pani e dei due pesci?:
« Date voi stessi loro da mangiare » [Lc 9, 13]
Torneremo anche su questa frase; per ora basti sottolineare l'invito a questo impegno, a iniziare il lavoro sublime di portare il Signore.
« Ite, missa est ».
Altro che una formuletta spiccia di messa in libertà per i parrocchiani... "per oggi basta, ci vediamo Domenica prossima".
La Messa, non è affatto finita!... la tua parte comincia proprio adesso, uscendo dalla chiesa!Lucio Musto 21 agosto 2014
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