Le stronzate di Pulcinella

1991-1992:la guerra in Jugoslavia

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view post Posted on 15/10/2014, 11:43
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Pulcinella291 Forum

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La Jugoslavia socialista e federale, così come costruita da Tito e da Edvard Kardelj, il teorico e costituzionalista sloveno, si basava sulla politica della Fratellanza e Unità (Bratsvo i Jedinstvo) fra i diversi popoli jugoslavi, garantendo a ciascuno, comprese le minoranze nazionali, dignità, autonomia decisionale e rappresentatività istituzionale. Tuttavia il regime jugoslavo aveva utilizzato anche la forza per stroncare quei movimenti, come la Primavera Croata del 1971, che avevano dimostrato l'emergere del nazionalismo etnico, nonché di essere un pericolo per l'unità della Federazione, per il ruolo centrale della Lega dei Comunisti Jugoslavi e per il sistema economico dell'autogestione e del "socialismo di mercato".

Cominciano i dissidi interni

Ma negli anni 80, l'economia, ingolfata dopo la straordinaria crescita degli anni settanta, fu cause di scontri tra la verie repubbliche, specialmente con la Slovenia , un Paese storicamente e tradizionalmente legato alla Mitteleuropa, che considerava la sua vera "patria" culturale;ed i piu' era evidente il malessere tra i Serbi e gli Albanesi del Kosovo che era a schiacciante maggioranza albanese e chiedeva, come già in passato, maggiore autonomia politica, anche attraverso la costituzione della settima repubblica jugoslava, il Kosovo indipendente dalla Serbia.
In Croazia nel maggio del 1989 si formò l'Unione Democratica Croata (Hrvatska Demokratska Zajednica o HDZ), partito anti-comunista di centro-destra che a tratti riprendeva le idee scioviniste degli ustascia di Ante Pavelić, guidato dal controverso ex generale di Tito Franjo Tuđman.
In Slovenia scoppiò il caso di quattro giornalisti (tra i quali il più noto era Janez Janša) accusati di aver tentato di pubblicare segreti militari nella popolare rivista d'opposizione Mladina. I quattro giornalisti scoprirono dei documenti su un ipotetico intervento militare federale in Slovenia, in caso di un'evoluzione democratica e sovranista del paese. Il processo ai quattro imputati, che si tenne in lingua serbo-croata e non in sloveno, violando il principio del plurilinguismo, scatenò proteste popolari e dette avvio alla cosiddetta "Primavera slovena".
Nel frattempo anche nel piccolo Montenegro la vecchia dirigenza titoista venne spazzata via (1989) quando alla presidenza della Repubblica venne eletto il giovane filo-serbo Momir Bulatović.

La fine dell'ex Jugoslavia

Il 20 gennaio 1990, da Milosevic ,venne convocato il quattordicesimo e ultimo congresso (convocato straordinariamente) della Lega dei Comunisti Jugoslavi, con uno scontro frontale tra delegati serbi e sloveni, in particolare riguardo alla situazione in Kosovo, alla politica economica e alle riforme istituzionali (creazione di una nuova federazione o confederazione, la "terza Jugoslavia"). Per la prima volta nella storia, Sloveni e Croati decisero di ritirare i loro delegati dal congresso. Ormai era chiaro che il Paese viaggiava a due velocità, non più armonizzabili.
Nel nord della Federazione vennero indette subito libere elezioni, che determinarono la vittoria di forze di centro-destra: in Slovenia la coalizione democristiana Demos formò un nuovo governo, mentre Kučan restò presidente della Repubblica, mentre in Croazia i nazionalisti dell'HDZ di Tuđman vinsero le consultazioni (22 aprile-7 maggio 1990).

La guerra in Slovenia(la guerra dei dieci giorni)
Qualcuno la chiamo' una guerra di maschere e finanza , una guerra farsa, poichè la Slovenia non interessava a Milosevic poichè il separatismo sloveno gli era utile poichè i serbi e gli stessi dei croati,vedevano nelle banche del nord un porto sicuro per il loro denaro; hanno ripulito le loro facce dalle tracce del passato regime, di cui furono nomenklatura.
Comunque il 23 dicembre 1990 in Slovenia si tenne un referendum sull'indipendenza, o meglio sulla sovranità slovena (con il risultato dell’88,2% dei voti favorevoli), dal momento che si parlava anche della costruzione di una nuova confederazione di repubbliche, le cui basi andavano ridiscusse. Data l'indisponibilità serba a rivedere radicalmente l'assetto dello stato, la sera del 25 giugno 1991 fu convocato in seduta plenaria il Parlamento Sloveno (Skupščina) per discutere e votare l'indipendenza; tutti erano favorevoli, tranne il comandante delle truppe jugoslave, che era pure membro effettivo dell'assemblea, il quale fece un discorso minaccioso. Nel corso della seduta, poco prima della votazione definitiva, il Presidente del Parlamento diede lettura di un telegramma appena pervenuto dal Sabor di Zagabria, il Parlamento Croato, nel quale si comunicava che la Croazia era indipendente.

Ad avvenuta votazione, nella piazza centrale di Lubiana il presidente Milan Kučan proclamò davanti al popolo l'indipendenza slovena.
Il 26 giugno il giornale sloveno Delo di Lubiana pubblicava un titolo a nove colonne, traducibile in: "Dopo più di mille anni di dominazione austriaca e più di settanta anni di convivenza con la Jugoslavia, la Slovenia è indipendente.

La risposta dell'Armata Popolare Jugoslava (JNA) avvenne il 27 giugno 1991, quando con 2000 reclute l'esercito intervenne in Slovenia per riprendere il controllo delle frontiere, sebbene fosse prevista la possibilità di secessione degli stati federati. Iniziò così la prima guerra in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. Janez Janša, divenuto ministro sloveno della difesa, cercò di costituire un esercito nazionale, soprattutto mediante le milizie territoriali della Repubblica, istituite da Tito in chiave anti-sovietica. Gli Sloveni presero il controllo delle basi militari federali nel Paese e delle frontiere con Italia ed Austria.
La guerra (chiamata "guerra dei dieci giorni") si concluse rapidamente, essendo la nazione etnicamente compatta e sostenuta politicamente dal Vaticano, dall'Austria e soprattutto dalla Germania, che si impegnò subito a riconoscerne l'indipendenza e spinse perché anche l'intera CEE facesse lo stesso.
I serbi accettarono l'evacuazione dal territorio sloveno con gli Accordi di Brioni che prevedevano l'immediata cessazione di ogni ostilità dell'esercito jugoslavo in Slovenia e il congelamento per tre mesi della dichiarazione di indipendenza. La piccola repubblica diventava così indipendente da Belgrado.

La guerra in Croazia( "guerra della Patria" )
La dichiarazione di indipendenza (25 giugno 1991), conseguenza diretta dei risultati del referendum, provocò l'intervento militare jugoslavo, deciso a non permettere che territori abitati da Serbi fossero smembrati dalla Federazione e slegati dalla "madrepatria serba". La teoria nazionalista serba diventa così ideologia portante di tutta la Jugoslavia e delle sue guerre.

L'attacco, iniziato nel luglio del 1991, coinvolse numerose città croate: Ragusa, Sebenico, Zara, Karlovac, Sisak, Slavonski Brod, Osijek, Vinkovci e Vukovar.
Il simbolo della guerra serbo-croata è divenuto l'assedio alla città di Vukovar, nella Slavonia (25 agosto - 18 novembre 1991), un territorio in cui Serbi e Croati riuscivano a convivere, fino a poco tempo prima, serenamente. La città fu bombardata e quasi completamente rasa al suolo dai Serbi, che impegnarono 20.000 uomini e 300 carri armati. Oltre alle truppe regolari dell’esercito serbo, a Vukovar combatterono anche i paramilitari stranieri in maggioranza anglofoni, responsabili, assieme all’esercito, di saccheggi e uccisioni di centinaia di civili (compresi i malati presenti nell’ospedale cittadino), ignorando ogni convenzione di guerra.


Da quel momento esplosero tutti i conflitti nazionalistici e religiosi, con atroci violazioni dei diritti umani.
Il 7 ottobre 1991 una forte esplosione colpì la sede del governo a Zagabria, durante una riunione a cui partecipavano Tuđman, il presidente federale Stjepan Mesić e il primo ministro federale Marković. Il governo croato accusò i vertici dell'JNA di essere responsabili dell'attacco, mentre l'esercito jugoslavo asserì che l'esplosione era opera delle stesse forze di Tuđman. Il giorno seguente il parlamento croato sciolse ogni residuo legame con le istituzioni federali. L'8 ottobre 1991 venne proclamato giorno dell'indipendenza croata.
Il 19 dicembre 1991, nel periodo in cui infuriava maggiormente la guerra, i Serbi della Krajina proclamarono ufficialmente la nascita della Repubblica Serba della Krajina ed è da questo punto che scaturì la Guerra di indipendenza croata.
Il 4 gennaio 1992 entrò in vigore il quindicesimo cessate il fuoco, per un certo periodo rispettato da entrambe le parti. L'JNA si ritirò dalla Croazia entrando in Bosnia, dove la guerra non era ancora iniziata, mentre la Croazia (assieme alla Slovenia) venne riconosciuta ufficialmente dalla CEE (15 gennaio) ed entrò a far parte dell'ONU (22 maggio).Nei mesi successivi il conflitto continuò su piccola scala e le forze croate tentarono di riconquistare le città passate sotto il controllo serbo, in particolare nell'area di Ragusa/Dubrovnik (il cui centro fu bombardato dai Serbi il 6 dicembre 1991) e Zara.

Nel settembre 1993, nell'ambito dell'operazione Sacca di Medak (Medački džep) contro i Serbi di Krajina, i Croati, guidati dal generale Janko Bobetko, compirono una serie di crimini contro l'umanità e di violazioni del diritto internazionale di guerra, causando la morte anche di 11 militari delle forze di pacificazione dell'ONU

l'assalto alla Bosnia ed Erzegovina


Mentre la guerra infuriava in Croazia, la Bosnia ed Erzegovina, formata da tre diverse etnie (Bosniaci, Serbi e Croati) era in una situazione di pace momentanea e instabile, in quanto le tensioni etniche erano pronte a esplodere.
Nel settembre del 1991 l'Armata Popolare Jugoslava distrusse un piccolo villaggio all'interno del territorio bosniaco, Ravno, abitato da Croati, nel corso delle operazioni militari d'assedio di Ragusa/Dubrovnik (città sulla costa dalmata situata in Croazia).
Il 19 settembre l'JNA spostò alcune truppe nei pressi della città di Mostar, provocando le proteste delle autorità locali. I Croati dell'Erzegovina formarono la "Comunità Croata di Herceg Bosna" (Hrvatska Zajednica Herceg-Bosna), embrione della futura Repubblica dell'Herceg Bosna, allo scopo di proteggere i loro interessi nazionali. Tuttavia, almeno fino al marzo del 1992, non vi furono episodi di scontro frontale tra le diverse nazionalità, che si stavano però preparando al conflitto, ormai imminente


Il 25 gennaio 1992 il Parlamento, nonostante la ferma opposizione dei Serbo-bosniaci, decise di organizzare un referendum sull'indipendenza della Repubblica.

Il 29 febbraio e il 1º marzo si tenne dunque nel territorio della Bosnia ed Erzegovina il referendum sulla secessione dalla Jugoslavia. Il 64% dei cittadini si espresse a favore. I Serbi boicottarono però le urne e bloccarono con barricate Sarajevo. Il Presidente della Repubblica, il musulmano Alija Izetbegović, chiese l'intervento dell'esercito, affinché garantisse un regolare svolgimento delle votazioni e la cessazione delle tensioni etniche.

Il partito che maggiormente rappresentava i Serbi di Bosnia, il Partito Democratico Serbo di Radovan Karadžić, fece sapere però subito che i suoi uomini si sarebbero opposti in qualsiasi modo all'indipendenza
Subito dopo il referendum l'JNA iniziò a schierare le sue truppe nel territorio della Repubblica, occupando tutti i maggiori punti strategici (aprile 1992). Tutti i gruppi etnici si organizzarono in formazioni militari ufficiali: i Croati costituirono il Consiglio di difesa croato (Hrvatsko Vijeće Obrane, HVO), i Bosgnacchi l'"Armata della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina" (Armija Bosne i Hercegovine, Armija BiH), i Serbi l'Esercito della Repubblica Srpska (Vojska Republike Srpske, VRS). Erano inoltre presenti numerosi gruppi paramilitari: fra i Serbi le "Aquile Bianche" (Beli Orlovi), fra i Bosgnacchi la "Lega Patriottica" (Patriotska Liga) e i "Berretti Verdi" (Zelene Beretke), fra i Croati le "Forze Croate di Difesa" (Hrvatske Obrambene Snage).


La guerra che ne derivò fu la più complessa, caotica e sanguinosa in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. Vennero firmati dalle diverse parti in causa diversi accordi di cessate il fuoco, inizialmente accettati, per essere stracciati solo poco tempo dopo. Le Nazioni Unite tentarono più volte di far cessare le ostilità, con la stesura di piani di pace che si rivelarono fallimentari .


Inizialmente i Bosniaci e i Croati combatterono alleati contro i Serbi, i quali erano dotati di armi più pesanti e controllavano gran parte del territorio rurale, con l'eccezione delle grandi città di Sarajevo e Mostar. Nel 1993, dopo il fallimento del piano Vance-Owen, che prevedeva la divisione del Paese in tre parti etnicamente pure, scoppiò un conflitto armato tra Bosniaci musulmani e Croati sulla spartizione virtuale del territorio nazionale. È stato dimostrato il coinvolgimento del governo croato di Tuđman in questo conflitto, che lo rese in questo modo internazionale (Zagabria sostenne militarmente i Croato-Bosniaci).


Monstar già precedentemente danneggiata dai Serbi, fu costretta alla resa dalle forze croato-bosniache. Il centro storico fu deliberatamente bombardato dai Croati, che distrussero il vecchio ponte Stari Most il 9 novembre 1993.

L'assedio di Sarajevo


Si stima che durante l'assedio le vittime siano state più di 12.000, i feriti oltre 50.000, l'85% dei quali tra i civili. A causa dell'elevato numero di morti e della migrazione forzata, nel 1995 la popolazione si ridusse a 334.664 unità, il 64% della popolazione pre-bellica.Nei mesi che precedettero la guerra, le forze della JNA iniziarono a schierarsi sulle colline che circondano la città: tutta l'artiglieria e gli altri equipaggiamenti essenziali per la prosecuzione dell'assedio furono accumulati proprio in questo periodo. Nell'aprile 1992 il governo bosniaco chiese formalmente al governo della Jugoslavia di ritirare questo contingente, ma Milošević acconsentì solamente a ritirare i soldati che non erano di nazionalità bosniaca (in numero insignificante). Queste forze serbo-bosniache dell'esercito furono trasferite al VRS, che aveva dichiarato l'indipendenza dalla Bosnia pochi giorni dopo che la Bosnia stessa si era separata dalla Jugoslavia.

Il 2 maggio 1992 Sarajevo fu completamente isolata dalle forze serbo-bosniache. Le principali strade che conducevano in città furono bloccate, così come anche i rifornimenti di viveri e medicine. I servizi come l'acqua, l'elettricità e il riscaldamento furono tagliati. Sebbene inferiori di numero ai difensori bosniaci nella città, i soldati serbi intorno a Sarajevo erano meglio armati. Dopo il fallimento dei tentativi iniziali di assaltare la città con le colonne corazzate della JNA, le forze di assedio cannoneggiarono Sarajevo da almeno duecento bunker situati nelle montagne
Nella seconda metà del 1992 e nella prima metà del 1993 l'assedio raggiunse il suo apice per la violenza dei combattimenti. Furono commesse gravi atrocità, con i bombardamenti di artiglieria che continuavano a colpire i difensori.
Gran parte delle principali posizioni militari e le riserve di armi all'interno della città erano sotto il controllo dei serbi, che impedivano i rifornimenti ai difensori. I serbi erano ovunque in città e il grido Pazite, Snajper! ("attenzione, cecchino!") divenne molto comune.




Alcuni quartieri della città, come Novo Sarajevo, furono conquistati dagli attaccanti. Per aiutare la popolazione assediata, l'aeroporto di Sarajevo fu aperto agli aerei delle Nazioni Unite alla fine del giugno 1992. La sopravvivenza della città da allora dipese in larga parte proprio dai rifornimenti ONU.

Alcuni contrabbandieri bosniaci che si erano uniti all'esercito all'inizio della guerra portarono illegalmente le armi in città attraverso le linee serbe, e i raid sulle posizioni serbe all'interno della città li aiutarono nei loro intenti. Il Tunnel di Sarajevo, principale via per aggirare l'embargo internazionale di armi e per rifornire di munizioni i combattenti, venne completato a metà del 1993, e permise anche alla popolazione di scappare: per questo si disse che il tunnel aveva salvato Sarajevo.

I bombardamenti della città contribuirono significativamente all'aumento del numero delle vittime. Le uccisioni di massa dovute all'esplosione di ordigni fecero molto scalpore in Occidente. Il 1º giugno 1993 15 persone rimasero uccise e 80 ferite durante una partita di calcio. Il 12 giugno dello stesso anno 12 persone furono uccise mentre facevano la fila per l'acqua. La più grande di queste stragi fu comunque il massacro di Markale, avvenuto il 5 febbraio 1994, in cui morirono 68 civili e 200 furono feriti.

In risposta al massacro di Markale, l'ONU impose un ultimatum per le forze serbe affinché ritirassero le armi pesanti oltre un certo punto in un certo periodo di tempo, pena l'inizio di attacchi aerei. Quando si avvicinava la scadenza, le forze serbe accondiscesero. Il bombardamento della città calò d'intensità lasciando intravedere la fine dell'assedio.
Nel 1995, dopo un secondo massacro di Markale nel quale persero la vita 37 persone e 90 ne restarono ferite, le forze internazionali iniziarono a criticare fermamente gli assedianti. Quando i serbi effettuarono un raid contro un sito di raccolta delle armi dell'ONU, i jet della NATO attaccarono depositi di munizioni dei serbi e altri obiettivi militari strategici, era l'inizio dell'Operazione Deliberate Force. Gli scontri sul campo aumentarono di intensità, con l'intervento di forze armate bosniache e croate. Dopodiché i combattimenti diminuirono e i serbi persero via via sempre più terreno nell'area di Sarajevo. Il riscaldamento, l'elettricità e l'acqua poterono tornare in città.
Fu raggiunto l'accordo del "cessate il fuoco" nell'ottobre 1995, e l'Accordo di Dayton fu siglato sempre nello stesso anno per ristabilire la pace. Seguì un periodo di stabilizzazione e di ritorno alla normalità, con il governo bosniaco che non dichiarò la fine dell'assedio di Sarajevo fino al 29 febbraio 1996.


Edited by Pulcinella291 - 17/10/2014, 10:00
 
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