Le stronzate di Pulcinella

la grande guerra:le diserzioni, le rivolte dei soldati e le fucilazioni

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view post Posted on 19/1/2015, 17:59
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Pulcinella291 Forum

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Abbiamo gia' detto che la storia, a volte, dimentica volutamente alcune pagine, per tenere viva la memoria nella retorica delle celebrazioni ufficiali o per nascondere molto piu' spesso delle verità scottanti.
Noi qui oggi parleremo di uno degli aspetti più scomodi della grande guerra, di quella guerra che molti giovani che avevano dovuto forzatamente lasciare la propria terra, i propri affetti non sentivano propria, ma che furono, invece, costretti a subire. La storia non ha quasi mai accennato dei nostri fanti imbottiti di grappa e mandati al macello negli assalti alla baionetta, delle autoamputazioni per essere mandati nelle retrovie, delle decimazioni , dei conflitti sociali tra ceti piu' abbienti se non nobili che ricoprivano posizioni di comando e potere di vita e di morte sui soldati da una parte, dall’altra i “trinceristi”, formati perlopiù da contadini e operai che avevano gia' sperimentato, a loro spese, i soprusi e lo sfruttamento dei padroni.
Da qui le diserzioni, gli ammutinamenti, le rivolte e le fucilazioni dei responsabili.

Il malcontento e la stanchezza.

Sulla linea dell’Isonzo, con il logoramento dei reparti e i modesti esiti delle spallate della tarda estate e dell’autunno 1916 (settima, ottava e nona battaglia) e le gravi perdite subite nella decima offensiva della primavera del 1917, si rafforzano gli indizi dello scollamento dei reparti – alto numero di prigionieri consegnatisi agli austriaci –mentre vi è una recrudescenza dei casi di rifiuto delle consegne, diserzione, mancato ritorno alle unità, autolesionismo. L’apparato di controllo e repressione aumenta gli sforzi, mentre anche dall’interno del paese giungono segnali di aperto malcontento, che nell’agosto del 1917 troverà espressione di piazza a Torino. Ad acuire il malcontento ci furono una serie di inziative prese dal governo di allora. Fra queste il rifiuto delle licenze.
Fin dal 1916, la documentazione d'archivio ci mostra una serie di circolari, che indicano espressamente la possibilità per i militari, di ottenere licenze in occasione della trebbiatura del grano. Gli accertamenti per l'idoneità dei requisiti erano affidati ai Carabinieri Reali del Comando Stazione di Buriasco che in più occasioni si mostrarono particolarmente solerti nell'esprimere parere negativo sull'ottenimento della licenza.
"Ha ancora i genitori, sano e robusto 60 anni ed ha poco frumento da mietere"; "La proprietà fondiaria del medesimo consiste in pochissime giornate di terreno, per cui alla mietitura del grano può provvedere la moglie dello stesso" e tante altre motivazioni di egual tenore.
La requisizone del grano, i razionamenti che dal 1917 fecero la loro comparsa, fecero il resto,
tanto che la tenuta disciplinare dei reparti era apparsa subito allentata; evidente la situazione di disagio e di scontento tra i soldati che, forse, avevano cominciato a capire che quella guerra era voluta da altri, dai voleri e dell’industria bellica e dei potentati economici. Loro dovevano solo obbedire a ordini suicidi dati da comandanti vanagloriosi e appartenenti a quella società che ancor prima della guerra li aveva gia' ampiamente sfruttati.

Le esecuzioni sul campo


Tutto questo provocava, soprattutto nei soldati semplici, uno stato d’animo rassegnato e apatico che a volte sfociava in forme di insubordinazione, tanto che per "convincere" i soldati, ridotti a vera e propria "carne da cannone", all’assalto fu necessario istituire una rigida disciplina, fatta di processi sommari e di esecuzioni sul campo.
Si diffusero tuttavia, nonostante la minaccia del plotone di esecuzione, la diserzione e addirittura l’autolesionismo, consistente nell’infliggersi volontariamente ferite e mutilazioni per poter essere dispensati dal servizio al fronte. In altre occasioni ci furono ribellioni collettive, scioperi e ammutinamenti, un po’ dappertutto.
Qualche storico come il Rochat parla di “oltre 400.000 processi intentati dalle autorità militari in quattro anni di guerra, centinaia e forse migliaia di esecuzioni sommarie e di decimazioni, una forsennata propaganda di odio e lo sviluppo di un rapporto repressivo, imponente ed efficiente”.
Numerosi i fucilati sul campo per il semplice ordine di un superiore, e gli uccisi in battaglia al minimo accenno di fuga. Questo tipo di esecuzioni è meno quantificabile, ma certo fu frequente, come pure le fucilazioni eseguite per “dare l’esempio”.

La responsabilità della disfatta di Caporetto fatta ricadere sui soldati.


Come spiegare agli italiani la disfatta senza mettere alla berlina il "generalissimo" Cadorna che avrebbe dovuto fare dei nemici un sol boccone? La colpa fu attribuita ai soldati che avrebbero compiuto uno sciopero al fronte, facilitando la vittoria nemica. Con questo alibi si scatenò nei confronti dei quasi trecentomila soldati italiani fatti prigionieri un’infame campagna di accuse costruite a tavolino.


Qualche mese dopo i comandi militari assunsero contro questi innocenti ritenuti responsabili della disfatta un’iniziativa disumana, contraria a tutte le convenzioni internazionali sul trattamento dei prigionieri: il blocco totale dei pacchi viveri inviati dalle famiglie. Nessuno di coloro che, secondo i vertici militari, aveva concorso al crollo difensivo doveva essere ricordato o nutrito.
I prigionieri, internati nei campi di concentramento furono abbandonati a se stessi, non avevano nulla di cui nutrirsi e vivevano in condizioni igieniche a dir poco pessime.

L'ammutinamento della brigata Catanzaro


La Brigata "Catanzaro era una grande unità di fanteria costituita il 1º marzo 1915 a Catanzaro Lido in due reggimenti, il 141º e il 142º. I soldati (circa 6.000) che ne facevano parte erano in maggioranza calabresi.
ll'atto della mobilitazione del 24 maggio 1915 fu dapprima inquadrata nelle truppe a disposizione del Comando Supremo poi, dopo pochi giorni, fu inviata in Friuli dove fu inquadrata nella 3ª Armata.

La «Catanzaro» fu una delle più sfruttate unità dell'Esercito. Logorata dai lunghissimi turni in trincea di prima linea nei settori più contesi, essa venne impiegata come brigata d’assalto sul Carso dal luglio 1915 al settembre 1917. In prima linea a Castelnuovo, ed a Bosco Cappuccio, nel 1916 combatté a Oslavia, e durante la Strafexpedition sul monte Mosciagh e sul monte Cengio. Tornò poi sul monte San Michele, a Nad Logen, a Nova Vas, sul Nad Bregom e a Hudi Log. Prima di Caporetto fu a Lucatic, sul monte Hermada ed infine a San Giovanni di Duino.


Nel 1918 dopo Caporetto combatté sul Pria Forà, in Val d'Astico ed in Val Posina. Nel giugno del 1920 fu sciolta. La bandiera del 141º fanteria fu decorata con la Medaglia d'Oro al Valore Militare e quella del 142º ebbe la Medaglia d'Argento. Considerata dal comando italiano tra le Brigate più valorose e tenaci (giudizio condiviso dagli austriaci).
Le imprese eroiche di questa brigata meritarono piu' volte le prime pagine della stampa nazionale tanto che lo stesso Re, con decreto del 28 dicembre 1916, concesse motu proprio alla bandiera del glorioso 141º Reggimento la Medaglia d'Oro al Valore Militare con questa motivazione: «Per l'altissimo valore spiegato nei molti combattimenti intorno al San Michele, ad Oslavia, sull'Altopiano di Asiago, al Nad Logem, per l'audacia mai smentita, per l'impeto aggressivo senza pari, sempre e ovunque fu di esempio ai valorosi (luglio 1915 – agosto 1916)».
Diversi mesi dopo, pero', i soldati dei due reggimenti della "Catanzaro" furono protagonisti della più grave rivolta nell'esercito italiano durante il conflitto. Questo episodio si svolse a Santa Maria la Longa dove la brigata era stata acquartierata a partire dal 25 giugno 1917 per un periodo di riposo. La notizia di un nuovo reimpiego nelle trincee della prima linea fece pian piano montare quella che in poche ore sarebbe diventata una vera e propria rivolta.
I fanti della Catanzaro protestarono e la protesta passò in rivolta. Alle ore 22.00 del 15 luglio 1917 iniziò il fuoco che durò tutta la notte. I caporioni di ogni reggimento assaltarono i militari dell'altro inducendo gli stessi ad ammutinarsi e ad unirsi a loro. Molti caddero morti sotto il fuoco dei rivoltosi, altri ne rimasero feriti. La rivolta durò tutta la notte. Per sedare la rivolta vennero impiegati una compagnia di Carabinieri, quattro mitragliatrici e due autocannoni con il preciso ordine di intervenire in modo fulmineo e con estremo rigore. La lotta durò tutta la notte e cessò all'alba.

Sedata la ribellione, il comandante della Brigata ordinò la fucilazione di quattro fanti, colti con le canne dei fucili ancora calde, e la decimazione della compagnia. All'alba del 16 luglio dodici fanti più i quattro colti in flagranza, alla presenza di due compagnie, una per ciascun reggimento, vennero fucilati a ridosso del muro di cinta del cimitero di Santa Maria La Longa e posti in una fossa comune.


Le punizioni , le condanne, le decimazioni


Anche questo aspetto della vita delle trincee è poco conosciuto.
Si trattò di un fenomeno diffuso che coinvolse indistintamente centinaia (e forse migliaia) di uomini. Luigi Cadorna infatti, sin dall'inizio della guerra, aveva ordinato la massima severità per il mantenimento della disciplina e il rispetto dell'autorità. Atteggiamento che, nel corso del conflitto, si irrigidì sempre di più assumendo spesso i contorni di una spietata crudeltà . I soldati che si rifiutavano di uscire dalle trincee durante un assalto ad esempio potevano essere colpiti alle spalle dai plotoni di carabinieri mentre la censura in trincea divenne ogni giorno più oppressiva. Qualsiasi lettera scritta dai soldati non poteva contenere informazioni diverse da quelle pubblicate dai giornali italiani e doveva trasmettere entusiasmo per la guerra. Chi non rispettava queste indicazioni rischiava la condanna al carcere militare.
'aspetto più tragico e crudele furono però le condanne a morte a carico dei soldati. È stato calcolato che tra l'ottobre del 1915 e l'ottobre del 1917 furono eseguite circa 140 esecuzioni capitali dovute ai motivi più disparati. Inizialmente questo provvedimento fu preso solo in casi di estrema gravità (ad esempio per diserzione o spionaggio) ma successivamente si estese anche a casi apparentemente meno gravi. Un soldato poteva essere fucilato per essere ritornato in ritardo dopo una licenza oppure per essere stato sorpreso a riferire o scrivere una frase ingiuriosa contro un suo superiore. Stessa sorte venne prevista per tutti quegli ufficiali che, anche per un solo momento, avessero dubitato della tattica imposta dal Comando Supremo.

Più la Grande Guerra andava avanti, più gli episodi di crudeltà si moltiplicarono. Ovunque si verificassero disordini, piccole proteste o episodi di insofferenza verso le decisioni prese dai superiori si assistette a delle condanne a morte. Nei casi di un reato commesso da un gruppo di soldati (come una brigata), la strada prescelta era quella della decimazione di soldati scelti a caso , spesso innocenti e non partecipanti alle insubordinazioni.
Le esecuzioni, quasi sempre, erano scarsamente motivate. Bastava il malcontento di fronte ai mancati avvicendamenti, o al cibo cattivo per far parlare di sedizione e provocare draconiani provvedimenti. Era sufficiente che un soldato fosse sorpreso a rubacchiare in una cascina abbandonata, o rientrasse in ritardo dalla licenza, o non salutasse un superiore per scatenare assurde “salutari” sanzioni.

La protesta della Brigata Ravenna


Nel 1917 sul fronte carsico si verificarono alcuni episodi di insofferenza che tuttavia ebbero dimensioni tali da non giustificare la durezza delle repressioni che ne conseguì. A marzo alcuni soldati della Brigata Ravenna manifestarono malcontento. Cominciarono a protestare ed esplosero qualche colpo di fucile in aria. Il generale ed il suo aiutante di campo riuscirono però a convincerli a rientrare nei ranghi; la protesta poteva dirsi conclusa. In realtà non si era trattato di vero ammutinamento ma di un passeggero disordine causato dalla lunga permanenza in prima linea e dalla sospensione delle licenze. Senonché il comandante superiore, ossia il generale di divisione da cui dipendeva la brigata, volle verificare personalmente quanti soldati fossero stati fucilati. Avendo saputo che nessuna misura del genere era stata presa, pretese l' immediata esecuzione di due fanti trovati addormentati nell'accampamento e del tutto ignari dell'accaduto.
Al ritorno dal turno in trincea altri uomini furono scelti a caso, processati sommariamente e condannati a morte.
I loro nomi non compariranno sulle lapidi nelle piazze dei paesi, né nell’elenco dei caduti e dispersi dell’Onorcaduti. Sono i “soldati dimenticati” della Prima guerra mondiale: uccisi per fucilazione, per decimazione, dai loro stessi comandanti in esecuzioni sommarie. Eppure anche loro morirono per la Patria, spediti al fronte contro la loro volontà in una guerra di cui non comprendevano gli scopi, come la maggior parte di chi muore in guerra -
 
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view post Posted on 19/1/2015, 19:08

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Interessante e terribile lettura .
La prima guerra mondiale è stato un mattatoio.
 
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