Le stronzate di Pulcinella

1992 tangentopoli e l'attacco al potere

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view post Posted on 30/3/2015, 17:04
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Pulcinella291 Forum

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È il 17 febbraio 1992 quando a Milano viene arrestato il presidente del Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa, mentre riceve una tangente di 7 milioni di lire. Sembra un avvenimento come tanti altri, e invece è l’inizio di quel ciclone chiamato Tangentopoli che in un paio d’anni spazza via la cosiddetta Prima Repubblica e un’intera classe politica. Le inchieste furono inizialmente condotte da un pool della Procura della Repubblica di Milano (formato dai magistrati Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Francesco Greco, Gherardo Colombo, Tiziana Parenti, Ilda Boccassini e guidato dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli e dal suo vice Gerardo D'Ambrosio) e allargate a tutto il territorio nazionale, diedero vita ad una grande indignazione dell'opinione pubblica e di fatto rivoluzionarono la scena politica italiana. Partiti storici come la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Italiano, il PSDI, il PLI sparirono o furono fortemente ridimensionati, tanto da far parlare di un passaggio ad una Seconda Repubblica.
Ma andiamo per gradi.


Mario Chiesa



Il pubblico ministero Antonio Di Pietro chiese ed ottenne dal GIP Italo Ghitti un ordine di cattura per l'ingegner Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e membro di primo piano del PSI milanese.

Chiesa era stato colto in flagrante mentre intascava una tangente dall'imprenditore monzese Luca Magni che, stanco di pagare, aveva chiesto aiuto alle forze dell'ordine. Magni, d'accordo coi carabinieri e con Di Pietro, fece ingresso alle 17:30 nell'ufficio di Mario Chiesa, portando con sé 7 milioni di lire, corrispondenti alla metà di una tangente richiestagli da quest'ultimo; l'appalto ottenuto dall'azienda di Magni era infatti di 140 milioni e Chiesa aveva preteso per sé il 10%, quindi una tangente da 14 milioni. Magni aveva un microfono e una telecamera nascosti e, appena Chiesa ripose i soldi in un cassetto della scrivania, dicendosi disponibile a "rateizzare" la transazione, nella stanza irruppero i militari, che notificarono l'arresto. Chiesa, a quel punto, afferrò il frutto di un'altra tangente, stavolta di 37 milioni, e si rifugiò nel bagno attiguo, dove tentò di liberarsi del maltolto buttando le banconote nel water; ma invano.
La notizia fece scalpore e finì sulle prime pagine dei quotidiani e dei telegiornali. Bettino Craxi, leader dello stesso PSI, con l'obiettivo di ritornare alla presidenza del Consiglio, dopo le elezioni politiche di primavera, negò, intervistato dal Tg3, l'esistenza della corruzione a livello nazionale, definendo Mario Chiesa un mariuolo isolato, una "scheggia impazzita" dell'altrimenti integro Partito Socialista che "in cinquant'anni di amministrazione a Milano, non aveva mai avuto un solo politico inquisito per quei reati".
Rinchiuso nel carcere di San Vittore, Chiesa in un primo momento non confessò.


Il PM Di Pietro che, nelle indagini sull'ingegnere aveva scoperto e messo sotto sequestro due conti svizzeri, "Levissima" e "Fiuggi", chiamò al telefono l'avvocato di Chiesa, Nerio Diodà, e gli disse:
" Avvocato, riferisca al suo cliente che l'acqua minerale è finita."
Così, sotto interrogatorio, Chiesa rivelò che il sistema delle tangenti era molto più esteso rispetto a quanto affermato da Craxi. Secondo le sue dichiarazioni, la tangente era diventata una sorta di "tassa", richiesta nella stragrande maggioranza degli appalti. A beneficiare del sistema erano stati politici e partiti di ogni colore, specialmente quelli al governo come appunto la DC e il PSI. Chiesa fece anche i nomi delle persone coinvolte.


Vista la delicata situazione politica, in piena campagna elettorale, Antonio Di Pietro mantenne sulle indagini il più assoluto riserbo, mentre alcune formazioni come la Lega Nord iniziarono a cogliere la sempre più crescente indignazione popolare per raccogliere voti (con lo slogan "Roma ladrona!"). Altre, come la Dc, sottovalutarono il "peso politico" di Mani Pulite e altri ancora come Bettino Craxi accusarono la Procura di Milano di muoversi dietro un «...preciso disegno politico».

Le elezioni di aprile furono segnate dal crescere dell'astensione e dell'indifferenza.la DC calò dal 34,3 % al 29,6; il PSI, che nelle precedenti consultazioni aveva toccato i suoi massimi storici, scese di un punto percentuale; PRI, PLI e PSDI conservarono le loro posizioni. Il PDS e PRC, eredi del disciolto PCI, persero complessivamente un quarto dei voti. I veri vincitori delle elezioni furono la Lega Nord e La Rete, due formazioni di recente fondazione, sviluppatesi una nell'Italia settentrionale, l'altra nel Meridione, che registrarono un vero e proprio boom, facendo della moralizzazione e del rinnovamento politico dei veri e propri cavalli di battaglia.

L'arresto di politici ed imprenditori


Fondamentale, per questa espansione esponenziale delle indagini, fu la diffusa tendenza dei leader politici a privare del proprio appoggio i politici meno importanti che venivano arrestati; questo fece sì che molti di questi si sentissero traditi e spesso accusassero altri politici, che a loro volta ne accusavano altri ancora.
Nel Parlamento che si formò, il quadripartito (DC, PSI, PSDI e PLI) conservava comunque la maggioranza assoluta dei seggi ma l'ondata di arresti e di avvisi di garanzia lo indebolirono fortemente. Quando, a maggio, le Camere appena riunite furono chiamate a eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, le votazioni si tennero in un clima di caos totale (in quegli stessi giorni veniva ucciso il giudice Giovanni Falcone) e fu affossata dapprima la candidatura di Arnaldo Forlani, poi quella di Giulio Andreotti.


Alla fine, fu eletto il democristiano Oscar Luigi Scalfaro, candidato dei "moralizzatori". Scalfaro si rifiutò di concedere incarichi ai politici vicini agli inquisiti: Bettino Craxi, che aspirava a tornare alla presidenza del Consiglio, dovette rinunciare in favore di Giuliano Amato.

Attacco a Di Pietro


Ad agosto, Craxi attaccò Di Pietro sull'Avanti!, organo del suo partito: «Non è tutto oro quello che luccica. Presto scopriremo che Di Pietro è tutt'altro che l'eroe di cui si sente parlare. Ci sono molti, troppi aspetti poco chiari su Mani Pulite».
Il 2 settembre 1992 il politico socialista Sergio Moroni si uccise. Lasciò una lettera in cui si dichiarava colpevole, affermando che i crimini commessi non erano per il proprio tornaconto ma a beneficio del partito, e accusò il sistema di finanziamento di tutti i partiti. Bettino Craxi, segretario del PSI molto legato a Moroni, si scagliò contro stampa e magistratura sostenendo che si fosse creato un "clima infame". La figlia Chiara, politicamente impegnata nel centrodestra negli anni a seguire, sarebbe divenuta una delle voci più critiche nei confronti di Mani Pulite.
A settembre viene resa nota un'indagine della Procura di Brescia su un ex ufficiale dei carabinieri che avrebbe girato l'Italia per raccogliere notizie compromettenti sulla vita privata di Di Pietro. Due suoi amici avrebbero ricevuto offerte in denaro per rivelare che il magistrato avrebbe fatto uso di droga. L'indagine venne archiviata.Secondo alcune dichiarazioni dello stesso Craxi, il capo della polizia, Vincenzo Parisi, lo avrebbe incontrato e gli avrebbe riferito che era in possesso di tabulati telefonici su contatti fra Di Pietro e l'avvocato Giuseppe Lucibello su un loro "misterioso" viaggio in Svizzera.

"Il Clima infame"e la reazione dell'opinione pubblicae l'eroe Di Pietro


L'opinione pubblica, dopo l'iniziale smarrimento, si schierò in massa dalla parte dei PM: la giustificazione stessa della legge sul finanziamento pubblico ai partiti veniva percepita come priva di senso, visto che per anni era stata spiegata con le necessità di sostentamento della politica ed ora si scopriva che ciò non aveva fatto venir meno la corruzione.

Nacquero comitati e movimenti spontanei, furono organizzate fiaccolate di solidarietà con il pool, sui muri comparvero scritte come "W Di Pietro", "Di Pietro non mollare", "Di Pietro facci sognare" e "Di Pietro tieni duro!". Si diffusero persino slogan come "Tangente, tangente. E i diritti della gente?" o "Milano ladrona, Di Pietro non perdona!", o anche "Colombo, Di Pietro: non tornate indietro!"; vennero distribuiti orologi rappresentanti "l'ora legale". Nei sondaggi dell'epoca, la popolarità di Di Pietro e del pool raggiunse la percentuale record dell'80%, la cosiddetta "soglia dell'eroe".

Le inchieste estese in tutta l'Italia



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Le inchieste offrirono un panorama di corruzione diffusa dal quale nessun settore della politica nazionale o locale appariva immune. Politici e imprenditori di primissimo piano furono inquisiti e travolti da una pioggia di avvisi di garanzia. Tra questi anche Bettino Craxi, che a febbraio dovette dimettersi da segretario del Partito Socialista. Una mole ingentissima di procedimenti (72) furono intentati anche contro il tesoriere DC Severino Citaristi.

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Sulla spinta delle crescenti proteste popolari, il governo Amato s'impegnò a sollecitare le dimissioni di ogni suo componente raggiunto da un avviso di garanzia. Le inchieste toccarono inevitabilmente anche molti ministri, tanto che l'esecutivo raggiunse una percentuale di dimissioni senza precedenti.
Le indagini fecero emergere anche l'esistenza di conti personali, dove venivano dirottati i soldi delle tangenti, che venivano sfruttate quindi non soltanto per sostenere le spese dei partiti. Ad esempio, come avrebbe sancito la sentenza della Corte d'Appello di Milano del 26 ottobre 1999, Bettino Craxi utilizzò i fondi provenienti dalle mazzette oltre che per pagare «gli stipendi dei redattori dell'Avanti!», anche per una serie di impieghi inequivocabilmente personali.
A febbraio, il socialista Silvano Larini faccendiere del Partito Socialista Italiano ed uomo di fiducia di Bettino Craxi in quanto titolare del conto corrente Ubs 633369 in Svizzera (alias "conto protezione") e riconducibile al Partito Socialista Italiano, fu uno degli uomini-chiave della imponente indagine giudiziaria .
Nelle nuove elezioni amministrative del 6 giugno 1993 il Pentapartito conobbe un pesante tracollo: la DC perse nuovamente metà dei voti e il Partito Socialista praticamente sparì. La Lega Nord divenne la maggior forza politica dell'Italia settentrionale, conquistando anche la città di Milano, dove fu eletto sindaco Marco Formentini. L'opposizione di sinistra si avvicinava alla maggioranza, ma mancava ancora di unità e di comando.
La Falange Armata, formazione eversiva di destra sospettata di legami con i servizi segreti deviati, mandò il primo messaggio di morte al pool.
Secondo le dichiarazioni di alcuni pentiti, la mafia progettava di eliminare Di Pietro, per un favore da ricambiare verso un politico del Nord.

Il decreto Conso dichiarato incostutizionale



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L'ultimo tentativo di salvare la vecchia repubblica, dando un colpo di spugna fu un decreto legge (il decreto Conso, da Giovanni Conso, il Ministro della Giustizia che lo propose), che depenalizzava il finanziamento illecito ai partiti e definito per questo il "colpo di spugna". Il decreto, che recepiva un testo già discusso e approvato dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato, conteneva un controverso articolo che dava alla legge un valore retroattivo, e che quindi avrebbe compreso anche gli inquisiti di Mani Pulite.
L'allarme che le inchieste di Tangentopoli rischiavano di insabbiarsi fu lanciato dal pool milanese in televisione: l'opinione pubblica e i giornali gridarono allo scandalo e il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro per la prima volta nella storia repubblicana rifiutò di firmare un decreto-legge, ritenendolo incostituzionale.

Conso diede le dimissioni; pochi giorni dopo il referendum del 18 aprile 1993 (promosso dal democristiano dissidente Mario Segni), gli elettori votarono in massa a favore dell'introduzione del sistema maggioritario. Fu un segnale politico molto forte della sempre più crescente sfiducia nei confronti della politica tradizionale; il governo Amato, intravedendo nel risultato del referendum un segnale di sfiducia nei suoi confronti, rassegnò le dimissioni il 21 aprile.


La lira precipita ai minimi storici


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Il Parlamento non riuscì a formare un nuovo governo politico: Scalfaro decise perciò di affidare ad aprile la presidenza del Consiglio al governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, il quale costituì un governo tecnico, il primo nella storia d'Italia. Ciampi si pose due obiettivi fondamentali: una nuova legge elettorale che doveva essere scritta "sotto dettatura" del referendum (approvata alla fine dell'anno, introduceva un sistema per tre quarti maggioritario) e il rilancio dell'economia (che stava vivendo una difficilissima stagnazione, con la lira precipitata ai minimi storici).

La feroce contestazione contro Craxi



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Il 30 aprile la Camera dei deputati negò l'autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi, uno degli inquisiti più celebri di Tangentopoli. Il giorno prima Craxi si era presentato nell'aula e in un discorso ammise di aver ricevuto finanziamenti illeciti ma si giustificò sostenendo che i partiti non potevano sorreggersi con le entrate legali e attaccò l'ipocrisia di coloro che, all'interno del Parlamento, sostenevano le tesi dei magistrati, ma in realtà anche loro avevano beneficiato del sistema delle tangenti. Mentre il presidente della Camera, Giorgio Napolitano, leggeva i risultati delle votazioni, contrari all'autorizzazione, i deputati della Lega Nord e del MSI insultarono i colleghi dando loro dei "ladri" e degli "imbroglioni".
La mancata autorizzazione scatenò una reazione violentissima.
Diversi ministri del neonato governo diedero le dimissioni per protesta (tra di loro Francesco Rutelli e Vincenzo Visco). Studenti dei licei romani manifestarono per le strade della Capitale, alcune Università furono occupate, in molte città le sedi del PSI furono assalite dai manifestanti; la stessa sezione nazionale in Via del Corso fu oggetto di una sassaiola, scongiurata da alcune cariche della polizia.

Nel pomeriggio i partiti di sinistra (PDS, Verdi, Partito della Rifondazione Comunista e altri) indissero una manifestazione a Piazza Navona, mentre il MSI ne allestì una parallela davanti a Montecitorio: entrambe chiedevano lo scioglimento delle Camere.

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Al termine delle manifestazioni, un gruppo di persone si avvicinò all'Hotel Raphael, nel centro di Roma, che era la residenza capitolina di Craxi. Quando il leader socialista uscì dall'albergo, i manifestanti gli lanciarono oggetti di ogni tipo, soprattutto monetine; altri sventolavano banconote (gridando: «Bettino, vuoi pure queste?»), e nel frattempo venivano scanditi slogan contro il politico socialista che auspicavano il carcere («Bettino, Bettino il carcere è vicino») o addirittura il suicidio.


Poggiolini e gli emoderivati infetti



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Nel 1993 , sempre durante le inchieste viene fuori un enorme giro di tangenti riguardanti la sanità. A Duilio Poggiolini, direttore generale del servizio farmaceutico nazionale del Ministero della Sanità , venne inizialmente contestato di aver istruito procedure per cui venivano autorizzati aumenti di prezzo dietro versamento di compensi "una tantum" a Poggiolini e ad altre personalità del ministero. In seguito fu accusato di aver favorito l'ingresso di alcuni farmaci nel prontuario sanitario dietro compensi e regalie, in beni o denaro.
All'atto dell'arresto vennero sequestrati oltre 15 miliardi di lire su un conto svizzero intestato alla moglie, Pierr Di Maria: inoltre nella casa di Napoli della coppia vennero trovati diversi miliardi di lire in lingotti d'oro, gioielli, dipinti e monete antiche e moderne (fra cui rubli d'oro dello zar Nicola II e krugerrand sudafricani). Venne rinchiuso nel carcere napoletano di Poggioreale, dove fu sottoposto ad interrogatori da parte dei PM impiegati nell'inchiesta "Mani Pulite", tra cui Antonio di Pietro, rimanendovi per sette mesi e dando numerose deposizioni.
Con l'esplodere dello scandalo, Poggiolini fu denominato con vari soprannomi dalla stampa, tra cui Il Re Mida della Sanità o Il boss della malasanità (o addirittura il mostro della malasanità); fino alla scoperta del tesoro, Poggiolini aveva avuto uno stile di vita sobrio, quasi povero, ma all'atto della perquisizione furono necessarie dodici ore per catalogare i tesori nascosti negli armadi e persino, fatto che divenne poi "macchietta" del personaggio, in divani, materassi e pouf.
Duilio Poggiolini è stato indagato anche dalla Procura di Trento per il reato di epidemia colposa, in seguito ad una serie di infezioni da HIV e epatite C avvenute nei primi anni novanta tramite la trasfusione di sacche di plasma che non erano state adeguatamente controllate.
Nella inchiesta verra' coinvolto anche il ministro della sanità Di Lorenzo.


Lo scandalo ENIMONT e i suicidi


L'Enimont era nata nel 1988 in seguito alla decisione dei due colossi chimici del paese, grazie all'intervento di Raul Gardini, di unire le proprie attività chimiche in un'unica società. Enimont non è altro infatti che l'abbreviazione delle sigle Eni e Montedison. Era, in pratica, una joint venture di proprietà paritaria delle due società (40% a testa), con il rimanente 20% nelle mani del mercato azionario.
Durante le inchieste venne fuori un enorme giro di tangenti che vide coinvolti i maggiori esponenti politici della Prima Repubblica accusati, insieme ad alcuni imprenditori (tra cui molti del gruppo Ferruzzi, padrona della Montedison)di aver versato e aver intascato una maxi-tangente di circa per 250 milioni di dollari: soldi utilizzati per finanziare i partiti in maniera illegale (il cosiddetto finanziamento illecito). Buona parte di quei soldi si scoprì (circa 2/3) passò per conti detenuti presso lo Ior, ivi pervenuti sotto forma di titoli di Stato.

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Il 20 luglio 1993, l'ex-presidente dell'ENI, Gabriele Cagliari, da oltre 4 mesi di carcere preventivo, si uccise, dopo aver scritto una lettera in cui accusava i PM di Milano di tenerlo in carcere con l'intento di farlo confessare; in seguito, sua moglie restituì oltre 6 miliardi di lire di fondi illegali.

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Tre giorni dopo si uccise con un colpo di pistola anche Raul Gardini, presidente del gruppo Ferruzzi-Montedison. Gardini aveva saputo dal suo avvocato che stava per essere coinvolto nelle indagini di Mani pulite sulla tangente Enimont. Alcuni ipotizzarono che il suicidio di Gardini abbia avuto tra le cause scatenanti, oltre al tentativo di eludere il proprio coinvolgimento nel caso Enimont, anche l'intento di non esporsi a collegamenti con Cosa Nostra che stavano emergendo dalle indagini; altri ancora ipotizzarono addirittura che il suicidio fosse in realtà un omicidio premeditato negli ambienti politici e che si inscrivesse in un disegno di copertura della corruzione cui appartenne anche il presunto suicidio di Sergio Castellari.

Le presunte malefatte di Antonio Di Pietro


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Il 17 luglio 1993 Il Sabato, settimanale di Comunione e Liberazione, pubblicò un dossier sulla corruzione nella politica della prima Repubblica, sul fatto che la magistratura ne sarebbe stata al corrente e sulle presunte malefatte di Di Pietro, il quale sarebbe stato in combutta con diversi imprenditori, che in cambio di denaro avrebbe protetto dalle indagini. Il dossier, che indagava sulle proprietà immobiliari e patrimoniali di Di Pietro accresciute in modo esponenziale, era attinto da un manoscritto del giornalista Filippo Facci circolato in forma anonima all'inizio del 1993 dopo essere stato acquistato da un fantomatico editore irlandese; i suoi contenuti si sarebbero riversati nelle campagne giornalistiche contro il pool condotte negli anni successivi, come il dossier Achille e gli altri addebiti che in sede giudiziaria furono confutati, quando a partire dal 1995 varie sentenze giudicarono infondate quelle campagne scandalistiche.

Le tangenti rosse


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A fine gennaio 1993 fu il manager della Ferruzzi, Lorenzo Panzavolta, ad aprire il capitolo delle cosiddette «tangenti rosse» nell’inchiesta Mani Pulite .

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Il sostituto procuratore Tiziana Parenti, da poco nel pool milanese, nel marzo 1993 divenne il PM delle "tangenti rosse" al PCI-PDS con le accuse al parlamentare Marcello Stefanini, tesoriere del Pds, per le tangenti versate dal gruppo Ferruzzi a Primo Greganti, il cosiddetto "compagno G.
Il manager fa mettere a verbale di aver versato, tra il 1990 e il 1992, un miliardo e 246 milioni al Pci-Pds, in tre tranche, a Greganti. Così il primo marzo finisce in manette Primo Greganti, ex operaio e ex funzionario amministrativo del Pci torinese. In carcere ci resterà per tre mesi, ma tutto quello che dirà ai magistrati si riassume in poche righe: è lui il titolare del conto estero citato da Panzavolta, ed è sempre lui ad aver incassato i tre versamenti.
Non per il Pci-Pds, però, ma per sè, per affari immobiliari e di marketing internazionale in Cina. Una versione che nemmeno i giudici prenderanno per buona. Ma da lui, sul capitolo ‘tangenti rossè non uscirà nemmeno una parola.
L’indagine su Botteghe Oscure ha però ormai preso il via. Del coinvolgimento del Pci-Pds nel sistema delle tangenti parla anche Ottavio Pisante.
La svolta nell’inchiesta si ha con l’arresto di Giovanni Donigaglia, presidente della Coopcostruttori di Argenta, in provincia di Ferrara. Che, sul sistema del finanziamento al partito, dà la sua versione. In pratica, sostiene, quando la struttura amministrativa del partito faceva sapere le sue necessità, i dirigenti delle varie cooperative ne prendevano atto e sottoscrivevano gli importi necessari che facevano avere sotto forma di pubblicità, contributi alle Feste dell’Unità, o contribuzioni a mani festazioni e convegni. Ma mai tangenti per essere favoriti negli appalti.
Tiziana Parenti, si dedica giorno e notte nel tentativo di trovare le prove dei legami illeciti tra Greganti e i vertici del partito. Ma non è facile. Qualcosa però la trova, ed è un finanziamento da un miliardo e rotti che dal conto ‘Gabbietta’ di Primo Greganti passa alla Ecolibri, la società presieduta dalla sorella del segretario del Pci-Pds, Paola Occhetto. Ma anche in questo caso la spiegazione arriva: la somma è il risultato della vendita delle quote possedute dal partito in Eumit, utilizzata per ripianare i bilanci in perdita della Ecolibri.
Nel luglio del ’93 il magistrato iscrive il senatore Marcello Stefanini nel registro degli indagati. il 18 settembre viene arrestato Marco Fredda, responsabile del patrimonio immobiliare del partito per la ‘storià del palazzo di via Serchio. Ma, di elementi determinanti, sia contro Stefanini che Fredda non se ne trovano.
E il pool, riunito al gran completo, decide di archiviare il fascicolo contro il senatore del Pci-Pds. Tiziana Parenti si astiene.

Il processo Cusani , un processo con ascolti record


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Sergio Cusani crebbe professionalmente negli ambienti finanziari milanesi per poi diventare consulente finanziario della famiglia Ferruzzi, prima con il fondatore Serafino, poi con il genero Raul Gardini e, infine, con Carlo Sama e proprio per questo fu coinvolto nel processo Enimont per le tangenti pagate dal gruppo dell'imprenditore Raul Gardini a numerosi esponenti politici in seguito alla vendita dell'azienda.
Raul Gardini voleva uscire da Enimont, in fretta e con una supervalutazione delle sue azioni; per farlo, secondo l'accusa, occorreva pagare i partiti e Gardini incaricò Sergio Cusani di reperire i fondi necessari, ovviamente "in nero". A Cusani viene in mente il "personaggio dalla liquidità spaventosa" che aveva già fatto affari immobiliari con la Ferruzzi e con la Montedison ai tempi di Serafino: Domenico Bonifaci, immobiliarista romano. A Bonifaci si chiese di acquistare la società Sviluppo Linate con una complessa operazione, in cui 60 miliardi furono anticipati dalla stessa Montedison. Bonifaci accettò e pagò in nero: parte in contanti e parte in CCT, dei quali compilò un minuzioso elenco, rivelatosi preziosissimo poi per gli inquirenti quando si tratterà di vedere dove fossero andati a finire quei soldi. Una parte dei CCT venne portata in Vaticano presso la banca IOR che la trasformò in contanti.
Dopo l'inizio delle inchieste di Tangentopoli, Cusani comprese che si avvicinava il momento dell'arresto e liquidò la società di consulenza per dedicarsi alla propria difesa: questa si incentrò su un ostinato esercizio della facoltà di non rispondere al di fuori dello stretto indispensabile per difendere la memoria del suo mentore Gardini; ma tale atteggiamento processuale si tradusse nell'unico vero baluardo che nel turbine di Tangentopoli si frappose alla possibilità di qualificare come corruzione la posizione giudiziaria di Bettino Craxi, per cui la stampa tendeva a qualificarlo come finanziatore del Partito Socialista Italiano.
l Processo ENIMONT, presso il tribunale di Milano, presieduto dal giudice Giuseppe Tarantola, si svolse col rito abbreviato e anticipò tutti gli assai meno noti processi dell'epoca di Tangentopoli. Esso vide Antonio Di Pietro accusare Cusani e interrogare molti politici italiani in veste di testimoni o di imputati di reato connesso.
È un processo che ha un grande seguito da parte della stampa e che vede la condanna di Cusani a 5 anni e 10 mesi di reclusione. Ne scontò in cella quattro. Tra i molti protagonisti della vicenda Enimont è quello che ha scontato la pena più pesante.

I politici coinvolti nell'affare Enimont


Il processo fu trasmesso in diretta dalla Rai, registrando ascolti record: celebri furono gli accesi scontri verbali fra Di Pietro e l'avvocato di Cusani, Giuliano Spazzali, durante i quali il magistrato impiegava il suo colorito linguaggio popolare (il cosiddetto "dipietrese"), che ne aumentarono la popolarità e l'affetto del popolo e sarebbe diventato una delle sue caratteristiche più famose.

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Cusani non era una figura di primo piano, ma nell'affare Enimont erano coinvolti molti politici di primo piano e molti di loro furono chiamati a deporre come testimoni. Tra questi, l'ex Presidente del Consiglio, Arnaldo Forlani, che, rispondendo ad una domanda, disse semplicemente «Non ricordo».

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Bettino Craxi, invece, ammise che il suo partito aveva ricevuto i fondi illegali, anche se negò che ammontassero a 93 milioni di dollari. La sua difesa fu, ancora una volta, che «lo facevano tutti» ma la sua deposizione, al contrario delle precedenti, non venne interrotta dal pubblico ministero d'udienza, Antonio Di Pietro[17], il quale reagì alle critiche per questa sua inusuale condotta processuale, dichiarando alla stampa che per la prima volta vi era stata una piena confessione.

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Anche la Lega Nord e il disciolto PCI, che sostenevano pubblicamente i magistrati e le loro inchieste, furono coinvolti nelle chiamate in correità: sulla base di queste, nel successivo processo ENIMONT Umberto Bossi e l'ex tesoriere Alessandro Patelli furono condannati per aver ricevuto 200 milioni di finanziamenti illegali, mentre le condanne di Primo Greganti e di alcuni esponenti milanesi toccarono il partito comunista solo marginalmente. Nel processo emerse anche, che una valigia contenente denaro era pervenuta in Via delle Botteghe Oscure, nella sede nazionale del PCI, ma le indagini si erano arenate ,dato che non si erano trovati elementi penalmente rilevanti nei confronti di persone fisiche. In proposito il Pubblico Ministero Antonio Di Pietro disse: «La responsabilità penale è personale, non posso portare in giudizio una persona che si chiami Partito di nome e Comunista di cognome». Alcuni detrattori di Di Pietro ritengono tuttavia che il PM non abbia fatto il possibile per individuare i componenti del PCI responsabili di corruzione: ipotesi che Di Pietro liquida come «un'autentica falsità»


Le denuncie contro il pool

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A settembre, il Ministro per i Rapporti col Parlamento Giuliano Ferrara annuncia la sua intenzione di denunciare il pool per attentato alla Costituzione. Verrà denunciato solo Borrelli e in seguito assolto.

Il 29 settembre, Sergio Cusani denunciò i giudici del pool per diffamazione e d'omissione d'atti d'ufficio.

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Il generale Giuseppe Cerciello, imputato nello scandalo delle "fiamme sporche", denunciò Borrelli, Colombo e Di Pietro al CSM per presunte manovre intorno al Gip Andrea Padalino. I processi dimostreranno che queste accuse erano tutte invenzioni.
Il 23 novembre l'assicuratore Giancarlo Gorrini, si recò al Ministero della Giustizia e denunciò Di Pietro: lo avrebbe ricattato e avrebbe preteso da lui un prestito di 100 milioni senza interessi, una Mercedes, l'affidamento alla moglie, l'avvocato Susanna Mazzoleni, di tutte le cause della sua compagnia, l'accollo tutti i debiti contratti alle corse ippiche da un certo Eleuterio Rea. Il 24, Biondi avviò un'inchiesta parallela e segreta sul magistrato. Ma il capo degli ispettori, Dinacci, confidò al giudice De Biasi (incaricato di condurre l'inchiesta) che «Previti ha detto di distruggere Di Pietro e che Gorrini era stato pagato»
Il 26 novembre, Di Pietro venne avvertito dallo stesso Previti che al Ministero gli stavano preparando una "polpetta avvelenata". Dopo essersi consultato con i colleghi del pool, Di Pietro decise di redigere una memoria da inviare al Csm. Poi cambiò idea e il 6 dicembre, dopo l'ultima requisitoria per il processo Enimont, si dimise dalla magistratura. Fu la fine di Mani pulite.
A febbraio la denuncia di Cusani contro Di Pietro fu archiviata dal Giudice per le indagini preliminari di Brescia. Viene sventato un attentato contro Gerardo D'Ambrosio.

Il Gico di Firenze riaprì l'inchiesta Autoparco. Alla Procura venne consegnato un dossier di 263 pagine, con accuse precise contro i magistrati Di Maggio, Nobili, Armando Spataro e Ilda Boccassini. La Procura archiviò poi, definitivamente, l'inchiesta.
7 aprile Di Pietro venne denunciato dall'avvocato Carlo Taormina e dal generale Cerciello per presunte pressioni su un maresciallo dei carabinieri affinché denunciasse Berlusconi e Cerciello. Il maresciallo smentisce tutto e l'accusa viene archiviata dal GIP di Brescia.

Il 13 aprile Berlusconi sostiene in un'intervista che Di Pietro gli avrebbe confidato che non condivideva affatto l'invito a comparire stilato contro di lui, ma l'ormai ex pm smentisce.
l 5 maggio, il Ministro della Giustizia Filippo Mancuso annunciò una nuova ispezione a Milano. I giudici avrebbero fatto pressioni sugli ispettori, già inviati da Biondi, affinché scagionassero il pool. Venne aperta un'inchiesta anche sui suicidi di Gabriele Cagliari e di Sergio Moroni. Le ispezioni scagionarono totalmente il pool e nella relazione, Mani Pulite viene difesa per «l'estrema correttezza dell'azione dei magistrati».

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È a giugno del 1995 che le accuse contro Di Pietro toccarono il culmine. Il PM bresciano Fabio Salamone interrogò Gorrini e Paolo Pillitteri, quindi iscrisse Di Pietro nel registro degli indagati per concussione: avrebbe premuto sugli imprenditori Gorrini e D'Adamo affinché si accollassero i debiti di Rea. L'11 giugno Di Pietro venne inquisito per un'altra concussione ai danni di Gorrini (un prestito di 100 milioni, una Mercedes e un pacchetto sinistri dell'assicurazione di Gorrini a favore dello studio della moglie dell'ex pm, Susanna Mazzoleni). Il 19 sempre Salamone indagava Di Pietro per abuso d'ufficio e per pressioni sui politici milanesi per far diventare Rea il comandante dei vigili urbani milanesi.

Il quotidiano Il Giornale pubblicò un nuovo scoop contro Davigo: il magistrato sarebbe stato membro di una cooperativa diretta dal generale Cerciello, accusato di corruzione. In realtà Davigo aveva lasciato la cooperativa subito dopo l'ingresso di Cerciello.
Il 20 giugno si diffuse la falsa notizia che Di Pietro sarebbe stato arrestato. Poco dopo, il 30 giugno, Bettino Craxi dalla Tunisia inviava un lungo fax a tutte le redazioni dei giornali in cui riportava i tabulati telefonici che gli aveva consegnato Parisi e si dichiarava disponibile a farsi interrogare da Salamone.


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In una lettera al Giornale, Craxi spiegò che «...le recenti inchieste stanno dimostrando che Mani Pulite era tutta un bluff. Avevo ragione io quando sostenevo che Di Pietro era manovrato». In una successiva missiva, Craxi denunciò un viaggio di Di Pietro in Costarica, durante il quale egli avrebbe concordato con "alti esponenti della finanza internazionale" le indagini di Mani Pulite. Si scoprirà poi che Di Pietro fu mandato colà per ragioni di sicurezza, in quanto un pentito aveva rivelato che la mafia voleva ucciderlo.
Nel frattempo però Di Pietro ricevette nuove accuse: avrebbe pagato un affitto a prezzi stracciati per un appartamento nel centro di Milano e per abuso d'ufficio nel piano d'informatizzazione della procura di Milano, da lui diretto alla fine degli anni ottanta. Accuse di ogni tipo (tra cui il falso ideologico e l'abuso d'ufficio) arrivarono anche contro Davigo, Borrelli, Colombo e altri magistrati milanesi. A novembre la Procura della Repubblica di Roma indagò contro Borrelli, Davigo, Colombo e il GIP Italo Ghitti, perché avrebbero ricattato il capo degli ispettori ministeriali, Ugo Dinacci, tramite un'inchiesta su suo figlio Filippo.
Fra la fine e l'inizio del nuovo anno, Di Pietro e il pool vennero via via scagionati da tutte le accuse. Già a dicembre 1995, il GIP di Brescia archiviò tutte le inchieste di Salamone. Quest'ultimo venne anzi censurato e denunciato al Csm: era il fratello di un uomo fatto condannare da Di Pietro a 18 mesi di carcere. Il 16 gennaio 1998 Salamone venne condannato definitivamente dal Csm.

Conclusioni:perchè l'inchiesta ebbe successo


L’inchiesta ebbe successo non per un improvviso trasalimento morale di corrotti e corruttori, che facevano la fila al terzo piano del Palazzo di Giustizia per confessare e sputare il rospo.
Il problema è che il sistema di “dazione ambientale” come la definiva Di Pietro era diventato insopportabile. Inoltre i magistrati avevano di fronte un sistema politico che si era sgretolato. E il motivo era semplice e grandioso allo stesso tempo: era caduto il muro di Berlino. Come ha acutamente rilevato Ilvo Diamanti, l’inchiesta della Procura di Milano aveva subito un arresto già verso marzo. Furono le elezioni del 5 aprile 1992 a dare nuova linfa all’ inchiesta. Cos’era successo? Semplice: gli elettori non avevano alcuna necessità di votare i partiti di maggioranza in funzione anticomunista, per il semplice fatto che il comunismo non c’era più. Il “salto del buio” si era illuminato: si vedeva solo il verminaio della corruzione: perché continuare a votare Dc pensarono in molti. Ed ecco balzare all’orizzonte quello che è diventato il partito più antico in Parlamento, la Lega Lombarda di Umberto Bossi. Il Carroccio di lì a poco avrebbe conquistato addirittura Palazzo Marino.
Le inchieste della Procura di Milano, soprattutto dopo le elezioni del 5 aprile 1992, preluderanno alla nascita della Seconda Repubblica. Dal 17 febbraio del 1992 al marzo del 1994 verranno emessi nelle Procure di tutta Italia 25.400 avvisi di garanzia (di cui 110 tra parlamentari) e saranno arrestate 4.525 persone tra imprenditori e politici (consiglieri, assessori, amministratori di partecipate).
E’ in questo clima che nacque la Seconda repubblica: la discesa in campo di Berlusconi, la sinistra “graziata”, si disse, dai magistrati “rossi”, l’avvento della Lega, le circonvoluzioni del centro moderato, il referendum Segni, la nuova legge elettorale che ci consegnava al bipolarismo, la diaspora dei cattolici in tutti i partiti di destra e sinistra. Oltre un ventennio riassumibile in un bel giro di giostra, al termine del quale siamo ancora alle prese con corruzione, malaffare e crisi dei partiti.



Edited by Pulcinella291 - 8/4/2015, 08:26
 
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