Le stronzate di Pulcinella

GENOVA per VOI: storia, arte, tradizioni, cultura, gastronomia, sport, entroterra

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view post Posted on 3/3/2021, 17:12
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Ospiti nella Lanterna, anzi coinquilini

Falchi pellegrini genovesi


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«Sono 20 anni che li vedo». Per Angelo De Caro, guardiano della Lanterna di Genova, è assolutamente normale. Anno dopo anno osserva i falchi pellegrini sorvolare il simbolo della Superba, scendere in picchiata e cacciare.
Questi due falchi pellegrini innamorati della città della Lanterna: sono soprannominati Zena, dal nome della città, e Cris, diminutivo di Cristoforo (Colombo, ovviamente).
Direte "allora, anche sul pirellone"
Già, ma noi siamo a Genova e ci interessano questi due.
Quindi torniamo alla coppia genovese: Zena e Cris, ogni anno, hanno almeno due piccoli e sono seguiti dalla Lipu. In caso di necessità di soccorso, soprattutto dei piccoli, quando imparano a volare, l’Enpa interviene prontamente con i suoi volontari. Rapidissimo, soprattutto in picchiata, il falco pellegrino è considerato l’animale più veloce in natura, lo sapevate? Può infatti raggiungere i 320 chilometri orari, superando in velocità una macchina sportiva e staccando persino il ghepardo africano.

La Lanterna si riscopre dunque anche parco naturalistico: gli inquilini della Lanterna sarebbero utilissimi anche a tener lontani dal faro i gabbiani e altre specie di volatili che se nidificassero sulla torre, specialmente nel periodo di svezzamento dei piccoli, potrebbero rappresentare un rischio per i visitatori.



Fonte: mentelocale.it
 
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view post Posted on 3/3/2021, 21:16
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Maria Brignole Sale De Ferrari Duchessa di Galliera

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La Duchessa di Galliera Maria Brignole Sale De Ferrari (Genova, 5 aprile 1811 – Parigi, 9 dicembre 1888) è stata una filantropa italiana. Discendente del casato dei Brignole Sale, essendo nata il 5 aprile 1811 a Palazzo Rosso (Genova) da Antonio Brignole Sale, ultimo marchese di Groppoli, ed Artemisia Negrone, si deve a lei la nascita dei primi musei genovesi, Palazzo Rosso e Palazzo Bianco e la fondazione dell'ospedale genovese che porta il suo titolo, l'Ospedale Galliera - in origine dedicato a Sant'Andrea Apostolo - e dell'ospedale infantile intitolato a San Filippo. Una statua opera della scultore Giulio Monteverde la ricorda nei giardini interni al nosocomio.

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Appartenente ad una delle più prestigiose famiglie genovesi, è stata una delle personalità più illustri della Genova dell'Ottocento ed è ricordata per la sua munificenza [1].

Sia il padre Antonio che la madre, Artemisia Negrone, provenivano da famiglie rilevanti dell'aristocrazia genovese, avendo dato ciascuna più dogi alla Repubblica nel corso dei secoli. La nonna paterna, Anna Pieri, era dama di compagnia dell'imperatrice Maria Luisa, moglie di Napoleone, la zia paterna, Maria Pellegrina, era moglie del duca Emmerich Joseph Kämmerer von Worms, numero due della diplomazia francese dopo Talleyrand. L'attività di ambasciatore del padre portò Maria a crescere in molte capitali europee e a venire a contatto con molti dei grandi dell'epoca, contribuendo alla sua formazione cosmopolita. Il fervente cattolicesimo dei genitori influenzò Maria nella formazione di forti valori che emersero quando, restando senza eredi, dovette decidere il destino della sua immensa fortuna.

La sorella minore, Luigia, andrà sposa al duca di Lodi, Lodovico Melzi d'Eril.

Sposatasi a diciassette anni col marchese Raffaele De Ferrari (a cui è dedicata la principale piazza di Genova, piazza De Ferrari), ebbe da questi i titoli di Duchessa di Galliera (concesso dal Papa nel 1837) e di Principessa di Lucedio (concesso dal Re d'Italia ne 1875), attraverso l'acquisto di terre e relativi blasoni. La vita della coppia fu inizialmente segnata da un grave incidente che occorse al marito, il quale uccise involontariamente, mentre era intento a pulire un'arma da fuoco, un suo domestico. Sebbene l'inchiesta che ne seguì accertasse l'assoluta accidentalità dell'accaduto, il nobiluomo rimase molto turbato dal fatto tanto da decidere di immergersi nel lavoro, che lo portò a Parigi. Fu nella capitale francese che Raffaele fece fortuna sotto l'aspetto economico, accrescendo enormemente le già rilevanti sostanze sue e della moglie con attività nel mondo bancario e nella nascente industria ferroviaria. Il marchese, che non amava Parigi, rimase in quella città incoraggiato dalla moglie, innamorata della vita brillante della capitale.

A seguito dei moti del 1848 e della morte di Luigi Filippo di Francia (1850) la famiglia reale dovette vendere diverse proprietà per evitare la bancarotta. Il marchese De Ferrari acquistò così nel 1852 dal duca di Montpensier l'antico Hôtel Matignon, al 57 di rue de Varenne, un bell'edificio del XVIII secolo dotato del più grande parco privato della capitale e già residenza dell'antenata Maria Caterina Brignole-Sale (1737–1813), principessa di Monaco.

L'ampio edificio, che Maria definì "comodo a condizione di non avere figli", fu progressivamente abbellito coi capolavori pittorici che la famiglia Brignole aveva accumulato nei secoli, a cominciare dai ritratti degli antenati dogi eseguiti da Antoon Van Dyck e Hyacinthe Rigaud.

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Le feste sontuose date in quel palazzo rimasero celebri, anche per le eminenti personalità che vi prendevano parte. Amica personale dei Borbone-Orléans, Maria riservò parte del palazzo ad alcuni suoi membri negli anni difficili della Seconda Repubblica francese e poi della Terza Repubblica francese fin quando tutti i discendenti di ex case regnanti dovettero lasciare la Francia. Prima di abbandonare Parigi per sempre, Maria lasciò l'elegante edificio in eredità all'Impero austro-ungarico per farne la propria ambasciata, ma poi (1922) fu requisito come bottino di guerra dal governo francese e dal 1933 è sede ufficiale del primo ministro.

Anche nella capitale francese la vita della coppia venne sconvolta per la morte, in giovane età, del secondo figlio, Andrea (1831-1847), dopo che la prima, Livia (1828-1829), era vissuta solo pochi mesi. Il terzo figlio, Filippo (1850-1917), fu personaggio di eccentrica personalità, messa alla prova anche dalla nostalgia della madre per il figlio morto prematuramente e dalle proprie simpatie per le nuove idee politiche socialiste. Filippo fu un celebre collezionista di francobolli; scelse di assumere la cittadinanza austriaca - si fece adottare da un ufficiale dell'Impero austro-ungarico - e rinunciò a gran parte delle ricchezze e ai titoli nobiliari dei genitori, morendo senza discendenza.

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Proprio le scelte del figlio Filippo indussero Raffaele De Ferrari, nel frattempo divenuto senatore del Regno d'Italia nel 1858, a procedere con opere di beneficenza e di pubblica utilità, destinando la cifra di venti milioni di lire dell'epoca al miglioramento del porto, denaro che consentì la costruzione di diverse infrastrutture, tra cui principalmente i moli Galliera, Lucedio e Giano.

Rimasta vedova nel 1876, Maria proseguì l'attività filantropica iniziata dal padre Antonio e continuata col marito Raffaele. Oltre che degli Ospedali "Galliera", il "S.Andrea" e il "S.Filippo", siti attorno al vecchio monastero delle clarisse, è stata la fondatrice anche di un altro nosocomio, il "San Raffaele" di Coronata, a Genova.

Decisamente importante il suo ruolo anche nella cultura genovese, segnatamente per la donazione al Comune di Palazzo Rosso (1874) e il lascito ereditario di Palazzo Bianco (1889), sedi principali dei Musei di Strada Nuova. Maria fece costruire a Parigi un palazzo che doveva contenere la notevole collezione d'arte di famiglia, ma quando il governo francese decise di confiscare tutti i beni della famiglia d'Orleans, la duchessa loro amica decise di lasciare lo stabile alla città di Parigi, come già d'accordo, ma vuoto delle opere d'arte che portò invece a Genova in Palazzo Rosso. L'edificio parigino ora ospita il museo del costume e della moda.

Altrettante opere filantropiche e di beneficenza vennero create e finanziate da Maria in Francia: tra queste, a Meudon vicino a Parigi, fece costruire un orfanotrofio e un ritiro per anziani, costati ben 47 milioni di franchi. Tuttora in funzione, sono un esempio dell'illuminato senso civico della nobildonna.

Maria morì a Parigi il 9 dicembre 1888 e la salma fu trasportata con un treno speciale a Voltri per essere tumulata, assieme al marito, nella cripta del Santuario della Madonna delle Grazie, che lei aveva acquistato nel 1864 dallo stato per restituirlo agli antichi proprietari, i frati cappuccini, privati dalla legge del Regno Sabaudo delle loro proprietà. Lasciò in eredità all'Opera Pia che porta il nome dei Brignole Sale la Villa Brignole Sale Duchessa di Galliera di Voltri che dal 1931 è ad uso, e in parte di proprietà, del Comune di Genova.

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Lasciò infine il titolo di Duca di Galliera al principe Antonio d'Orléans, duca di Montpensier e ultimogenito del Re dei Francesi Luigi Filippo I, amico d'infanzia di suo figlio Andrea. Il titolo è ancora portato dagli Orléans di Spagna.

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Fonte: wikipedia
 
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view post Posted on 4/3/2021, 19:22
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1945. Insurrezione a Genova

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23 aprile 1945- Genova insorge contro i nazisti .

23 aprile: Le nove di sera.Si riunisce a il CLN genovese, per decidere se dare il via all’insurrezione o aspettare. Il Comando germanico aveva fatto sapere al vescovo Siri – e questi a Pittaluga (Taviani), che ne riferì subito in apertura di seduta – d’esser disposto a rinunciare alla minacciata distruzione del porto, se il Cln si fosse impegnato a rispettare quattro giorni di tregua ,permettendo all’esercito tedesco una ritirata indisturbata. Ci fu una calorosa discussione sul l’accogliere o meno il messaggio della Curia. Infine, a notte fonda, con quattro voti contro due il CLN liberò l’ordine di insurrezione.

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24 aprile: Alle quattro del mattino i primi colpi di fucile. Subito dopo, le raffiche di mitraglia.

Alle cinque, sempre più frequenti, i colpi di cannone e di mortaio. .. Durissima la battaglia al centro di Piazza De Ferrari….Gli abitati di Sestri Ponente, Cornigliano,Pontedecimo, Bolzaneto, Rivarolo, Quarto, Quinto erano caduti fin dal mattino in mano agli insorti. Mancava, tuttavia, la continuità territoriale fra le loro posizioni e il centro cittadino…Sulla camionale per Milano le colonne nemiche, bloccate nelle gallerie, tentano sortite: non possono più a lungo restare prive d’acqua.
La sera del 24 si chiude in una cupa atmosfera… La situazione era ancora più tragica e confusa per la minaccia che, dal Comando di Savignone, inviava il generale Meinhold: aprire il fuoco su Genova con le batterie pesanti di Monte Moro e con quelle leggere del porto, qualora non si lasciassero evacuare in ordine le truppe tedesche. Gli americani avevano appena raggiunto La Spezia, distanti dunque più di cento chilometri…

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Fin dalla sera il Comitato ero conscio del rischio che accadesse a Genova quel che era successo a Varsavia..Adesso però – a differenza della sera prima – non c’era più il problema di fidarsi o meno della parola del nemico; adesso il Comitato poteva trattare in termini di forza: aveva nelle sue mani un numero cospicuo di prigionieri tedeschi… Perciò decide d’inviare una lettera-ultimatum al generale Meinhold.

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25 aprile: Alba…: riprende la battaglia, praticamente in tutta la città. Ore nove: le Sap di Sestri …espugnano il Castello Raggio. Ore nove e trenta: si arrendono i presidi di Voltri e di Prà.

Ore nove e quarantacinque: si arrendono le batterie di Arenzano.

Fra le otto e le dieci e trenta: le Sap conquistano Piazza Acquaverde (ma non la stazione Principe), le caserme di Sturla, l’ospedale di Rivarolo e alcuni punti di resistenza in Val Polcevera. Intanto il professor Stefano (Carmine Romanzi) dopo un avventuroso viaggio in ambulanza da Genova a Savignone ,consegna due lettere al gen. Meinhold (una del Cardinale Boetto e la proposta di resa del CLN). Il generale decide di trattare la resa, poiché viene a conoscenza anche del fatto che tutte le strade per la ritirata sulla linea Kesselring del Po, sono saldamente in mano ai partigiani (Divisione Pinan Cichero, comandata da Scrivia) e come garanzia consegna a Romanzi la sua pistola.

Ore quindici : il gen. Meinhold e i suoi accompagnatori arrivano con l’ambulanza in città dopo cinque ore di viaggio, scortati da due partigiani in motocicletta,e si recano a Villa Migone, residenza del Cardinale, dove si trovano già il console tedesco Von Hertzdorf e Giovanni Savoretti. Ore diciassette iniziano le trattative di resa. Rappresentano il Cln Scappini e Martino. Rappresenta il Corpo dei Volontari per la Libertà il maggior Mauro Aloni del Comando Piazza di Genova .

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Ore diciassette e trenta: un grosso contingente dei reparti acquartierati nel porto si arrende ai partigiani.

Ore diciannove da Savona Carlo Russo telefona che anche là sono insorti.



Ore diciannove e trenta: a Villa Migone il gen. Meinhold firma l’atto di resa. Scappini testimonierà poi che il generale firmò quasi improvvisamente, dopo molte incertezze, e che tutti loro, osservandolo in quelle ore di trattative, ebbero l’impressione che stesse compiendo lo sforzo più impegnativo della sua vita. Prima che la resa sia firmata si è fatta la conta dei militari tedeschi prigionieri degli insorti della città:1360. Numerosi altri sono stati e saranno catturati dai partigiani che stanno calando dalla montagna.

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26 aprile Mezzanotte e mezza: il colonnello Davidson, comandante in capo delle missioni alleate, giunge alla sede genovese del CLN a San Nicola. Vista la situazione, riesce a contattare telefonicamente gli Americani della 92a Buffalo, arrivati a Rapallo, per annunciar loro che proseguano pure perchè la via è libera. Ore quattro e trenta: … il generale Meinhold trasmette l’ordine di resa ai reparti. Deve usare toni duri e minacciosi con i presidi che ancora resistono. Ufficiali tedeschi lo cercheranno senza esito in diversi punti della città per eseguire la condanna a morte emessa nei suoi confronti.

Ore nove: Pittaluga ( Taviani) raggiunge la stazione radio di Granarolo e dà l’annuncio da Radio Genova della capitolazione tedesca, legge l’atto di resa e aggiunge: “Popolo genovese esulta. L’insurrezione, la tua insurrezione, è vinta. Per la prima volta nel corso di questa guerra, un corpo d’esercito agguerrito e ancora bene armato si è arreso dinanzi a un popolo. Genova è libera. Viva il popolo genovese, viva l’Italia”.



Mezzogiorno: giungono notizie inquietanti. Due reggimenti germanici in ritirata da La Spezia hanno raggiunto Rapallo. Che cosa accadrà a Genova se riescono a stabilire i collegamenti con gli assediati di Monte Moro e del porto?

Ore tredici: i partigiani della Cichero e della Pinan Cichero si attestano nei punti nevralgici della città…Intanto altre forze partigiane della montagna tengono saldamente in mano i passi della Bocchetta, dei Giovi, della Scoffera e di Uscio: da qui scendono a bloccare la via Aurelia tra Rapallo e Nervi, così la colonna tedesca…si dissolve.

Ore diciannove: una interminabile schiera di prigionieri tedeschi sfila per il centro cittadino inquadrata dai partigiani in armi.

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Tarda serata: le avanguardie angloamericane arrivano a Nervi, dieci giorni prima del tempo previsto dai piani.

27 aprile Ore tredici il generale Almond, comandante in capo della V° armata americana rende per primo visita al Cln, nell’Hotel Bristol. Almond ringraziò i patrioti per l’aiuto profuso, e manifestò la sua ammirazione per il modo in cui erano state condotte le cose e governata la città. I genovesi ritornano nelle vie della città liberata

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Il1° agosto 1947 è stata conferita alla città di Genova la Medaglia d’oro al Valor militare, con la seguente motivazione:



Amor di Patria, dolore di popolo oppresso, fiero spirito di ribellione, animarono la sua gente nei venti mesi di dura lotta il cui martirologio è nuova fulgida gemma all’auro serto di gloria della “Superba” repubblica marinara.I 1963 caduti il cui sangue non è sparso invano, i 2250 deportati il cui martirio brucia ancora nelle carni dei superstiti, costituiscono il vessillo che alita sulla città martoriata e che infervorò i partigiani del massiccio suo Appennino e delle impervie valli, tenute dalla VI Zona operativa, a proseguire nella epica gesta sino al giorno in cui il suo popolo suonò la Diana della insurrezione generale.Piegata la tracotanza nemica otteneva la resa del forte presidio tedesco, salvando così il porto, le industrie e l’onore. Il valore, il sacrificio e la volontà dei suoi figli ridettero alla madre sanguinante la concussa libertà e dalle sue fumanti rovine è sorta la nuova vita santificata dall’eroismo e dall’olocausto dei suoi martiri”.




Fonte: magazineitalia.net
 
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view post Posted on 4/3/2021, 20:53
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A titolo informativo:

Wikipedia in Genovese!


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Lo sapevi che abbiamo un’intera enciclopedia Wikipedia scritta in Genovese?
Ebbene sì, non ci crederete, ma è così. E, tenetevi forte, esiste da più di 10 anni! Ovviamente negli anni si è completata gradualmente e, ad oggi, conta oltre 3000 parole e articoli! Un lavorone di tanti appassionati. Scritta in Grafia Ofiçiâ, stando a quanto recita l’introduzione del sito.

Qui c'è l'indirizzo
CODICE
https://lij.wikipedia.org/wiki/Pagina_prin%C3%A7ip%C3%A2


Al suo interno troverete le principali grammatiche, le declinazioni dei verbi e pure un dizionario interattivo genovese!

wikia



Veniamo ora, dunque, alla nostra enciclopedia interamente in genovese. Dalla pagina principale potete trovare un indice che presenta 6 categorie e molte sottocategorie. Dall’arte alla cucina, dalla cultura alla scienza.

Noiatri dixemmo che.. a l’è propio unna scignurata!

Ti basterà cliccare sul seguente link per andare a spulciarla, quindi… buona lettura!


Fonte dell'informazione: Il mugugno genovese
 
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view post Posted on 5/3/2021, 18:25
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Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

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LO STABILIMENTO DELLA STREGA



Lo Stabilimento della strega era un gruppo di cabine per i bagni di mare cui si accedeva da una lunga e tortuosa scalinata appoggiata ad un grande muraglione nei pressi del porto della mia città. Lo spazio era poco, la spiaggia quasi inesistente, rubata agli scogli grigi addossati al muraglione; da bimbo non capivo come qualcuno decidesse mai di avventurarsi in quelle acque non troppo invitanti, nelle quali si scorgevano larghe chiazze di alghe verdi e brune e si intravvedevano banchi di ricci, il nostro terrore quando entravamo nell'acqua. In cima alla scalinata che portava alle cabine era posta una grande insegna dai colori chiassosi sorretta da un telaio di ferro rugginoso chiuso superiormente da una specie di arco con volute barocche, anch'esse rugginose. Era l'insegna dei "bagni della strega", e questo nome derivava da una caverna negli scogli detta appunto "della strega". Io non ci sono mai andato a quei bagni: li ho visti tante volte da lontano ed ho immaginato di andarci con un misto di curiosità e di repulsione, ma non ho mai potuto vederli da vicino, viverci dentro, sia pur per poche ore.
Lo Stabilimento della strega oggi non c'è più, inghiottito dal progresso che ha strappato al mare quella piccola spiaggia e la grotta e, con esse, le cabine dipinte d'azzurro, la scalinata, l'insegna ed i suoi supporti rugginosi. E' rimasto soltanto il ricordo di un luogo nemmeno desiderato, ma ormai irraggiungibile.


fonte: www.vegiazena.it/racconti/raccon06.htm
foto inserita a solo fine ludico/culturale, non si intende violare alcun diritto d'autore

Edited by marmari - 5/3/2021, 18:30
 
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Una finestra sul medioevo:

San Martino di Licciorno


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Un luogo magico e suggestivo immerso nei boschi della Val Penna

San Martino di Licciorno è, probabilmente, la più antica tra le chiese dell’alta Val Penna, valle nell’entroterra di Lavagna. È stata la prima chiesa parrocchiale di Pratosopralacroce di origine romanica (XI sec. circa) ed è situata lungo l’antico cammino romano che dalla frazione di Zolezzi portava a Vallepiana. Fu eretta da monaci Benedettini dell’Abbazia di Borzone durante il 1000 per offrire ospitalità a viandanti e pellegrini poiché da qui passava la via del sale. Adesso della chiesa sono rimaste solo le rovine immerse nel verde del bosco: un luogo antico e suggestivo, da visitare assolutamente.

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Curiosa è la leggenda su di essa, nata forse proprio dal suo aspetto… Pare che, adiacente alla chiesa, ci fosse anche un piccolo cimitero. Nei paesini limitrofi si era affermata sempre più la credenza che vi fossero davvero le anime dei defunti. Paesino isolato, cimitero isolato. E’ presto fatto il classico gioco di spiriti, fantasmi e paure! Tutte fandonie? Mah, volle sperimentarlo una donna di Zolezzi (subito sottostante a Pratosopralacroce) e dar prova del proprio coraggio per sfatare questa credenza: il suo piano consisteva nel passar l’intera notte nel cimitero di S. Martino, da sola.
Fu così che, al crepuscolo, si recò al cimitero portandosi il necessario per filare la lana e ingannare il tempo.
La mattina seguente, chi andò a verificare l’esito della sua sfida, ebbe un’amara sorpresa e la “conferma” di tutte le peggiori ipotesi, trovandola morta nel camposanto, con il fuso impigliato nella gonna, ben conficcato per terra, vicino a una tomba…

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Per raggiungere le rovine della chiesa si deve arrivare a Pratosopralacroce (paesino a 600m s.l.m nel Comune di Borzonasca che fu la prima stazione idroclimatica di tutto l’appennino ligure) e da lì proseguire fino alla frazione di Vallepiana. Il bivio per incamminarsi lungo il sentiero si trova nella prima curva ed è segnalato dal Parco Regionale dell’Aveto tramite un cartello di legno indicante “San Martino di Licciorno”. Seguendo il segnavia rappresentato da due barrette rosse parallele, in trenta minuti si raggiungeranno le rovine dell’antica chiesa di San Martino di Licciorno, considerato da molti un luogo in cui l’atmosfera è magica e mistica.

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E non finisce qui

Il Volto megalitico di Borzone



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Presso il borgo di Zolezzi, in località Rocche di Borzone, si trova il famoso Volto rupestre di Gesù Cristo, una delle sculture megalitiche più grandi d’Europa.

Con i suoi 7 metri di altezza, venne scoperta nel 1965 da Armando Giuliani, assessore del Comune di Borzonasca e da allora ha continuato a suscitare interesse nel mondo scientifico per quanto riguarda la sua origine.

La leggenda vuole che siano stati i Monaci Benedettini del monastero di Sant’Andrea di Borzone, edificio che divenne Abbazia nel 1184, a scolpire il volto di Cristo nella roccia.

Altre teorie invece sostengono che l’opera possa avere origini molto più antiche, risalenti addirittura al Paleolitico Superiore.

Certo è che quel volto enigmatico che ci guarda immerso nella vegetazione, racchiude in se fascino e mistero di un tempo lontano e questo resta il motivo principale che spinge molte persone a salire quassù per ammirarlo.

Come arrivare



Uscire al casello di Lavagna dell’autostrada A12 (Genova –Livorno). Proseguire in direzione Carasco e prendere la provinciale che porta in direzione di Borzonasca. Dopo circa 10 km, appena entrati nel paese di Borzonasca, prendere l’incrocio sulla destra per Sopralacroce (provinciale n°49) e proseguire per altri 9 km.

Fonti: ilmugugnogenovese.it per la leggenda e l'idea

beactiveliguria.it e loveliguria.it
 
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view post Posted on 6/3/2021, 21:28
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Nina Giustiniani, la colta patriota carbonara amante di Cavour

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Donna dalla raffinata cultura illuminista, conosceva 4 lingue e il dialetto genovese. Fervente mazziniana (Mazzini era molto legato alla famiglia paterna), finanziò la Giovine Italia e fu “giardiniera” della Carboneria. Molti uomini la amarono, lei impazzì e si uccise per la fine della relazione con Camillo Benso conte di Cavour. Abitò nel corso della vita in tre dei palazzi dei rolli e in quella che oggi chiamiamo “Villa Duchessa di Galliera”, a Voltri, dove arde ancora la fiamma da lei voluta per i marinai. Si suicidò buttandosi da una finestra di Palazzo Lercari, in Strada nuova, oggi al civico 3 di via Garibaldi

Così, nel 1841, scrive Anna Schiaffino Giustiniani, prima di metter fine alla sua vita il 24 aprile, ad appena 34 anni. Prima di gettarsi dalla finestra di Palazzo Lercari Parodi , spinta dalle pene d’amore e, soprattutto, dalla sua follia. Camillo Benso, conte di Cavour, la chiamava Nina e lei gli scriveva lettere in dialetto piene di baci.

Camillo caro,
Camillo bello te veuggio tanto ben, ma quando te ou pourrò dì. Son tanta fiacca a me existensa a le così precaria che non ho coragio de pensà à l’avvegnì. Però, quello che posso assegurà, le che ou me coeu ou sarà sempre to, viva o morta son a to – e tanto che questa machinetta a m’apparten a sarà a to vorreivo ese bella per piaxeite, vorreivo ese forte e ben stante e libera e avei molti dinai per seguite de lungo apreuvo. Questi son seunni: beseugna che m’adatte ae triste circostanze ne’ quali me treuvo, e che seggie ben contenta che ti te ricordi de mi. Te daggo tanti baxi.


La famiglia pensava fosse pazza. Forse era semplicemente troppo infelice, di quell’infelicità di cui sono pieni i libri del Romanticismo e di cui solo una donna colta e intelligente come lei era può essere capace. La sua storia, in effetti, sembra proprio un feuilletton romantico. Gli elementi ci sono tutti. L’amore per Camillo e i tradimenti del conte di Cavour, l’incomprensione tra lei e i genitori, la tristezza della vita con il marito, conservatore e reazionario e, a quanto raccontano le cronache, decisamente noioso.
Nina è figlia del barone Giuseppe Schiaffino di Polanesi (Recco) e di Maddalena Corvetto, detta Manin e nipote di Luigi Emanuele Corvetto, economista e ministro delle finanze francese, consigliere di stato e conte per volontà di Napoleone Bonaparte, già esponente di spicco della Repubblica Ligure. Trascorre i primi anni di vita a Parigi, dove il padre era a servizio di Luigi XVIII e quando di anni ne ha 10 arriva in Liguria con la famiglia, perché il padre viene nominato nominato console generale di Francia nella nostra città. Trasloca in Palazzo Andrea e Gio. Batta Spinola – Doria, in via Garibaldi 6 (allora “Strada Nuova”), sede del consolato.

19 anni il padre e, soprattutto, la madre accettano la proposta di matrimonio avanzata dal marchese Stefano Giustiniani, che ha 7 anni più di lei, fa parte di una delle famiglie più influenti della città ed è un fedelissimo del re Carlo Felice di Savoia. Insomma, per la madre di Nina, figlia unica, è il partito migliore sulla piazza. La coppia si sposa nella chiesa della Maddalena e va a vivere in piazza San Siro (oggi piazza Luccoli), in Palazzo De Mari.

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Di Stefano, tarchiato e di media statura, si dice che sia uomo compassato fino alla noia, scettico sino al cinismo, pronto all’astuzia e all’intrigo, sostenitore delle idee più reazionarie del tempo. Lei, invece, è mazziniana e filo repubblicana. Finanzia addirittura la Giovine Italia. È dotata di una vivace intelligenza e, dal 1927, diventa la padrona di casa di uno dei pià prestigiosi salotti culturali e politici dell’epoca. Fra i frequentatori ci sono Agostino Spinola, Giacomo Balbi Piovera, Nicola Cambiaso e Bianca Rebizzo, moglie di Lazzaro Rebizzo, poi amante dell’armatore Raffaele Rubattino, organizzatore della spedizione dei Mille. È lì, nel 1830, conosce il giovane ufficiale del genio Camillo Cavour. E lì cominciano la sua felicità, la sua disperazione, la sua follia e la strada che la porterà inesorabilmente alla morte. La sua breve storia finisce nella notte tra il 23 e il 24 aprile del 1841. Nina tenta per una terza volta il suicidio, si getta dalla finestra della sua camera di Palazzo Lercari (nella foto sotto) , in coincidenza dell’anniversario del primo incontro con Cavour. Il salto di undici metri non basta a stroncarle la vita all’istante e lei deve soffrire diversi giorni prima di trovare la pace.

I testimoni del tempo raccontano che Cavour non provò né rimorsi né rimpianti. In quel periodo aveva un’amica assidua nella signora Emilia Nomis di Pollone. In effetti mai fu fedele a Nina, né si preoccupò di nasconderle i rapporti, non occasionali, che intratteneva con le altre, come la marchesa di Castelletto. Nella sua vita ebbe nobili e ballerine e persino donne di cattivissima reputazione, come Costa Ghighetti, conosciuta in un bordello di Parigi. In più, aveva il vizio di intrattenere carteggi piccanti con le sue amanti. Per venire in possesso e distruggere le lettere scritte all’ultima amante in modo da salvaguardare la memoria di Camillo, il re Umberto I dovette sborsare mille lire, concedendo anche al proprietario un’onoroficenza. Il nipote del conte di Cavour ne dovette acquistare altre per toglierle dalla circolazione. Tante sono anche le lettere tra il conte di Cavour e Nina. Alcune le intercettò il marito di lei. In alcuni casi ne ritardò l’invio, in modo da ostacolare gli incontri e creare malumori tra i due amanti, altre le trattenne come prova in un’eventuale causa di separazione. «Quella per il tenente Cavour? È solo una passione – diceva il marchese Giustiniani -. La verità è che Nina non è in possesso delle sue facoltà mentali». Il marchese permette all’inizio della storia (prima che Camillo Benso, nel 1831, venga mandato in esilio da Carlo Felice e confinato nel forte di Bard in Val D’Aosta per più di un anno perché accusato di cospirazione politica) che l’amante vada a trovare a casa a sua moglie e, addirittura, esce di casa per non incontrarlo, permettendo così che la storia continui. Permette anche che, nel ’34, Benso vada a trovare Nina a Voltri dopo un periodo in cui lei si era fatta accompagnare dal marito “per ragioni di salute” alle terme di Vinadio, dove, guardacaso, Benso aveva portato la madre. Nel ponente genovese, i due amanti vanno in gita a Vesima e all’Acquasanta dove Cavour assiste a una processione delle Casacce e ne rimane colpito, tanto da descriverla minuziosamente sul suo diario. Nina, però, gli è venuta a noia. Il conte di Cavour torna per l’ultima volta a Voltri tra il 15 e il 18 ottobre, prima di partire per Parigi. Non si vedranno mai più
Non solo il marito, ma anche i genitori credono Nina completamente pazza e alla fine cominciano a pensarlo anche gli amici. Buona parte della follia della donna è incanalata in un’ossessione oggettivamente insana per Camillo Benso, tanto che arriva anche a scrivergli anche 150 lettere in un anno. Questo non vuole dire che gli sia fedele. Nina è anche “giardiniera” della carboneria, cioè raccoglie fondi per la causa. Il suo nome figura nelle liste di proscrizione a seguito del fallimento dei moti mazziniani e per questo, nel 1834, deve lasciare Genova per trasferirsi a Milano, presso una cugina. Qui Nina incontra, dopo molti anni, Carlo Pareto, giramondo e rampollo di una delle più antiche famiglie genovesi. Carlo ha cinque anni meno di lei e la ama da sempre. Morirà molti anni dopo, nel 1881, sul letto di un manicomio, stringendo al petto le poche lettere da lei ricevute. Nina compensa la devozione di Carlo, tradisce Camillo e glielo confessa l’anno seguente.
Nina ha uno stuolo di ammiratori, uno dei quali, Lazzaro Rebizzo, le salva la vita due volte. Il 3 agosto 1835 Nina scrive a Camillo che riesce a fermarla mentre lo sta per raggiungere a Milano nonostante stia infuriando il colera. Lei scrive sul suo diario: . Poi beve del veleno. Rebizzo se ne accorge e chiama i soccorsi. Nina non muore, ma il veleno ha ugualmente effetti dannosi sulla già precaria salute mentale della donna. Nina cerca di nuovo la morte nel 1838 dopo che il padre muore proprio di colera. Anche in questo caso, Rebizzo la salva. Ad assisterla durante la convalescenza è il poeta Giuseppe Gando che la ama a tal punto che, alla sua morte, decide di farsi prete. Ma nel cuore di Nina c’è sempre Camillo e la vita senza di lui gli sembra insopportabile. Scrive Nina Giustiniani

<i>La mia vita è così passata! E io, Nina, tanto giovane la trovo lunga, troppo lunga questa vita che non è che un sogno. Mio Dio, se sento l’amore che è in me! Sono le quattro del mattino. Io, io chi? Cosa? Perché? Lo saprò mai? Potrò mai rendermene perfettamente ragione? Io so che due occhi, una fronte cara mi hanno fatto augurare a me stessa l’anestetizzazione, mi hanno fatto completamente dimenticare la mia esistenza personale, avrei voluto che tutto quello che ho di vita fosse consumato in uno sguardo – che significa questo? Perché per me la mia felicità risiede in un altro? E perché quest’altro è Camillo? Camillo! Ah Camillo!


Passano gli anni e il dolore per l’assenza è sempre più grande. Nella notte tra il 23 e il 23 aprile 1841, Nina apre la finestra della sua camera a Palazzo Lercari e si getta di sotto.

Parte della corrispondenza tra lei e Cavour è stata raccolta da un collezionista americano, Henry Nelson Gay, dopo essere stata rinvenuta in un ripostiglio nascosto dello scrittoio appartenuto a Stefano Giustiniani, mentre una restante parte del carteggio è stata recuperata fra le carte private dello stesso Cavour.
Le spoglie di Anna “Nina” Schiaffino Giustiniani (che dal marito ebbe tre figli) riposano nella chiesa della Santissima Concezione, conosciuta anche come “chiesa- convento dei frati minori cappuccini – Padre Santo”. Il marito, che tante ne aveva passate sia per i tradimenti, sia per l’impegno politico della donna, non la volle accanto a sè per il riposo eterno e decise che nella cappella di famiglia a Voltri fosse sepolta con lui la seconda moglie, Geronima Ferretti, sposata nel 1846. Geronima fu il primo appassionato amore di Goffredo Mameli che per lei scrisse appassionate poesie. Nemmeno la famiglia d’origine diede il permesso per la sepoltura nella cappella della famiglia paterna a Recco o quella dell’amatissimo nonno materno che si trova nella Chiesa Plebana di Nervi.
Sulla sua lapide sta scritto “Annae Schiaffini Corvetto, Pridie Calendas Maias Sui Patriaeque Erptae Stephanus Ex Giustinianeis D. Chiens Parvique Nati Uxori Matrique Optatissimae Insolabiles Poneband“.

Nina volle che fosse posta nelle mura vicino al Castello di Voltri (che noi conosciamo come Villa Duchessa di Galliera) una madonna con il lume sempre acceso, affinchè i marinai la scorgessero e la venerassero e raccomandò che dopo la sua morte questo lume continuasse a restare sempre accesso. Passato il castello ai Brignole Sale, la Duchessa di Galliera rispettò sempre il voto di Nina ed impose, per testamento, che lo rispettassero anche i suoi eredi, che oggi sono i cittadini di Genova, perché la villa è passata al Comune. In quella fiamma sta lo spirito dell’amore tormentato della sfortunata giovane donna suicida.

statua



Nina Giustiniani è stata una patriota, una donna che ha saputo lavorare per la causa della Carboneria e sfidare l’autorità sabauda. Come quella volta che si presentò a teatro lirico per una serie di serate, insieme a Teresa Durazzo, Carolina Celesia, Fanny Balbi Piovera e Laura Dinegro, con abiti sgargianti, invece che con i vestiti neri a lutto che la recente morte del re Carlo Felice avrebbe dovuto consigliare. Le quattro donne si vestirono di azzurro, rosso, porpora e ocra. Era una sorta di una “dimostrazione politica”, una protesta per l’indipendenza persa dalla Repubblica di Genova che il Congresso di Vienna aveva assoggettato alla casa reale dei Savoia a cui apparteneva il re defunto. In realtà si dice che Nina lo abbia fatto anche in segno di spregio nei confronti di quel re che aveva mandato al confino Cavour, allontanandolo da lei.

Era una persona di cultura non comune. Fu educata da precettori francesi, dalla zia Anna Littardi che le insegnò l’arte del ricamo e soprattutto dal nonno Luigi, che la portava nei musei cittadini e le aveva insegnato l’amore per la musica, la scienza e la letteratura. La sua lingua madre era il Francese (le sue lettere scritte a Cavour sono quasi tutte in Francese), ma parlava e scriveva anche Italiano, Inglese e Tedesco, oltra al Genovese.
Fu molto amata, ma il suo triste destino fu quello di non essere amata veramente proprio dall’uomo che per lei era la vita e che l’ha consegnata alla follia e alla morte. Come è accaduto e accade ancora a molte donne, si gettò via per l’ossessione di un amore malato e non realmente ricambiato.

di Monica Di Carlo

Fonte: genovaquotidiana.com

Ho trovato un'altra fonte: Fabrizio Calzia - Breve storia di Genova

La storia d’amore fra Cavour e Anna Giustiniani

Verso la fine dell’800, un inglese acquistò a Genova un vecchio stipetto. Esaminandolo meglio, in un ripostiglio segreto per caso scoprì un manipolo di lettere ingiallite: la storia, frammentaria, di una relazione amorosa di cui oggi si possiedono tutti i capitoli, grazie al ritrovamento di altri fogli e pagine di diario.

L’episodio del rinvenimento è di dubbia autenticità ma merita di essere riferito per il suo sapore squisitamente romantico: così infatti potrebbe iniziare una narrazione ottocentesca, quella che la disperata passione di Anna Giustiniani avrebbe meritato. Nina, com’era chiamata, nacque a Parigi nel 1807, dal barone genovese Giuseppe Schiaffino, diplomatico dell’impero napoleonico, e dalla contessa Maddalena Corvetto, figlia a sua volta del celebre economista Luigi. Nella capitale francese fu quindi educata, dimostrandosi particolarmente ricettiva allo scintillante spirito di oltralpe, ma anche alla più solida cultura: in seguito, del resto, doveva essere chiamata “leopardina” dal dotto Giordani, amico del Leopardi stesso, e ricevere aperte lodi dal Tommaseo, non certo incline ai gratuiti complimenti. Non stupisce quindi che il suo salotto, messo in piedi una volta che si stabilì a Genova, diventasse il più prestigioso della città, e che l’esservi accolto rappresentasse una sorta di investitura ufficiale. Meno comprensibile, per contro, anche per i contemporanei, il matrimonio del 1826 con il marchese Stefano Giustiniani, gentiluomo di camera di re Carlo Felice: anziano, cieco e sordo ai valori dello spirito, arciconservatore, quanto lei era giovane, colta, attenta ai nuovi fermenti politici che andavano lievitando in Italia e in Europa dopo il congresso di Vienna. Per accedere al salotto della centralissima piazza San Siro, appunto, quasi indispensabile risultava il dimostrare interessamento per le ancora confuse idee repubblicane e liberali, che come guizzi di folgore tentavano di forare la coltre di nubi, grigia e pesante, del regime assolutista di Carlo Felice. Sotto quest’aspetto, pienamente in regola risultava un sottotenente di seconda classe del genio militare, da poco tempo in forza – siamo nell’anno 1830 – alla caserma addossata alla Porta d’Archi, dove si trova il Ponte Monumentale: un ventenne che ancora non aveva velato con spesse lenti gli occhi azzurri, che ancora aveva l’alta fronte ombrata da un ciuffo quasi bravesco. Camillo di Cavour.

Non molto colto in generale – e le assidue conversazioni con la marchesa gli giovarono al proposito moltissimo – era tuttavia già molto preparato in politica estera, e di ciò poteva parlare per ore e ore, con passione e freschezza. Proprio la politica fu così la galeotta della situazione: in breve tra i due nacque uno stretto legame che mandò l’ufficialetto in brodo di giuggiole. A Genova aveva trovato una vita più intensa, più spumeggiante di quella quasi oppressiva che conosceva a Torino. E poi quel salotto, quella marchesa divenuta sua amante, bella quanto incline a inebrianti discussioni… Già noto per le sue intemperanze in materia, già sorvegliato dalla polizia – Carlo Alberto doveva del resto chiamarlo più tardi “il contino giacobino” – fu forse per questa sua euforia che si abbandonò a qualcosa che venne considerato inaudito, specie da parte di chi portava la divisa: al “Padiglione degli ingegneri”, ancora presso la Porta d’Archi, commentò la deposizione di Carlo x dal trono francese con un infiammato discorso, concluso con uno squillante «abbasso i tiranni!».

L’episodio piacque alla Giustiniani, ma decisamente meno alle autorità, che presero l’esaltato per la collottola e lo trasferirono a Torino, per poi affidarlo alla solitudine – presumibilmente educatrice – del tetro Forte di Bard. Cosa che, tuttavia, riuscì soltanto ad affrettare le sue dimissioni dall’esercito.

La relazione pareva chiusa, costretta negli angusti limiti di un romanzetto banale; invece l’allontanamento di Cavour non ne rappresentò che la fine del prologo: le lettere di Nina in questo periodo furono scarse e contenute, ma il sentimento vi appariva inalterato; l’attività politica fu poi tanto intensa, da far presupporre con ogni evidenza che alla passione repubblicana si sovrapponesse la volontà di stordirsi, di pensare ad altro. Quasi con frenesia la nobildonna guadagnava nuove forze alla “Giovane Italia”, raccoglieva per essa fondi e propagandava le opere di Mazzini, attraendo ovviamente l’attenzione della polizia, per via del suo rango e per l’assenza di precauzione; ma la sua posizione fu del tutto compromessa per via di uno sgargiante abito sfoggiato a uno spettacolo teatrale, proprio quando – per la morte di Carlo Felice – avrebbe dovuto astenersi dai pubblici ritrovi e indossare gramaglie, come le altre dame dell’alta nobiltà. Giustiniani fu calorosamente invitato dal governatore di Genova ad allontanare la moglie prima di dover giungere a più pesanti provvedimenti. Ubbidì con prontezza, e in società si poterono addurre plausibili motivi di salute, notoriamente malferma. Così Nina salì per qualche tempo a Milano, ospite di una cugina: la cosa andò avanti fino al giugno del 1834, allorché il ricorrere a un noto medico di Torino le fornì il pretesto per raggiungere la città di Camillo. «Mi addolorerebbe infinitamente perdere l’occasione di vederti almeno per una volta, occasione che forse non si ripresenterà mai»… Questo diceva, tra l’altro, la lettera che raggiunse Cavour a Grinzane, dove si trovava, e che non mancò di stupirlo: «In ciò che avevo inteso sul suo conto», confessò nel suo diario – non v’era nulla che mi potesse far credere che pensasse ancora seriamente a me. Io conservavo di noi un ricordo tenero e doloroso; ma a dire il vero, nel mio cuore non c’erano più per lei sentimenti di amore e di passione».

Eppure Nina si precipitò a Torino, e gli incontri ripresero, all’albergo Feder, poi a Vinadio – dove lei si trasferì in piena estate per una cura termale – infine a Voltri, in autunno, nella vecchia villa dei Giustiniani.

A Torino c’era anche il marito, come pure a Vinadio. Il quale certo non poteva avere ignorato i viaggi di Cavour a Voltri: fin dal principio, del resto, aveva ben chiara la situazione, ma mai scelse di affrontarla di petto: non temeva di perdere la sposa, in fondo mai amata, ma la reputazione, e badava soltanto a soffocare lo scandalo, a salvaguardare in qualche modo se stesso agli occhi della società. Tuttavia, dopo gli incontri di Voltri, questo personaggio alla Molière, come venne definito, acquisì una risolutezza fino allora sconosciuta e Nina, con l’appoggio dei suoi stessi genitori, diventò una reclusa. L’amore sempre più intenso, dovette così essere affidato alle sole lettere – arrivò a scriverne 150 in un anno! – che finirono per formare un epistolario considerato tra i più sublimi di tutti i tempi, tessuto com’è di indicibile sofferenza. E le pene non erano certo lenite dalla sensazione evidente dello spegnersi in lui della passione, con gli inviti a moderarsi, a rassegnarsi.

Alla fine la marchesa tentò il tutto per tutto: una fuga verso l’amato, nell’estate del ’35, arrestata tuttavia ad Asti dalla quarantena imposta dal colera, diffuso in tutta Italia. Una cugina la convinse a ritornare sui suoi passi, e lei si riconsegnò al carcere domestico, mentre piano piano veniva sparsa la voce della sua pazzia, in un nuovo, meschino tentativo di salvare la reputazione familiare. A questo punto non scriveva più, l’aveva promesso. O meglio, affidò solamente al suo diario, per anni, tutto ciò che avrebbe voluto dire a Camillo, se ancora avesse potuto infrangere i patti.

Le rimaneva ormai una sola possibilità di evasione: quella della morte. La cercò, invano, una prima volta col veleno, successivamente gettandosi dalla finestra. L’agonia cessò soltanto dopo sei giorni, il 30 aprile 1841. Prima del tragico balzo aveva scritto un’ultima lettera: «Ora che la terra mi ricopre, che la mia intelligenza liberata dai suoi legami terreni potrebbe compiacersi di se stessa e dell’alimento infinito che la circonda, anche ora, senza di te mi sento incompleta. Affronta la tua carriera con onore; produci tutto il bene che è in tuo potere e quando non avrai altri pensieri, pensa a me».

Fu sepolta nella chiesa dei Cappuccini, rifiutando il marito di tumularla nella tomba dei Giustiniani. Alla sua morte, avvenuta nel 1855, venne collocato secondo il suo desiderio accanto alla seconda moglie, Geronima Ferretto. Ma il marchese – anche nella nuova esperienza coniugale – non conobbe l’amore, e ancora non fu fortunato con i grandi del Risorgimento. La mattina delle nozze la giovane sposa fu infatti letteralmente rincorsa per tre ore, nella villa paterna di Fontanegli, prima di essere costretta a scendere in cappella: così difese fino all’ultimo i legami che la univano a Goffredo Mameli…


Edited by marmari - 10/3/2021, 21:00
 
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view post Posted on 7/3/2021, 19:50
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Questa volta ci dedicheremo ad un elenco.
Sì, perchè vagando on line e parlando con un amico di questa rubrica, sono andata a cercare le "personalità di Liguria" ed ho trovato un elenco piuttosto corposo. Sicuramente non parlerò di tutti, ma di volta in volta, vedrò di approfondire la conoscenza di alcuni, quelli più conosciuti, o più importanti storicamente o per merito, magaru quelli più curiosi.
Ma. intanto, vediamo chi troviamo in elenco


Personaggi famosi nati in Liguria

Liguria-personaggi-famosi
ricorrenze_2014
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Giuseppe Cesare Abba nato a Cairo Montenotte in provincia di Savona (6 ottobre 1838 - Brescia, 6 novembre 1910) scrittore e patriota

Giacomo Agnesi nato a Genova (17 aprile 1859 - Imperia, 27 dicembre 1929) politico, ingegnere, industriale, fondatore del pastificio Pasta Agnesi

Alexia nata a La Spezia (19 maggio 1967) cantautrice, compositrice e produttrice discografica

Roberto Anfossi nato a Sanremo (3 novembre 1950) pittore, scultore, ceramista

Arisa nata a Genova (20 agosto 1982) cantautrice, attrice

Francesco Baccini nato a Genova (4 ottobre 1960) cantautore

Gianni Baget Bozzo nato a Savona (8 marzo 1925 - Genova, 8 maggio 2009) presbitero, politico, giornalista e scrittore

Enrique Balbontin nato a Genova (1 novembre 1968) comico, cabarettista
Antonio Giulio Barrili nato a Savona (14 dicembre 1836 - Carcare, 14 agosto 1908) scrittore, patriota

Isa Barzizza nata a Sanremo (22 novembre 1929) attrice, doppiatrice

Mauro Bergonzi nato a Genova (30 dicembre 1971) ex arbitro di calcio

Luciano Berio nato ad Imperia (24 ottobre 1925 - Roma, 27 maggio 2003) compositore

Donatella Bianchi nata a La Spezia (1 ottobre 1963) giornalista, scrittrice e conduttrice televisiva

Umberto Bindi nato a Bogliasco in provincia di Genova (12 maggio 1932 - Roma, 23 maggio 2002) cantautore

Nino Bixio nato a Genova (2 ottobre 1821 – Isola di Sumatra, 16 dicembre 1873) militare, politico, patriota, rivoluzionario del Risorgimento

uca Bizzarri nato a Genova (13 luglio 1971) attore, comico, cabarettista, conduttore televisivo

Enrica Bonaccorti nata a Savona (18 novembre 1949) attrice

Andrea Bottesini nato a Genova (30 aprile 1977) tenore, cabarettista

Angela Brambati nata a Mignanego in provincia di Genova (20 ottobre 1947) cantante, fa parte del gruppo musicale Ricchi e Poveri

Enzo Braschi nato a Genova (27 aprile 1949) attore, comico, scrittore

Vittorio Brumotti nato a Finale Ligure in provincia di Savona (14 giugno 1980) trial biker, personaggio televisivo

Roberta Bruzzone nata a Finale Ligure in provincia di Savona (1 luglio 1973) criminologa e psicologa forense

Giorgio Bubba nato a La Spezia (23 luglio 1936 - Genova, 5 aprile 2018) giornalista e telecronista sportivo

Claudio Burlando nato a Genova (27 aprile 1954) politico

Paolo Calissano nato a Genova (18 febbraio 1967) attore

Elenoire Casalegno nata a Savona (28 maggio 1976) modella, attrice, showgirl

Fabrizio Casalino nato a Genova (18 novembre 1970) comico, cabarettista, cantautore

Giovanni Domenico Cassini nato a Perinaldo oggi provincia d'Imperia (8 giugno 1625 - Parigi, 14 settembre 1712) matematico, astronomo, ingegnere, medico, biologo

Fanny Cadeo nata a Lavagna in provincia di Genova (11 settembre 1970) attrice, showgirl

Angela Cavagna nata a Genova (6 giugno 1966) showgirl

Andrea Ceccon nato a Genova (22 maggio 1958) comico, cabarettista

Mirko Celestino nato ad Albenga in provincia di Savona (19 marzo 1974) biker, ex-ciclista su strada professionista

Federico Chiesa nato a Genova (25 ottobre 1997) calciatore, figlio di Enrico Chiesa

Enrico Chiesa nato a Mignanego in provincia di Genova (29 dicembre 1970) ex-calciatore, allenatore di calcio

Ombretta Colli nata a Genova (21 settembre 1943) cantante, attrice, politica

Cristoforo Colombo luogo e data di nascita sono incerti pare che sia nato a Genova( tra il 26 agosto e il 31 ottobre 1451 – Valladolid, 20 maggio 1506)navigatore,esploratore, scopritore dell’America il 12 ottobre 1492

Mimmo Craig nato a La Spezia (10 giugno 1925 - Milano, 8 settembre 2016) attore

Maurizio Crozza nato a Genova (5 dicembre 1959) comico, imitatore, conduttore televisivo

Carlo Dapporto nato a Sanremo (26 giugno 1911 - Roma, 1 ottobre 1989) attore

Edmondo De Amicis nato ad Oneglia (21 ottobre 1846 – Bordighera, 11 marzo 1908) scrittore, pedagogo

Cristiano De Andrè nato a Genova (29 dicembre 1962) cantautore, polistrumentista, figlio di Fabrizio De Andrè

Fabrizio De Andrè nato a Genova (18 febbraio 1940 – Milano, 11 gennaio 1999) cantautore

Francesca De Andrè nata a Genova (25 gennaio 1990) showgirl, figlia di Cristiano De Andrè

Andrea De Marco nato a Genova (21 maggio 1973) arbitro di calcio

Don Gallo nato a Genova (18 luglio 1928 - Genova, 22 maggio 2013) presbitero

Andrea Doria nato ad Oneglia (30 novembre 1466 – Genova, 25 novembre 1560) ammiraglio, politico della Repubblica di Genova

Stephan El Shaarawy nato a Savona (27 ottobre 1992) calciatore

Stefano Eranio nato a Genova (29 dicembre 1966) ex calciatore, allenatore, commentatore sportivo televisivo

Franco Fanigliulo nato a La Spezia (9 febbraio 1944 - La Spezia, 12 gennaio 1989) cantautore

Fabio Fazio nato a Savona (30 novembre 1964) conduttore televisivo

Michelle Ferrari nata a La Spezia (22 dicembre 1983) attrice, pornostar

Nino Ferrer nato a Genova (15 agosto 1934 - Montcuq 13 agosto 1998) cantante, cantautore, attore

Fabio Fognini nato a Sanremo (24 maggio 1987) tennista

Ivano Fossati nato a Genova (21 settembre 1951) cantautore, compositore, polistrumentista

Carlo Freccero nato a Savona (5 agosto 1947) autore televisivo

Riccardo Gagliolo nato ad Imperia (28 aprile 1990) calciator

Vittorio Gassman nato a Genova (1 settembre 1922 – Roma, 29 giugno 2000) attore,regista

Enzo Gambaro nato a Genova (23 febbraio 1966) ex calciatore, commentatore sportivo televisivo

Paolo Garimberti nato a Levanto in provincia di La Spezia (2 gennaio 1943) giornalista, Presidente della RAI

Serena Garitta nata a Genova (24 maggio 1978) conduttrice televisiva, showgirl

Edoardo Garrone nato a Genova (30 dicembre 1961) presidente della Erg, figlio di Riccardo Garrone

Riccardo Garrone nato a Genova (23 gennaio 1936 - Grondona, 21 gennaio 2013) imprenditore, proprietario della Erg, ex presidente e proprietario della Sampdoria

Franco Gatti nato a Genova (4 ottobre 1945) cantante, fa parte del gruppo musicale Ricchi e Poveri

Giancarlo Giannini nato a La Spezia (1 agosto 1942) attore, doppiatore, regista

Wilma Goich nata a Cairo Montenotte in provincia di Savona (16 ottobre 1945) cantante

Gilberto Govi nato a Genova (22 ottobre 1885 - Genova, 28 aprile 1966) attore

Beppe Grillo nato a Genova (21 luglio 1948) comico, blogger, politico

Paolo Kessisoglu nato a Genova (25 luglio 1969) attore, comico, chitarrista, conduttore televisivo

Marco Lanna nato a Genova (13 luglio 1968) ex calciatore, dirigente sportivo

Maurizio Lastrico nato a Genova (31 marzo 1979) attore, cabarettista, comico

Marco Lucchinelli nato a Ceperana in provincia di La Spezia (26 giugno 1954) ex pilota motociclista

Luigi Luiggi nato a Genova (3 agosto 1856 - Roma, 1 febbraio 1931) politico

Mago Otelma nato a Genova (8 maggio 1949) mago, showman

Franco Malerba nato a Busalla in provincia di Genova (10 ottobre 1946) astronauta, politico

Goffredo Mameli nato a Genova (5 settembre 1827 – Roma, 6 luglio 1849) poeta, scrittore, patriota, è l’autore dell’inno Nazionale italiano

Maurizio Mannoni nato a La Spezia (13 aprile 1957) giornalista, conduttore televisivo

Carlo Marrale nato a Genova (15 marzo 1952) cantante, chitarrista, fondatore ed ex componente del gruppo musicale Matia Bazar

Davide Massa nato ad Imperia (15 luglio 1981) arbitro di calcio

Carlo Massarini nato a La Spezia (18 ottobre 1952) giornalista, conduttore televisivo e radiofonico

Benedetta Massola nata a La Spezia (18 marzo 1978) showgirl

Andrea Mazzantini nato a La Spezia (11 luglio 1968) allenatore, ex calciatore

Giuseppe Mazzini nato a Genova (22 giugno 1805 – Pisa, 10 marzo 1872) politico,filosofo, rivoluzionario del Risorgimento

Stefano Mei nato a La Spezia (3 febbraio 1963) ex mezzofondista di atletica leggera, dirigente sportivo

Cinzia Monreale nata a Genova (22 giugno 1957) attrice

Giuliano Montaldo nato a Genova (22 febbraio 1930) attore, regista, sceneggiatore

Eugenio Montale nato a Genova (12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981) poeta, giornalista, critico musicale, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1975

Moreno nato a Genova (27 novembre 1989) cantante rapper

Alessandro Natta nato ad Oneglia,Imperia (7 gennaio 1918 - Imperia, 23 maggio 2001) politico

Giulio Natta nato a Porto Maurizio,Imperia (26 febbraio 1903 - Bergamo, 2 maggio 1979) chimico e accademico, fu insignito del Premio Nobel per la chimica nel 1963

Sebino Nela nato a Rapallo in provincia di Genova (13 marzo 1961) ex calciatore, commentatore sportivo televisivo

Stefano Nosei nato a La Spezia (22 gennaio 1956) cabarettista, musicista

Marina Occhiena nata a Genova (10 marzo 1950) attrice, cantante, ex componente del gruppo musicale Ricchi e Poveri

Enrico Oldoini nato a La Spezia (4 maggio 1946) regista e sceneggiatore

Enzo Paci nato a Genova (27 gennaio 1973) attore, cabarettista

Niccolò Paganini nato a Genova (27 ottobre 1782 – Nizza, 27 maggio 1840) violinista, compositore e chitarrista

Paolo Paganini nato a La Spezia (4 settembre 1963) giornalista sportivo

Eros Pagni nato a La Spezia (28 agosto 1939) attore, doppiatore

Francesco Pannofino nato a Pieve di Teco in provincia d'Imperia (14 novembre 1958) attore, doppiatore, direttore del doppiaggio

Christian Panucci nato a Savona (12 aprile 1973) ex calciatore, commentatore sportivo televisivo

Papa Benedetto XV - Giacomo Paolo Giovanni Battista Della Chiesa nato a Genova Pegli (21 novembre 1854 - Roma, 22 gennaio 1922) Papa

Francesco Pastonchi nato a Riva Ligure in provincia d'Imperia (31 dicembre 1874 - Torino, 29 dicembre 1953) poeta, critico d'arte letteraria

Giuseppe Perletto nato a Dolcedo in provincia d'Imperia (2 maggio 1948) ex ciclista professionista

Alessandro Pertini nato a Stella in provincia di Savona (25 settembre 1896 – Roma, 24 febbraio 1990) politico, ex presidente della Repubblica

Alessandro Petacchi nato a La Spezia (3 gennaio 1974) ex ciclista professionista

Rinaldo Piaggio nato a Genova (15 luglio 1864 - Genova, 15 gennaio 1938) imprenditore, politico, fondatore della Piaggio

Renzo Piano nato a Genova (14 settembre 1937) architetto

Roberta Pinotti nata a Genova (20 maggio 1961) politica

Carlo Pistarino nato a Genova (16 maggio 1950) attore, comico, cabarettista

Massimo Podenzana nato a La Spezia (29 luglio 1961) ex ciclista professionista, dirigente sportivo

Daniela Poggi nata a Savona (17 ottobre 1956) attrice, conduttrice televisiva

Moana Pozzi nata a Genova (27 aprile 1961 - Lione, 15 settembre 1994) attrice, pornostar, showgirl

Alfredo Provenzali nato a Genova (13 luglio 1934 - Genova, 13 luglio 2012) giornalista e radiocronista sportivo

Roberto Pruzzo nato a Crociefieschi in provincia di Genova (1 aprile 1955) ex calciatore, allenatore di calcio

Andrea Raggi nato a La Spezia (24 giugno 1984) calciatore

Mauro Repetto nato a Genova (26 dicembre 1968) cantante, compositore, ballerino, ha fatto parte insieme a Max Pezzali del gruppo musicale 883

Antonio Ricci nato ad Albenga in provincia di Savona (26 giugno 1950) autore e produttore televisivo

Luca Rizzo nato a Genova (24 aprile 1992) calciatore

Doriano Romboni nato a Lerici in provincia di La Spezia (8 dicembre 1968 - Latina, 30 novembre 2013) pilota motociclista

Vittorio Giovanni Rossi nato a Santa Margherita Ligure in provincia di Genova (8 gennaio 1898 - Roma, 4 gennaio 1978) giornalista, scrittore

Raffaele Rubattino nato a Genova (10 ottobre 1810 - Genova, 2 novembre 1881) imprenditore, armatore

Antonella Ruggiero nata a Genova (15 novembre 1952) cantautrice

Carmen Russo nata a Genova (3 ottobre 1959) ballerina, attrice, showgirl

Giovanni Girolamo Saccheri nato a Sanremo (5 settembre 1667 - Milano, 25 ottobre 1733) gesuita, matematico

Sabrina Salerno nata a Genova (5 marzo 1968) cantante, attrice, showgirl

Edoardo Sanguineti nato a Genova (9 dicembre 1930 - Genova, 18 maggio 2010) poeta, scrittore, politico

Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta nato a Genova (13 gennaio 1869 – Torino, 4 luglio 1931) secondo Duca d’Aosta, generale durante la prima guerra mondiale

Camillo Sbarbaro nato a Santa Margherita Ligure in provincia di Genova (12 gennaio 1888 - Savona, 31 ottobre 1967) poeta, prosatore, scrittore

Antonio Claudio Scajola nato ad Imperia (15 gennaio 1948) politico

Annalisa Scarrone nata a Savona (5 agosto 1985) cantautrice

Joe Sentieri nato a Genova (3 marzo 1925 - Pescara, 27 marzo 2007) cantautore, attore

Carla Signoris nata a Genova (10 ottobre 1960) attrice, doppiatrice e conduttrice televisiva

Stefano Simondo nato ad Imperia (12 gennaio 1964) attore

Tullio Solenghi nato a Genova (21 marzo 1948) attore, comico, doppiatore

Teresio Spalla nato ad Imperia (16 novembre 1956) scrittore, sceneggiatore, saggista

Stefano Sturaro nato a Sanremo (9 marzo 1993) calciatore

Palmiro Togliatti nato a Genova (26 marzo 1893 – Jalta, 21 agosto 1964) politico

Enzo Tortora nato a Genova (30 novembre 1928 – Milano,18 maggio 1988) giornalista, conduttore radiofonico e televisivo, politico

Cino Tortorella nato a Ventimiglia in provincia d'Imperia (27 giugno 1927 - Milano, 23 marzo 2017) autore e conduttore televisivo

Giorgio Tosatti nato a Genova (18 dicembre 1937 – Pavia, 28 febbraio 2007) giornalista, commentatore sportivo televisivo

Luigi Arnaldo Vassallo nato a Sanremo (30 ottobre 1852 - Genova, 10 agosto 1906) giornalista, scrittore

Giampiero Ventura nato a Genova (14 gennaio 1948) allenatore, commentatore sportivo televisivo

Dario Vergassola nato a La Spezia (3 maggio 1957) comico, cantautore italiano

Simone Vergassola nato a La Spezia (24 gennaio 1976) calciatore

Giovanni Vernia nato a Genova (23 agosto 1973) comico, cabarettista

Paolo Villaggio nato a Genova (30 dicembre 1932 - Roma, 3 luglio 2017) attore, comico, doppiatore, regista, sceneggiatore, scrittore

Giorgia Wurth nata a Genova (5 giugno 1979) attrice, conduttrice e annunciatrice televisiva


Non a tutti i più noti dedicherò un post. Francamente di certuni ne avremmo benissimo fatto a meno. Ma tant'è, lì sono nati. Li ho nominati e tanto basti.

Vedremo iquelli che veramente hanno fatto qualcosa, magari partendo dagli altri due Nobel, visto che di Montale si è già parlato.



 
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Giulio Natta

Premio Nobel per la chimica 1963


Giulio_Natta



Giulio Natta (Porto Maurizio, 26 febbraio 1903 – Bergamo, 2 maggio 1979) è stato un ingegnere chimico e accademico italiano, insignito del premio Nobel per la chimica insieme a Karl Ziegler nel 1963 per "le loro scoperte nel campo della chimica e della tecnologia dei polimeri", in particolare per la messa a punto di catalizzatori capaci di operare sulla stereochimica delle reazioni di polimerizzazione del propilene per la produzione di polipropilene isotattico.

Giulio Natta nacque a Porto Maurizio, allora capoluogo dell'omonima provincia (quella di Imperia nacque negli anni '20 dalla fusione con Oneglia), il 26 febbraio 1903, figlio di Francesco Maria, magistrato, e di Elena Crespi. La madre, già vedova di un rinomato medico inglese dal quale aveva avuto una figlia, si occupò attivamente dell'educazione di Giulio sin dai primi anni, insegnandogli prestissimo a leggere. Natta rimase sempre legato alla sua famiglia e ai luoghi d'origine della costa ligure, dove si recava spesso quando gli era possibile.

Diplomatosi ad appena 16 anni al liceo classico Cristoforo Colombo di Genova, frequentò il biennio propedeutico in ingegneria nella stessa città. Nel 1921 si iscrisse al corso di laurea in Ingegneria industriale del Politecnico di Milano e l'anno successivo divenne anche allievo interno all'Istituto di Chimica generale e inorganica del Politecnico. Laureatosi in Ingegneria chimica nel 1924, a soli 21 anni, con Giuseppe Bruni, ne divenne subito dopo assistente e, a partire dal 1925 e fino al 1933, fu incaricato di chimica analitica al Politecnico. Al contempo, dal 1929 al 1933, fu altresì incaricato di chimica fisica alla Facoltà di Scienze dell'Università di Milano. In questo periodo, Natta già si distinse per alcune sue ricerche in cristallografia e in chimica industriale inorganica.

Nel 1932, grazie a una borsa di studio della Fondazione "A. Volta", si recò a Friburgo, in Germania, presso il laboratorio di Hugo Seemann, dove entrò pure in contatto con il gruppo di lavoro di Hermann Staudinger che si occupava di macromolecole. Qui Natta, oltre a perfezionare le sue ricerche di strutturistica diffrattometrica (che già aveva intrapreso, come allievo interno all'Istituto di Chimica generale e inorganica del Politecnico, fin dai primi anni '20) con Seemann, intuì l'importanza e le potenzialità delle macromolecole e, tornato a Milano, iniziò studi e ricerche sulla struttura cristallina dei polimeri mediante le nuove tecniche diffrattometriche.

Conseguita la libera docenza in chimica generale nel 1927, al suo ritorno dalla Germania vinse, nel 1933, un concorso ad una cattedra di chimica generale dell'Università di Pavia che tenne fino al 1935, quando passò alla cattedra di chimica fisica dell'Università di Roma. Nel 1937 assunse la cattedra di chimica industriale del Politecnico di Torino, quindi quella del Politecnico di Milano nel 1938, che mantenne fino al suo pensionamento, nel 1973, quindi la nomina a professore emerito.

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Al suo rientro al Politecnico di Milano nel 1938, fu chiamato a dirigerne anche l'Istituto di Chimica industriale per sostituire Mario Giacomo Levi, costretto dalle leggi razziali fasciste a lasciare l'insegnamento. Durante gli anni della guerra soggiornò, come sfollato milanese, alla Cascina Marzorata di Vittuone.

Nel 1935 si sposò con Rosita Beati, laureata in lettere, da cui ebbe due figli, Franca e Giuseppe. Oltre l'affetto e l'amorevole accudimento del marito per il sopraggiungere della malattia di Parkinson nel 1956, gli suggerì alcuni nomi etimologicamente molto appropriati per i nuovi composti chimici che Natta scoprì.

Fin da quando era allievo interno all'Istituto di Chimica generale e inorganica diretto da Giuseppe Bruni, nei primi anni '20, Natta condusse approfondite ricerche, sia teoriche che sperimentali, sulla struttura microscopica di leghe e altri composti inorganici tramite tecniche diffrattometriche, da poco introdotte, da cui emerse, in particolare, una notevole correlazione fra la struttura cristallina dei catalizzatori chimici e la loro operatività chimica. Nei primi anni '30, durante l'assistentato, riuscì pure a stabilire un nuovo processo di sintesi del metanolo in collaborazione con la Montecatini, rompendo, per la prima volta, un monopolio detenuto nel settore da industrie tedesche. Costante attenzione di Natta si rivelò essere, già da questi anni, il rapporto fra le scienze chimiche teoriche, il loro ambito sperimentale e le loro possibili applicazioni tecnico-pratiche e industriali, interesse, questo, che caratterizzò tutta la sua carriera.

Durante la guerra, Natta poté portare a conclusione, sempre partendo da un approfondito studio delle inerenti questioni teoriche, diverse importanti scoperte, numerosi brevetti (in comproprietà con diverse industrie italiane) e notevoli innovazioni tecniche, fra cui la produzione di gomma sintetica (butadiene),[9] il processo di ossosintesi, la formazione di formaldeide, sintesi di glicoli, glicerina e isottano, l'idrogenazione di carboidrati. Nel 1938, a Ferrara, contribuì alla costruzione del primo impianto in Italia per la produzione di gomme sintetiche. Nel primo dopoguerra, Natta ritornò a interessarsi, sempre più approfonditamente, della chimica macromolecolare, iniziando ricerche di acustica degli ultrasuoni nei polimeri finalizzate allo studio degli stati condensati delle sostanze polimeriche e sulla polimerizzazione radicalica di monomeri vinilici.

Nell'estate del 1947, Natta e Piero Giustiniani, direttore della Montecatini, si recarono negli Stati Uniti per aggiornarsi sulla ricerca scientifica e tecnologica in chimica d'oltreoceano, constatandone le differenze rispetto all'Europa, ad esempio con la crescente attenzione americana per la petrolchimica. Al ritorno, Giustiniani mise a disposizione di Natta e del Politecnico di Milano finanziamenti e strutture per un nuovo centro di ricerca chimica avanzata, in sinergia sia col Centro di ricerca in chimica industriale del CNR (voluto proprio da Natta nel 1946) che con l'Istituto di Chimica industriale del Politecnico di Milano, diretto prima da Mario G. Levi (dopo il suo rientro in Italia dall'esilio in Svizzera) e poi da Natta.

A partire dai primi anni '50, sempre nell'ambito della chimica delle macromolecole, Natta cominciò a interessarsi, sempre più specificatamente, di problematiche riguardanti la stereochimica dei polimeri e delle macromolecole in generale,[10] da quando venne a conoscenza dei processi di polimerizzazione dell'etilene (reazione di Aufbau) e della dimerizzazione delle alfa-olefine in presenza di composti alluminio-alchilici, realizzati, in quegli anni, da Karl Ziegler mediante catalizzatori organometallici, poi detti "catalizzatori Ziegler".[11] Natta intuì le potenzialità di questi processi di polimerizzazione catalitica (metallorganica) nell'ottenere bassi polimeri molto lineari e cristallini a partire da monomeri quali l'etilene, la cui struttura lineare venne, da Natta, messa a confronto con la struttura ramificata tipica degli alti polimeri.[12] La successiva produzione, da parte di Ziegler, di polietilene lineare ad alta densità ottenuto con gli stessi procedimenti di polimerizzazione dell'etilene ma adoperando altri catalizzatori, suggerì a Natta di applicare lo stesso disciplinare non all'etilene ma al polipropilene e ad altre alfa-olefine superiori con l'uso di alcune varianti dei catalizzatori tipo Ziegler, ottenendo, l'11 marzo 1954, un nuovo composto organico altamente ordinato nella struttura cristallina, poi denominato polipropilene isotattico, dando così il via ai polimeri stereospecifici (o stereoregolari), brevettati poi con il nome commerciale di moplen, meraklon, mopeflan, etc., dotati di eccellenti proprietà chimiche e meccaniche.

L'invenzione di questi nuovi catalizzatori per la polimerizzazione stereospecifica, detti poi catalizzatori di Ziegler-Natta, fruttò congiuntamente a Natta e Ziegler il Premio Nobel per la chimica nel 1963. La produzione industriale su scala mondiale di polipropilene isotattico, il più apprezzato fra i polipropileni, si baserà sui successivi brevetti (comunemente noti come "brevetti Natta-Montecatini") depositati da Natta a partire dalla metà degli anni '50, in comproprietà con la ditta Montecatini, a cui fondamentalmente si ispireranno tutte le altre metodologie di produzione autonomamente sviluppate in seguito da altre ditte.

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Nel 1961, con il parere favorevole del CNR, Natta fondò e diresse un nuovo istituto di ricerca in chimica macromolecolare, appositamente creato per dar seguito agli studi e alle ricerche della sua scuola in cui si formeranno numerosi ricercatori e docenti, che lavoreranno in varie sedi universitarie e in diversi centri di ricerca pubblici e privati, nonché futuri dirigenti di aziende pubbliche e private, sia italiane che straniere.

I contributi di Natta ricadono in molti ambiti della chimica industriale organica, sia teorica che sperimentale e applicata. Fu tra i primi in Italia a credere – e mettere in pratica – nella proficua collaborazione fra ricerca accademica e industria privata (la Montecatini, in particolare). Profondo conoscitore di molti settori delle scienze chimiche, dalla chimica inorganica alla chimica organica e chimica fisica, dalla chimica industriale all'impiantistica chimica, che seppe coordinare in maniera interdisciplinare e proficua, i suoi risultati hanno riguardato principalmente la struttura chimico-fisica e le proprietà fisiche di numerosi composti organici e inorganici, quindi la chimica fisica, la cristallografia macromolecolare, la stereochimica e la cinetica chimica delle reazioni organiche, con specifica attenzione alle metodologie di polimerizzazione, studiate sia dal punto di vista teorico che negli aspetti merceologici e tecnico-applicativi, che porteranno Natta e la sua scuola a sintetizzare un'ampia classe di nuovi polimeri. In particolare, anche sulla base dei lavori di Ziegler, ha dato il via a un nuovo capitolo della stereochimica dei polimeri e delle macromolecole in generale,[19] quello della stereodinamica chimica dei processi di polimerizzazione, sulla base della scoperta della polimerizzazione stereospecifica.[20][21][22]

A Milano, anche grazie alla sinergia che Natta riuscì per primo a stabilire in Italia fra università, enti di ricerca pubblici (fra cui, il CNR) e privati e industria, creò una delle più rinomate scuole di chimica industriale e ingegneria chimica, in cui si formarono numerosi allievi poi divenuti, a loro volta, importanti docenti universitari, ricercatori e dirigenti d'azienda, fra cui, in linea più o meno diretta, ricordiamo Giuseppe Allegra, Ivano W. Bassi, Luisa Bicelli, Fausto Calderazzo, Sergio Carrà, Paolo Chini, Paolo Corradini, Gino Dall'Asta, Ferdinando Danusso, Raffaele Ercoli, Mario Farina, Giorgio Gaudiano, Umberto Giannini, Luigi Giuffrè, Enrico Mantica, Giorgio Mazzanti, Giovanni Moraglio, Attilio Palvarini, Italo Pasquon, Mario Peraldo, Piero Pino, Lido Porri, Mario Ragazzini.[23][24]

Fu socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei, dell'Accademia delle Scienze di Torino, dell'Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti, nonché membro onorario di numerose accademie e società scientifiche straniere; ricevette inoltre numerosi premi, riconoscimenti e onorificenze, italiani e stranieri, assieme a varie lauree ad honorem.

A Natta venne diagnosticata la malattia di Parkinson nel 1956. A partire dal 1963, le sue condizioni di salute erano andate peggiorando e per questo motivo divenne necessario affiancargli il figlio Giuseppe e altri quattro colleghi, che presenziarono inoltre al conferimento del Nobel a Stoccolma il 10 dicembre 1963. Nel 1968 morì la moglie Rosita, di cui la figlia Franca si era attivamente occupata.

Natta morì a Bergamo il 2 maggio 1979, all'età di 76 anni, dove da anni si era trasferito per esser anch'egli accudito dalla figlia Franca.

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Fonte: Wikipedia
 
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Genova, città di romanzieri e scrittori

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Una città spigolosa e contorta, con molti angoli nascosti, che però si apre alla luce del Mediterraneo appena può. Le piazze del centro storico medievale sono dei piccoli slarghi, c’è poco spazio e Lei è cresciuta come poteva, con gli edifici addossati gli uni agli altri. A volte mi si para davanti agli occhi la sua immagine, mentre cerca di scrollarseli tutti di dosso, soprattutto i palazzi che si arrampicano su per le colline, come fosse un cavallo imbizzarrito. Un po’ Lei lo è.

Genova le sue luci e i suoi umori
Come hanno già detto in tanti, la si coglie bene dal mare, non quando si è immersi nei suoi umori. Solo arrivandoci in barca si può vedere il suo sorriso, capire se è triste o se si sta annoiando. Se entri nell’intrico dei vicoli il sole lo vedi poco, come a New York si dona solo quanto è alto nel cielo. Per dirla con De André,

Nei quartieri dove il sole del buon Dio

non dà i suoi raggi

ha già troppi impegni per scaldar la gente

d’altri paraggi.

Meglio sulle alture, soprattutto dove la speculazione non ha pugnalato il territorio. Migliaia le finestre spalancate sul mare, dove lo sguardo si perde sul filo dell’orizzonte, con cui Antonio Tabucchi ha intitolato un suo romanzo, ambientato a Genova. Così lo scrittore toscano, che ha vissuto qui alcuni anni, racconta il suo viaggio a bordo della funicolare che porta al Righi:

Poi all’improvviso i muri si aprono: è come se l’ascensore avesse sfondato i tetti e puntasse direttamente verso il cielo, per un attimo ci si sente sospesi nel vuoto, i cavi della trazione scivolano silenziosamente, il porto e gli edifici fuggono in basso, si ha quasi l’impressione che l’ascensione non si fermerà più, la forza di gravità pare una legge assurda e la città un giocattolo dal quale è un sollievo disabituarsi.

Dall’alto ne percepisci alcune fette, dal Parco Urbano dei Forti giù oltre gli strapiombi ecco la val Bisagno o la val Polcevera; dal Monte Fasce Lei si allunga pigramente verso Ponente, e dal Faiallo è sdraiata laboriosa verso Levante, con il Porto di Prà sempre in movimento. Sonnolenta d’estate e attraversata da raffiche di vento gelido d’inverno.

Genova, una città che ti strega
Sono arrivata in città a venticinque anni, ammagliata dai vicoli e dalla loro vita pullulante, ma mi sento a casa mia ovunque, dalla Colombia all’Eritrea, dagli Stati Uniti alla Cina, basta che intorno a me ci siano persone che guardano oltre il loro ombelico. Però una cosa la voglio dire: Lei è una città che ti strega, se ti prende non ti molla più, ti tiene stretta al guinzaglio.

I Genovesi si sono sempre fatti guerra tra di loro, una Repubblica ricca e potente sui mari, con un territorio striminzito. Camillo Sbarbaro lo ha rivelato con il suo tocco lieve:

Scarsa lingua di terra che orla il mare,

chiude la schiena arida dei monti;

scavata da improvvisi fiumi; morsa

dal sale come anello d’ancoraggio.

E in questa scarsa lingua di terra gli abitanti hanno trovato sul mare uno sfogo e nelle colonie del Mediterraneo grandi ricchezze. Avevano bisogno di respirare i genovesi, salivano a bordo delle loro galee e navigavano per anni. Ma a casa stavano stretti, gomito a gomito, le famiglie litigavano tra loro, tresche cospirazioni e trame costellano la sua storia di Superba. Trame appunto, Lei è una città fatta per essere descritta, è una città aggrovigliata e intricata, gli intrighi fanno parte del suo Dna, la sua Storia ne è piena. E tante piccole storie da narrare sembrano essere pronte per venire alla luce, basta andare a scovarle.

Genova nel passato non ha dato i natali a nessun grande autore
In passato Genova era uno dei centri internazionali più potenti e ricchi del mondo allora conosciuto. La Superba però non ha avuto né un Dante, né un Petrarca, né un Boccaccio. Tra l’altro, Petrarca l’ha lodata, ma Dante invece l’ha coperta di insulti.

Per amor del vero, va detto che La Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine (Varazze) fu letta e tradotta, fino al Seicento, quasi quanto la Bibbia. Inoltre, proprio nel 1600, Genova e la Liguria furono la capitale della letteratura barocca italiana. Ma ora questi autori non li si ricorda più.

La Superba ha sempre affascinato turisti, viandanti e commercianti, senza dimenticare la schiera di artisti, letterati, filosofi e poeti che se ne sono innamorati.
Per alcuni, come Rimbaud, si trattava di un passaggio per arrivare ad altre mete. Per altri, come il filosofo tedesco Nietzsche, era il posto ideale per abitare, nel particolar caso in Salita delle Battistine 8, per diversi anni.

Il clima mite e accogliente della Liguria era un toccasana sia per la salute che per lo spirito.

“Quando uno va a Genova, è ogni volta come se fosse riuscito ad evadere da sé: la volontà si dilata, non si ha più coraggio di essere vili. Mai ho sentito l’animo traboccante di gratitudine, come durante questo mio pellegrinaggio attraverso Genova.”

Nell'Ottocento l'esperienza romantica e mistica del “Grand Tour”, ha portato letterati e intellettuali di tutta Europa in Italia. La visita delle antiche vestigia romane, così come delle chiese e delle grandi opere d’arte disseminate in tutta la penisola, era l’attrattiva maggiore, e Genova una delle tappe più affascinanti.

Ne “Il gabbiano”, uno dei suoi testi più struggenti e intensi, Anton Cechov scrive:

“Genova è la città più bella del mondo”.

Joseph Conrad vede in Genova il luogo della nostalgia, una città che è una foresta di palazzi di marmo, misteriosa e indicibile come le foreste più propriamente dette, e ne parla nel romanzo che lo renderà famoso in tutto il mondo, “Heart of darkness”.

“A uno slargo al quale convergeva una selva fitta di vicoli si fermò e guardandosi intorno si chiese se tutti quegli imponenti palazzi erano disabitati o se invece era lo spessore dei muri ad impedire che vi trapelasse il pur minimo segno di vita; non poteva credere, infatti, che a quell’ora gli abitanti fossero tutti sprofondati nel sonno”.

“Un cupo bagliore purpureo arrossava le facciate marmoree dei palazzi inerpicati sulle falde montagne sassose i cui crudi contorni si profilavano alti e spettrali nel ciclo che si andava oscurando. Il sole invernale calava sul golfo di Genova…”

Mark Twain guarda invece Genova attraverso le persone, le loro abitudini e i modi di vivere.

“Le signore e i gentiluomini di Genova hanno la piacevole abitudine di passeggiare in un ampio parco in cima a una collina al centro della città…e quindi, per un altro paio d’ore, di prendere il gelato in un giardino adiacente.”

“…queste donne genovesi sono incantevoli. La più gran parte di queste damigelle sono vestite di una bianca nube dalla testa ai piedi, sebbene molte si adornino in una maniera più complicata. Nove su dieci non hanno sul capo null’altro che un sottilissimo velo ricadente sulle spalle a guisa di bianca nebbia. Hanno capelli biondissimi e molte di loro occhi azzurri, ma più spesso si vedono occhi neri e sognanti occhi castani…”

Charles Dickens, che nei suoi racconti di viaggio tramuta la moda del “Grand Tour” in un sofisticato e appassionante genere letterario, fa tappa a Genova.

"E potrò mai dimenticare le vie dei palazzi, la Strada Nuova e la Strada Balbi? O l’aspetto dell’una, quando la vidi per la prima volta, sotto il più fulgido e il più intensamente turchino dei cieli estivi, che le sue file raccostate di dimore immense, riducevano a una striscia preziosissima di luce, restringendosi gradatamente, e contrastanti con l’ombra greve al di sotto!”



Henri Beyle, in arte Stendhal, compila un diario di viaggio “Journal d’un voyage en Italie et en Suisse, pendant l’année 1828” e parla anche di Genova, lasciando consigli pratici:

“…Prendere una stanza alla pensione Svizzera, vicino a Banchi (qui la Borsa ha questo nome) e qui bisogna chiedere la camera 26 al quarto piano, dalla quale si vedono il porto e la montagna. Bisogna dire ‘Mi dia la camera che un russo ha occupato per 22 mesi’. Costa un franco e venticinque al giorno. Di fronte c’è un ristorante dove si può mangiare scegliendo una lista.”

Montesquieu, nel suo “Viaggio in Italia”, rinforza l'antica credenza sul carattere ruvido dei genovesi:

“I Genovesi non sono affatto socievoli; e questo carattere deriva piuttosto dalla loro estrema avarizia che non da un’indole forastica: perché non potete credere fino a che punto arriva la parsimonia di quei principi. Non c’è niente di più bugiardo dei loro palazzi. Di fuori, una casa superba, e dentro una vecchia serva che fila … I genovesi di oggi sono tardi quanto gli antichi Liguri. Non voglio dire con questo che non intendano i loro affari: l’interesse apre gli occhi a tutti … C’è una cosa ancora: che i genovesi non si raffinano in nessun modo: sono pietre massicce che non si lasciano tagliare. Quelli che sono stati inviati nelle corti straniere, ne son tornati genovesi come prima.”

Mary Shelley e George Byron hanno abitato sulla collina di Albaro, mentre la sfortunata moglie di Oscar Wilde, Constance, è fuggita proprio a Genova per ripararsi dagli scandali del marito in madre patria.

Nei tempi più moderni l’Hotel Miramare, oggi trasformato in tanti piccoli appartamenti, fu la meta di tanti personaggi celebri del ‘900 da Stan Laurel e Oliver Hardy a Orson Welles. Le notti infuocate tra D’Annunzio e la Duse si mescolavano alle liti focose tra Francis Scott Fitzgerald e la moglie Zelda. Tra un bicchiere e una lite lo scrittore avrà modo una volta di guardarsi intorno e di vedere Genova:

“Il Miramare di Genova inghirlandava la curva oscura della spiaggia con festoni di luce e la sagoma delle montagne faceva spicco sullo sfondo nero grazie al riverbero delle finestre degli alberghi più in alto”

Una Superba che rimane nel cuore e nell'anima di chi la vive, a cavallo dei secoli.

Da Flaubert a Dickens, da Montale a Campana, da Caproni a Conrad
Malgrado diversi scrittori stranieri, da Flaubert a Balzac, da Twain a Dickens, l’abbiano visitata e ne abbiano tessuto le lodi, nessuno dei maestri della storia della letteratura si è mai azzardato ad ambientarci un romanzo.

Al contrario, invece, molti poeti nella storia recente, da Eugenio Montale a Dino Campana hanno trovato in questa città e nelle sue riviere una fonte di ispirazione. Basti citare la famosa Litania di Giorgio Caproni. Però erano poeti, non narratori.

Solo Joseph Conrad (1857-1924) – tra i grandi scrittori del passato – ha ambientato un romanzo a Genova, che si intitola Suspense. Non a caso è incompiuto ed è uscito postumo nel 1925. E in pochi lo conoscono, anche se dalle quelle pagine viene fuori il miglior Conrad. Ci sarebbe da scrivere un intero saggio sulla scelta del titolo, Suspense, in rapporto alla città che vi viene descritta, attraversata da uno stato di tensione, in attesa di un evento di cui non si parla mai apertamente, forse per scaramanzia o forse per esorcizzarlo. Così, tra mezze parole, i personaggi di Suspense fanno montare l’ansia e l’aspettativa. Come andrà a finire?

Il successo dei romanzieri genovesi
Oggi, a differenza del passato, c’è un fiorire di scrittori nati in questa città e che pubblicano per la case editrici nazionali. Anche se entrare nella storia della letteratura è un’altra cosa. Non ne cito nessuno, sono troppi, molti dei quali amici cari, potrete trovarne una lista qui.

La scrittura a Genova è quindi diventata popolare, iniziando dal noir. In un articolo uscito sul Secolo XIX qualche tempo fa, scrivevo che i delitti narrati negli ultimi vent’anni sono molti di più rispetto a quelli realmente accaduti. Il merito è stato dell’entusiasmo di Marco Frilli: la sua casa editrice ne ha sfornati a centinaia e qualcuno, come Bruno Morchio, ha poi preso il volo.

Leggere un romanzo di Bruno è un buon assaggio di quanti luoghi genovesi sembrano fatti apposta per creare immagini nella mente di uno scrittore, dai tetti del centro storico allo Stradone di Sant’Agostino, dalle zone ricche di Albaro al più popolare quartiere del Carmine, con carruggi e piazze che si chiamano Cioccolatte o Giuggiola. E poi le crêuze che si arrampicano verso Castelletto. In una di queste, Salita San Francesco 7, ha vissuto Paul Valery. Dopo una notte di fulmini e tempeste, il poeta francese entra in crisi e decide di smettere di scrivere poesie per ben vent’anni, la famosa Nuit de Gênes. Lei, la signora, è stata anche capace di questo.

Vorrei ricordare anche la zia di tutti gli scrittori genovesi, oggi ha 95 anni, è molto brava, anche se non ha avuto il successo che si meritava, Camilla Salvago Raggi.

La regina disadorna di Maurizio Maggiani
E poi Sottoripa, la Ripa Maris, che un tempo si affacciava sull’acqua, la Darsena e Calata degli Zingari, Piazza Stella e Piazza Banchi, i vicoli dove Maurizio Maggiani fa muovere i personaggi della Regina disadorna. Maurizio ama perdersi nell’angiporto dove ancora si sente l’odore della fatica dei camalli, della Genova operosa, protagonista dell’industria italiana e delle lotte operaie del Novecento. Anche se a me ha confidato che, per lui, la più bella piazzetta di Genova è Sant’Anna sopra la circonvallazione ottocentesca, con il suo convento dei frati carmelitani.

Chissà in quanti la state descrivendo in questo momento. Aspettiamo impazienti, mentre Lei è lì fiera che vi sorveglia tutti, Lei la Superba.


Fonti: Laura Guglielmi lauraguglielmi.it

cairocar.it
 
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view post Posted on 10/3/2021, 19:42
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Riccardo Giacconi

Premio Wolf per la fisica 1987 Premio Nobel per la fisica 2002


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Riccardo Giacconi (Genova, 6 ottobre 1931 – San Diego, 9 dicembre 2018) è stato un astrofisico e accademico italiano naturalizzato statunitense, co-vincitore del Premio Nobel per la fisica nel 2002 "per i contributi pionieristici all'astrofisica, che hanno portato alla scoperta di sorgenti cosmiche di raggi X"

Nasce a Genova il 6 ottobre 1931, figlio unico di Antonio, proprietario di una piccola azienda, e di Elsa Canni, insegnante di matematica e fisica. Nel 1939 i genitori si separano e Riccardo segue la madre a Cremona (città natale) e Milano dove insegna nel Liceo scientifico Vittorio Veneto che egli stesso poi frequenterà.

Studia e si laurea in Fisica all'Università Statale di Milano con Giuseppe Occhialini, specializzandosi nella ricerca dei raggi cosmici. Su suo consiglio, nel 1956 si trasferisce negli Stati Uniti. Dal 1958 inizia a collaborare con l'Università di Princeton, poi è chiamato da Bruno Rossi presso l'AS&E (American Science and Engineering) con un programma per lo sviluppo di ricerca sui raggi X cosmici, e comincia a progettare strumenti di rilevazione.

Nel 1962 scopre Scorpius X-1, prima sorgente extraterrestre nota di raggi X[5]. Nel 1970 si occupa del lancio del satellite Uhuru, con cui si apre l'esplorazione del cielo profondo a raggi X. Grazie a questa ricognizione del cielo sono state scoperte 339 stelle che emettono raggi X, fra cui Cygnus X-1[5] e Vela X-1.
Nel 1973 Giacconi diviene direttore dell'Harvard Smithsonian Center for Astrophysics, portando avanti il progetto HEAO-2 di un telescopio raggi X in orbita, quello che più avanti sarà battezzato Osservatorio Einstein.
Ha ricoperto contemporaneamente le cariche di professore di fisica e astronomia (1982-1997) e di ricercatore (dal 1998) alla Università Johns Hopkins. Dal 1993 al 1999 riveste l'incarico di Direttore generale del European Southern Observatory (ESO).

Nel 2002 viene insignito del Premio Nobel per la Fisica per i suoi contributi pionieristici all'astrofisica nella zona non visibile dello spettro elettromagnetico, che hanno portato alla scoperta delle prime sorgenti cosmiche in raggi X.

È stato "Principal Investigator" (P.I.) per il progetto Chandra Deep Field-South con il Chandra X-ray Observatory della NASA.

Morì a 87 anni il 9 dicembre 2018.

Onorificenze

Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana
«Di iniziativa del Presidente della Repubblica»
— 12 novembre 2002[

Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte
— 28 novembre 2005


Riconoscimenti
Premi

Premio Helen B. Warner per l'Astronomia (1966)[12]
Medaglia Bruce (1981)
Henry Norris Russell Lectureship (1981)
Premio Dannie Heineman per l'astrofisica (1981)[13].
Medaglia d'Oro della Royal Astronomical Society (1982)
Premio Wolf (1987)
NASA Distinguished Public Service Medal (1993)[14]
Premio Nobel per la Fisica (2002)
Medaglia Nazionale della Scienza (2003)
Medaglia Karl Schwarzschild (2004)
Premio Capo d'Orlando (2005)[15][16]
Carl Sagan Memorial Award (2012)[17]

Intestazioni

Asteroide 3371 Giacconi
USS Giacconi nella settima puntata della terza stagione di Star Trek Discover


Opere
(EN) Riccardo Giacconi e Wallace Tucker, The X-Ray Universe, Cambridge, MA: Harvard University Press, 1985.
L'universo a raggi X, di R. Giacconi e W. Tucker, Oscar Arnoldo Mondadori Editore 2003 ISBN 88-04-52014-0


Fonte Wikipedia
 
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view post Posted on 12/3/2021, 21:15
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Giuseppe Mazzini, il repubblicano

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Il maggior profeta del Risorgimento italiano

Giuseppe Mazzini fu la personalità che, più di ogni altra, lottò per l’indipendenza degli Italiani dalla dominazione straniera e per la loro costituzione in uno Stato unitario. Fervente repubblicano e democratico, quando l’Italia conseguì l’unità egli fu per un verso un grande vincitore, ma per l’altro uno sconfitto, poiché il nuovo Stato divenne una monarchia senza la partecipazione delle masse popolari. Si batté strenuamente per la conquista di Roma, considerata il simbolo dell’unità nazionale

Giuseppe Mazzini nacque a Genova nel 1805, figlio di Giacomo, medico, e di Maria Drago, che lo educò a un senso religioso della serietà della vita e dei doveri che essa impone. Studente, fu conquistato dalle idee democratiche e repubblicane. Animato da vivi interessi per la letteratura secondo uno spirito accesamente romantico, maturò altresì presto una dominante passione per l’azione politica.

Nel 1827 si iscrisse alla Carboneria, organizzazione rivoluzionaria segreta composta da gruppi ordinati secondo una rigida gerarchia, in cui presto assunse una posizione di primo piano. Arrestato dalla polizia sabauda nel 1830 e rinchiuso nella fortezza di Savona, l’anno seguente prese la via dell’esilio. Un grave scacco fu per lui il vano tentativo, nel 1831, di appoggiare con una spedizione dalla Savoia i moti scoppiati nell’Italia centrale.

La Giovine Italia e la Giovine Europa

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A Marsiglia, ormai convintosi dell’insufficienza dell’opera delle piccole sette di cospiratori, fondò nel 1831 la Giovine Italia, un’organizzazione chiamata a lottare per un’Italia unita, democratica e repubblicana, da radicarsi nel popolo mediante una propaganda capace di rendere pubblici i propri principi e di ottenere un ampio consenso tra gli Italiani. Il popolo era visto da Mazzini come l’unico soggetto capace di conquistare, mediante l’insurrezione, la propria libertà. La mano di Dio avrebbe guidato il braccio del popolo; di qui la formula della religione politica mazziniana: «Dio e popolo».

Mazzini credeva fortemente in un progresso fondato sugli individui animati dal senso dei loro doveri verso gli altri, sulla famiglia, sulle nazioni e sull’umanità. All’Italia rinata spettava il compito di fondare una Terza Roma, dopo quella dei Cesari e dei papi, avente la missione di propagandare la fratellanza e la libertà universali. Reagendo agli insuccessi cui andò incontro l’azione sua e dei suoi seguaci, Mazzini nel 1834 fondò in Svizzera la Giovine Europa per favorire in tutto il continente le lotte dei popoli oppressi, convinto che la libertà dell’Italia avrebbe potuto essere salvaguardata unicamente da quella degli altri paesi europei.

Superata la «tempesta del dubbio» – una profonda crisi causata da un momentaneo smarrimento per la coscienza delle sofferenze provocate da dolorosi e anche sanguinosi fallimenti – nel 1837, espulso dalla Svizzera, si trasferì in Inghilterra, dove entrò in contatto con grandi intellettuali tra i quali John Stuart Mill e Thomas Carlyle, che nutrirono per lui una profonda ammirazione. Intanto il pensiero di Mazzini dall’interesse per l’indipendenza italiana e la libertà delle nazioni si era allargato alla questione sociale. Avverso al socialismo e al comunismo, egli sostenne la necessità di difendere gli interessi delle classi lavoratrici mediante opportune riforme sociali e politiche, il mutuo soccorso e le cooperative. In Inghilterra diede vita all’Unione degli operai italiani.

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Divenuto una personalità di fama ormai internazionale, Mazzini dovette subire i contraccolpi quanto mai negativi dell’esito sfortunato dei moti insurrezionali scoppiati in Romagna nel 1843 e 1845 e della spedizione fallimentare tentata nel 1844 dai fratelli Bandiera, ufficiali della marina austriaca. Malgrado non ne fosse responsabile, fu messo sotto accusa per il suo «avventurismo».

Nel 1848 l’ondata rivoluzionaria scosse l’Europa e l’Italia. Allo scoppio della prima guerra di indipendenza italiana Mazzini, contrario alla politica del re di Sardegna Carlo Alberto che mirava a estendere il proprio regno nell’Alta Italia annettendo la Lombardia, tenne fermi gli ideali dell’unità italiana e, dopo la vittoria degli Austriaci sui Piemontesi, esortò le correnti democratiche e repubblicane a condurre una guerra di popolo contro lo straniero.

Costituitasi nel febbraio 1849 la Repubblica Romana, Mazzini ne divenne il capo, dando prova di elevate capacità di governo. Una volta che la repubblica fu travolta dalle truppe francesi inviate a riportare Pio IX sul trono papale, Mazzini si recò esule prima in Svizzera e poi in Inghilterra.

Nel corso degli anni Cinquanta tentò di riprendere l’iniziativa rivoluzionaria in Italia. A questo scopo fondò nel 1853 il Partito d’azione ma tutte le azioni da lui promosse andarono incontro alla repressione. L’insuccesso più grave fu la spedizione di Carlo Pisacane a Sapri nel 1857.

L’azione rivoluzionaria di Mazzini scontava pesantemente il fatto che, nonostante contasse soprattutto sull’adesione popolare, egli non fosse mai stato in grado di ottenere l’appoggio attivo di significativi nuclei di lavoratori. Le grandi masse contadine rimasero del tutto impermeabili al suo messaggio.

Proprio mentre Mazzini doveva confrontarsi con la crisi della sua strategia che faceva appello all’insurrezione popolare, nel regno di Sardegna il conte di Cavour, capo del governo di Vittorio Emanuele II, promuoveva una linea che mirava alla formazione di un regno dell’Alta Italia sotto i Savoia e alla confederazione degli Stati italiani, cercando in particolare l’alleanza dell’imperatore francese Napoleone III, che divenne un dato di fatto nel 1858. Nello stesso anno dell’insuccesso della spedizione di Pisacane, le delusioni verso le posizioni di Mazzini indussero personalità come Garibaldi e altri democratici a staccarsi da lui confluendo nella Società nazionale di indirizzo cavouriano.

Nel 1859 il Piemonte guidato da Cavour entrò, in alleanza con la Francia, in conflitto con l’Austria dando origine alla seconda guerra di indipendenza; Mazzini vide così decisamente sfuggirsi l’iniziativa per opera della monarchia sabauda e delle forze di indirizzo moderate avverse alla repubblica e alla democrazia. Le sue speranze si riaccesero quando nel maggio 1860 Garibaldi, con la spedizione dei Mille, diede inizio alla conquista che si sarebbe conclusa con la liberazione del Mezzogiorno. Egli ritenne allora che si aprissero nuove prospettive per un’insurrezione popolare, per la repubblica democratica e il compimento dell’unità con la conquista di Roma e del Veneto. Ancora una volta, tuttavia, subì una disillusione, poiché Garibaldi si era accordato con il re Vittorio Emanuele II accettando che l’unità italiana si compisse come estensione della monarchia sabauda.

L’isolamento degli ultimi anni

Dopo il compimento parziale dell’unità d’Italia nel 1861 (mancavano ancora il Veneto, il Trentino e soprattutto Roma), Mazzini, colui che più di ogni altro aveva lottato per essa, si trovò a essere per molti aspetti uno straniero in patria. L’Italia monarchica e fondata sul dominio politico e sociale di una ristretta minoranza non soltanto non era quella per cui si era battuto, ma lo respingeva. Nel decennio seguente, Mazzini non mancò di sostenere la necessità di portare a compimento l’unità del paese, che sarebbe stata per gran parte raggiunta nel 1866 con l’acquisizione del Veneto e nel 1870 con la caduta del potere temporale dei papi.

Nell’ultimo periodo della sua vita Mazzini dedicò molte delle sue energie alla questione sociale e alla battaglia per l’elevazione delle condizioni delle classi lavoratrici. Prese parte a Londra alla fondazione della Prima internazionale dei lavoratori nel 1864 opponendosi alle posizioni dei marxisti e degli anarchici, poiché, in quanto riformista democratico, non condivideva le loro teorie rivoluzionarie. Nel 1870, recatosi a Palermo per preparare un’insurrezione popolare, venne arrestato e rinchiuso a Gaeta per alcuni mesi. Mazzini morì nel 1872 a Pisa, clandestino, sotto il nome di dottor Brown.

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Morto

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La tomba a Staglieno

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Casa, oggi museo del Risorgimento

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Una curiosità, la chitarra. Pare che fosse un buon musicista e centante



Alcuni pensieri di e su Mazzini, alcune curiosità

(riguardo le donne)
“Davanti a Dio Uno e Padre non v’è né uomo né donna, ma l’essere umano, l’essere nel quale, sotto l’aspetto di uomo o di donna, s’incontrano tutti i caratteri che distinguono l’Umanità (…) Non esiste disuguaglianza tra l’uno e l’altra; ma come spesso accade tra due uomini, diversità di tendenze, di vocazioni speciali.”

(dice di lui Jane Carlyle)
“Mazzini è un amico che si deve tenere caro, che è il migliore sempre nelle ore del bisogno… ha un potere di identificarsi con chi ama, per lo meno nei loro dolori, ch’io non ho mai visto eguagliato.”

(Mazzini e la musica)
“Chi scrive non sa di musica, se non quanto gli insegna il cuore, o poco più; ma nato in Italia, ove la musica ha patria, e la natura è un concento, e l’armonia s’insinua nell’anima colla prima canzone che le madri cantano alla culla dei figli, egli sente il suo diritto, e scrive senza studio, come il core gli detta, quelle cose che a lui paiono vere e non avvertite finora, pure urgenti a far sì che la musica e il dramma musicale si levino a nuova vita dal cerchio d’imitazioni ove il genio s’aggira in oggi costretto, inceppato dai maestri e dai trafficatori di note.

E i maestri e i trafficatori di note s’astengano da queste sue pagine. Non sono per essi. Sono pei pochi che nell’Arte sentono il ministero, e intendono la immensa influenza che s’eserciterebbe per essa sulle società, se la pedanteria e la venalità non l’avessero ridotta a meccanismo servile, e a trastullo di ricchi svogliati…

La musica è un’armonia del creato, un’eco del mondo invisibile, una nota dell’accordo divino che l’universo è chiamato a esprimere.”
“È un bello spettacolo l’Alpi in faccia, il Jura alle spalle; in mezzo la pianura – silenzio e pace solenne – non rumore se non di campanelli che hanno in collo gli armenti, e di qualche canto di mandriano, canto svizzero, che consiste in un continuo passar dal basso all’alto, in una serie di ottave, che ha qualche cosa di doloroso, ma pur di dolcemente doloroso.”

Lettera alla madre, 8 novembre 1834


E per finire un filmato, in cui viene suonata proprio la chitarra di Giuseppe Mazzini



Fonti: Enciclopedia Treccani
narraredistoria.com
 
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Santuario della Madonnetta

e la leggenda di Salta Brigida


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La chiesa è stata innalzata su un tratto di terreno posto al di sopra del convento di S. Nicola, donato ai religiosi dal Senato della Repubblica (6.8.1641). In quella zona esisteva un’antica cappellina, dedicata a S. Giacomo, che P. Carlo Giacinto fece restaurare nel 1689, collocandovi una bellissima statua della Vergine Maria col Bimbo in braccio, dono della nobildonna Isabella Moneglia, moglie del senatore Paride Salvago. L’Immagine, scolpita in alabastro finemente decorato, è opera di Giovanni Romano (Trapani, sec. XVII); venne chiamata affettuosamente la Madonnetta. Essa è stata incoronata quattro volte ( 14 agosto 1692 - 14 agosto 1693 - 25 dicembre 1700 – 27 giugno 1920). Numerosi fedeli affluirono ben presto alla modesta cappellina dalla città e dai dintorni, per cui il Fondatore decise di affrettare i tempi della costruzione del Santuario.

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Molti anni prima (1674-75), ebbe una sorprendente visione nella cappella interna del noviziato: Un giorno, stando all’orazione mentale della sera… vidi un tempio nel suddetto luogo alla Gran Madre di Dio consacrato. Era di più altari e sacre immagini ornato, ma soprattutto con un’immagine di Maria entro un devotissimo scurolo, come è al presente. Davanti a quell’immagine stava gran calca di persone, le quali mi pareva che avessero gli occhi come due rivi di acque, tante erano le lacrime che spargevano. Inoltre mi sembrava che sotto il corpo della chiesa vi fosse una devotissima rappresentazione della passione di N. S. Gesù Cristo e di Nostra Signora col suo Dio e Figlio morto innanzi. Vidi in quel piccolo spazio grandi cose: grazie, privilegi, aiuti e favori che la divina Madre avrebbe concesso o interceduto ai fedeli. Non so tuttavia come spiegarli. Il che è quello che ora si decide di fare, senza che fabbricandosi la chiesa se ne avesse l’intenzione (Relazione del S. Tempio).

Ecco il progetto che ispirò a grandi linee l’architetto ligure Anton Maria Ricca. Egli lo tradusse fedelmente sviluppando una concezione personalissima ed originale di chiesa, alla quale guarderanno come a prototipo ideale altri architetti operanti in Liguria nel secolo XVIII (Arenzano, Bogliasco, Sori, Casella, Larvego…). Il 4 maggio 1695 iniziò la costruzione della chiesa e il 15 agosto 1696 venne aperta al pubblico. Nello stesso giorno, con decreto del Senato della Repubblica sollecitato dal P. Carlo Giacinto, la città di Genova si riconsacrava a Maria nel corso di una solenne cerimonia nella cattedrale di S. Lorenzo. Egli - per sottolineare il legame spirituale della Madonnetta con la città – collocò in una nicchia dell’abside la statua lignea di Maria SS, Regina di Genova, che benedice la sua città. Il 18 aprile 1706 Mons. Giambattista Costa, a nome dell’Arcivescovo di Genova Card. Lorenzo Fieschi, consacrò il tempio dedicandolo alla Natività di N. S. Gesù Cristo e alla Madre di Dio, Vergine Immacolata, Assunta in cielo e Regina degli Angeli e dei Martiri.

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Il Fondatore volle che il Santuario, nel suo insieme e nei più piccoli dettagli, fornisse una rigorosa e immediata lettura del mistero cristiano. Per questo, dedicando la chiesa all’Assunta, fece disporre numerosissime Reliquie di Santi e Martiri, provenienti per lo più dalla catacombe romane, sia negli ovali delle pareti che nelle pareti dell’altare maggiore e sotto la mensa degli altari, perché assomigliasse ad un’aula celeste, in cui gli angeli e i santi glorificano Maria. Inoltre evidenziò la finalità specifica del Santuario - la misericordia divina che perdona i peccatori - con il Crocifisso ligneo dell’altare maggiore e due splendide Pietà: una nel piazzale, l’altra nella cappella sottostante l’aula centrale. Questa specifica spiritualità del Santuario è illustrata non solo dal genio figurativo dell’architetto e degli artisti, ma anche da un centinaio di iscrizioni bibliche, collocate sapientemente ovunque, che costituiscono un esempio unico di funzionalità didattica. Il complesso architettonico, nel giro di alcuni decenni, fu decorato e arricchito di numerose e pregevoli opere d’arte.

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Il Santuario divenne ben presto centro di vita religiosa e meta tradizionale di pellegrinaggi dalla Città e dall’entroterra genovese, dalle due Riviere liguri, dal Piemonte e dalla Lombardia. Lo testimoniano fra l’altro i numerosi privilegi accordati dai Papi: Clemente XI, Innocenzo XIII, Benedetto XIII, Pio VI. Quest’ultimo aggregò la Madonnetta alla Basilica Lateranense con gli stessi privilegi e indulgenze (7.12.1777). Nel 1712 il Senato stabilì che nella domenica dopo la festa dell’Assunta una delegazione ufficiale della Repubblica genovese, composta da quattro senatori appartenenti alle più prestigiose famiglie patrizie, salisse al santuario per assistere alla messa solenne, durante la quale veniva riconsacrata la città alla Madonna, mentre le artiglierie del Molo sparavano quaranta colpi a salve in segno di saluto e di festa.

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In seguito altri illustri personaggi si sono avvicendati al Santuario. Nel 1818 Vittorio Emanuele I salì pellegrino con la sposa Maria Teresa di Savoia; nel 1829 la regina, rimasta vedova, vi ritornò accompagnata dalle figlie: Maria, futura imperatrice d’Austria, e la venerabile Maria Cristina, futura regina di Napoli. Anche alcuni fondatori di Congregazioni religiose hanno avuto uno stretto legame spirituale con la Madonnetta: la Ven. Solimani, fondatrice delle Battistine (1725); S. Paola Frassinetti, fondatrice delle Dorotee; la Madre Eugenia Ravasco, fondatrice delle Figlie dei Sacri Cuori; il Ven. Giuseppe Frassinetti, fondatore dei Figli di Maria; Madre Anna Maria Castello, fondatrice delle Suore Pietrine; ed altri ancora. Non meno importante la fondazione del quotidiano cattolico Il Cittadino (30.9.1873) ad opera del P. Persoglio S.J. E quando il Governo italiano nel 1855 soppresse e confiscò il Santuario con l’annesso convento, il senatore genovese Giuseppe Cataldi li riscattò, permettendo ai religiosi di continuare la loro vita comunitaria in talare ecclesiastica, in attesa di tempi migliori.

Molti devoti vollero essere sepolti al Santuario in sepolcreti comuni o in tombe gentilizie (Doria, Balbi, Negrone, Durazzo, Lomellini, Centurione, Brignole Sale, Invrea, Grimaldi, Spinola, Cambiaso, Raggio, Della Gatta, De Rica, Sacco…). Citiamo i più illustri: Il fondatore P. Carlo Giacinto, l’architetto Anton Maria Ricca (divenne agostiniano scalzo con il nome di Fra Marino dell’Assunta), il doge Gerolamo Durazzo, gli ammiragli Giorgio De Geneys, Francesco Sivori e Luigi Giaime di Pralognano; il sindaco Luigi Morro, il matematico abate Ambrogio Multedo, l’ambasciatore della repubblica al Congresso di Vienna Gerolamo Serra, il sen. Giuseppe Cataldi e discendenti.

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Il Presepio

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Solo di alcune si è potuto stabilire con sufficiente certezza la paternità: G.B. Gaggini, detto il Bissone (il gruppo della Natività, fine 1600), A. M.Maragliano (il povero e altre figure alla grotta, primo 1700), Pedevilla (il gruppo dei Magi, metà 1700), il tirolese De Scopt (i vecchietti col nipotino e il contratto della mucca, metà 1700).

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Nel 1977, dopo sette anni di lavoro per preparare il locale e allestire la scenografia, il Presepio è stato sistemato in modo permanente sotto la chiesa, a ridosso della cappella della Pietà. Esso occupa un’area di 100 mq. ed è disposto in tre grandi diorami.

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A destra il corteo dei Magi (paggi, soldati, cavalli) che avanza di notte nella città di Gerusalemme e si dirige verso la grotta della Natività; al centro la città di Genova, con alcuni monumenti fra i più rappresentativi (S.Matteo, palazzo Doria, palazzo S. Giorgio, Torre Embriaci, Porta Siberia e la Lanterna con le navi, Porta Soprana e Porta Pila, il quartiere di Via Madre di Dio, i portici di Sottoripa e il mercato natalizio, Salita della Madonnetta e l’ingresso del convento) nonché i personaggi che muovono verso il Santuario, ove è ambientata la stalla della Natività, per adorare il Bambino Gesù; a sinistra una tipica fattoria genovese, con stalla e cucina, nel paesaggio della Val Bisagno ricoperta di neve, con ponte S. Agata e S.Siro di Struppa.

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Mentre la progettazione e la direzione dei lavori è stata curata dall’Ing. Ubaldo Comola, la grandiosa sceneggiatura è stata ideata e realizzata da Roberto Tagliati, presidente dei presepisti genovesi, coadiuvato da Elsa Burlando, Augusto Zucconi, Giulio Sommariva, Mauro Malfatto, i coniugi Damonte, Luigina Dagnino.

La leggenda di Santa Brigida

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Tra le leggende "nere" legate alla città di Genova, ce n'è una che vede protagonista Santa Brigida, che passò per la Superba intorno alla metà del '300, diretta a Roma in pellegrinaggio.

Secondo la tradizione, la santa svedese si fermò per un certo periodo in città, ed espresse una terribile profezia presso mura della Chiappe (sul colle del Peralto), guardando la Superba verso il basso : «Un giorno il viandante che passerà dall’alto dei colli che recingono Genova, accennando con la mano i lontani cumuli di detriti, dirà: laggiù fu Genova».

La chiesa della Madonnetta, infatti, sarebbe stata costruita con la facciata principale verso la montagna proprio per "non vedere" la futura rovina della sua città.

Bene, dopo aver fatto i dovuti scongiuri (Ora, non vorrei essere irriverente, ma questa cara Santa avrebbe potuto passare altrove o, meglio, restarsene in Svezia!), vi lascio con qualche filmato

La chiesa



Il presepe



Fonti: santuariomadonnetta.it
genovatoday.it (per la leggenda)
Filmati della Provincia di Genova
 
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Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

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DRONE SU VALLEREGIA





Oggi proponiamo questo video breve nel quale si possono ammirare le piacevoli colline dell'entroterra genovese All'inizio del filmato si ha una panoramica del Piazzale intitolato a Padre Luigi Risso missionario del PIME in Cina e nativo della Borgata della Fraccia e del Colle denominato Monte Pizzo.
Il video prosegue con l'immagine della Borgata delle Cascine e seguente veduta sulla Valsecca (che prende il nome dall'omonimo torrente) e sul nuovo tratto della A7 (Genova-Milano ex camionale Genova - Serravalle costruita nel Ventennio).
Si ritorna sul Piazzale con l'Oratorio dedicato a San Bernardo e breve immagine sul Monumento ai caduti vallereggini del primo e secondo conflitto mondiale.
Il drone prosegue e sale fino alla Borgata di San Martino con la chiesa dedicata al santo e primo nucleo cristiano di Valleregia.
Dalla stessa borgata lunga panoramica sull'Altopiano dei Fontanini attraversato dall'Alta Via dei Monti Liguri.
Prima del ritorno sul Piazzale breve inqudratura di una Cappella Votiva presso la Borgata della Fraccia.
Piccola nota: intorno al minuto 5.30 del video viene inquadrata, per pochi secondi, la mia abitazione.
 
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L'Acquasola e le vittime della peste nera

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L'Acquasola, come recita Wikipedia, è una spianata posta su di un'altura al centro di Genova. Ebbene, il suo sottosuolo conserva i resti di circa diecimila deceduti della peste nera del 1650.
Ma prima vediamo un po' di storia.

Circa alla metà del 1600 un nemico, assai subdolo e potentissimo, metterà Genova in ginocchio: la peste.

Quella cosiddetta del Boccaccio di 300 anni prima aveva picchiato duro, ma questa “del Manzoni” (ancorché in lieve “differita”) farà una vera strage, uccidendo il 60% della popolazione e riducendo dunque Genova a 40.000 abitanti.

I primi casi si registrarono nella primavera del 1656: un’avvisaglia che, con l’arrivo dell’estate e date le condizioni igieniche in cui Genova, come le altre città del Mediterraneo e non solo, dell’epoca, versava, dilaga.

Lo spettacolo che ben presto si presenta nelle anguste strade cittadine è devastante: corpi orribilmente piagati che si trascinano urlanti, un fetore a dir poco impressionante. E cadaveri. Cadaveri ovunque, che in tanti casi restano lì a imputridire, ché guai a chi li urta o li tocca. Il problema del loro “smaltimento” rimarrà fra i principali dell’epidemia: fra le varie soluzioni adottate, quella di caricare mucchi di salme (presi “con le pinze” e addossati su carri) su vascelli da sacrificare, da incendiare e abbandonare al largo. Ma le correnti marine giocavano brutti scherzi, riportando a riva i corpi con risultati ancora più nefasti.

Macabre, per quanto efficaci, altre soluzioni: nel lazzaretto della Foce i morti vengono rinchiusi in gabbioni e calati in mare, in modo che i pesci li spolpino.

All’ospedale di Pammatone risolvono il problema accatastando i morti sotto le vicine mura, penetrando nel sottosuolo attraverso accessi (ancora oggi visibili) scavati all’interno della porta dell’Olivella (proprio quella di cui il padre di Cristoforo Colombo era stato custode 200 anni prima).

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Altri ancora finiscono nel cantiere dell’Albergo dei Poveri, imponente manufatto voluto per ricoverare i troppi indigenti in città, in modo da mitigare se non risolvere il problema della microcriminalità…

Ma ovviamente tutto ciò non basta, anche perché non sempre si riesce a organizzare dei trasporti veri e propri: spesso i cadaveri vengono semplicemente accatastati e bruciati per strada.

Non esiste cura: solo la fuga nelle campagne, più fresche e certamente più salubri. Ma non è come adesso, mica ci potevi andare in macchina, e solo i più ricchi avevano qua e là dei possedimenti (oppure potevano trovare sistemazioni) in cui rifugiarsi.

Tanto più che le campagne tendono a svuotarsi: al pari di quanto accadrà con la rivoluzione industriale, la grande città (in fattispecie Genova) attirava gente dall’entroterra, dove il lavoro è duro, i raccolti risicati e le carestie sempre in agguato: per contro quella Genova secentesca era, prima della peste, una città in piena salute che poteva dare lavoro a tanti. Almeno in teoria: ché poi i “montanari” non erano capaci e andavano ad accrescere il numero pesantissimo dei disoccupati.

All’epoca non c’erano ammortizzatori sociali, per cui finivi in mezzo alla strada.

Come spesso accade, è il popolo minuto il più colpito, prima dai disagi sociali, quindi dalla peste: stando alle stime, il 90% dei popolani ci rimette le penne mentre i ricchi, al solito, se la cavano meglio: le ricchezze accumulate sono tali da consentire la sopravvivenza forse per secoli.

Ma ogni attività è in ginocchio, per mancanza di manodopera e non solo.

A questo fosco panorama si aggiunge il fatto che l’Europa sta vivendo un periodo nero: la guerra dei 30 anni (1618-1648) ne mette a dura prova produzioni ed economia, con ripercussioni sul tessuto sociale della stessa Genova.

Che solo in parte riesce a tenere botta mantenendo sotto il livello di guardia il prezzo del pane. Come? Nei magazzini del molo vengono sistematicamente stoccate tonnellate di grano, che possono venire bene in casi di congiuntura sfavorevole o carestie. Ecco dunque che i padri del Comune elargiscono a piene mani il prezioso cereale facendo in modo che a lievitare sia il pane e non i prezzi…

Ed ora vediamo un po' cosa c'è sotto

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Fonti: ilmugugnogenovese.it (fotografie)
Fabrizio Calzia - Breve storia di Genova (storiografia)
 
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