Le stronzate di Pulcinella

GENOVA per VOI: storia, arte, tradizioni, cultura, gastronomia, sport, entroterra

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view post Posted on 23/4/2021, 20:52
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Siccome dal 2019, il 23 aprile, viene celebrata la giornata della Bandiera di Genova con la Croce di San Giorgio, oggi è

Festa della bandiera di Genova

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Alcuni ci accusano di prender troppi meriti. Colpa nostra se, nei secoli, abbiamo segnato la storia?
Il più delle volte, in modo non plateale, ma silenziosamente, quasi fosse nostro interesse non dar nell’occhio.
Altre volte, invece, la nostra importanza e la nostra “forza” erano tali e riconosciute nel mondo, che bussavano alla porta chiedendoci “favori”.

Come la storia che riguarda la bandiera degli Inglesi (ma anche… dei nostri milanesini!).

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La croce di San Giorgio

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Originariamente impiegata dai pellegrini che si recavano nei luoghi Sacri al Cristianesimo attorno all’anno 1000. Un vessillo, successivamente, per i “pellegrini armati”, i “crociati”. Un simbolo medioevale, universalmente riconosciuto, divenuto per molti una vera e propria Bandiera.

Noiatri la vediamo praticamente ogni giorno… Sulla Lanterna, sul palazzo San Giorgio (tou lì, sta pure nel nome!), su Porta Soprana e persino su ogni lampione del comune portante lo stemma della città. Ah, è vero: anche nello stemma della città stesso!

Chi la usò in primis? Chi la usò sin dagli albori?

Saremo ripetitivi, ma… ovviamente i Genovesi! Attenzione, però: San Giorgio non è il patrono di Genova, come alcuni erroneamente credono. È sicuramente una figura a cui i genovesi sono stati molto legati; numerose sono le rappresentazioni in targhe, pietre, edicole e molto altro nel centro storico, ma non è il patrono. San Giovanni Battista è il vero patrono genovese, ma quella… è un’altra storia. (In realtà avremmo ben 5 protettori: San Giorgio, San Giovanni Battista, San Bernardo, San Lorenzo e San Siro) ma questa… è ancora un’altra storia!

La Repubblica di Genova issò bandiera crociata, fin da epoche remote, quando l’esercito bizantino stanziava ancora nella città (secolo X ). Il vessillo della guarnigione (una croce rossa in campo bianco) veniva portato in omaggio nella piccola chiesa di San Giorgio, periodicamente. Il culto di San Giorgio arrivò definitivamente con le Crociate: nel 1098, durante la battaglia di Antiochia, poco prima della presa di Gerusalemme, i crociati inglesi vennero soccorsi dalle milizie della Superba, ribaltando l’esito dello scontro e prendendo la città. La leggenda vuole che a incitare i cavalieri cristiani sia stata un’apparizione del santo, accompagnato da vessilli con la croce rossa in campo bianco.

La croce di San Giorgio, veniva battuta dalle navi della Repubblica marinara di Genova (la più potente per molti secoli) e rappresentava una sorta di immunità per chi se ne poteva fregiare. Le navi nemiche, per evitare il conflitto, giravano al largo e la notizia divenne “virale”, come diremmo ai giorni nostri. Così le altre Nazioni iniziarono a trattare con Genova l’uso della sua Bandiera Crociata.

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Nel 1190 Londra e l’Inghilterra chiesero e ottennero la possibilità di utilizzo della bandiera crociata per avere le loro navi, protette così dalla “nomea” dalla flotta genovese nel Mar Mediterraneo e in parte del Mar Nero, dai numerosi attacchi di pirateria (si mosse in prima persona Riccardo Cuor di Leone alla partenza per la Terza Crociata); per questo privilegio il monarca inglese corrispondeva al Doge della Repubblica di Genova un tributo annuale.

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Adesso veniamo, quindi, alla questione spinosa, sulla bandiera Milanese.

Accinelli, storico, spiega come mai la bandiera di Milano sia identica a quella di Genova. Scrive: «E mandati dalla Repubblica 500 balestrieri con la suddetta insegna in soccorso dei Milanesi nel 1247, espugnata col loro valore la città Vittoria nuovamente fabbricata da Federico II vicino a Parma, vollero i Milanesi per maggiore onore assumersi dello stendardo de’ Genovesi l’insegna».

Inoltre, la Lombardia aveva già chiesto di poter usare il simbolo precedentemente. Correva l’anno 1176, nel giorno della battaglia di Legnano, 29 maggio, i milanesi insieme alle città che aderirono alla Lega Lombarda issarono sul pennone del Carroccio, il gonfalone bianco con una croce rossa.

Quindi… missà che non è proprio Lombarda sta bandiera eh, come qualcuno vuol credere

E ora un po' di foto da mentelocale.it

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Torre Grimaldina

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Teatro Carlo Felice

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Piazza della Vittoria

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Palazzo Ducale

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In cima al Matitone (il miglior segnavento della città)

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Articolo di Gabriele Rastaldo
Fonte: il mugugnogenovese
Fotografie da: il mugugno genovese, mentelocale
 
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view post Posted on 24/4/2021, 18:59
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Rinaldo Piaggio e la Vespa

Che ieri ha compiuto 75 anni


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Se dici Vespa, pochi al mondo non sanno di cosa parli.
Se dici Vespa, pochi sanno che le origini dell’ideatore sono Liguri, più precisamente di Genova, anzi di Sestri Ponente.

Settantacinque anni sonati proprio il 23 aprile. Nel 1946 usciva dalla Fabbrica Piaggio il primo modello di Vespa!

Il signor Rinaldo Piaggio nacque a Zena nel 1864 e, all'età di poco più di vent'anni. nel ’84 fondò la società “Piaggio”. rilevando l'attività del padre e orientandola verso la produzione di arredo navale. Dopo tre anni di attività, nel 1887, trasforma l'impresa in Piaggio & C.: la società, di cui è accomandatario, espande la produzione in uno stabilimento nei pressi dei Cantieri Odero di Sestri Ponente. Gli ebanisti dell'azienda firmano l'arredo delle più belle navi italiane e straniere di fine secolo: dall'inizio dell'attività ai primi anni del Novecento sono 63 i piroscafi allestiti dall'impresa. Piaggio lavora per tutti i grandi cantieri navali genovesi, ma il rapporto più forte è quello costruito con la famiglia di armatori Odero: sposa la figlia di Niccolò Odero, il quale entra anche nel capitale azionario della Piaggio e C. nel 1895, rilevando le quote dei precedenti soci.

Agli inizi del nuovo secolo, nonostante il buon andamento dell'azienda, le possibilità di ulteriore espansione dell'attività sembrano esaurirsi. Piaggio decide di sfruttare le competenze sviluppate nel settore dell'arredamento navale per estendere le sue intraprese al settore ferroviario, avviando un'attività di costruzione e riparazione di carrozze merci e carrozze passeggeri per le società ferroviarie italiane. Per rispondere alle prospettive di crescita del settore, nel 1906 costituisce a Finale Ligure, insieme al cognato Attilio Odero - che fornisce i 2/3 del capitale sociale - le Officine di Finalmarina.

La crescita dell'azienda nel settore dell'arredamento navale e delle costruzioni ferroviarie si consolida nel primo decennio del Novecento, ma è la prima guerra mondiale a innalzare in maniera decisiva la domanda nel comparto delle costruzioni dei mezzi di trasporto tradizionali, navi e treni, e contemporaneamente ad aprire una nuova frontiera: l'aeronautica. Nel 1915 Piaggio avvia un'attività di riparazione, e poi di costruzione, di idrovolanti militari. La svolta in questo settore si verifica nel 1917 quando, alla ricerca di nuovi impianti, rileva un'azienda aeronautica di Pisa. Dal punto di vista industriale si tratta di una scelta indovinata, data l'importanza della città toscana nel panorama nazionale della nascente industria aeronautica, testimoniata fra l'altro dall'apertura di uno dei primi aeroporti italiani: l'Arturo dell'Oro. Se Piaggio è ormai considerato un imprenditore di successo a livello nazionale, la società, con tre sedi produttive, si colloca autorevolmente tra le grandi imprese nazionali per dimensione, numero di addetti, volume produttivo e valore del fatturato. La diversificazione correlata consente inoltre all'imprenditore di attraversare meglio di altre grandi imprese del settore meccanico il tormentato dopoguerra. Le incertezze della fase postbellica, segnata dalla difficile riconversione all'economia di pace, convincono tuttavia Piaggio della necessità di rafforzare la compagine societaria, attraverso l'alleanza con un socio finanziariamente solido e con elevate competenze nella finanza e nella gestione aziendale. Nel 1920 la Piaggio & C. viene sciolta e ricostituita come Società Anonima Piaggio & C.: il nuovo assetto, con Attilio Odero alla presidenza, rinnova i tradizionali legami familiari e finanziari.

Nel settore ferroviario vengono rapidamente raggiunti nuovi e significativi traguardi: si susseguono commesse importanti dal mercato interno e da quello estero, fra cui spiccano il treno reale costruito per Casa Savoia nei primi anni venti e la realizzazione di elettromotrici avveniristiche per il design e per il sistema speciale di saldatura dell'acciaio, frutto dell'attività di ricerca e sviluppo aziendale.
Oltre al rilancio della produzione ferroviaria, la sfida imprenditoriale più importante in questi anni è proprio lo sviluppo del settore aeronautico, in cui diventa in breve uno dei più importanti pionieri.

Nel 1921, insieme ad Attilio Odero e a un gruppo di imprenditori piemontesi - tra i quali Giovanni Agnelli - liguri e toscani, fonda a Marina di Pisa la Società anonima italiana costruzioni aeronautiche, poi CMASA, per la costruzione di idrovolanti su licenza della tedesca Dornier-Metallbauten GmbH. La nuova fase di espansione è impostata sulla ricerca dei migliori tecnici e sulla modernizzazione degli impianti. Piaggio spinge l'impresa ad acquisire numerosi brevetti esteri e nel contempo assume alcuni dei più stimati progettisti italiani, fra i quali il più importante è Giovanni Pegna.

L'andamento della produzione e le aspettative della nuova società lo convincono a intraprendere un'ulteriore espansione della scala produttiva. Ad attrarlo particolarmente è l'opportunità di costruire in proprio i motori aeronautici e a tal fine acquisisce nel 1924 lo stabilimento Costruzione meccaniche nazionali di Pontedera, una officina nata prima della guerra dalla sezione motoristica del locale Consorzio agrario. Piaggio è in questa fase uno dei pochi imprenditori italiani impegnati nell'aeronautica, e il suo dinamismo in uno dei settori sulla frontiera tecnologica ne fa un personaggio in ascesa fino ai massimi ranghi dell'élite economica nazionale: nel 1922 viene insignito del titolo di Commendatore dell'Ordine della corona e nel 1925 di grande ufficiale della Corona; nel 1934 ottiene la nomina a senatore del Regno.

Ma veniamo al dopoguerra, perchè è proprio nel dopo guerra che, alla mente Genovese di Rinaldo Piaggio, viene l’idea della Vespa, che sarà destinata a infrangere ogni record negli anni a venire.

Un mezzo che ha unificato, semplificato e rallegrato le vite di tantissimi italiani e non solo. Non sarà stata prodotta in Liguria, ma sicuramente un pezzo di Genova è dentro la Vespa!

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Fonti: ilmugugnogenovese.it, wikipedia
 
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view post Posted on 25/4/2021, 20:14
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La casa di Einstein?

Nei vicoli a Genova!


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“Io ricordo benissimo il centro storico (di Genova, n.dr.), che so bene non essere cambiato. Stavo in una piazzetta. Credo che si chiami ancora piazza delle Oche, dove mio zio, mercante di grano all’ingrosso, aveva il suo ufficio“.

Ma lo zio di chi?

Quello di Einstein, Albert Einstein, il premio Nobel della Fisica, quello della boccaccia di Andy Wharol nonché, più di recente e post mortem, della pubblicità di una nota catena di supermercati.
Ebbene Albert era rimasto a Genova per qualche mese nel 1895, quando aveva 16 anni, dopo essere fuggito in pratica da Monaco di Baviera per andare a trovare i genitori che si erano trasferiti a Pavia in cerca di fortuna. Lui invece era rimasto in Germania per ragioni di studio. Pensa che uno dei motivi per cui andò dai genitori è che non lo avevano ammesso al Politecnico di Zurigo, aveva fallito l’esame di ammissione e non l’aveva presa molto bene. Nemmeno il padre, del resto.
A Genova da Pavia era arrivato a piedi, attraverso la Val Trebbia. “Mi è venuta voglia di mare”, scrive lui stesso per spiegare il viaggio, peraltro non certo agevole. Però non aveva mai visto il Mediterraneo e così decise di partire per andare a casa dello zio, Jacob Koch, che abitava appunto in piazza delle Oche, proprio a ridosso della basilica di Santa Maria delle Vigne.

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Fonte: ilmugugnogenovese
Firma: Roberto Orlando
 
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view post Posted on 27/4/2021, 20:01
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Vito Elio Petrucci

e il rostro trafugato


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Chi è di Genova sa chi era, ma chi non lo è, forse, non lo ha mai sentito nominare.

Vito Elio Petrucci (Genova, 27 aprile 1923 – Genova, 17 maggio 2002) è stato un poeta, giornalista e commediografo italiano.

Ha scritto diverse pubblicazioni sulla lingua e la cultura genovese, di cui era un appassionato sostenitore e divulgatore. Era membro dell'Association Internationale pour l'Utilisation des Langues Régionales di Liegi e della Académie des Langues Dialectales del Principato di Monaco.

Tra le sue pubblicazioni, 12 raccolte di poesie dialettali, 21 libri su cultura e tradizioni genovesi, diverse commedie in genovese e scritti in collaborazione con altri autori. Le sue opere sono presenti in antologie di poesia dialettale quali ad esempio Le parole di legno e Le parole perdute. Tra le sue raccolte ricordiamo Bansighæ da l'æxia (1970), Un vento döçe (1972), O quadrifeuggio (1980), Ciù in là de parolle (1990).

Per lunghi anni è stato divulgatore della Lingua ligure, del dialetto genovese e della storia di Genova in una trasmissione televisiva di TeleGenova insieme a Maria Vietz.

È sepolto nel Famedio del Cimitero monumentale di Staglieno a Genova.

E proponiamo qualche poesia in vernacolo

Se ti parli zeneise
no dîme mai chi t'ê:
abbràssime.
Se no ti o l'ê,
perdónn-ime.

Se parli genovese
non dirmi mai chi sei:
abbracciami.
Se non lo sei,
perdonami.

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Porto Pigheuggio
O l'è scì e no o creuzo de'na man
con'n'ægua ciæa che ti ghe lezi a vitta.
Nisciun parte de lì pe andâ lontan,
ma a barca ch'a gh'arriva a tïa un sospïo:
a picco, sott'a-o macco, a treuva un nïo.
Træ ræ desteise, doî galanti amösi:
un silenzio ch'o vâ 'n'eternitæ.

Porto Pidocchio
È sì e no il cavo d'una mano
con un'acqua così chiara che ne leggi la vita.
Nessuno parte di lì per andare lontano,
ma la barca che arriva lì tira un sospiro:
a piombo, sotto la rupe, trova un nido.
Tre reti distese, due fidanzati affettuosi:
un silenzio che vale un'eternità.

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Ærzillio
L'é bello andâ lontan
lontan pe-o mâ,
pe ritornâ;
pe vedde a-o largo un giorno
un ciæo comme 'na coæ,
tegnîse o cheu e dî: L'é casa mæ!
Sentî allöa che un legno into fogoâ
o vâ ciù che 'na barca in mezo a-o mâ.

Salsedine
È bello andare lontano,
lontano sul mare,
per tornare;
per vedere al largo, un giorno,
una luce come una voglia,
tenersi il cuore e dire: È casa mia!
Sentire allora che un ceppo nel focolare
vale più d'una barca in mezzo al mare.

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T'arrivi cianin...
T'arrivi cianin scùo
che pe tutta a neutte ti me lasci da solo.
Ti veu che m'abittue à un destin
ch'o l'allontann-a da-o sô.
Quande sento che t'arrivi,
cöro appreuvo a-o ciæo ch'o se desfa:
unna man a l'inversa
into veuo derrê a-i teiti da còsta.
À l'ùrtimo
m'attacco a-a stella che gh'é de longo
da-o campanin de San Ròcco.

Arrivi piano...
Arrivi piano buio
che per tutta la notte mi lasci da solo.
Vuoi che m'abitui a un destino
che allontana dal sole.
Quando sento che arrivi,
inseguo il chiarore che si disfa:
una mano lo rovescia
nel vuoto dietro ai tetti della costiera.
Alla fine
mi attacco alla stella che c'è sempre
sul campanile di San Rocco.

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I longhi silensi
No t'æ ciù ninte da dîme,
l'é arrivòu a stagion di longhi silensi.
No â rompî,
o l'é un bansigo tra mi e ti,
tra vëi e doman. Ti me daiæ 'na man
à trovâ inte sto zeugo a demöa,
comme i figgeu
che zeugan tutto o giorno con 'na prìa
e a-a neutte se l'asseunnan.

I lunghi silenzi
Non hai più niente da dirmi,
è arrivata la stagione dei lunghi silenzi.
Non la rompere,
è un'altalena tra me e te,
tra ieri e domani. Mi darai una mano
a trovare in questo gioco il divertimento,
come i bambini
che giocano tutto il giorno con una pietra
e di notte poi la sognano.



Ma all'inizio ho parlato del rostro. Dunque, parliamone

L'intervento di Vito Elio Petrucci
Genova chiede il suo Rostro



Il Rostro è un pezzo poco conosciuto ma importante nella storia genovese. Il regio Decreto del 21 marzo 1897, quello che ha appianato la questione delle corone tra Torino e Genova (che erano là marchionale e qui comitale) lo ha inserito nello stemma di Genova, chiara allusione all'antica attività marinara della città, assieme alla croce rossa delle Crociate, a Giano sul cimiero, ipotizzato fondatore della Superba; a due Grifoni che si fronteggiano e alla Conchiglia, emblema delle imprese in Terrasanta, con due rami di palma per le vittorie. E i rostri sono due, uno per parte.

Il Rostro autentico fu trovato in porto, tra il Ponte Spinola e la Darsena, nel 1597, quattrocento anni fa. Un rostro di bronzo di nave romana, «a testa di cinghiale», cioè del tipo più antico. Il rostro è l'arma piazzata sulla parte bassa della prua delle navi, a livello dell'acqua.

È qui il problema.

Questo simbolo della presenza genovese sul mare, non è qui a Genova, da noi, a casa. Al Museo di Pegli c'è solo una copia per farcelo desiderare, ma l'originale è all'Armeria reale di Torino, dove sta come i cavoli a merenda. Furono i Savoia a trasferirvelo, assieme a tante altre nostre belle cose, nel 1815, quando Genova, la prima vittima di Napoleone, fu vilmente annessa la Regno Sardo dal Congresso di Vienna.

Dalla Compagna è stata chiesta più volte la restituzione del Rostro; è un oggetto che fa parte della nostra storia, non di quella di Torino. Mi sembra se ne sia interessata anche la Famija Turineisa, ma la Sovrintendenza torinese è sempre stata decisamente contraria, e lo Stato è sempre rimasto muto.

Comunque si è creata una buffa situazione. Sullo stemma di Genova, approvato settant'anni dopo il furto, di rostri, come si è detto, ne sono stati messi due per darci il contentino, ma l'originale, che è nostro a pieno diritto (è là per un furto storico), se lo tengono. Tra l'altro a Torino è esposto in una sala con armature medioevali dove un cimelio romano stona, mentre il nostro Museo del Mare avrebbe diritto al posto d'onore, come la più antica e certa prova dell'attività marittima della nostra gente.

Genova nel 1862 ha restituito a Pisa le catene del porto, portate via dopo la battaglia della Meloria nel 1284, e le reliquie dei santi Mauro ed Eleuterio restituite nel 1934 a Parenzo, senza fare parola.

Mi sembra che ora sia giunto il tempo per Genova di riavere ciò che le è stato tolto e che dopo 400 anni tondi dal ritrovamento, il nostro rostro torni a casa. È un atto di onestà che spetta alla gente di Torino. C'è uno strano gioco di date: il Rostro fu trovato nel 1597, lo stemma è del 1897. Sarebbe bello che la restituzione avvenisse il 21 marzo 1997.

Vito Elio Petrucci

Tratto dal «Vocabolario Genovese R» apparso su «Il Secolo XIX» di mercoledì 26 giugno 1996

Fonti: Wikipedia, digilander.libero.it, francobampi.it
 
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E oggi, una particolare curiosità "fiscale"

Le finestre dipinte.
Perché non finestre vere?


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Magari molti di voi non se lo saranno mai chiesti, altri invece saranno anni che si domandano il perché di questa bizzarra “arte” quasi esclusivamente Ligure.

Bisogna risalire all’anno 1798 quando il governo Zeneise escogita un metodo per aumentare le palanche della Repubblica… Brillante idea: la tassa sulle finestre.

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Come? I più ricchi possiedono fastose dimore e lussuosi palazzi con numerose finestre? Bene, per ognuna si dovrà corrispondere un tot di palanche.
Chiamato anche il “sussidio patriottico sulle finestre” la tassa genera sgomento e indignazione. Ciò che non avevano pensato è che… “davvero potevi pensare di fregare un ligure con una trovata così semplice dal conto così salato?”ì

La tassa prevedeva che fino a cinque finestre, non si pagasse nulla. (Le case nei vicoli / nei borghi hanno meno di 5 finestre, solitamente)
Dalla 6°, compresa, in poi vi era un vero e proprio ”tassametro”.

Ma come detto… un ligure non lo freghi così facilmente e quindi…

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Fu così che molti, per risparmiare, decisero di far murare le finestre, o di costruire case con meno finestre del solito, rimpiazzandole con fantasiosi dipinti. A volte venivano riprodotte le stesse finestre, con originali trompe-l'œil, a volte, quando immaginazione e tempo latitavano, bastavano rettangoli colorati.

L'inconveniente era che le case erano certamente più buie, ma si sa, cosa non si farebbe per non pagare... soprattutto a Genova.

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Fonti:ilmugugnogenovese.it, genovatoday.it
 
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view post Posted on 2/5/2021, 17:18
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Ebbene sì, ci crediamo, ma proprio convinti, di essere un pochino differenti. D'altra parte lo si sa bene, l'Italia è un insieme di popoli antichi che si sono mischiati, picchiati, amati ed hanno fatto il paese più bello (e complicato) del mondo.
E allora due righe su

Niâtri, i Liguri

e della loro reputazione nell’antichità…


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Da Tacito a Svetonio, da Posidonio a Diodoro Siculo, da Livio a Sallustio, fino a Plutarco, sono tutti concordi nel descrivere i Liguri come una selvaggia e combattiva popolazione montana:
Racconta, ad esempio, Diodoro: “I Liguri che abitano questa regione coltivano una terra sassosa e del tutto sterile che, in cambio delle cure e degli sforzi sofferti dai nativi, offre pochi frutti utili alla sopravvivenza.
Perciò gli abitanti sono resistentissimi alle fatiche e, per il continuo esercizio fisico, vigorosi; giacché, ben lontani dall’indolenza generata dalle dissolutezze, sono sciolti nei movimenti ed eccellenti per vigore negli scontri di guerra”.
Anche il celebre tragico greco Eschilo, nel suo “Prometeo Liberato”, ne racconta le caratterische quando il protagonista, per ricompensare Ercole, il quale ha ucciso L’Aquila che lo tormentava, gli preannuncia il cammino che dovrà percorrere e le insidie che incontrerà nel sostenere le ultime fatiche:
“Incontrerai l’intrepido esercito dei Liguri, contro i quali, sappilo, per quanto tu sia forte, la lotta non ti sarà facile.
È destino che nel combattimento ti vengano a mancare i dardi, né sul terreno potrai trovare alcuna pietra con cui difenderti, poiché colà il suolo è tutto acquitrinoso.
Ma, vedendoti in difficoltà, Zeus avrà pietà di te: adunerà sotto il cielo cupi e pesanti nembi e coprirà il terreno con una grandine di pietre arrotondate con cui potrai respingere e inseguire l’esercito dei Liguri.”
Posidonio, invece, si sofferma sui Liguri marittimi, i genovesi, che: “… sono coraggiosi e nobili non solo in guerra ma anche in quelle circostanze della vita non scevre di pericolo.
Come mercanti solcano il mare di Sardegna e quello Libico, slanciandosi coraggiosamente in pericoli senza soccorso… sopportano le più paurose condizioni atmosferiche che l’inverno crea tremendamente”.
Per i Greci, i Liguri, degni di Ercole, per i Romani, signori del mare…

Virgilio nelle “Georgiche” definisce il ligure “adsueto malo ligurem”, avvezzo alle difficoltà.
Non a caso, Asterix e Obelix, quelli veri, erano Liguri, ed hanno respinto Roma per oltre un secolo, risultando, fra tutte, la più ostica fra le conquiste imperiali…

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Fonte:amaezena.net
 
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Spianata Castelletto, una terrazza su Genova

Ma perchè si chiama così? Come è nata?


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Sappiamo tutti il fascino di Spianata, d’altronde ne abbiamo già parlato nei 7 luoghi che il Foresto non conosce, consigliando un “modo per visitarla” che magari, ai più inesperti, sfugge. Vi siete, mai chiesti, però, cosa fosse prima? Vi siete mai chiesti il perché del nome del quartiere? Come mai proprio “Castelletto” e come mai c’è una terrazza così panoramica e ben definita, in una città aggrovigliata e “incasinata” comme Zena?

La storia è abbastanza complessa e contorta, vediamo di riassumerla.

La storia di Spianata si può riassumere come una collina strategicamente preziosa, chiamata “Monte Albano”, dove per oltre cinquecento anni, un po’ a turno, tutti se le son date di santa ragione finché la voglia di libertà dei genovesi non ha fatto sì che si decidesse per l’abbattimento della roccaforte costruita su di essa. (a partire dal 1100 fino ad arrivare al 1850, come riassunto, non male)

Ma passiamo a qualcosa di meno stringato

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Si vedere chiaramente il Castelletto in posizione sopraelevata e centrale su Genova, sotto i forti, nel quadro di Nuremberg – anno 1490



La località sorge su un’altura che, fin dal periodo romano, era denominata “Monte Albano”. Quindi, nessun Castelletto.
Per trovare un documento con il nome a noi tanto caro, bisogna arrivare al 952, quando “Castelletum” venne nominato dal Vescovo Teodolfo, descrivendo una via in salita fatta di vigneti dell’abbazia di San Siro. Il luogo di culto, essendo fuori dalle prime mura genovesi, era dotata di una torretta difensiva (della quale non si ha conferma attendibile se non in periodi molto postumi). Con tutta certezza l’abbazia restò “fuori patria” per molti anni e, in quanto soggetta a numerose incursioni barbariche, divenne progressivamente sempre più fortificata. Una vera e propria roccaforte, a tal punto che, con l’espansione di Genova, dovette cedere il piano di Castelletto al Comune, divenendo quindi “avamposto” più elevato della città (anno 1157, con la costruzione della nuova cinta muraria).

La Curia, quindi, si era “staccata” dall’edificio e, probabilmente, la roccaforte non essendo più “proprietà di Dio” aveva iniziato a destare un certo interesse dal punto di vista strategico. Non a caso, da questo momento, inizia un vero e proprio “ambaradan” di conflitti. Vi basti sapere che il castello in questione venne conquistato a turno da lombardi, piemontesi, francesi e ovviamente genovesi. La fase di declino, iniziò di pari passo con la progressiva caduta della Repubblica di Genova. Più precisamente dal 1499, con la conquista francese e l’arrivo di Luigi XII. Una caduta lunga centinaia di anni che vide un solo tentativo di restauro, nel 1819, ad opera del neo-governo sardo e disegnato dall’architetto Barabino (di cui, prima o poi, parleremo).

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Il Castelletto nel Cinquecento, Bassorilievo di Bassano



Ma il dolore dei genovesi, che attanagliava questo luogo, era ancora presente a tal punto da fermare tutta l’opera durante i moti del 1848 per abbattere definitivamente la fortezza. E questo ci pone di fronte ad un punto cruciale, molto più ampio…

In ogni occasione della storia, i genovesi hanno dimostrato di non sopportare gli oppressori e di volere sopra ogni cosa la propria libertà.

Il totale abbattimento del Castelletto fu ultimato nel 1852 e da allora vennero messi in vendita i terreni a 400mila lire per ogni casa edificabile e adornata con il perimetro alberato che tutti conosciamo. Un prezzo molto alto per l’epoca e ciò testimonia come la zona sia un quartiere di edilizia di pregio.

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Fonte: ilmugugnogenovese.it
 
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ecco di nuovo una interessante escursione dei nostri amici: si parte da Genova Porta Principe per Sestri Levante e da li proseguire per Punta Manara.
buona visione
un saluto
Piero

 
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view post Posted on 8/5/2021, 17:33
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altra escursione dei nostri amici


un saluto
Piero
 
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“… Ruine si, ma servitù non mai”

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Nel 1706 in una raccolta intitolata “Perfetta Poesia Italiana” apparvero i versi di uno sconosciuto poeta genovese, tal Giovanni Battista Pastorini. Lo scrittore compose un appassionato quanto addolorato sonetto in onore della sua città, ancora scossa e ferita dalle recenti vicende belliche. L’autore infatti, sull’onda emotiva del nefasto bombardamento del 1684 ad opera del Re Sole, annotò:

“Genova mia, se con asciutto ciglio

Lacero e guasto il tuo bel corpo io miro

Non è poca pietà d’ingrato figlio

Ma ribello mi sembra ogni sospiro.

La maestà di tue ruine ammiro,

trofei della costanza e del consiglio;

ovunque io volgo il passo o l’guardo io giro,

incontro il tuo valor nel tuo periglio.

Più val d’ogni vittoria un bel soffrire,

e contro ai fieri alta vittoria fai

con il vederti distrutta, e nol sentire.

Anzi girar la libertà mirai,

e baciar lieta ogni ruina e dire:

ruine si, ma servitù non mai”

.

In quell’occasione Genova mostrò fiera e tenace tutto il suo orgoglio. Sola e abbandonata da tutti, lei piccola Repubblica, seppe opporsi alla tracotanza del più potente regno terreno. “Frangar non Flectar” (“Mi spezzerò ma non mi piegherò”) meritandosi in quel frangente, più che mai, l’appellativo di Superba.

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Fonte: amaezena.net
 
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Chi è il Santo patrono di Genova?

In realtà sono cinque!


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Diciamolo subito, non è San Giorgio.
A dir la verità, vi è una storia (Quella dei 5 Patroni) molto remota e poco raccontata ormai che potrebbe aver tratto in inganno qualcuno, ma sicuramente non la maggioranza!

San Giorgio

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Il culto di San Giorgio arrivò probabilmente a Genova assieme ai soldati di Belisario, durante la guerra greco-gotica (parliamo del VI sec. d.C.), quando la Liguria era una delle più importanti roccaforti dei Bizantini. Vi furono testimonianze di “devozione” addirittura precedenti: era stata fondata la chiesa dedicata al santo nella piazza principale della città di allora (appunto: Piazza San Giorgio, importantissimo crocevia dinnanzi al porto). Qui, fin dal 1139, vi si sarebbe stato conservato il gonfalone cittadino. Interessante è inoltre sottolineare come Jacopo da Varagine scrisse che lo stesso santo guerriero “apparve ai genovesi durante l’assedio di Gerusalemme”.

San Giovanni Battista

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Il legame della Superba con S.Giovanni Battista risale alla Prima Crociata, quando un gruppo di militi genovesi della spedizione verso Antiochia trafugarono le reliquie del Precursore – ufficialmente “prelevarono per portare in un luogo più sicuro” – dalla chiesa di San Nicola di Myra (l’attuale Demre in Turchia). La leggenda racconta che i genovesi stessero originariamente cercando le spoglie di San Nicola e che il ritrovamento dei resti di Giovanni Battista fu casuale!

Per gli altri tre, invece, bisogna scavare un po’ nelle viscere della storia e raccontare di storie/leggende che poco purtroppo non hanno molte fonti certe.

San Siro

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San Siro, vescovo di Genova nel IV secolo, è legato a tradizioni locali: presso l’antica chiesa di – appunto – San Siro avrebbe scacciato un demoniaco basilisco.
[No: non è game of thrones, anche se è lecito se ve lo foste chiesti]

San Lorenzo

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Il legame di San Lorenzo con Genova è principalmente connesso all’intitolazione della cattedrale: secondo una leggenda locale il santo spagnolo avrebbe soggiornato per qualche tempo presso la comunità dei cristiani genovesi durante il viaggio verso Roma, dove sarebbe stato martirizzato nel 258

San Bernardo

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L’origine della “devozione” della città a San Bernardo sembra essere più recente e collegata alla vittoria dell’esercito genovese contro le truppe sabaude a Triora il 20 agosto 1625 (dallo stesso episodio sembra derivi il nome di “Glori” di una delle frazioni del paesino dell’imperiese).

Fonte: ilmugugnogenovese.it
 
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view post Posted on 17/5/2021, 18:08
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Francis Lombardi autore del Raid aereo da Roma a Mogadiscio



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L’11 novembre 1934 il Re Vittorio Emanuele III, in viaggio ufficiale nell’Africa Orientale festeggiò il suo sessantacinquesimo compleanno a Mogadiscio, nella Somalia italiana, la più lontana colonia che aveva raggiunto con il piroscafo reale “Savoia”. Viaggio reale preceduto solamente, nel 1928, da quello del Principe di Piemonte Umberto.
All’epoca non esistevano ancora collegamenti aerei regolari fra il Regno e il Corno d’Africa, ma in occasione del viaggio reale la compagnia aerea “Ala Littoria” organizzò un volo speciale da Roma per sperimentare la possibilità di realizzare un servizio postale veloce con i possedimenti coloniali.
Per l’occasione le Regie Poste emisero il 5 Novembre sei francobolli di posta aerea, che avrebbero avuto validità solo per quel volo, stampati in 75 mila esemplari ciascuno e un francobollo “Servizio di Stato” ottenuto sovrastampando il francobollo da lire 10 della serie, con colore cambiato (grigio anziché bruno), con una coroncina e “Servizio di Stato” per la sola corrispondenza ufficiale tra ministeri e autorità.
Inoltre, in date successive venne emessa una serie di dieci francobolli speciali per ciascuna delle colonie Cirenaica, Somalia, Eritrea e Tripolitania, oltre ad un francobollo “Servizio di Stato” da lire 25+2 sempre per ogni colonia.

Per attuare questo nuovo collegamento aereo fu chiamato il genovese Francis Lombardi, asso dell’aviazione, al quale furono affiancati come secondo pilota Vittorio Suster, il motorista Luigi Giacomello e il radiotelegrafista Pietro Cavalieri.
Nel 1930 effettuò parecchi voli di ricognizione sull’Africa per verificare la possibilità di istituire linee aeree in quei luoghi.
Il trimotore Savoia Marchetti S.71 pilotato dall’aviatore Francis Lombardi decollò dall’aeroporto Littorio di Roma il 10 Novembre.
L’S.71 fece due scali per i rifornimenti a Tobruk e Massaua e nel pomeriggio dell’11 novembre atterrò a Mogadiscio dopo aver percorso circa 6.200 chilometri in 35 ore e 35 minuti, soste comprese, ad una velocità media di circa 215 Km/h. Praticamente Lombardi aveva collegato Roma a Mogadiscio in meno di 32 ore effettive di volo, stabilendo così il nuovo record del collegamento.
Come corriere trasportò 248 kg di lettere: gli aerogrammi dovevano essere affrancati per il porto normale delle lettere o cartoline, oltre al francobollo speciale a seconda della destinazione. I francobolli ordinari vennero annullati con l’annullo postale della località di spedizione, mentre quelli speciali con l’annullo speciale del volo.
In atterraggio all’aeroporto “Petrella” di Mogadiscio l’aereo cappottò, subendo ingenti danni ma l’equipaggio rimase incolume, solo Lombardi riportò una ferita al braccio destro.
Malgrado l’incidente nella fase di atterraggio, il volo costituì un esperimento di tutto rilievo e di grande importanza per lo sviluppo dei trasporti aerei civili nel nostro Paese.
Alla fine del 1935 Lombardi fu assunto dall’Ala Littoria per compiere i primi voli regolari del servizio aeropostale sul percorso Roma-Asmara-Mogadiscio.
Per le sue imprese fu decorato con tre medaglie d’argento al valor militare e con due al valor aeronautico. Il 5 marzo 1983 moriva a Vercelli, all’età di ottantasei anni.


... Carlo Francesco Lombardi, meglio conosciuto come Francis Lombardi, è stato un militare, aviatore, designer e imprenditore, aeronautico e automobilistico italiano, altamente decorato con una medaglia doro e tre dargento al valor militare. Asso dellaviazione caccia, è accreditato con 8 uccisioni durante la prima guerra mondiale. Nel 1947 ha fondato a Vercelli carrozzeria, Francesco Lombardi, che si è chiuso nel 1976.
Ancora molto giovane, era un combattente nella prima guerra mondiale. Fu assegnato al battaglione aviatori, dove lei era una tecnica funzioni a partire per esplorare i segreti del volo. Egli è stato in grado di frequentare la scuola guida e ottenuto il brevetto di pilota nel mese di ottobre del 1917. Assegnato alla 77ª Squadrone di Aerei Caccia volava la SPAD S. VII, con il quale ha ricevuto 8 vittorie aeree riconosciuto che gli è valso il premio di tre medaglie dargento al valor militare di entrare nei ranghi degli assi dellaviazione italiana.
Dopo la guerra, ha seguito da Gabriele dannunzio nella sua avventura fiumana, tragicamente risolto nel "Natale di sangue" del 1920.
Dopo la delusione dellimpresa di Fiume, Lombardi ritirato dalla vita politica, ma ha visto con favore lascesa fascista al potere, lassedio del tranquillo Fiume dalla parte degli innocenti, il 3 novembre 1922, e la conclusione della storia con la firma del trattato di Roma, 1924.
A causa della reputazione di asso dellaviazione, è continuamente ampliata da nuove imprese, Lombardi era osannato dalla propaganda di regime come esempio di coraggio e di capacità. Questo stereotipo di eroe fascista, mentre le restanti posizioni "critiche" - tipo dannunzio, il pilota, il genovese non poteva e, molto probabilmente, non prendere le distanze, fino ad impegnarsi personalmente nel partito, quando è stato nominato da Achille Starace, nel 1939, un membro del comitato esecutivo della Federazione provinciale dei fasci.
Con la costituzione della Repubblica di Salò, le cose sono cambiate rapidamente. Autunno del 1943, è stato uno dei fondatori del "Comitato interpartitico vercellese per la lotta contro i tedeschi e i fascisti", la cui nascita ha avuto luogo negli impianti dellAVIA e, successivamente, è stata tra i membri del CLN vercellese, come rappresentante degli industriali.
A conclusione delle manifestazioni celebrative per il settantennio del Raid aereo Vercelli-Tokyo, eseguita dal pioniere del volo vercellese Francesco Lombardi con lingegnere Gino Capannini, nel 1930, lAssociazione che porta il nome del coraggioso trasvolatore, presieduta da sua Figlia Franca, ha in programma di ripetere limpresa con modalità equivalenti, con un piccolo aereo da turismo, dei nostri giorni, di fabbricazione italiana. Una performance che toccherà le stesse porte le stesse fasi in Austria, in Polonia, nellimmenso territorio dellex Urss, Mongolio, Cina, Corea del nord e del sud e, infine, in Giappone.
La storica raid del piccolo aereo Fiat ASI 85 CV è stato mostrato in una bella pubblicazione con una ricca e inedita documentazione fotografica e tecnica, scritto da due giornalisti, vercelli, Marco Barberis e Ezio Canali. Una rievocazione che conduce il lettore nellesplorazione di straordinariamente avvincente.
Il volo era il caso. Una sera dei primi di maggio del 1930, il gen. Umberto Savoia, testa di atto di Aviazione, Fiat, chiamata Lombardi, che poche settimane prima aveva avuto lonore della copertina della Domenica del Corriere illustrate da Achille Beltrame per il record di volo Roma Mogadiscio – caratterizzata da un salto di qualità in una sola tappa con ben 2400 km, offre un tour di propaganda nelle capitali europee del nuovo velivolo della casa di torino, ASI.
Il monoplano, una settimana prima sottoposto a forti sollecitazioni da un pilota minitare, aveva perso il volo delle ali.
Caro Francesco – ha ribadito con forza il gen. Savoia – il senatore si vuole dimostrare che il prodotto è buono. Abbiamo bisogno di un effetto di pubblicità in positivo!”.
La risposta del pilota vercellese non si sono fatte attendere. Ma è stata una sorta di rinascita." Sì, sono daccordo, ma mi piacerebbe tentare una grande impresa di battere, per esempio, il record per la più veloce connessione tra lEuropa occidentale e il Giappone, tenuto da un polacco”.
L'accordo è stato raggiunto, e Francesco Lombardi, con la fiducia Capannini partito da Vercelli il 13 luglio, e in nove giorni e sei ore raggiunto Tokyo, in attesa di più di quarantanni, il percorso, la ferrovia transiberiana, inaugurato da Alitalia nel 1973. Originariamente il piano di volo previsto per sette giorni, ma Lombardi è stato costretto a perdere due giorni, uno a Vienna, il vento impossibile, e una seconda a Seoul per la pista in erba, ridotto a una palude, per un tifone. Tuttavia, il raid ha colpito una serie di record come miglior medio giornaliero voli a fasi di piani: 1221 km.
Nel libro" Francesco Lombardi, dalla storia alla leggenda”, gli autori rivelano aspetti e i dettagli del volo emozionante e curioso: lo stupore degli abitanti di diverse città della siberia, dove laereo era atterrato per le forniture, lavventuroso superamento del deserto del Gobi, tra Chita e Harbin 1200 km con il rischio di rimanere senza una goccia di benzina, il fortunato atterraggio di Hiroscima in un campo di calcio.
A Tokyo, i festeggiamenti durarono a lungo: Lombardi e Capannini per lintero soggiorno, sono stati trattati come autentica celebrità: interviste, conferenze, premi, riconoscimenti ufficiali. E stato un evento che è entrato nella storia.
L'impresa di pioneer vercellese ha avuto una vasta eco sui giornali italiani, che dedica le prime pagine e su quelle del giapponese.
Nel 1976, Francesco Lombardi ricevuto una medaglia doro per il suo contributo nel campo dellaviazione civile, non solo nel rispetto delle sue guerre, ma anche dal punto di vista costruttivo durante lattività dellAVIA.
Francesco Lombardi, morto alletà di 86 anni a Vercelli l'8 marzo 1983.
In sua memoria è stato dedicato un Istituto Professionale di Stato per lindustria le banche IPSIA nella città di Vercelli.


le foto inserite sono al solo scopo culturale/educativo non si intende violare alcun diritto d'autore
fonti: https://italiacoloniale.com/2017/04/21/193...oma-mogadiscio/
https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&e...Ccjpqy6rsvnUNZd
 
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Una curiosità

La barca di San Pietro


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Quando non c’era Giuliacci a darci le previsioni meteo, i millemila siti dedicati alla meteorologia, quando non c’erano gli oroscopi e compagnia bella, ci si affidava alla barca di San Pietro.

Nella notte tra il 28 ed il 29 giugno! E, ve lo dico subito, tranquilli: è fattibile anche ai giorni nostri, è molto semplice e… perché no, divertente!

La sera del 28 giugno bisogna depositare l’albume di un uovo in un vaso di vetro riempito di acqua. Dove? Possibilmente all’esterno. Un balcone, meglio ancora un giardino, l’importante è che si sciorba tutto l’umido della notte!

Il giorno seguente, l’albume si sarà cristallizzato e avrà assunto una forma strana. L’albume può aver assunto forme molto differenti ed ognuna di queste non è un “fallimento”. Può esservi uscita una roba strana, inqualificabile, oppure proprio quella della barca con le vele spiegate che dà il nome al rituale. In considerazione di come apparivano le “vele” si poteva trarre buono o cattivo auspicio di come sarebbe stata l’annata agraria, o sul proprio destino.

Ormai per molti è solamente un “giochino”, ma ai tempi era un momento serio e di grande importanza. Divertitevi a interpretare il disegno che San Pietro avrà realizzato per voi… c’è ancora chi segue la tradizione della barca e chi giura che più di una volta l’uovo ci abbia “preso”.


Fonte: ilmugugnogenovese.it
 
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Quando il treno passava per Marassi

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Quando il treno attraversava Marassi e… non dimentichiamo anche San Fruttuoso e Staglieno fino alle acciaierie Falck!
Esisteva davvero e… faceva pure un tragitto bello lungo!

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Premettiamo subito: se pensate fosse una linea di trasporto pubblico, purtroppo, vi devo deludere.

O meglio: sarebbe potuta diventarlo (con la famosa linea Genova – Piacenza) ma, alla fine degli anni ’60, si preferì eliminare gradualmente tutto il trasporto su rotaie a fronte degli omnibus.

La zona della bassa val Bisagno si era sviluppata a fine Ottocento, grazie ai marmisti che lavoravano per il cimitero monumentale di Staglieno e la sua fiorente agricoltura; Marassi non era come la conosciamo oggi.

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Immaginate di poter fare come in un videogioco di simulazione, dove potete ricreare un ambiente a vostro piacimento. Prendete il quartiere Marassi, piggiate sullo strumento “gomma” ed cancellate circa 2/3 degli edifici che vedete oggi. La stessa cosa fatela per il quartiere di San Fruttuoso.
Come si presenta adesso lo scenario? Molti più alberi, palazzi qua e la’ isolati e… meno strade! Quelle ancora presenti, risultano più libere, con un sacco di botteghe ai piani terra. Tutto questo ”panorama”, dove di lì a poco sorgerà il nostro trenino, conobbe una forte espansione ad inizio secolo con la costruzione del mercato generale ortofrutticolo di corso Sardegna, dello stadio comunale e, particolare attenzione nel nostro specifico caso, con le officine per la produzione del gas di città (il gasometro costruito in località “Gavette” dell’Azienda municipale gas e Acqua (AMGA) situato nei pressi di ponte Carrega).

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Nel 1925, venne dunque costruito il “nuovo binario industriale della val Bisagno”. Alla modica cifra di 2 milioni di lire, così da servire i nuovi insediamenti commerciali e industriali sorti nella valle. Si trattava di un binario unico non elettrificato. Nei tratti con traffico stradale, principalmente in Piazza Giusti e Corso Sardegna, erano presenti controrotaie.

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Che percorso faceva?
Si partiva dallo scalo merci di Genova – Terralba e, passando per Via Giacometti (non precisamente sul tracciato della strada, ma giusto per farvi un’idea), imboccava Corso Sardegna. In corrispondenza, poi, dell’ormai tanto bistrattato mercato, vi era un raddoppio (zona foto qui sotto, circa) per consentire la sosta dei carri a servizio.
Si proseguiva poi in diagonale verso il Bisagno, passando per corso Galliera attraverso una fornice (foto sotto) in via Cagliari. Da lì, ciufciuf diretti verso lo stadio, con altre piccole “fermate” di “rifornimento” durante il percorso.

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Dallo stadio in poi, il tracciato era più “semplice”. Si attraversava il ponte Veronelli, ormai inesistente dopo i danni dell’alluvione 1993, e via (!) verso le Gavette e tante piccole fermate che ultimavano all’acciaieria Falck (località Ca’ del Pitta).

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Giusto 40 anni e la linea venne dismessa (nel 1965) per l’arrivo del metano al posto del gas in città.

Per gli amanti dei treni, due informazioni aggiuntive.
Per la trazione dei treni merci, generalmente composti da carri di proprietà delle Ferrovie dello Stato, l’AMGA disponeva inizialmente di tre locomotive a vapore Breda numerate 1-3, rimpiazzate nel 1956 da locomotive Diesel fra cui una Jung R 42 C analoga alle unità FS 245 serie 8001-8003 e numerata “2”.

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Fonte: ilmugugnogenovese.it

Fotografie: archivio Publifoto, Genova
 
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