Vito Elio Petrucci
e il rostro trafugato
Chi è di Genova sa chi era, ma chi non lo è, forse, non lo ha mai sentito nominare.
Vito Elio Petrucci (Genova, 27 aprile 1923 – Genova, 17 maggio 2002) è stato un poeta, giornalista e commediografo italiano.
Ha scritto diverse pubblicazioni sulla lingua e la cultura genovese, di cui era un appassionato sostenitore e divulgatore. Era membro dell'Association Internationale pour l'Utilisation des Langues Régionales di Liegi e della Académie des Langues Dialectales del Principato di Monaco.
Tra le sue pubblicazioni, 12 raccolte di poesie dialettali, 21 libri su cultura e tradizioni genovesi, diverse commedie in genovese e scritti in collaborazione con altri autori. Le sue opere sono presenti in antologie di poesia dialettale quali ad esempio Le parole di legno e Le parole perdute. Tra le sue raccolte ricordiamo Bansighæ da l'æxia (1970), Un vento döçe (1972), O quadrifeuggio (1980), Ciù in là de parolle (1990).
Per lunghi anni è stato divulgatore della Lingua ligure, del dialetto genovese e della storia di Genova in una trasmissione televisiva di TeleGenova insieme a Maria Vietz.
È sepolto nel Famedio del Cimitero monumentale di Staglieno a Genova.
E proponiamo qualche poesia in vernacolo
Se ti parli zeneise
no dîme mai chi t'ê:
abbràssime.
Se no ti o l'ê,
perdónn-ime.
Se parli genovese
non dirmi mai chi sei:
abbracciami.
Se non lo sei,
perdonami.
Porto Pigheuggio
O l'è scì e no o creuzo de'na man
con'n'ægua ciæa che ti ghe lezi a vitta.
Nisciun parte de lì pe andâ lontan,
ma a barca ch'a gh'arriva a tïa un sospïo:
a picco, sott'a-o macco, a treuva un nïo.
Træ ræ desteise, doî galanti amösi:
un silenzio ch'o vâ 'n'eternitæ.
Porto Pidocchio
È sì e no il cavo d'una mano
con un'acqua così chiara che ne leggi la vita.
Nessuno parte di lì per andare lontano,
ma la barca che arriva lì tira un sospiro:
a piombo, sotto la rupe, trova un nido.
Tre reti distese, due fidanzati affettuosi:
un silenzio che vale un'eternità.
Ærzillio
L'é bello andâ lontan
lontan pe-o mâ,
pe ritornâ;
pe vedde a-o largo un giorno
un ciæo comme 'na coæ,
tegnîse o cheu e dî: L'é casa mæ!
Sentî allöa che un legno into fogoâ
o vâ ciù che 'na barca in mezo a-o mâ.
Salsedine
È bello andare lontano,
lontano sul mare,
per tornare;
per vedere al largo, un giorno,
una luce come una voglia,
tenersi il cuore e dire: È casa mia!
Sentire allora che un ceppo nel focolare
vale più d'una barca in mezzo al mare.
T'arrivi cianin...
T'arrivi cianin scùo
che pe tutta a neutte ti me lasci da solo.
Ti veu che m'abittue à un destin
ch'o l'allontann-a da-o sô.
Quande sento che t'arrivi,
cöro appreuvo a-o ciæo ch'o se desfa:
unna man a l'inversa
into veuo derrê a-i teiti da còsta.
À l'ùrtimo
m'attacco a-a stella che gh'é de longo
da-o campanin de San Ròcco.
Arrivi piano...
Arrivi piano buio
che per tutta la notte mi lasci da solo.
Vuoi che m'abitui a un destino
che allontana dal sole.
Quando sento che arrivi,
inseguo il chiarore che si disfa:
una mano lo rovescia
nel vuoto dietro ai tetti della costiera.
Alla fine
mi attacco alla stella che c'è sempre
sul campanile di San Rocco.
I longhi silensi
No t'æ ciù ninte da dîme,
l'é arrivòu a stagion di longhi silensi.
No â rompî,
o l'é un bansigo tra mi e ti,
tra vëi e doman. Ti me daiæ 'na man
à trovâ inte sto zeugo a demöa,
comme i figgeu
che zeugan tutto o giorno con 'na prìa
e a-a neutte se l'asseunnan.
I lunghi silenzi
Non hai più niente da dirmi,
è arrivata la stagione dei lunghi silenzi.
Non la rompere,
è un'altalena tra me e te,
tra ieri e domani. Mi darai una mano
a trovare in questo gioco il divertimento,
come i bambini
che giocano tutto il giorno con una pietra
e di notte poi la sognano.
Ma all'inizio ho parlato del rostro. Dunque, parliamone
L'intervento di Vito Elio Petrucci
Genova chiede il suo Rostro
Il Rostro è un pezzo poco conosciuto ma importante nella storia genovese. Il regio Decreto del 21 marzo 1897, quello che ha appianato la questione delle corone tra Torino e Genova (che erano là marchionale e qui comitale) lo ha inserito nello stemma di Genova, chiara allusione all'antica attività marinara della città, assieme alla croce rossa delle Crociate, a Giano sul cimiero, ipotizzato fondatore della Superba; a due Grifoni che si fronteggiano e alla Conchiglia, emblema delle imprese in Terrasanta, con due rami di palma per le vittorie. E i rostri sono due, uno per parte.
Il Rostro autentico fu trovato in porto, tra il Ponte Spinola e la Darsena, nel 1597, quattrocento anni fa. Un rostro di bronzo di nave romana, «a testa di cinghiale», cioè del tipo più antico. Il rostro è l'arma piazzata sulla parte bassa della prua delle navi, a livello dell'acqua.
È qui il problema.
Questo simbolo della presenza genovese sul mare, non è qui a Genova, da noi, a casa. Al Museo di Pegli c'è solo una copia per farcelo desiderare, ma l'originale è all'Armeria reale di Torino, dove sta come i cavoli a merenda. Furono i Savoia a trasferirvelo, assieme a tante altre nostre belle cose, nel 1815, quando Genova, la prima vittima di Napoleone, fu vilmente annessa la Regno Sardo dal Congresso di Vienna.
Dalla Compagna è stata chiesta più volte la restituzione del Rostro; è un oggetto che fa parte della nostra storia, non di quella di Torino. Mi sembra se ne sia interessata anche la Famija Turineisa, ma la Sovrintendenza torinese è sempre stata decisamente contraria, e lo Stato è sempre rimasto muto.
Comunque si è creata una buffa situazione. Sullo stemma di Genova, approvato settant'anni dopo il furto, di rostri, come si è detto, ne sono stati messi due per darci il contentino, ma l'originale, che è nostro a pieno diritto (è là per un furto storico), se lo tengono. Tra l'altro a Torino è esposto in una sala con armature medioevali dove un cimelio romano stona, mentre il nostro Museo del Mare avrebbe diritto al posto d'onore, come la più antica e certa prova dell'attività marittima della nostra gente.
Genova nel 1862 ha restituito a Pisa le catene del porto, portate via dopo la battaglia della Meloria nel 1284, e le reliquie dei santi Mauro ed Eleuterio restituite nel 1934 a Parenzo, senza fare parola.
Mi sembra che ora sia giunto il tempo per Genova di riavere ciò che le è stato tolto e che dopo 400 anni tondi dal ritrovamento, il nostro rostro torni a casa. È un atto di onestà che spetta alla gente di Torino. C'è uno strano gioco di date: il Rostro fu trovato nel 1597, lo stemma è del 1897. Sarebbe bello che la restituzione avvenisse il 21 marzo 1997.
Vito Elio Petrucci
Tratto dal «Vocabolario Genovese R» apparso su «Il Secolo XIX» di mercoledì 26 giugno 1996
Fonti: Wikipedia, digilander.libero.it, francobampi.it