| I due fidanzati uccisi a Cori:suscito' un forte impatto emotivo in tutta Italia
Il fatto che Marco Canale , l’uomo condannato per il delitto dei fidanzatini di Cori sia uscito dal carcere qualche giorno fa, dopo di aver scontato la sua pena e svolgerà un tirocinio presso il comune di Cisterna, con l'aiuto dell'immancabile Wikipedia, qualche ricordo e la lettura di giornali dell'epoca, mi spinge a raccontare quello che avvenne il 9 marzo del 1997, in un appartamento di via Fortuna, nel centro storico di Cori. Verso le 23:30, vennero ritrovati i cadaveri dell'operaio ventitreenne Patrizio Bovi, detto Gianni, appassionato di musica leggera e con piccoli precedenti per spaccio di droga, e della sua fidanzata, la studentessa diciassettenne Elisa Marafini. A scoprire i cadaveri furono il fratello quindicenne e il padre di lei, Angelo Marafini, maresciallo dei carabinieri in pensione, e Massimiliano Placidi, amico degli assassinati. Le vittime furono uccise tramite un accoltellamento impressionante: 51 coltellate furono sferrate su Patrizio Bovi e 124 su Elisa Marafini. Come arma del delitto fu usato un coltello da cucina che i carabinieri trovarono qualche giorno dopo in quella casa ripulito dalle impronte. Secondo le indagini,la dinamica dovrebbe essere stata questa: le due vittime cenarono insieme al piano inferiore della casa, dopo arrivò qualcuno che voleva parlare con Patrizio Bovi da solo, i due salirono al piano superiore e dopo una discussione l'assassino accoltellò ripetutamente Patrizio; Elisa Marafini, rimasta di sotto, sentendo un trambusto tra la musica a tutto volume, salì di sopra e il carnefice infierì con maggiore ferocia anche su di lei. Le forze dell'ordine che indagavano sul delitto, escludendo l'ipotesi dell'omicidio - suicidio per mano di Patrizio Bovi, si concentrarono su due piste: lo spaccio di droga e il delitto passionale. Alcuni giorni prima al Bovi erano stati venduti 200 grammi di cocaina che venduta al dettaglio, avrebbe fruttato 40 milioni di lire. In particolare furono interrogate sette persone: oltre Angelo Marafini, Piero Agnoni, Marco Canale, suo fratello Massimo, suo padre Angelo, Massimiliano Placidi e Mauro Meloni che aveva venduto la cocaina a Gianni Bovi. Meloni fu arrestato per spaccio di droga, mentre Angelo e Massimo Canale furono denunciati per possesso illegale di armi. Il cerchio dei sospettati si ridusse ulteriormente; questi la sera del delitto erano stati invitati ad una festa da Patrizio Bovi nella sua casa, ma tutti declinarono l'invito. Meloni fu arrestato per spaccio di droga, mentre Angelo e Massimo Canale furono denunciati per possesso illegale di armi. Il cerchio dei sospettati si ridusse ulteriormente; questi la sera del delitto erano stati invitati ad una festa da Patrizio Bovi nella sua casa, ma tutti declinarono l'invito. Successivamente le attenzioni degli inquirenti si concentrarono su uno degli scopritori dei cadaveri dei fidanzatini, Massimiliano Placidi, 28 anni, aspirante infermiere, la cui forte amicizia con Patrizio Bovi era determinata dallo stesso destino di figlio adottivo: sui suoi pantaloni furono trovate alcune macchie rosse, venne quindi arrestato e tenuto in carcere per 24 giorni. Secondo l’accusa, sotto l’effetto della droga, sarebbe stato colto da un raptus di gelosia perché invaghito di Patrizio Bovi, a conferma di questa tesi c'era anche una lettera di Elisa Marafini che parlava di un amico geloso che si frapponeva tra lei e Patrizio Bovi. Il Placidi in un primo momento confessò, successivamente negò ogni accusa, sostenendo che nell'ora del delitto era nel suo studio, sotto la propria abitazione, a farsi la doccia e di essere stato costretto a confessare perché sottoposto a potenti pressioni psicologiche e a ricatti durante gli interrogatori, venendo perfino picchiato. Tuttavia le macchie rosse sui suoi pantaloni e sul tappetino della sua doccia, dopo accurate analisi, risultarono essere solo muffa e ruggine e Placidi venne scarcerato. Al momento della scarcerazione Placidi lanciò accuse contro Angelo Marafini, il padre della ragazza uccisa, e i carabinieri e venne querelato.
Gli investigatori seppero che Canale, alcuni giorni prima del delitto, aveva litigato violentemente con Bovi perché gli doveva dei soldi, forse era un suo complice nel traffico di droga ed aveva partecipato ad un festino a casa dello stesso. L'incriminato negò ogni accusa nei suoi confronti, sostenendo che nel primo pomeriggio del 9 marzo si era fatto accompagnare in auto da Cisterna a Cori da alcuni amici (che andarono subito via) e di non essere stato a casa di Bovi, di aver più volte provato a chiamare col cellulare i propri familiari, di essere sceso da Cori Monte a Cori Valle a piedi poco dopo le 16:00, di aver raggiunto il podere del nonno, dove aveva consumato uno spinello, di aver fatto l'autostop alle 18:00 per tornare a Cisterna, al quartiere San Valentino; da lì chiese un altro passaggio ad una coppia di conoscenti (che confermarono) per recarsi a casa sua al centro di Cisterna ed esserci arrivato alle 18:40. Qualcuno vide Canale alle 21:00 nel balcone di casa. A sorpresa durante il processo l’imputato Marco Canale dichiarò di essere stato due volte nell'appartamento di Via della Fortuna a metà pomeriggio di quel 9 marzo: la prima volta non entrò, più tardi, trovando aperta la porta, lo fece e vide Patrizio Bovi ed Elisa Marafini già morti, poi scappò via senza avvisare nessuno, ma ben 7 testimoni lo smentirono, dichiarando di aver visto le due vittime camminare in Piazza Signina a Cori Monte verso le 19:30. Più di qualche testimone dichiarò inoltre di aver visto un uomo dell'altezza di Marco Canale gettare un sacco dei rifiuti in un cassonetto vicino Via della Fortuna il pomeriggio del 9 marzo intorno alle ore 18:20, cioè quando l'imputato sosteneva di essere a Cisterna. A casa di Patrizio il secchio dell'immondizia fu trovato senza busta. Neanche lo zainetto che aveva sulle spalle Elisa Marafini fu più trovato. A causa delle prove schiaccianti (le macchie di sangue sui pantaloni e le testimonianze) Marco Canale venne condannato in Primo Grado di giudizio a 30 anni di reclusione nel dicembre 1998 con risarcimento di 250 milioni di lire alla parte civile, rappresentata dalla famiglia di Elisa Marafini. La pena venne confermata dalla Corte d’Appello e da quella di Cassazione. Come abbiamo già riferito, ora Marco Canale è libero.
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