Le stronzate di Pulcinella

IL PROFUMO DEL TEMPO PERDUTO. MARCEL PROUST E LA MADELEINE

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sefora1
view post Posted on 28/4/2022, 07:38 by: sefora1
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IL PROFUMO DEL TEMPO PERDUTO. MARCEL PROUST E LA MADELEINE

Il tempo è perduto, ma forse no. Il ricordo può arrivare inaspettato, portandosi dietro la nostalgia di un mondo. Basta un piccolo dolce, la madeleine, immersa nel tè di tiglio. È Marcel Proust a raccontarlo in uno dei passi più celebri di Dalla parte di Swann. Il ricordo, cristallizzato da qualche parte, apparentemente inaccessibile, si svela nella sua potenza.

Basta un lieve e soffice profumo, il naso inventa una via d’ingresso nella memoria.

Involontariamente il passato ritorna, emerge. Soggettivo, intimo, è un ricordo che arriva senza controllo, senza freno, da riassaporare con ingenuità. La coscienza stessa si emoziona per questo ritorno che avviene grazie ai sensi, l’intelletto non c’entra subito, servirà dopo, per comprendere con consapevolezza la portata di quell’attimo speciale. Il passato diventa presente grazie a un profumo. Il profumo della madeleine di Proust libera il ricordo dal suo nascondiglio, spezza la dicotomia tra passato e presente e il tempo è uno solo.

Ecco l’estratto da Dalla parte di Swann:

Una sera d’inverno, appena rincasato, mia madre accorgendosi che avevo freddo, mi propose di prendere, contro la mia abitudine, un po’ di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, mutai parere. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati madeleine, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo. E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto di madeleine.
Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicessitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della madeleine. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva? Che senso aveva? Dove fermarla? Bevo una seconda sorsata, non ci trovo più nulla della prima, una terza che mi porta ancor meno della seconda. E tempo di smettere, la virtù della bevanda sembra diminuire. È chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. È stata lei a risvegliarla, ma non la conosce, e non può far altro che ripetere indefinitivamente, con la forza sempre crescente, quella medesima testimonianza che non so interpretare e che vorrei almeno essere in grado di richiederle e ritrovare intatta, a mia disposizione (e proprio ora), per uno schiarimento decisivo.
Depongo la tazza e mi volgo al mio spirito. Tocca a lui trovare la verità… retrocedo mentalmente all’istante in cui ho preso la prima cucchiaiata di tè. Ritrovo il medesimo stato, senza alcuna nuova chiarezza. Chiedo al mio spirito uno sforzo di più…ma mi accorgo della fatica del mio spirito che non riesce; allora lo obbligo a prendersi quella distrazione che gli rifiutavo, a pensare ad altro, a rimettersi in forze prima di un supremo tentativo. Poi, per la seconda volta, fatto il vuoto davanti a lui, gli rimetto innanzi il sapore ancora recente di quella prima sorsata e sento in me il trasalimento di qualcosa che si sposta, che vorrebbe salire, che si è disormeggiato da una grande profondità; non so cosa sia, ma sale, lentamente; avverto la resistenza e odo il rumore degli spazi percorsi…All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di madeleine che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio.
 
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