Le stronzate di Pulcinella

GLI ITALIANI IN LIBIA:storia di un'occupazione , emigrazione ed espulsione (con foto d'epoca

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view post Posted on 12/6/2011, 11:45
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Pulcinella291 Forum

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Siamo agli inizi del 1900 l'Italia giolittiana vuole diventare una potenza coloniale. Il suo obiettivo è la Libia rimasta dal 1835 sotto il controllo ottomano. Nel corso della guerra, l'impero turco si trovò notevolmente svantaggiato poiché poté rifornire il suo piccolo contingente in Libia solo attraverso il Mediterraneo. La flotta turca non era in grado di competere con la Regia Marina Italiana, e gli Ottomani non riuscirono a inviare rinforzi alle province africane.Durante la guerra, si registrarono numerosi progressi tecnologici nell'arte militare, tra cui, in particolare, l'impiego dell'aeroplano (furono schierati in totale 9 apparecchi sia come mezzo offensivo che di ricognizione. Il 23 ottobre 1911, un pilota italiano (il capitano Carlo Maria Piazza) sorvolò le linee turche in missione di ricognizione, e il 1º novembre dello stesso anno, l'aviatore Giulio Gavotti

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lanciò a mano la prima bomba aerea (grande come un'arancia) sulle truppe turche di stanza in Libia.
Il 3 Ottobre 1911 ha inizio l’invasione italiana. Al comando delle operazioni c’è il generale Carlo Caneva. L'ufficiale opta per una guerra di posizione, conoscendo le difficoltà delle sue truppe nell'affrontare il nemico in campo aperto. Ma quando gli Italiani occupano una Tripoli sfinita dai bombardamenti devono ancora fare i conti con la resistenza dei libici.Le popolazioni arabe della Cirenaica non si rassegnarono al fatto compiuto, e proseguirono azioni di guerriglia contro gli italiani.Le guarnigioni turche in Tripolitania si arresero all'atto della pace e furono rimpatriate in parte da Tripoli ed in parte attraverso la Tunisia. Invece le guarnigioni della Cirenaica, guidate dal bellicoso Enver Bey, che aveva giurato di continuare la guerra anche contro i decreti del governo centrale,
E forse qui scrivemmo una delle pagine piu' brutte della nostra storia. Infatti anche a causa dello scoppio della Prima guerra mondiale che obbligò l'Italia a ridurre notevolmente la presenza militare oltremare, costrinsero negli anni successivi alla guerra un'operazione di ripristino della sovranità italiana che durò per tutti gli anni venti. Il controllo italiano sul territorio rimase circoscritto sino ai tardi anni venti, quando le truppe al comando del generale Pietro Badoglio e di Graziani intrapresero una serie di campagne volte alla pacificazione dell'area che divennero presto una repressione brutale e sanguinosa. La resistenza libica fu soffocata definitivamente solo dopo l'esecuzione del capo dei ribelli Omar al-Mukhtar il 15 settembre 1931.

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Ora si pote' finalmente dire che tutta la Libia Cirenaica compresa era diventata italiana.

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La Libia Italiana aveva una superficie di 1.750.00 km quadrati e, secondo il censiment dell'aprile 1936, una popolazione di 750.000 libici (722.500 arabi e 28.300 ebrei) più 66.000 italiani residenti, senza contare i nostri soldati presenti in colonia.

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Era una società povera, sconvolta da lotte interne, ma orgogliosa della propria indipendenza, minimamente intaccata dal dominio turco.

L'EMIGRAZIONE ITALIANA IN LIBIA


Al principio degli anni trenta, Mussolini ordinò l'inizio di una vasta immigrazione di coloni italiani nelle aree coltivabili della colonia e cercò l'integrazione della locale popolazione araba e berbera, costituendo anche truppe coloniali.

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Non si è trattato infatti di un semplice esodo in terra straniera, bensì di una colonizzazione indirizzata dal governo Mussolini verso un Paese appartenente all'Italia sin dal 1911, dopo la terribile campagna coloniale dell'era giolittiana.
E' la Libia ad accogliere il più alto numero di connazionali, a partire dagli anni Trenta del Novecento. Per affermare la magnificenza dell'Impero fascista, Mussolini decide infatti di realizzare una folta comunità di italiani nella colonia nordafricana, imponendo l'insegnamento della lingua italiana nelle scuole libiche e creando industrie ed infrastrutture, come pubblicità vivente del suo regime. Nel 1938 partono i primi ventimila coloni, spinti dalla propaganda fascista che prometteva terre fertili e prospettive di ricchezza

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Nel 1938 il governatore Italo Balbo portò 20.000 coloni italiani in Libia e fondò per loro ventisei nuovi villaggi, principalmente in Cirenaica. Inoltre cercò di assimilare i musulmani libici con una politica amichevole, fondando nel 1939 dieci villaggi per gli Arabi e i Berberi libici: "El Fager" (al-Fajr, "Alba"), "Nahima" (Deliziosa), "Azizia" (‘Aziziyya, "Meravigliosa"), "Nahiba" (Risorta), "Mansura" (Vittoriosa), "Chadra" (khadra, "Verde"), "Zahara" (Zahra, "Fiorita"), "Gedida" (Jadida, "Nuova"), "Mamhura" (Fiorente), "El Beida" (al-Bayda', "La Bianca").
Tutti questi villaggi avevano la loro moschea, scuola, centro sociale (con ginnasio e cinema) ed un piccolo ospedale, rappresentando una novità assoluta per il mondo arabo del Nord Africa
Nel 1940 gli italiani in Libia sono quasi 120mila, concentrati soprattutto nella zona tra Bengasi e Tripoli. Tra di loro veneti, calabresi, siciliani, contadini della Basilicata.
In Libia gli italiani costruirono in circa trent'anni (1912-1940) infrastrutture degne di nota (strade, ponti, ferrovie, ospedali, porti, edifici, e altro ancora) e l'economia libica ne ricevette benefici effetti. Numerosi contadini italiani resero coltivabili terreni semidesertici, specie nell'area di Cirene.
Anche l'archeologia fiorì: città romane scomparse (come Leptis Magna e Sabratha) furono riscoperte ed indicate come simbolo del diritto italiano a possedere la Libia già romana. Negli anni trenta la Libia italiana arrivò ad essere considerata la nuova "America" per l'emigrazione italiana.

IL PERCHE' DI QUESTA EMIGRAZIONE


L’Italia fu indotta all’avventura coloniale in Libia, secondo la propaganda ufficiale, non tanto per ragioni di prestigio internazionale quanto piuttosto per una questione di politica interna, quella di indirizzare l’inarrestabile flusso migratorio verso terre in qualche modo «italiane» piuttosto che svendere il lavoro italiano ad altri Paesi beneficiari.
Com’è noto, all’indomani dell’unificazione dell’Italia si era avviato soprattutto dal Sud quel fenomeno migratorio che è durato per oltre cento anni e che ha spopolato e impoverito intere regioni. Inizialmente il governo aveva cercato di contrastare il flusso crescente di emigrati, ma non riuscì a impedirlo, nonostante le notizie sulle tristi condizioni degli italiani in America e in Europa. Si sapeva ch’essi erano disprezzati e discriminati un po’ ovunque, negli Stati Uniti, in Francia, in Svizzera e spesso persino aggrediti fisicamente. Lo raccontavano i dispacci delle rappresentanze italiane all’estero, i resoconti dei missionari bonomelliani e scalabriniani e delle suore di Francesca Cabrini. Erano soprattutto gli stessi emigrati che ritornavano a casa a raccontare le penose condizioni di vita e di lavoro all’estero. Quanto bastava per spingere i nazionalisti, ma anche molti cattolici, liberali e persino socialisti.
a rivendicare la fine di tale vergogna e una politica di conquista coloniale per dare nuovi sbocchi all’inarrestabile emigrazione delle masse contadine del Sud.
In pochi anni quella degli italiani in Libia fu una vera e propria invasione. Intere famiglie e a volte intere comunita' si riversarono dall'altra parte del Mediterraneo. Inoltre, Mussolini decretò nel 1939 la creazione della Quarta Sponda (cioè la Libia costiera) della Grande Italia nel suo Impero coloniale italiano.A partire dal 1937, il governo italiano aveva avviato un processo di integrazione completa della Libia nel Regno: la Libia si avviava infatti a trasformarsi da colonia a regione geografica italiana parificata alle altre. Questo processo iniziò con la proclamazione delle 4 province di Tripoli (TL), Bengasi (BE), Misurata (MU), Derna (DE). La parte meridionale della Libia (territorio del deserto, con capoluoghi Murzuch e El Giof) fu invece organizzato come distretto autonomo gestito direttamente dal Governo centrale. Anche la cittadinanza fu parzialmente equiparata a quella delle Province europee del Regno.

Il 9 di gennaio del 1939 la colonia della Libia fu incorporata nel territorio metropolitano del Regno d'Italia e conseguentemente considerata parte della Grande Italia, col nome di Quarta Sponda e tutti i loro abitanti ottennero la cittadinanza italiana.La politica del fascismo del resto era antimigratoria e uno degli obiettivi della politica coloniale fascista, era proprio quello di dirigere l’emigrazione italiana diretta all’estero verso le colonie italiane.

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LA FINE DELLA COLONIA LIBICA


Abbiamo detto che nel 1938 partono i primi ventimila coloni, spinti dalla propaganda fascista che prometteva terre fertili e prospettive di ricchezza. Nel 1940 gli italiani in Libia sono quasi 120mila, concentrati soprattutto nella zona tra Bengasi e Tripoli. Tra di loro veneti, calabresi, siciliani, contadini della Basilicata. Dopo la seconda guerra mondiale tutto cambia. Nel Trattato di Pace del 1947 l'Italia ha dovuto rinunciare a tutte le sue colonie, compresa la Libia. Vi fu comunque nel 1946 un vano tentativo di mantenere la Tripolitania come colonia italiana (assegnando la Cirenaica alla Gran Bretagna ed il Fezzan alla Francia).
Per gli Italiani della Libia iniziò nel secondo dopoguerra un difficile periodo, contrassegnato dalla loro emigrazione. Anche la Libia italiana fu ridimensionata, perdendo la nuova Libia indipendente la Striscia di Aozou (ottenuta da Mussolini nel 1935 e ridata alla colonia francese del Ciad).
La perdita della Libia da parte dell'Italia costringe molti nuclei familiari a ritornare in patria, lasciandosi dietro le macerie di un Paese che per loro era diventato una nuova casa.E che ora chiede il conto di anni di guerre e colonialismo. Negli anni Sessanta gli italo-libici sono solo 30mila, e il governo della Libia indipendente, dopo vari contenziosi con Roma, vende il 70% dei poderi italiani ai cittadini libici.

L'AVVENTO DEL COLONNELLO GHEDDAFI

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Il 1º settembre 1969 portò alla caduta della monarchia filo-occidentale del re Idris a seguito di una rivoluzione ed un colpo di stato militare guidato dal giovane colonnello Muammar Gheddafi che si dichiarava insoddisfatto del governo guidato dal re Idris I, giudicato anche da numerosi ufficiali troppo servile nei confronti di USA e Francia.
La politica della prima parte del governo Gheddafi fu definita dai suoi sostenitori una "terza via" rispetto al comunismo e al capitalismo, nella quale egli cercò di coniugare i principi del panarabismo con quelli della socialdemocrazia.

L'ESPULSIONE DELLA COMUNITA' ITALIANA DALLA LIBIA

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Il colonello fece , inoltre, approvare dal Consiglio una nuova Costituzione, da lui definita araba, libera e democratica. In nome del nazionalismo arabo, nazionalizzò la maggior parte delle proprietà petrolifere straniere, espropriò i beni della comunità italiana ed ebraica, espellendola dal paese, chiuse le basi militari statunitensi e britanniche, in special modo la base "Wheelus", ridenominata "ʿOqba bin Nāfiʿ", dal nome del primo conquistatore arabo-musulmano delle regioni nordafricane.
Fra le primissime iniziative del governo di Gheddafi vi fu l'adozione di misure sempre più restrittive nei confronti della popolazione italiana che ancora viveva nella ex colonia, culminate col decreto di confisca del 21 luglio 1970 emanato per "restituire al popolo libico le ricchezze dei suoi figli e dei suoi avi usurpate dagli oppressori". Gli italiani furono privati di ogni loro bene, compresi i contributi assistenziali versati all'INPS e da questo trasferiti in base all'accordo all'istituto libico corrispondente, e furono sottoposti a progressive restrizioni finché furono costretti a lasciare il Paese entro il 15 ottobre del 1970. Dal 1970, ogni 7 ottobre in Libia si celebra il “giorno della vendetta”, in ricordo del sequestro di tutti i beni e dell'espulsione di 20.000 italiani.

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Assieme agli italiani espropriati di tutti i beni, costretti a fuggire da quella che consideravano ancora "la loro terra", furono cacciati anche 40 mila ebrei libici , una comunita' che fu fu creata nel 586 a.C. da profughi di Gerusalemme in fuga dopo la distruzione del primo Tempio da parte del babilonese Nabucodonosor.

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Eppure gli italiani Erano benvoluti e integrati nella comunità; parlavano arabo, bevevano il tè con le noccioline, scherzavano al mercato. Italiani che negli anni Sessanta a Tripoli ballavano al Circolo Italia, ascoltavano Mina o Rita Pavone, guidavano il pullman dei pellegrini musulmani diretti alla Mecca. Tutto questo finì improvvisamente con l'avvento di Gheddafi.
Finivano gli anni della convivenza postbellica tra italiani e arabi di Libia, in cui mai si era sperimentato razzismo. Gheddafi li spoglio' di tutto, case e soldi in banca, campi coltivati e negozi avviati, incassando anche i contributi assistenziali versati. Gli italiani si sentirono spogliati anche della dignità.

IL DIFFICILE RIENTRO NELLA MADRE PATRIA :UN DRAMMA


Per gli Italiani di Libia il rientro fu assai difficile ed umiliante, come fu altrettanto difficile la integrazione di chi sentiva l'Italia come madrepatria, ma la Libia come il proprio Paese. L'Italia era il luogo di vacanza, non casa loro. Casa loro era la Libia. A rendere tutto più difficile, le resistenze dei connazionali. Rientrati in Italia, molti si sentirono giudicati come intrusi, usurpatori, quasi nemici. A volte, a fare ancora più male, la totale indifferenza verso la loro disperazione.
Eppure questi italiani dell'altra sponda , avevano lavorato, sgobbato rendendo il deserto libico fertile , coltivando l'impossibile, far crescere dalla sabbia arance, albicocche, mele, pere e olive. A questa gente nel 1970 furono 200 miliardi di lire per il solo valore immobiliare. Includendo i depositi bancari e le varie attività imprenditoriali ed artigianali con relativo avviamento, questa cifra supera i 400 miliardi di Lire che, attualizzati al 2006, significa circa 3 miliardi di euro e non vi è mai stato un provvedimento ad hoc che prevedesse l’adeguato risarcimento per la confisca del 1970. Inoltre gli aventi diritto hanno beneficiato solo delle provvidenze previste dalle leggi di indennizzo a favore di tutti i cittadini italiani che hanno perso beni all’estero.
Il rientro di questi italiani fu un grosso problema per il governo italiano di allora incapace nel 1970 di reagire e far rispettare gli accordi e tutelare i suoi cittadini, incapace di gestire l'esodo forzato, "accogliendo" i suoi figli d'oltremare in quegli odiosi campi profughi che oggi sono centri di accoglienza per immigrati clandestini. Gli italiani vagarono per anni in Italia come nomadi, in cerca di un luogo, di una nuova vita, portandosi dietro ricordi ed un profondo mal d’Africa . Si portavano dietro anche i ricordi delle umiliazioni ricevute in Libia ed ora erano costretti a subirne altre . Fu emanato un decreto legge il 28 agosto 1970 con il quale si prevedeva :"un'indennità di sistemazione di lire 500.000 pro-capite. Ai connazionali rimpatriati dalla Libia dal 1° settembre 1969 tale indennità compete dalla data del rimpatrio.

L'indennità è corrisposta dalla prefettura nella cui circoscrizione è avvenuto il rimpatrio.
Ai profughi ed ai connazionali rimpatriati che all'atto del rimpatrio ne facciano richiesta è consentita l'ospitalità gratuita in alberghi o pensioni, comprensiva dell'alloggio e del vitto, nel comune ove ritengano fissare il proprio domicilio, per la durata massima di trenta giorni.Al termine dei trenta giorni spetta ai predetti l'indennità di sistemazione prevista dal primo comma, che viene liquidata dalla prefettura del luogo di ospitalità contemporaneamente al pagamento delle spese di soggiorno in albergo o pensione.

Per coloro che, entro il predetto termine, non hanno potuto trovare sistemazione autonoma, è consentito in via eccezionale, un ulteriore periodo di ospitalità gratuita di quindici giorni.

Gli ordinativi di pagamento collettivi emessi dalla prefettura e localizzati presso la coesistente sezione di tesoreria provinciale possono essere resi esigibili anche presso gli uffici doganali del porto di sbarco o presso gli uffici postali centrali e periferici, anche siti in capoluoghi di provincia a prescindere dai limiti di somma stabiliti da particolari disposizioni.Entro nove mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministero dell'interno provvederà alla chiusura dei centri di raccolta e di smistamento dei profughi siti nei comuni di Alatri, Aversa, Bari, Gargnano, Marina di Carrara, Napoli, Pigna, Tortona e Trieste.

Ai profughi e rimpatriati dimessi dai centri sarà corrisposta l'indennità di sistemazione di lire 500.000 pro-capite.

Gli assistiti che abbiano superato il 65° anno di età o che siano inabili a proficuo lavoro potranno ottenere, ove ne facciano richiesta, in luogo dell'indennità di sistemazione, l'ospitalità in idonei istituti con rette a carico del Ministero dell'interno.








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Edited by Pulcinella291 - 13/6/2011, 09:30
 
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italian lady
view post Posted on 15/6/2011, 17:21




Mi ricordo benissimo di quando i nostri connazionali tornarono dalla Libia, fu veramente una tragedia per loro e anche per il governo che nn sapeva che fare. Triste ricordo.
 
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1 replies since 12/6/2011, 11:45   12343 views
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