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La prima guerra mondiale, non per niente chiamata la grande guerra, è stata, come sai meglio di me, una cosa atroce, con sofferenze e morti a non finire. Lo stress era enorme, la trincea logorava, le condizioni climatiche e igieniche consumavano. I feriti, tranne gli amputati, venivano rispediti al fronte appena messi di nuovo in piedi. Si anticipava la chiamata di leva perché c'era penuria di soldati, visti i tanti morti e feriti.
Si pose il problema, in questo contesto, dei malati psichiatrici. Cosa fare? Accettare che fossero malati o rimandarli al fronte? E mandarli tutti o distinguere tra malati e malati? I soldati affetti dalla nevrosi di guerra, un disturbo che oggi uno psichiatra non esiterebbe a considerare grave, venivano guardati con incertezza, quando non con sospetto. Tra le terapie pensate per rimetterli in sesto si affermò la terapia del l'elettroshock, quando a comandare tra i medici comparve il famoso dott. Vincent. Alcuni stavano effettivamente meglio, pochi, altri erano spaventatissimi dalle conseguenze del terapia, come detto nel precedente intervento. Si tenga presente che i soldati ammalati assistevano alle terapie dei camerati. La conseguenza era che molti accettavano di ritornare al fronte, pur di non rischiare rotture di vertebre o lacerazioni muscolari. L'elettroshock ha conosciuto una progressiva decadenza, finoltre agli anni ottanta, quando le tecniche di anestesia hanno reso la pratica sicura. Altro è se sia efficace e eticamente accettabile. In altri paesi si preferì affrontare il problema della nevrosi di guerra con altri sistemi, vedi l'ipnosi. Da quel momento l'ipnoterapia conobbe un nuovo splendore. È il destino di questa tecnica, conoscere alti e bassi. Affettuosi saluti, Winilio. |