Le stronzate di Pulcinella

RACCONTIAMO NAPOLI E I NAPOLETANI (usi,costumi,tradizioni di un popolo e di una citta')

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view post Posted on 3/2/2009, 11:14
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LO STEMMA DI NAPOLI

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Una volta l’insegna di Napoli era un bue a testa umana, sormontata da una fama che lo coronava: sulle monete v’era ancora al rovescio una partenope con un’ape.
Fu più antica l’impronta di Nettuno che simboleggiava un cavallo indomito.L’attuale stemma consiste in uno scudo diviso orizzontalmente, la di cui parte superiore è d’oro, quella inferiore è rossa.
L’origine di questo scudo s’attribuisce all’occasione che entrando in Napoli Costantino, e sua madre s. Elena, la città per onorare ambedue li fece precedere da due stendardi o gonfaloni, uno di stoffa d’oro e l’altro di porpora.Perciò l’imperatore volle che questi due colori avessero formato lo stemma della città. E come vi furono dei Duchi di Napoli che vennero eletti anche Vescovi di Napoli allora, questi volendo onorare le armi col distintivo della dignità vescovile, aggiungevano allo scudo di Napoli, la mitra ed il pastorale,dal 1866 la corona ducale fu sostituita da una corona turrita, simbolo araldico di "volontà di libertà e di indipendenza municipale”; tale versione, dopo la parentesi del fascio littorio di epoca fascista, è quella che oggi viene utilizzata per rappresentare la città di Napoli.

Edited by Pulcinella291 - 24/3/2009, 02:31
 
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view post Posted on 3/2/2009, 11:51
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I VICOLI DI NAPOLI

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Per cogliere davvero le tante sfaccettature di Napoli biosgna conoscere la realta' dei vicoli. Questi vicoli hanno una loro vita, che ruota intorno a mestieri vecchi e nuovi, che tutti assieme costituiscono la cosiddetta economia del vicolo: il banco del lotto, l'agenzia dei pegni, il contrabbando, la prostituzione, lo spaccio della droga, l'immancabile venditrice di sigarette all'angolo. I mestieri tradizionali che hanno dato il nome a tanti vicoli: gli spadari, i guantai, gli orefici, i chiavettieri ecc ecc. Vicoli che hanno i loro personaggi: guappi e prostitute, monache di casa e capére, ladri e scugnizzi, usurai e benefattori, filosofi e analfabeti, madri-coraggio e "muschilli", i piccoli corrieri della droga. Tutto un mondo che non riesce a nascondere la triste realtà di gente che al mattino non sa se e cosa mangerà a mezzogiorno. Un pasto che troppo spesso viene rimandato a sera e che si riduce in una pizza sapientemente accartocciata in modo che non coli via l'olio che il pizzaiuolo vi versa con parsimonia.
Una economia che si svolge essenzialmente nel basso, spesso casa e bottega. Il basso ha una sua storia. Una volta la gente ci viveva insieme all'asino, al maiale, al cane, alle galline e ad un esercito di gatti che avevano la nobile funzione di battagliare con un esercito di topi grossi come conigli. Oggi i bassi sono diversi: c'è il televisore a colori, la lavatrice, il frigorifero, spesso anche lo stereo, i simboli del consumismo. Ma ci vivono ancora in tanti, in troppi. Sbaglia chi crede che il napoletano sia un popolo di oziosi. Il vicolo si sveglia presto. Anzi, non dorme mai. C'è sempre qualcuno che fa qualcosa, che lavora. È l'economia del vicolo: un microcosmo autosufficiente, all'interno del quale si svolgono attività, mestieri più o meno leciti. Ci sono i mestieri che vengono esercitati nel vicolo e quelli che gli abitanti dei vicoli esercitano per i consumatori esterni, diciamo così.E la fantasia dei mestieri dei napoletani, ieri come oggi, non conosce limiti. Mestieri inventati da analfabeti che hanno frequentato l'università del vicolo, maestri nell'arte di arrangiarsi. Mestieri a volte scomparsi.L'economia del vicolo si adatta velocemente alla realtà circostante. Cambia a seconda delle necessità e delle ragioni. I mestieri di una volta più caratteristici erano quelli degli ambulanti, in buona parte scomparsi. Oggi, infatti, non ci sono più il cenciaiolo, lo spazzaturaio, la lavandaia, la levatrice, la nutrice, lo zoccolaio, l' ovaiola
.
Da partenopecapitale.




 
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view post Posted on 12/2/2009, 10:28
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I CHIATTILLI
In napoletano i chiattilli sono quei fastidiosi insetti che quelli che parlano bene chiamano piattole.Ma da un po' a Napoli questo termine viene usato per indicare quei figli di papa' che di solito si muovono in giro per i baretti tra Chiaia e San Pasquale, gustando gli aperitivi di vicoletto Belledonne, piazza dei Martiri, vinerie e localini di ogni tipo, Tasca, Taschino, BeeBop, S’move, White, 69, Bluestone, Chandelier, Disconapoli e tanti altri localini, movida ogni notte.Ci si concedono solo qualche minuto prima di passare al locale successivo. Un cocktail, qualcosa da bere, l’allure molto formale, in camicia inamidata. Si distinguono tra vomeresi, posillipini e tutto il resto che vive tra via Caracciolo e via dei Mille. Guai a mischiarli.

La storiella delle statue di Palazzo reale
C’è una lunga discussione che va avanti dalla fine dell’Ottocento tra le statue del Palazzo Reale di Napoli.
Carlo V d’Asburgo, indicando una pozza d’acqua a terra esclamò: “chi a fatto pipi qui a terra?“. Carlo III di Borbone risponde: “Io non ne so niente“, mentre Gioacchino Murat ribatte: “sono stato io, e allora?”. A questo punto, l’intervento di Vittorio Emanuele II è il più drastico, sguaina la spada e urla: “ora te lo taglio (eviriamolo)”.

Queste straordinarie statue, ormai hanno un ruolo importante nella città di Napoli, sono opere che vivono in città, con la città. Si trovano a Piazza del Plebiscito, dove spesso si possono ammirare anche piccoli scugnizzi giocare a pallone, in fondo anche la storiella sottolinea l’aspetto umano dei regnanti eliminando ogni alone di sovrana regalità

[size=7]L'altare di Maradona[/size
che questo giocatore sia stato importante per il calcio napoletano è oramai una cosa acclarata ma che i napoletani gli hanno persino eretto un altarino sa dell'incredibile e come direbbe Carlo Conti " e invece è vero" guardate qui sotto(kLIKKA SULLA FOTO PER INGRANDIRLA)
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*Contro ô male ‘e rine.
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Accattate ‘nu sordo o duje ‘e lardo ‘e panza ‘e ‘nu puorco masculo, strufinàtavillo bbuono bbuono ‘ncopp’ â parte che vve dôle, e vedarritete ca doppo ‘nu poco ‘e tiempo ve sentarrite arrefriscate(risollevati).
Naturalmente, v’avite ‘a cummiglià ‘e rine cu 'na pezza ‘e lana scarfata cu ‘o fierro pe stirà.

Pe stagnà ‘o sango ch'esce p’’o naso
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Se fa mettere ‘a persona ca tene ‘o sango ca lle scorre da ‘o naso, ‘ncopp’ ê pponte d’’e piede, e à dda starse ccu ‘e ddoje mane aizate tese cchiú ca se po’ ‘nfacci’ ô muro, ‘nsino a ttanto ca nun se ferma ‘o sango.Cierte vote ‘o sango se stagna aizanno ‘e ddoje bbraccia.
Presempio: si ‘o sango ve cola p’’a fròcia dritta s'aiza ‘o vraccio dritto; s'invece ve cóla da ‘a fròcia mancina allora aizate ‘o vraccio mancino.Fa pure bbene a chi le cóla ‘o sango a vuttarle all’intrasatta ‘nu poco dd'acqua gelata addereto ô cuollo.
Chella ‘mmpressione nce ‘o stagna llà ppe llà.
Un altro rimedio era quello di rompere una pietra e farla odorare .

Edited by Pulcinella291 - 4/2/2010, 03:56
 
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LA PASTICCERIA NAPOLETANA

I dolci sono qualcosa in più di una semplice dedica al palato: rappresentano un profumato appuntamento con la memoria, un calorico frammento di vita vissuta che rievoca ricorrenze, domeniche solari, quieti riposi pomeridiani ed allegre feste con parenti ed amici.

Il dolce, parla direttamente all'anima con le sue infinite varietà di creme, di sfoglie, di glasse, di pan di spagna, di liquori inebrianti.

E se questo è vero per la pasticceria nazionale, lo è ancora di più per quella napoletana, dove l'esplosione degli ingredienti si sposa con la fantasia delle forme e dei colori.

Così la pastiera con il suo inconfondibile profumo primaverile richiama la Pasqua passata in famiglia; struffoli e le chiacchiere i coriandoli e l'allegria delle maschere carnevalesche; la cassata, il napoletano presepio o l'anglosassone albero di Natale; le sfogliatelle - sia frolle che ricce -, le interminabili visite a zie e cugini accompagnate dall'immancabile limoncello o dal più caldo ed austero caffè; il babà rindondante di rum, l'iniziazione da fanciullo ad adulto e così via.

Ognuno, infatti, nasconde nel profondo del proprio cuore il ricordo di una fetta di torta, di una pasta reale, di una zeppola (semplice o di San Giuseppe) di un'aromatica crema chantilly, di un'atmosfera di cacao, di una candida e zuccherina glassa, di una bianca e lattosa panna.

Ricordi chiari o vagamente indistinti fatti di forme barocche come quelli degli sciù al cioccolato o al caffè; dei forti contrasti di colore dei confetti sui nudi struffoli o del pistacchio o delle ciliegine lungo i bordi della cassata; delle liquidità trasbordanti delle amarene della santarosa; dei profumi persistenti di bollenti sfogliatelle dorate, di raspose durezze mandorlate, di austeri lamè di zucchero caldo annidati intorno a bombe fritte e graffe; di calde, spartane e mattutine brioches.
Ma la pasticceria napoletana non è fatta solo di storie individuali. E' grave anche il segno che le vicissitudini politiche hanno lasciato alla città. Greci, romani, normanni, svevi, francesi, inglesi, spagnoli: ogni dominazione ha impresso una propria traccia nella storia culinaria napoletana.
Come gli struffoli, il dolce più antico che la tradizione possa annoverare, la cui origine risale alla Palepoli greca quando un impasto di acqua e farina, gli struggolos, veniva lasciato friggere nell'olio bollente e poi, tagliato in pezzetti, cosparso di miele fuso. O come la ricetta della chiacchiere, descritta per la prima volta da Apicio, uno dei più raffinati buongustai dell'antichità nel suo ricettario De re coquinaria.

Dal secolo VII il primato della pasticceria passa invece dalle botteghe ai conventi.
E' l'epoca dei dolci soffici e leggeri ma anche di vere e proprie delizie del palato come la santarosa, cugina maggiore della sfogliatella, che la tradizione vuole essere stata inventata nell'omonimo convento di Conca dei Marini. Impossibile, al riguardo, citare tutte le invenzioni attribuite alle abili mani di suore e novizie. Ne ricorderemo, quindi, solo alcune: i susamielli dell'antichissimo convento di Donna Regina, le monachine del monastero delle Trentatrè di via Pisanelli, la pasta reale del convento delle Maddalene, le sapienze del monastero di Santa Maria della Sapienza.

Più politico, invece, il tradizionale babà portato dai francesi a Napoli ma la cui invenzione è attribuita nel secolo XVIII secolo a Stanislao Leszczynski, re polacco celebre più per la raffinata gastronomia che per il breve governo.
Il dolce conserva ancora il nome originale traducibile in "vecchia signora", probabilmente per la mollezza della pasta particolarmente adatta ai senza denti.

Così, attraverso i secoli, dominazione dopo dominazione, la pasta per i dolci è diventata fritta, frolla, sfoglia, bignè, brioche, pan di spagna, pasta babà. Poi, nel 1860, con l'unità d'Italia e la caduta delle frontiere tra i vari Stati, i dolci napoletani sono diventati patrimonio nazionale, andando ad arricchire i pranzi dell'intera penisola. Ma anche dopo l'unità del Paese il genio culinario napoletano non conobbe tregua. L'ultimo viaggio del nostro brevissimo viaggio nella storia della pasticceria ci porta infatti tra i banconi delle botteghe di via Toledo, quando, nel 1819, Pasquale Pintauro (noto ristoratore napoletano) trasformò i locali della sua celebre trattoria in una più raffinata pasticceria inventando la tradizionale sfogliatella, versione "povera" della santarosa più adatta però ad accompagnare i napoletani nelle loro passeggiate domenicali.

Ma adesso basta con la storia dei sapori. E' giunto il momento di tuffarsi nelle ricette perchè se è vero che "la pratica vale più della grammatica" vedrete che, assaggio dopo assaggio, diventerete veri professionisti della tradizione dolciaria napoletana. Così quando qualcuno con una delle tante espressioni colorite napoletane, vi dirà che "Siete proprio un babà", con aria navigata gli risponderete: "Sì, ma di quale tipo? Semplice, alla creme, alla panna? Lungo, tondo, a fontana? Secco, bagnato? Polacco, francese, napoletano?". Perchè la pasticceria di Napoli è un'arte che segue regole e canoni precisi, secondo cui un babà non può mai essere solo un babà...

Edited by Pulcinella291 - 2/6/2009, 12:24
 
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LA RIFFA

“ ‘a riffa” è un’improvvisata lotteria rionale; è un modo per racimolare giusto i soldi per la sopravvivenza quotidiana. Quando dà il via all’estrazione, per indicare la sua onestà e trasparenza, l’arriffatore agita la mano aperta gridando: “’a mano è libbera. La riffa, in lingua italiana come in napoletano è l’alienazione di uno o più oggetti mediante sorteggio di quote prepagate e numerate. Cioè in pratica una lotteria privata che trova garanzia di liceità, di solito, nel fatto che l’estrazione dei numeri vincenti è garantita nella sua correttezza: tipicamente ci si collega ai numeri del lotto di una specifica “ruota”.
Gli “oggetti” della “riffa”, cioè i premi destinati ai fortunati sorteggiati erano di solito più di uno, spesso cinque come i premi della tombola, ed avevano due origini diverse, e due attribuzioni diverse.
“O rijalo” e “O bbisogno”.
La “riffa” solo nella forma era un gioco; sotto c’era una base tremendamente seria: la fame.
L’ “oggetto”, la povera cosa presentata come “O bbisogno” era qualcosa alienata da qualcuno in urgente difficoltà. Data al “banco” e messa in sorteggio, avrebbe provvisto di sussistenza una qualche famiglia per un giorno, o due… forse una settimana.
Al contrario “O rijalo” era l’oggetto offerto in donazione da una qualche famiglia meno indigente che se ne privava per aiutare un qualcuno in difficoltà che voleva o doveva rimanere sconosciuto e non per sua necessità.Altri strumenti essenziali della “riffa” erano “le cartelle”, stampate su una scadente carta grigia (ed a volte disegnate a mano!), che venivano ad una ad un vendute di basso in basso, di bottega in bottega ed “o panariello”, il cestino di vimini a forma di pera con un piccolo foro in cima e dentro
“ ‘e nummere”, dischetti di legno numerati da “estrarre” per stabilire i fortunati vincitori della lotteria, quelli che si sarebbero accaparrati gli “oggetti. L’inesauribile spirito napoletano, l’arguzia, la fantasia gonfiavano le grida dell’imbonitrice fino a rendere la vendita un vero spettacolo da varietà, intrecciandosi spesso duetti con le comari dei piani alti, e frizzi allusivi, e lazzi, e rime estemporanee…
La più genuina delle sceneggiate napoletane, insomma!... per me, un grande spasso, anche se di certo non capivo granché delle sottili trame ed i sottintesi…
Vendute infine tutte le cartelle iniziava l’estrazione.
Quattro, cinque persone al massimo avrebbero avuto un dono concreto, questo è ovvio, ma giusto per tutti avere almeno la sensazione di aver speso bene il proprio denaro!
Ed allora ecco che ad ogni numero estratto, un’altra piccola rappresentazione, l’interpretazione cabalistica del numero, un aneddoto sfizioso, una barzelletta, la strofa di una canzone… un qualcosa insomma per rallegrare i generosi contribuenti e far scordare, almeno per qualche istante miseria e malinconia.

Le doti istrioniche dell’imbonitrice, tra l’altro sono di buon auspicio anche per la prossima, inevitabile raccolta di solidarietà mascherata da giocoso intrattenimento mattutino fra le comari del povero vicolo.
da Lucio Musto .


La “cerimonia”,:. Di solito all’imbrunire, il gestore della riffa convocava il vicolo e, pubblicamente, inseriva in un cesto, o in una federa, i numeri corrispondenti a quelli venduti, poi convocava uno scugnizzo ed iniziava la pantomima.

Chesta è ‘a mano e chisto è ‘o culo d’o panaro!

Questa frase, accompagnata da ampi ed espliciti gesti, era diretta al pubblico che era invitato a prendere atto che il gioco era pulito, che non c’erano trucchi e che le mani erano libere. A questa frase, nel silenzio più assoluto dell’attentissimo uditorio, seguiva l’esposizione del premio messo in palio, l’elencazione dei suoi pregi e l’esaltazione della munificenza dell’organizzatore. Infine lo scugnizzo era invitato ad estrarre il numero incoraggiato da una ridda di voci e sommerso da una valanga di promesse.

Il sospettoso: Ammisca bbuono!
Il tentativo di corruzione: Guagliò, vire ‘e t’abbuscà ‘a mazzetta!
Il credente: Maronna mia, falle vedè chi sì!
L’ottimista: E’ meglio ca nun perdite tiempo! E allora io che sarria venuto a fa... secondo voi songo ‘o tipo ca perde tiempo?
Il pessimista: Sciorta, sciò… e guardame ‘nu poco, ca te sputo ‘nfaccia!
Il frettoloso: Patatè, votta a chiovere… e jammo bello!

Occhi attenti seguivano le mosse, volutamente e perfidamente lente del ragazzino che, finalmente, estraeva il numero che era mostrato al pubblico silenzioso e col fiato sospeso. Poi, il gestore leggeva il numero fortunato tra i commenti sconsolati dei tanti perdenti e, talvolta, nell’isolato tripudio del fortunato vincitore.
 
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'A CAFETTERA

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La caffettiera napoletana è uno dei tanti simboli della città che sta lentamente scomparendo dalle case dei napoletani sostituita dalla più pratica e veloce caffettiera moka oppure dalle eleganti macchine per l’espresso dal costo sempre più abbordabile.

L’uso della cosidetta “macchinetta” napoletana non è affatto complesso, basta fare soltanto un pò di pratica all’inizio. Il gusto invece è decisamente diverso da quello di un espresso o di un caffè preparato con la moka e trattando di gusti si entra nell’ambito dello strettamente soggettivo e quindi, astenendomi da ogni commento, lascio ad ognuno il proprio giudizio.


Come sensazione personale posso dire però che si ottiene un caffè da un gusto che definirei più “rotondo” e leggermente più “lungo” rispetto alla moka, meno aromatico dell’espresso, ma più complesso... difficile spiegare un gusto a parole, la cosa migliore è provare, poi riprovare più volte per fare esperienza nell’uso ed infine tirare le proprie conclusioni.
Dove invece è possibile fare un confronto immediato è nei tempi di preparazione. Decisamente la caffettiera napoletana è quella che richiede il maggior impegno di tempo e la maggiore dedizione; ma in realtà non stiamo più parlando di un metodo di preparazione, ma quanto di un rito immortalato perfino dal grande Eduardo.Qualche consiglio sull’uso e la preparazione del caffè con la “macchinetta” napoleana:
- Usare un caffè macinato per la napoletana (se si ha nelle vicinanza di casa una torrefazione è possibile chiedergli di macinare il caffè per tale uso specifico o comunque molto fine. Non so se esistano in commercio caffè confezionati “per napoletana”)- Riempire la caldaia dell’acqua fino a mezzo centimetro sotto al forellino- Riempire generosamente il filtro del caffé compattando la polvere con un cucchiaino e poi fare sulla superficie un paio di foretti.- Girare la caffettiera quando dal forellino fuoriescono le prime gocce d’acqua (quando cioè l’acqua comincia a bollire)- Effettuare la rotazione in un solo colpo secco afferrando la caffettiera per i due manici. Durante tale operazione uscirà uno zampillo d’acqua dal forellino, questo è normale.- Dopo la rotazione, chiudere il beccuccio col “coppetiello”, cioè un cono di carta di giornale simile a quello dei fruttivendoli, per non far uscire l’aroma del caffè durante la lunga fase di filtraggio (almeno 3-4 minuti).(rebel)
Eccovi pure un vecchio macinino per il caffe'
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Vi propongo due poesie trovate sul web e di cui non conosco l'autore riguardante i balli moderni e il computer .Le trovo meravigliose.

E balle e mo’ !

Sarra’ ca songo viecchio ... e perdunate !,
ma e ball’ e mo’ nun ‘e riesc’ a capi’ !! :
pareno sulo mosse ‘e ‘ndimuniate,
fatti senz’ armunia e pe’ suffri’ !!

Invece si ‘nce sta’ ‘na tarantella,
‘nce sta’ pure passione e fantasia !!;
‘e stesse ‘e tieni int’ a ‘na samba bella,
cu ‘a “saudade”, che’ e’ malincunia !!

Dint’ a ‘nu ballo ‘nce vo’ core e ammore,
pe’ fa’ capi’ chest’ Arte a tutti quanti !
Nun’ adda maie pare’ ca ‘nu “dulore”
e’ ‘o passo principale ‘e ‘sti danzanti !!


Chip e database

Vanno parlann' 'e chip e database,
'e bit, 'e byte, 'e ram e floppy disk!
Te fanno veni' sulo 'e palle appese:
'e chesta vita nun sanno manc' e rischi !

Stanno assettati annanze a 'sti buatte,
ausanno sulo 'sti parole strane ...
e so' criature ca puzzano 'e latte,
pecche' vanno dicenno ca dimane

se farra' tutto annanze a 'sta tv,
senza capi' ca vita vera e' ammore
pe' 'n' animale ca nun sta in tv,
pe' 'nu nennillo ca te squaglia 'o core,

pe' 'nu malato ca cchiu' nun vo' suffri'
o pe' 'nu puveriello senza sorde,
ca va cercanno sulo 'e fa' capi'
ca e' felice si te n' arricuorde !!

Edited by Pulcinella291 - 12/3/2009, 08:32
 
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'O CARRETTONE 'E MONTEVERGINE

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Da sempre il quadro della Madonna di Montevergine (mamma Schiavona) rappresenta per i napoletani una vera e propria venerazione.Il Santuario di Montevergine sorge a Nord-Ovest di Avellino, nella regione campana quasi al confine con quella lucana. In questo luogo di preghiera da oltre sette secoli si venera la Sacra immagine della Madonna .Per raggiungere il Santuario, oggi, ci serviamo della strada nazionale n° 374 da Ospedaletto o della funicolare da Mercogliano, ma è possibile ancora arrivare al Santuario percorrendo le mulattiere, che fino al 1859 costituivano l'unica via d'accesso.Una leggenda vuole che nei pressi di Avellino il mulo che trasportava la sacra icona, s'avviò incredibilmente e spontaneamente verso Montevergine e non fu possibile fargli cambiare direzione.
Contemporaneamente una tempesta sbarrò la strada verso Napoli, mentre un raggio di sole illuminò le cime del Partenio e le campane del Santuario da sole cominciarono a suonare. Ma la Madonna non fu contenta di quella sede e "la mattina la ritrovarono nella Cappella, dove s'adora
Le tre mulattiere, rappresentavano in passato, l'unico percorso possibile per il Santuario; la prima che parte ancora oggi da Mercogliano e la seconda da Ospedaletto si fondono in una sola via e costituiscono il percorso orientale che portano a quota 1270 metri dove è ubicata la Chiesa.Tempo addietro i pellegrinaggi avvenivano con i cosiddetti carrettoni, cioè carri trainati da cavalli che bardati di fiocchi colorati portavano i pellegrini fin lassu'. Nel dopoguerra ,invece, i carri fuorno sostituiti da camion dove nei cassoni prendevano posti centinaia di persone, che partivano all'alba da vari centri della Campania , per raggiungere la meta dell'adorazione. Ogni camion era munito di un altoparlante gracchiante , dal quale una sorta di imbonitore invitava i compagni di viaggio a cantare e a tessere le lodi di Mamma Schiavona. per i Campani "a Maronna 'e Muntuvergine è 'nata cosa, tene affetto, amore, chell' 'e Lourdes non va niente, è francese, comme po' ccapì 'e guaie nuoste?
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Edited by Pulcinella291 - 16/3/2009, 03:51
 
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LE PARENTI DI SAN GENNARO
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Una delle figure piu folkloristiche della complessa e variegata vetrina dei personaggi di Napoli sono senza ombra di dubbio le terribile e appassionate popolane che nel giorno del miracolo di S. Gennaro sono soliti animare nel duomo di Napoli questa anticam cerimonia.Sappiamo che da un antico gruppo di" parenti", di generazione in generazione si erano tramandati l'impegno di stimolazione (che spesso poteva giungere anche all'affettuosa ingiuria) affinchè S.Gennaro effettuasse l'atteso miracolo,che nel caso non avveniva l'intera città doveva aspettarsi gravi sciagure.La presenza femminile negli antichi riti napoletani è molto remota nel tempo,ed anche insostituibile,infatti bisogna ricordare che già in tempi remotissimi erano praticati culti della fecondità ,e che le sacerdotesse del tempio di Cerere a Roma dovevano essere esclusivamente di origine Campane.Dobbiamo tener presente che il culto di S.Gennaro è a dispetto delle decisioni vaticane tra i più forti e radicati,(tanto è vero che gia in epoca bizantina c'erano monete con la sua effige)e che molti culti pagani si fusero nei primi anni della Cristianità con quest'ultima , facendo confluire molti rituali antichissimi nel nuovo culto e con essi i rispettivi sacerdotes .
Molte sacerdotesse confluirono nei primi gruppi monastici portando con esse i loro segreti iniziatici che deformati poi dalla tradizione popolana diedero vita a tutta una serie di superstizioni e leggende contadine (stregoneria ,malocchio fattucchiere,ecc).Questa è una possibile spiegazione della tradizione delle parenti di S.Gennaro ,infatti tra parente a sorella ,a confraternita il passaggio è breve.Le parenti ci S.Gennaro cantilenano ancora questi antiche nenie con i loro ritmi ereditate dalle loro lontane maestre,ma ormai l'antica struttura e conoscenza del rituale con le continue aggiunte e deformazioni etico morali e religiose ha perso l'antico potere e lo scopo a cui erano destinate e forse solo per chi ha ancora orecchie per sentire puo ancora scorgere la loro vetusta origine esoterica e alchemica.
Da " i misteri di Napoli"

I NUMERI DI SAN GENNARO:19-15-18-53-55

Edited by Pulcinella291 - 3/6/2009, 00:53
 
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IL CODICE DELLA VECCHIA CAMORRA
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Articolo 1
La società dell'umirtà o bella società rifurmata ha per scopo di riunire tutti quei compagni che hanno cuore, allo scopo di potersi, in circostanze speciali, aiutare sia moralmente che materialmente.

Articolo 2
La società si divide in maggiore e minore: alla prima appartengono i compagni cammurristi ed alla seconda i compagni picciuotti ed i giovinotti onorati.

Articolo 3
La società ha la sede principale in Napoli; ma può avere delle categorie anche in altri paesi.

Articolo 4
Tanto i compagni di Napoli, che di fuori Napoli, tanto quelli che stanno alle isole o sotto chiave o all'aria libera debbono riconoscere un sol capo, che è il superiore di tutti e si chiama capintesta, che sarà scelto fra i cammurristi più ardimentosi.

Articolo 5
La riunione di più compagni commurristi costituisce la paranza ed ha per superiore un caposocietà.

Articolo 6
La riunione di più compagni picciuotti o di giovinotti onorati si chiama chiorma e dipende anche dal caposocietà dei compagni cammurristi.

Articolo 7
Ciascun quartiere deve avere un caposocietà o capintrito, che sarà, per votazione, scelto fra i commurristi del quartiere e resta in carica un anno.

Articolo 8
Se fra le paranze vi fosse qualcuno di penna, allora, dietro parere del capintesta e dopo un sacro giuramento, sarà nominato contajuolo.

Articolo 9
Se tra chiorme vi fosse qualcuno di penna, allora dal picciuotto anziano del quartiere sarà presentato al capintrito dal quale dipende e, dietro sacro giuramento, sarà nominato contajuolo dei compagni picciuotti; ma se non si trovasse, allora il contajuolo delle paranze farà da segretario anche nelle chiorme.

Articolo 10
I componenti delle paranze e delle chiorme, oltre Dio, i Santi e i loro Capi, non conoscono altre autorità.

Articolo 11
Chiunque sbelisce cose della società sarà severamente punito dalla mamme.

Articolo 12
Tanto i compagni vecchi che quelli che si trovano alle isole o sotto chiave debbono essere soccorsi.

Articolo 13
Le madri, le mogli e le figlie e le 'nnamurate dei cammurristi, dei picciuotti e dei giovinotti onorati debbono essere rispettate sia dai soci che dagli estranei.

Articolo 14
Se, per disgrazia, qualche superiore trovasi alle isole, deve, dagli altri dipendenti, essere servito.

Articolo 15
Quattro cammurristi sotto chiave possono fra loro scegliersi un capo, che cesserà di essere tale non appena tocca l'aria libera.

Articolo 16
Un socio della società maggiore, per essere punito, dovrà essere sottoposto al giudizio della gran mamma. Un socio della società minore sarà condannato dalla piccola mamma. Alla gran mamma presiede il capintesta e alla piccola mamma il capintrito o caposocietà del quartiere di chi deve essere condannato.

Articolo 17
Se uno delle chiorme offendesse qualche componente delle paranze, il paranzuolo si potrà togliere la soddisfazione da sé. Avverandosi l'opposto, ne dovrà essere informato prima il capintesta.

Articolo 18
Il dichiaramento si farà sempre dietro parere dei caposocietà, se trattasi di picciuotto o di giovinotto onorato, e dietro parere dei capintesta, se di cammurrista. Ai vecchi e agli scurnacchiati sarà vietato di zumpà.

Articolo 19
Per essere cammurrista o ci si arriva per novizio o per colpo.

Articolo 20
Chi fu compricato in qualche furto o vien riconosciuto come ricchione non può essere mai capo.

Articolo 21
Il capintesta si dovrà scegliere sempre fra le paranze di Porta Capuana.

Articolo 22
Tutte le punizioni delle mamme si debbono eseguire nel termine che stabilisce il superiore e dietro il tocco.

Articolo 23
Tutti i cammurristi e picciuotti diventano, per turno cammurristi di jurnata.

Articolo 24
Quelli che sono comandati per esigere le tangende le debbono per intero ai superiori. Delle tangende spetta un quarto al capintesta ed il resto sarà versato nella cassa sociale a scopo di dividerlo scrupolosamente fra i compagni attivi, fra gl'infermi e quelli che stanno in punizione per sfizio del Governo.

Articolo 25
I pali, nella divisione del baratto, debbono essere trattati ugualmente come gli altri della società.

Articolo 26
Al presente frieno, secondo le circostanze, possono essere aggiunti altri articoli.

Napoli, 12 settembre 1842
Il contajuolo
Francesco Scorticelli



Il Glossario della Vecchia Camorra

Allitterato = Chi sa leggere e scrivere. Lo è il contajuolo, scrivano contabile della paranza.
Annasà 'o pullastro = Accertare se la vittima sia facile da aggirare.
Appaurare = Spaventare
Auciello 'ngaiola = Detenuto
'A zia Giustina = La giustizia
Bajaffa = Pistola
Carrubbe = Carabinieri
Carte di stracolla = Carte da gioco
Copuotico =Testimone anziano del duello
Cincofrunne = Schiaffo
Cucuzziello = Un mese di carcere
Cucuzzone = Un anno di carcere
Dichiaramento = Sfida a duello
'E cancelle = Il carcere
Frieno = Codice, regolamento
Codice = regolamento
Gancio = Borseggio
Gatto = Delegato di polizia
Giovinotto onorato = il primo gradino della gerarchia della camorra
Granelle = Denaro
Guappo = Uomo temuto e rispettato. Ma, a differenza del camorrista, non fa parte di una precisa organizzazione di malavita.
Mammasantissima = Il capintesta della camorra, quando funge da presidente del tribunale della onorata società
Momma Schiavona = La Madonna di Montevergine
Mannà a Pocereale = Ammazzare
Martino = Pugnale
Nu viuggio 'a fora 'o mare = Condanna all'ergastolo (alle isole)
Ommo pusitivo = Uomo coraggioso, di carattere
Pachiochio = Derubato
Palomma = Messaggio in codice, inviato dal carcere.
Paranza = Cellula di camorristi. A Napoli erano dodici, una per quartiere.
Pecora zoppa = Truffatore
Primera = Morte
Prubbechella = Agente di pubblica sicurezza
Pugnetura = Scalfittura; ma anche tatuaggio
Scartiloffio = Furto con destrezza
Sgarro = Tradimento; violazione del frieno
Strummolo = Trottola, usata spesso per scegliere il sicario
Svelire = Rivelare
Tagliente = Coltello
Turallucce e vino = Lieto fine, inatteso e a sproposito
Tenere mosca in bocca = Custodire il segreto
Vavusiello = Magistrato


Edited by Pulcinella291 - 2/6/2009, 12:29
 
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I SOPRANNOMI
Un'altra cosa stranissima che succede a Napoli è rappresentata dai soprannomi. Molti ,nel loro rione sono conosciuti con il cosiddetto "piecco" o soprannome, che spesso viene usato per non confondere gli omonimi. A Napoli resta un attaccamento al quartiere di riferimento. Ciò è dimostrato anche dal fatto che anche nei manifesti funebrii sono presenti i soprannomi con cui la persona era conosciuta nel rione. Un altro elemento che fa di Napoli un’eccezione tra le grandi città.
Naturalmente i soprannomi sono di vario tipo. Si richiamano i mestieri, le idee politiche, le tradizioni familiari e anche qualche situazione improbabile, come la vedova detta “zitella. Eccovi qualche esempio (klikkate sulla foto per ingrandire)

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Edited by Pulcinella291 - 8/4/2009, 09:28
 
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'O CUNTO D'O CECERE

Spesso nel gergo napoletano sentiamo dire " ma me staie cuntanne o cunto do cecere?" per indicare stai facendo uno sproloquio per ottenere qualcosa: Ma cos'era stu cunto co cecere, proviamo a raccontarlo.
C’era una volta una donna che cerneva i ceci sul davanzale della finestra. Passò un vecchietto e disse : “Comare, mi daresti un po’ di ceci?” “Oh compare mio non posso proprio!”. Il vecchietto allora esclamò: “Che un vento fortissimo possa spargere tutti i tuoi ceci!”. E così fu. L’uomo prese uno di quei ceci sparsi, lo pulì e lo mise in tasca. Aveva intenzione di andare in chiesa e si fermò presso una comare per chiederle di custodire per un po’ il suo cece. La donna rispose: “Dove posso metterlo? E se il gallo lo mangia?” “Ma sì, non ha importanza, se lo mangia pazienza!”, ribatté il vecchio. Il gallo, in verità, saltò sulla tavola e beccò il seme. Al ritorno il vecchietto voleva il suo cece e la donna gli disse: “Lo avevo detto io che il gallo lo avrebbe mangiato!”. “O mi dai il mio ciceratto o mi dai il tuo gallatto!”, esclamò il vecchietto. E la donna : “Ma posso mai darti un gallo al posto del cece?”. Il vecchio, però, volle il gallo. Strada facendo si fermò presso la casa di un’altra comare alla quale chiese di custodirgli il gallo perché doveva andare ad ascoltare la santa Messa. La comare rispose: “Dove potrei metterlo? Solo nel porcile. E se il maiale lo divora?” “Non fa niente”, aggiunse il vecchietto. Il maiale, difatti, mangiò il gallo e quando il vecchietto ritornò, questi disse: “O mi dai il mio gallatto o mi dai il tuo porcellotto”. “Ma posso mai darti il mio maiale in cambio del tuo gallo?”. L’uomo, comunque, ebbe il maiale, lo legò e lo portò con sé. Passò davanti alla casa di un’altra comare e le chiese di tenergli per un po’ il suo maiale. “Ho soltanto una stalla dove c’è già un cavallo”, disse la donna. “Ma sì, mettili insieme, che vuoi che succeda?”. Al ritorno, il vecchietto trovò che il cavallo aveva mangiato il maiale. La donna si disperava e l’uomo disse: “O mi dai il mio porcellotto o mi dai il tuo cavallotto”. “Posso mai darti un cavallo in cambio di un maiale?”. Ma alla fine la donna cedette. Tutto contento il vecchietto si avviò con il suo cavallo e arrivò presso un’altra comare, alla quale, come al solito, chiese di custodirle il cavallo perché doveva partecipare alla celebrazione della Messa. La donna si offrì di metterlo nella stalla che era vuota. Ella aveva una bambina che, ammalata, piangeva perché voleva mangiare il fegato del cavallo. La donna titubava, ma poiché la bambina continuava a piangere, uccise il cavallo. Ritornato il vecchio, la comare gli raccontò l’accaduto, ma quello disse: “O mi dai il mio cavallotto o mi dai la tua picciotta”. “Oh compare mio, ti posso mai dare la mia bambina in cambio del tuo cavallo?” “Dammi la bambina!”, intimò il vecchietto. La donna fece finta di accondiscendere ma, preso un sacco, invece di mettervi la bambina , vi mise un cagnolino con una brocca piena d’acqua. Il vecchio si appoggiò il sacco sulle spalle e si avviò. Strada facendo, l’acqua si riversò e l’uomo: “Fai pure la pipì, Angiolina che nel bosco ti voglio!”. Giunto nel bosco, aprì il sacco e ne uscì il cagnolino, il quale vistosi libero si scagliò contro il vecchio e gli staccò il naso. Con il volto sanguinante il vecchio chiamava il cane e gli diceva: “Vieni qua, pane e caso e dammi il mio naso. Vieni qua, pane e casillo e dammi il mio nasillo”. Il vecchietto, però, rimase senza il naso e il cagnolino tornò dalla sua padrona. L’uomo ebbe ciò che si era meritato.

 
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'O SPUGNILLO 'E PUMMAROLE

Almeno fino a pochi anni fa, era un'usanza molto frequente. Non era difficile vedere appesi ai muri dei balconi i cosiddetti spugnilli, cioè grappoli di pomodorini raccolti senza staccarli dai rametti . Venivano appesi un po’ lontani l’uno dall’altro, a un lungo spago teso fra due sostegni in luogo aperto, ombreggiato, ventilato e possibilmente al riparo dalla pioggia. All’aria i pomodori maturano e avvizziscono leggermente. Una volta pronti, si riuniscono in mazzi che si terranno fino al consumo, sempre appesi e in luogo fresco (fuori alla finestra o in uno stanzino ventilato.Gli “spugnilli"” sono ottimi se strofinati sul pane, con un pizzico di sale e un filo d'olio, perché contengono molto succo.
Qualunque sia la sua origine, qualunque sia la sua qualità, per i Napoletani il pomodoro è e rimane sempre la più verace e clamorosa espressione geografica; un fervido sole, la calda gioia di un popolo fantasioso e impetuoso; il prodigio di una vita spensierata, che ha per simbolo questo frutto modesto e orgoglioso, paesano e mondiale.

O PANUOZZO DI GRAGNANO

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Da un po' di anni la citta' Gragnano , famosa nel mondo per la pasta ed il vino, è diventata meta gastronomica anche per il panuozzo.
Questa prelibatezza , esclusiva dei maestri pizzaioli di Gragnano, ha l'aspetto di un pezzo di pane formato-famiglia con una lunghezza minima di 25-30 cm ed è fatto con l'impasto della pizza, cotto in forno rigorosamente a legna.e figura, inoltre, nell'elenco dei prodotti tradizionali della regione Campania, stilato dal Ministero per le politiche agricole e forestali. Puo' essre farcito in vario modo ed Il risultato può essere un preparato variabile nella consistenza, ma inconfondibile al palato.

 
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I TARALLUCCI E MERGELLINA
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I vecchi fornai non si sognavano neppure di buttare via lo ”sfriddo”, cioè i ritagli, della pasta con cui avevano appena preparato il pane da infornare. A questi avanzi di pasta lievitata aggiungevano un po’ di “nzogna” (la sugna: in italiano, lo strutto, il grasso di maiale) e parecchio pepe, e con le loro abili mani riducevano la pasta a due striscioline. Poi le attorcigliavano tra di loro, davano a questa treccia una forma a ciambellina, e via nel forno, insieme al pane. All’inizio dell’800 il tarallo “’nzogna e pepe” si arricchì di un altro ingrediente che tuttora ne è parte integrante: la mandorla. Non si sa chi l’abbia presentata per primo al tarallo, ma chiunque sia stato, merita la nostra gratitudine: il sapore della mandorla va infatti a nozze col pepe. Per la sua caratteristica di cibo povero, il tarallo andava via come il pane, da cui in fondo (e in forno) deriva. Lo si consumava nelle osterie, in cui si accompagnava a del vino spesso assai poco pregiato. Da una parte aumentandone il consumo (il pepe mette sete), ma dall’altra riducendone gli effetti negativi su stomaci altrimenti vuoti. Ora I taralli sono uno sfizio tutto napoletano. E’ tuttora un classico comprarli a Mergellina, nei chioschetti sistemati sul lungomare, e sgranocchiarli passeggiando col Vesuvio da un lato e Posillipo dall’altro.

'O CUNTO DE 4 FRATELLI
Si narra che nei tempi che furono v’erano quattro fratelli che malauguratamente si innamorarono non corrisposti tutti di una sola fanciulla. Ne navquesro liti e dissidi indescrivibili, fino a quando la giovane decise di allontamarsi definitivamente da Napoli . Ma i 4 fratelli a distanza di mille anni l'aspettano ancora . I fratelli si chiamano Poggioreale,i Capodimonte, San Martino, Vomero - e l’uno accanto all’altro, immobilmente innamorati, aspettano il ritorno di colei che amano.


Edited by Pulcinella291 - 13/1/2010, 10:06
 
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Salvo D'Acquisto un eroe napoletano
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"Esempio luminoso di altruismo, spinto fino alla suprema rinunzia della vita, sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, erano stati condotti dalle orde naziste 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, non esitava a dichiararsi unico responsabile d'un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così da solo, impavido, la morte imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell'Arma".

questa fu la motivazione con la quale fu insignito della medaglia d'oro al valor militare.


Salvo D'Acquisto nasce il 15 ottobre del 1920 a Napoli, nel quartiere del Vomero, da Salvatore D'Acquisto, nativo di Palermo, e Ines Marignetti, napoletana.Primo di cinque fratelli,Franca,Rosario,Erminia e Alessandro
"Esempio luminoso di altruismo, spinto fino alla suprema rinunzia della vita, sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, erano stati condotti dalle orde naziste 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, non esitava a dichiararsi unico responsabile d'un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così da solo, impavido, la morte imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell'Arma".
Questa fu la motivazione con cui fu insignito della medaglia d'oro al valor militare.
Salvo D'Acquisto nasce il 15 ottobre del 1920 a Napoli, nel quartiere del Vomero, da Salvatore D'Acquisto, nativo di Palermo, e Ines Marignetti, napoletana.Primo di cinque fratelli,Franca,Rosario,Erminia e Alessandro.

Frequenta parte delle elementari e delle ginnasiali dai Salesiani all'Istituto Sacro Cuore. I professori lo definiscono riservato, prudente e di poche parole, i compagni lo ricordano altruista, sincero e difensore dei più deboli.
Ha una bella voce baritonale e frequenta per qualche tempo il conservatorio San Pietro a Maiella.

Nella primavera del 1939 riceve la cartolina militare per il richiamo di leva,qui prende la decisione di arruolarsi nell'Arma dei Carabinieri, seguendo così una lunga tradizione di famiglia, che ha visto come carabinieri già il nonno materno, due zii materni e uno zio paterno.
L'arruolamento realizza il suo ideale del "dovere come missione" a difesa dei più deboli e dei più umili, il suo desiderio di operare per la giustizia, un sentimento che lo guiderà per tutta la vita.
Salvo viene assegnato alla Legione Allievi Carabinieri di Roma.
Il 15 gennaio 1940 diventa carabiniere.
Per qualche mese, Salvo presta servizio a Roma Sallustiana presso gli uffici del Sottosegretario per le Fabbricazioni di Guerra.

Siamo nel mese di Giugno 1940,l'Italia entra in guerra e Salvo viene inviato come volontario in Africa,cosa che si realizza il 15 novembre 1940, quando si imbarca a Napoli per Palermo,destinazione finale:laTripolitania.
Dopo un mezzo naufragio della nave, Salvo sbarca a Tripoli il 23 novembre, con la 60esima Sezione Carabinieri per l'Aeronautica, che viene subito inviata in zona di operazioni.
Salvo è un ragazzo riflessivo, di poche parole. I colleghi gli vogliono bene per il suo carattere disponibile, cordiale, per la sua capacità di condividere gioie e dolori e per il suo spirito di solidarietà. Talvolta allieta i commilitoni cantando i classici della canzone napoletana e altri canti patriottico-militari.
Salvo è un punto di riferimento non solo per i commilitoni, ma anche per i familiari.Dal carteggio con i genitori si nota che egli condivide poco della facile retorica dell'epoca. Non solo non nutre odio verso i nemici, ma anzi auspica che, in futuro, «i rapporti internazionali possano essere dominati e guidati da spirito di collaborazione tra i popoli e dalla giustizia sociale».
Verso la fine del febbraio del 1941, Salvo viene ferito ad una gamba.

Tempo dopo tornato in Patria e superati brillantemente gli esami alla Scuola di Firenze, viene promosso vice brigadiere ed assegnato alla Stazione di Torrimpietra, una cittadina distante una trentina di chilometri da Roma.
Qui vive gli ultimi nove mesi della sua vita (in paese è amato e stimato da tutti) e da qui gli giungono le notizie delle tragiche vicende che vive la Nazione, la caduta del regime, l'armistizio dell'8 settembre e poi lo sfacelo generale.

La sera del 22 settembre 1943, un soldato di un reparto di SS insediatosi in una caserma abbandonata della Guardia di Finanza,rimane ucciso per lo scoppio di una bomba,due rimangono feriti.
Le versioni finora riportate si differenziano,i tedeschi "gridano" all'attentato,più probabile invece l'ipotesi di un incidente,magari rovistando in una cassetta con all'interno delle bombe a mano lasciata dagli "ex inquilini" della caserma,i finanzieri.
La mattina seguente,comunque,la reazione dei tedeschi non si fa attendere,il comandante del reparto tedesco, recatosi a Torrimpietra per cercare il comandante della locale stazione dei Carabinieri, vi trova il vice brigadiere D'Acquisto, al quale ordina di individuare i responsabili dell'accaduto. Salvo tenta inutilmente di convincerlo che si è trattato di un incidente,inutilmente.
Più tardi, Torrimpietra è circondata dai tedeschi e 22 cittadini vengono rastrellati, caricati su un camion e trasportati presso la Torre di Palidoro, per essere fucilati.
Salvo prova ancora una volta a convincere l'ufficiale tedesco della casualità dell'accaduto, ma senza esito. I tedeschi costringono gli ostaggi a scavarsi una fossa comune, alcuni con le pale, altri a mani nude.
Per salvare i cittadini innocenti, Salvo (ovviamente totalmente estraneo ai fatti) si autoaccusa come responsabile dell'attentato e chiede che gli ostaggi vengano liberati (un gesto che ancora oggi rimane uno dei massimi esempi di coraggio e nobiltà d'animo nella storia del nostro Paese).
Subito dopo il loro rilascio, il vice brigadiere Salvo D'Acquisto viene freddato da una raffica del plotone d'esecuzione.
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Edited by Pulcinella291 - 20/1/2010, 03:29
 
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