Le stronzate di Pulcinella

Napoli che se n'è andata

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view post Posted on 10/2/2014, 10:06
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Pulcinella291 Forum

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CITAZIONE (Odette @ 8/2/2014, 11:29) 
Caro Arecata, a parte il discorso del gentil sesso, raccontaci anche la società di allora come era; differenze sociali, pregiudizi, un po'd di politica, gli anni 60 e la loro forse spregiudicatezza economica, insomma qualcosa, che tu, abile e preciso narratore ( e non lo dico per piaggeria ma per meriti tuoi riconosciuti sul "campo" del forum) poi raccontarci per insegnare e magari confrontare quegli italiani con quelli di oggi

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La Napoli della fotografia editata (via Chiaja) non la ricordo, forse ero nato da poco, quindi le mie memorie, datate, partono circa 10 anni dopo quest'immagine ed il referendum popolare "Monarchia - Repubblica", vinto da quest'ultima, con una differenza assai esigua e si disse che ci furono brogli che avevano falsato il risultato.
Dico questo perchè Napoli, nonostante non avesse più i Borboni, è sempre stata una città monarchica, nella quale l'aristocrazia ha sempre goduto di riguardo da parte del popolino e ne ha profittato. Ben lo sapeva Achille Lauro che, considerati i 'nostalgici', considerato che il Movimento Sociale Italiano, additato di essere la derivazione del Partito Nazionale Fascista, veniva escluso dall'essere nominato con gli altri perchè non facente parte di quelli che avevano contribuito alla compilazione della costituzione repubblicana, per cui realizzò il Partito Nazionale Monarchico che godette di un discreto successo, principalmente nell'Italia del sud.

L'imprenditoria privata aveva pochissime aziende industriali, mentre quella parastatale era molto diffusa, ma a differenza di quella settentrionale, non la si faceva progredire innovandola.

A Pozzuoli sorgeva lo stabilimento delle Officine Armstrong, instaurato dalla nominata società britannica nel 1885 su un'area di 50mila m.q., sul mare, in quel territorio che si ritiene fosse l'Accademia di Cicerone. Divenne un fiore all'occhiello della nostra economia prebellica costruendo armi e munizioni, in special modo per la nostra marina militare, con il nome di Ansaldo Artiglieria.
Nel 1947 assunsero il nome di Stabilimenti Meccanici di Pozzuoli e nel 1948 divennero parte integrante dell'Istituto Ricostruzione Industriale, avendo oltre 3.200 dipendenti (e si consideri l'indotto) che dava tranquillità economica a tantissime famigliedella zona. Segretario generale di questa Azienda era mio padre, che ne divenne Direttore Commerciale nei primi anni 50'.
Come tutte le aziende statali ed assimilate, divenne un carrozzone per le 'manovre' elettrorali della politica italiana ed a Roma non permisero la sua evoluzione e la diversificazione della produzione che mio padre voleva fosse altamente specialistica ed innovativa e cosi, nel 1955, in contrasto con l'IRI si dimise (e questo gli aprì la via al successo economico con una sua impresa) e determinò l'ingloriosa fine di quell'Azienda al pari di tante altre della Campania, come l'AVIS di Castellammare, l'IMAM, l'Aerfer, le OMF, l'ALFA di Pomigliano d'Arco, la Microtecnica etc. etc.

Allo stesso tempo, quelle imprese edili che durante la guerra intervenivano dopo i bombardamenti, per mettere in sicurezza i fabbricati pericolanti, si arricchirono, potendo contare su una manovalanza assai capace e sottopagata (per sopravvivere), cominciando a divenire 'palazzinari' come Ottieri, D'Alessio & Mennella ed altri, ben descritti da Francesco Rosi nel suo "Le mani sulla città".

Aiutava e molto l'economia cittadina la piazza Mercato e le viuzze circostanti. Napoli era stato il porto più importante del Mediterraneo in epoca borbonica e continuava ad esserlo per l'Italia meridionale. I piccoli commercianti provinciali della Campania, Abruzzo e Molise, Puglia, Basilicata e Calabria, venivano dai grossisti napoletani a rifornirsi delle loro merci. Inoltre, a Napoli, gli eccellenti artigiani, continuavano la loro opera sartoriale e dei relativi accessori le grandi sartorie maschili e Marinella, di piazza Vittoria che oggiè una realtà nazionale d internazionale nel settore accessori d'abbigliamento).

Ho parlato di questo, come preambolo a quanto chiestomi da Odette, per meglio far comprendere quanto seguirà.
 
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view post Posted on 10/2/2014, 11:14
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Il boom economico sarebbe arrivato nei rpimi anni 60', ricordiamo, quindi, la vita a Napoli prima dell'avvento degli anni del boom.

Il precariato esisteva anche in quegli anni, la 'fame' di case c'era eccome, visto che i bombardamenti avevano raso al suolo interi quartieri. I cantieri edili c'erano ed erano molteplici in città, ma la mano d'opera proveniva dalla provincia, quella che oggi chiamiamo 'hinterland'. Quasi nessuno di costoro veniva 'inquadrato' e loro, pur di lavorare, accettavano. Magari venivano a Chiaja da Afragola, Acerra, Casalnuovo in bicicletta, per risparmiare il biglietto del tram. Solo i capimastro potevano permettersi di comprare, a rate, il "Motom", uno dei primi ciclomotori. La 'Vespa' non se la potevano permettere neppure costoro.

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Il biglietto del tram, per le corse operaie, quelle che partivano dal capolinea entro le 8 del mattino, costava 15 lire, dell'autobus 20 lire (tratta normale urbana). Il quotidiano costava 25 lire cosi come il gettone telefonico e la durata della telefonata doveva essere di 180' al massimo. Un'operaio edile percepiva uno stipendio di circa 24.000lire mensili, un capomastro 30.000, il pane costava ppoco più di 100lire al Kg., una cameriera (l'odierna colf) percepiva dalle 12 alle 18 mila lire mensili e spessisimo restava 'notte & giorno' a servizio. Un autista di auto di famiglia aveva uno stipendio da 21 a 28 mila lire mensili. Insomma il top sembrava essere 1.000 lire al giorno, quasi a fare da contraltare alla canzone anteguerra :"Se potessi avere 1.000 lire al mese".
I 'senza lavoro' divenivano 'artigiani' e s'industriavano : chi riparava e rifaceva ombrelli, chi sarto per 'rivoltare' giacche e cappotti, chi per risuolare scarpe, aggiungendovi le mezze lune metalliche (hanno un apposito nome che al momento non mi sovviene), quelle che vengono utilizzate per ballare il tip-tap, ma che servivano per consumare meno il cuoio della suola. Le scarpe con le suole gommose in 'para' cominciarono a vedersi negli anni 50'.

Il taglio dei capelli costava all'incirca 250-300 lire ed il barbiere insisteva per fare anche shampoo e frizione per arrivare a circa 500lire di spesa. Cominciarono, negli anni 50 ad apparire le prime scatole di detersivi, fino ad allora si vendevano solo saponi confezionati oppure il 'sapone mollo'. Quest'ultimo, venduto dal 'bottegaio' (salumeria) stava in un grosso bidone, aperto in cima, che veniva preso con un cucchiaione e messo in un foglio di carta paglia, assai spesso e venduto a preso. Il bottegaio vendeva la pasta, ma non era confezionata in pacchi, era sistemata in vari cassetti e non erano disponibili i tanti formati che conosciamo oggi, ma solo un pò per volta. Ad esempio le penne non le ricordo, mentre si usabano moltissimo gli 'ziti' che si spezzavano a casa e venivano cotti con le 'unghie' che si erano formate spezzando la pasta. Il tipo 'pasta mista' era la risultanza delle rimanenze dei vari cassetti e della pasta che si spezzava. Le confezioni singole erano poche e costose, si preferiva comprare tutto sfuso ed a peso, cosi il tonno sott'olio, la conserva di pomodoro, il riso, i ceci, i fagioli ed altri legumi, tutti sistemati in grossi sacchi, disposti verticalmente, dai quali si attingeva per versare nei 'cuoppi' di carta.
 
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view post Posted on 10/2/2014, 21:56
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Alla fine degli anni 50 l'Italia sta cambiando e Napoli pure. La legge Merlin dispose la chiusura dei casini che avvenne in tutta Italia il 20 settembre del 1958, ma molti di essi anticiparono la chiusura anche di un anno.

Il casino 'più' di Napoli era al Corso Vittorio Emanuele al n° 67, a circa 10m. dall'ingresso di Parco Comola, il suo soprannome era 'Internazionale' proprio perchè disponeva delle migliori ragazze su piazza ed anche della clientela più facoltosa.
A differenza di altre 'case' (questa descrizione non è frutto dei miei ricordi personali, poichè alla data di applicazione della suddetta legge, non avevo i necessari 18 anni, tuttavia un paio di queste le ho potute visitare e poi vi spiego perchè), l'Internazionale aveva dei salottini singoli che accoglievano i clienti e le prostitute facevano un breve defilè per poi accompagnarsi con il cliente, con l'ascensore, ai piani superiori. Al pianterreno c'era la 'maitresse' che dirigeva ed incassava i soldi delle 'marchette'.
Cos'erano le marchette? Avete presente i rotoli numerati infilati negli appositi distributori che servono ad indicare il proprio turno in un ufficio pubblico? Era un rotolo analogo dal quale la 'maitresse' staccava il numero di tagliandi che il 'cliente' acquistava per la sua prestazione. Più tagliandi acquistava, migliore era la prestazione offerta. Mi si disse che all'internazionale era necessario acquistare almeno 5-6 marchette per avere il minimo di prestazione e cheogni marchetta costava 500lire... Fatevi un pò il calcolo con quanto ho accenato in precedenza su costo di pane, tram, telefono e quotidiano....

Per ordine di importanza il secondo era il "3", detto anche "la Favorita" sito in via S.Anna di Palazzo al n° 3, proprio subito dopo la pizzeria Brandi che per primo diede il nome di 'pizza Margherita' alla pizza con pomodoro, mozzarella, basilico e formaggio. Anche questo aveva dei salottini esclusivi (un paio) all'ingresso e l'ascensore che conduceva alle stanze delle ragazze, ma aveva anche una sala, abbastanza grande, dove si siedevano le persone che attendevano il loro turno, oppure volevano vedere più ragazze per fare la loro scelta.
Qui le tariffe erano sempre non alla portata di tutti, ma più economiche, sembra infatti che le marchette costassero 300lire ognuna e che fossero sufficienti 3-4 marchette per ottenere una prestazione sufficiente.
Per imilitari, in divisa, era obbligatorio l'uso del profilattico, quelli di truppa potevano usufruire del trattamento base anche con l'acquisto di una sola marchetta.

Le stanze, arredate con pessimo gusto avevano le persiane chiuse e le ante erano attraversate da una catena chiusa con cateneccio, onde evitare che si potessero aprire in nessunissima circostanza. Avevano tutte l'acqua corrente in camera e la 'signorina', prima della prestazione, 'visitava' più scrupolosamente di un andrologo o urologo il 'cliente' al quale chiedeva le 'marchette' ed una mancia supplementare (pro manibus) per soddisfarlo meglio.

Ogni 'casino' aveva un proprio orario di apertura, in genere nella tarda mattinata, poi c'era la chiusura di circa 3 ore a pranzo e verso le 19,30 c'era la chiusura per la cena delle signorine, con riapertura verso le 21. Era perfettamente inutile bussare prima che si aprisse il portone di legno sulla strada. Fino a che questi non veniva aperto in modo che una porta a vetri colorati divenisse la via di accesso all'esercizio.

Più economico, ma un 'hit' come si direbbe oggi, nel suo genere, era il "98" sito in Via Nardones appunto al 98 e sula porta d'ingresso capeggiava il nome "Franca Veronesi". In questo i salottini non c'erano, cosi come non c'era l'ascensore, ma solo una grande sala, come visto in tanti film, anche quello con la Loren (matrimonio all'Italiana) dove s'intrattenevano, discorrendo, i potenziali clienti. Di cosa si discuteva? Di sport (calcio), di cinema, di politica, non di donne e la 'maitresse' che ad alta voce diceva "Non scaldate le panche, muovetevi, Bologna in linea" ad indicare che la ragazza, forse originaria dell'Emilia, era libera. Insomma il tutto di uno squallore inimmaginabile, tuttavia, mi si dice, che nei 'casini' si facevano interessantissime conoscenze, non con le prostitute, ma fra i clienti.
La tariffa? 200lire a marchetta, con 3 marchette te la cavavi bene.

Ce ne erano ancora, uno in via Lungo del Gelso (parallela di Toledo), e qui con 5-600 lire avevi il servizio che cercavi, ma dovevi esser di 'bocca buona'. All'ingresso bisognava salire circa 3-4 alti gradini, per poi ridiscenderli verso la sala d'aspetto. Alle pareti c'erano mattonelle di maiolica lucida, bianca, come nelle latterie e la sqala aveva realmente delle panche in muratura sulle quali erano disposte delle imbottiture longitudinali.
La tariffa non era molto diversa, ma le ragazze si accontentavano di mance minori.

La mia curiosità di conoscere queste case doveva esser premiata, ma come fare? E' vero che a 16 anni (tanti ne avevo nel 1958), ne potevo dimostrare un paio di più, ma all'ngresso non badavano all'aspetto, volevano l'esibizione del documento d'identità e non avevo nessuna intenzione di farmelo fare comletamente falso.

Ed ecco l'escamotage.... c'era un documento del tutto simile alla carta d'identità, con foto e dati, di colore marrone (scuro) era la 'tessera postale' necessaria per ritirare i fermo posta, sia epistolari che vaglia. Questo documento veniva rilasciato al richiedente che si presentava con due testimoni maggiorenni di cui, almeno uno, dotato di analogo documento postale e veniva compilato dall'impiegato sotto dettatura dei dati del richiedente. A questo documento si applicava un francobollo da 200lire e veniva convalidato con il timbro postale....... E cosi ottenni il mio documento che attestava la mia maggiore età....

A prescindere che per dimostrare questo mio reato dovreste trovare il succitato documento, questi sarebbe caduto in prescrizione da decenni e comunque potete fare le vostre rimostranze al mio legale : Pulcinella c/o le stronzate di pulcinella. web
 
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Odette
view post Posted on 11/2/2014, 19:59




Le storie dei casini mi sono state raccontate dai miei zii e da mio nonno, che portò i figli per farli "uomini", giusto in tempo prima della chiusura e nelle descrizioni mi sono ritrovata bambina quando mi venivano racconate queste cose "proibite" ^_^
Per non parlare degli appostamenti che loro facevano da ragazzini e qualche impiegata dei casini, in tempi di guerra, però, è sempre stata generosa; un soldino, qualcosa da mangiare, insomma, si sa che hanno un grande cuore.

Un mondo a parte, veramente...

Il reato effettivamente è caduto in prescrizione ma tu sempre malndrino mascalzone rimani! :lol:
 
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view post Posted on 11/2/2014, 20:58
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CITAZIONE (Odette @ 11/2/2014, 19:59) 
Il reato effettivamente è caduto in prescrizione ma tu sempre malndrino mascalzone rimani! :lol:

Mai aspirato alla santità.....................

Ci sarebbe da aggiungere che le 'signorine', povere disgraziate considerate come schiave e senza diritti civili, dovevano sottostare a precise disposizioni di polizia, tantissime cose erano loro vietate come uscire di sera-notte, accompagnarsi a determinate persone e sarei contento se, magari Pulcinella, ci ricordasse queste proibizioni.
 
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view post Posted on 12/2/2014, 12:21
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Pulcinella291 Forum

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a proposito di "casini e bordelli" a napoli vi rimando qui se volete saperne di piu'
 
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view post Posted on 19/2/2014, 10:41
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Abbiamo parlato dei divertimenti dei maschi adulti...., ma i bambini ed i ragazzi come e dove si divertivano, a Napoli, nei primi anni 50'?

La maggioranza dei bambini, nei pomeriggi, dopo aver fatto i compiti (si sperava), si recava alla vicina parrocchia dove, sicuramente, c'era uno spiazzo, un campetto per tirare 4 calci al pallone. Quelli più piccoli andavano ai "giardinetti", c'erano al Vomero alle spalle di piazza degli artisti, a S.Lucia, a piazza Cavour e poi c'era la villa comunale. Nelle sale parrocchiali c'era anche il ping-pong e qualcuna aveva dei rudimentali calcio-balilla costruiti artigianalmente. Al sabato pomeriggio, oppure alla domenica si andava al cinema e ritornando alla parrocchia, queste esponevano in un'apposita bacheca dove erano elencati i cinema, i titoli dei film in proiezione ed il giudizio ecclesiastico per la visione diviso in : per tutti, adulti, adulti con riserva e vietato. E chi non frequentava la parrocchia? C'erano le A.P.I. (ass. pionieri d'Italia) considerate filo comuniste, anche se in realtà era un'organizzazione scoutistica indipendente dai circuiti internazionali. Si, c'erano anche i Boy Scout di Baden Powell, ma, in genere, eerano organizzate da prelati.

Le play station, i video giochi non esistevano, sarebbero arrivati mezzo secolo dopo, i giocattoli erano fondamentalmente semplici, in legno, c'erano i soldatini di piombo (si allora si fabbricavano con il piombo, oggi tanto esecrato), le automobiline di latta (la plastica sarebbe arrivata un decennio dopo), i più agiati avevano in dono una piccola bicicletta, o almeno un monopattino, per le bambine, sempre e solo bambole e le 'ricche' avevano anche la casa delle bambole. Alcuni avevano anche i pattini a rotelle, quelli che si applicavano sotto le scarpe (quelli completi di apposite scarpe li avevano inpochissimi), ma le piste di pattinaggio erano assai poche. Ne ricordo una al circolo della stampa, in villa comunale, ma riservata ai figli dei soci, un'altra, pubblica, al Molosiglio ed un'altra ancora in zona Vomero, ma tutti invidiavamo gli scugnizzi napoletani che avevano il "carruociolo"

Si trattava di una base di legno, in genere il fondo di una cassa, a forma rettangolare cui all'estremità posteriore venivano fissati due cuscinetti a sfera, a mò di ruote e nella parte anteriore, ristretta e sagomata, era fissata un'asse basculante alla cui estremità erano fissati due analoghi ai posteriori, cuscinetti a sfera e quest'asse, sempre alle estremità aveva fissata anche una cordicella che, a mò di redini di cavallo, servivve come lo sterzo di un'automobile.
A Napoli le strade in salita di certo non mancano e se da una parte sono in salita, dall'altra divenivano le piste dei carruocioli anche perchè il traffico automobilistico era assai scarso.

Eccone due indegne immagini :

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view post Posted on 19/2/2014, 16:26
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Sarà stata la fretta che avevo stamattina, comunque ho la grave colpa d'aver tralasciato vari giochi degli 'scugnizzi'.

Cominciamo dalla strummolo (questo lemma deriva dal greco antico : στρόμβος-stronbos = mulinello), la trottola dei poveri con un terminale in metallo, solitamente un chiodo, che veniva lanciato con una funicella.
L'antico adagio : s'aunisce 'a funa corta e 'o strummolo a tiriteppola (si ha in concomitanza lo spago di lancio corto ed il chiodo della trottola storto), sta ad indicare che l'unione di due eventi contrari, non potrà produrre l'effetto sperato.

ufzl

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mazza e pivezo lo definirei il base ball napoletano... il gioco si compone di due pezzi di legno, uno piccolo (circa 15cm.), possibilmente arrotondato o appuntito alle estremità e l'altro un pezzo che possa fungere da 'mazza', alle volte si è usato un vecchio bastone, un manico di scopa ed anche un listello largo 2-3 cm. e comunque non più lungo di 50cm.
Molte volte, al posto del legnetto, gli scugnizzi utilizzavano piccole pietre e ne combinavano guai, magari rompendo vetri, e poi scappavano. Il gioco consiste nel far saltare in aria il legnetto o la pietra, con l'ausilio della mazza e mentre questi è in aria, colpire il legnetto o la pietra, per fala andare più lontano possibile


Sotto 'o muro
Il gioco, che prevede almeno due concorrenti, consiste nel lancio del primo concorrente, contro una parete (muro) di una moneta, con violenza, in modo che essa, nel rimbalzo, se ne allontani il più possibile, il secondo (ed anche gli altri, se ci sono), a loro volta dovranno lanciare la loro moneta in modo tale che questa seconda possa avvicinarsi alla prima con una distanza compresa tra l'estremità del dito pollice ed il mignolo, a mano aperta, del secondo lanciatore. Se è riuscito in tale impresa, s'impadronisce di entrambe le monete, altrimenti avrà persa la sua. E' con questo gioco che nacque l'espressione nu palmo e nu ziracchio, ad indicare la sconfitta del secondo per un 'soffio' (o incollatura)https://pulcinella291.forumfree.it/?t=65283533

Hallowen napoletano degli scugnizzi : per il giorno dei morti (2 novembre), gli scugnizzi erano soliti rivestire delle scatolette di cartone (massimo formato quella per le scarpe) con della carta colorata, monocolore, preferibilmente viola, sulla quale disegnavano una croce, oppure una cassa da morto (c'era anche chi le confezionava e le vendeva). Queste scatole avevano una fessura, come quella dei salvadanai, per l'introduzione di monete e con queste giravano per le strade a chiedere ai passanti gli 'spiccioli' con i quali potersi comprare i dolciumi dell'epoca, principalmente il torrone che, appunto, si prepara in mille modi, nel napoletano, per quella ricorrenza.

va buò, mò mi fermo nu poco, cà speranza che v'interessa chello ca scrivo
 
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view post Posted on 14/3/2014, 18:25
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Questo mio mi fermo un pò è durato 'quasi' un mese, vediamo di annoiare di nuovo chi mi sta seguendo in questa peregrinazione.

Napoli è sempre stata una città levantina nella quale il commercio ha rappresentato una delle fonti principali di reddito per moltissimi nativi e residenti, quindi parlerò degli esercizi commerciali iscritti alla camera di commercio, perchè del contrabando e delle truffe ne ho già parlato anche in altri thread. Ovviamente citerò nomi di ditte, aziende che hanno contribuito molto fattivamente alla vita cittadina e che, oggi, non ci sono più, oppure sono totalmente ridimensionate o trasformate.

Comincio da Piazza Garibaldi dove, all'angolo di via Torino, c'era un acquafrescaio aperto 24h., punto di ritrovo di moltissimi di coloro che, dopo una cena con amici in trattoria, pantagruelica, vi si fermavano per sorbire la 'gassosa al limone'. Era la classica limonata con bicarbonato ma preparata con acqua sulfurea (acqua 'e mummara), in alternativa a questa : l'acqua di Telese, notoriamente maleodorante. A pochi metri di ditanza, subito dopo il (fu) bar Miele, c'era un tabaccaio anch'esso aperto 24h. che restava aperto la notte (non esistevano i distributori automatici di sigarette) sia per la vendita delle sigarette, sia per i mazzi di carte napoletane e francesi. Di giorno era il più importante rivenditore di moduli cambiari e spesso telefonavano da Roma, anche istituti bancari, per l'acquisto di grossi volumi di tali moduli. Sarà bene spiegare che tutti i tabaccai (legalmente 'rivendite') erano autorizzati a tale vendita, ma data la bassissima percentuale d'agio e la difficoltà d'approvvigionamento (pre versamento all'agenzia, nei pressi del tribunale, del Banco di Napoli), preferivamo dire, in caso di richiesta, che le avevano terminate (al pari di altri valori bollati, compresi i francobolli), mentre il negozio di cui parlo, disponeva di tutti itagli ed in grandi quantità.

Avviandoci sul corso Umberto, s'incontrava il negozio "Quaglia" famoso per la vendita di strumenti musicali di due tipi : chitarre e fisarmoniche. Oggi la fisarmonica non si sente e non si usa più, sostituita dalle pianole elettroniche, ma nel dopoguerra era lo strumento principe per i questuantii quali si facevano accompagnare da bambini che oltre a mendicare, portavano una gabbietta nella quale c'era un pappagallino ed a chi donava un obolo, questo pappagallino, con il becco tirava su un foglietto ripiegato ch'era sistemato nella gabbia, sul quale c'era scritto l'oroscopo ed i numeri di un terno da giocare al lotto. Anche nelle orchestre c'erano le fisarmoniche, magari sostituenti i più ingombranti piano forti. Lo strumento alternativo per questuare, ma meno efficace e redditizio era la chitarra, mentre l'arma classica di queste persone era il 'pianino napoletano'

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Sempre al corso Umberto, sullo stesso versante di Quaglia, c'era il negozio di "Carnevale", uno dei più accorsati nella vendita di cappelli da uomo Borsalino, Barbisio etc. e dopo i magazzini "Franchomme" di biancheria fine per la casa. Nell'adiacente zona di piazza mercato c'erano i maggiori grossisti dell'Italia meridionale di qualsiasi merce in commercio, dai cognati, vivini e rivali "Maione" e "Prota"nella ferramenta, alla ditta "Stammelluti" (e tante altre) nel settore abbigliamento. Oggi, se esistono, sono state trasferite al CIS di Nola, voluto e creato dai fratelli "Punzo", primi importatori e rivenditori di tovagliati orientali, nel dopo guerra.

Dopo piazza Nicola Amore, verso la fine del corso, sulla sinistra, ad angolo conpiazza Bovio c'era la cartoleria "De Magistris", negozio a 4 luci. Questi, alla fine dell'800' aveva creato una custodia cartacea per abiti, catramata, e l'aveva brevettata con il nome 'Tessilsacco'

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Se cercaste questo nome googleando, trovereste Nome commerciale di un sacco di carta robusta o di materia plastica per proteggere abiti e altri indumenti dalle tarme senza l'indicazione ch'è un brevetto del nostro concittadino, ma trovereste anche le immagi (da cui ho tratto l'allegata) con l'indicazione del rivenditore di zona, che in questa circostanza si trovava ad Asti..

Proprio di fronte alla "De Magistris", sempre ad angolo con piazza Bovio c'era "Van Bol & Feste", antica pasticceria napoletana, poi fusasi con la "Luigi Caflish & Figli", pur avendo sempre conservato il suo nome originario.

Dopo aver percorso 1,5 km a piedi, ci riposiamo.
 
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view post Posted on 15/3/2014, 02:24
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Anticipiamo il 'lavoro' di domani....

Dalla parte opposta al corso Umberto si aprono due strade, quella sulla sinistra : via dePretis come negozi aveva solo banche, agenzie marittime, cambiavalute, cartolerie, nulla da menzionare in particolare, dal lato parallelo a via Marina, mentre invece ad angolo con piazza Bovio, verso l'interno, c'erano gli uffici delle società di navigazione del gruppo Fimare e cioè l'Italia di navigazione, Lloyd triestino, Adriatica e Tirrenia. Quanti nostri emigranti hanno conosciuto quegli uffici e magari fare lunghe file, per poter avere un posto di 'ponte' per poter raggiungere l'America.

Sempre proseguendo per via DePretis c'era il palazzo (c'è ancora, ma non so a quale utilizzo è assegnato) dei telefoni dello stato e ci si recava per fare e ricevere, su appuntamento, le telefonate internazionali ed intercontinentali.
Ancora più avanti c'è, ancora oggi, il negozio paradiso dei cacciatori : "Diana" la più accorsata armeria di Napoli.

L'altra strada, opposta al corso Umberto, sulla destra è via Guglielmo Sanfelice che sale verso Toledo. Sulla sinistra, da menzionare, c'era la pasticceria Fiorentina, di Deker, il genero di Odin e sua moglie Gay, il famoso cioccolatiere partenopeo. A Piazza S.Domenico maggiore c'è ancora la pasticceria Sgambati, ne conserva l'antico nome, ma, dopo il fallimento degli eredi, ne è cambiata la gestione, era considerata, a ragione, la migliore di Napoli e forniva molti bar prestigiosi. Questi bar, nel turno di chiusura di Sgambati, per accordi presi dai proprietari, venivano riforniti dalla Pasticceria Fiorentina, anch'essqa molto buona e sullo stesso livello di quella della Luigi Caflish e figli. E' pur vero che all'inizio di port'alba (piazza Dante) operava la pasticceria "Bellavia" già prima della II WW, ma aveva una produzione prettamente specifica di dolci tipici siciliani quali le cassate, i cannoli, la pasta reale. Negli anni 60', grazie all'ubicazione in via S.Pasquale ed all'opera di bravi artigiani, acquisi clientela e rinomanza la ditta "Moccia" dei fratelli Romano. Un buon prodotto, ma, a mio avviso (e non solo mio) inferiore a quelle menzionate in precedenza.
Nella zona del Vomero, la miglior pasticceria era in via Scarlatti "Daniele" anch'essa, purtroppo non più sul mercato, al pari dei bqar "Sangìuliano", presente in piazza Vanvitelli, in via Cilea ed in piazza delle medaglie d'oro.

Vi ho fattto venire un languorino? Bene, allora andiamo al ristorante, anzi ai ristoranti.

Negli anni del dopoguerra, fino alla metà degli anni 50', difficilmente i miei concittadini andavano al ristorante, non che non andassero fuori casa a mangiare, ma quando si decideva di fare una 'mangiata' fuori, s'intendeva programmare un'escursione verso trattorie extra cittadine, in modo da fare una gita, o quanto meno una passeggiata e pranzare nella località prescelta. La strada Domiziana non esisteva ancora e quindi non ci si dirigeva oltre Pozzuoli, se si voleva andare a mangiare pesce verso ovest, mentre verso est si andava verso Torre del Greco che aveva alcuni locali tipici. Desidero ricordare "La casina Rossa", ma anche "La casa rossa". Se invece si optava per piatti più 'sostanziosi', magari di carni, accompagnate da un buon (ottimo) vino rosso, ci si dirigeva verso la "Canonica" a Lettere, o anche da " 'O parrucchiano" a Sorrento. Ma torniamo in città.

Veri Ristoranti cittadini erano "Ciro a S.Brigida" frequentato dai professionisti che venivano in città e dalle compagnie teatrali dopo lo spettacolo. C'era "D'angelo" con la sua "Tavernetta" in via Aniello Falcone, c'era "Umberto" in via Alabardieri, che oltre alla sala ristorante, aveva una sala riservata al consumo delle pizze, meno impegnativa e più economica, c'erano i ristoranti turistici quali "Zì Teresa" e la sua concorrente "Bersagliera" in zona S.Lucia, borgo marinari, che dal lato del Castel dell'ovo aveva nel "Transatlantico" un concorrente meno pretenzioso. A Riva fiorita c'era (e c'è ancora) "Giuseppone a mare"famoso per la sua specialità nel preparare i polpetielli affogati nei singoli tegami d'argilla. A Piazza Dante c'erano parecchi ristoranti "Dante e Beatrice" "Al 53" e nel vico Carceri S.Felice c'era "Gigino 'o fetente" una trattoria che restava apertta finoa notte fonda dove andavano a cenare le 'passeggiatrici', al termine della loro 'giornata lavorativa' con i rispettivi 'fidanzati'.

Poi.. e solo poi, venne "Salvatore a Mergellina", il padre di tutti i ristoranti presenti oggi in città. Dico 'padre' perchè dal suo personale fuoriscito e messosi in proprio sono nati i ristoranti "Al sarago"in piazza Sannazzaro, " 'O calamaro" a Bagnoli, "I 3 caini", prima a via Bellini, poi in via Crispi ed infine al parco S.Paolo, "Il Delicato" in largo Semoneta, "Palummella" in via Piedigrotta e via via tanti e tanti altri.

Scusate, con quanto scritto sopra, ho fatto indigestione, mi fermo, scappo a piazza Garibaldi a farmi un gassosa al limone....
 
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view post Posted on 16/3/2014, 12:31
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Napoli, sole, mare, pizza e mandolino, cosi, scioccamente ci descrivono alcuni forestieri che non vogliono vedere come facciamo pulsare il cuore della nostra città. Se nell'800 c'erano i venditori ambulanti di spaghetti per coloro che erano in zona, di passaggio, per lavoro e non avevano il tempo di sfamarsi da seduti in trattoria

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a questi vennero affiancati i venditori ambulanti di pizza, che specialmente nella zona del mercato, offrivano la loro mercanzia, riposta in contenitori come questo, che portavano appoggiandolo sulla testa.

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Non dico che il fast food sia un'invezione o creazione napoletana, ma di certo è sempre stata un'attività molto presente nella nostra città. Ai cibi cotti si sono sempre affiancati quelli di cibi freschi, come il venditore di ricotta di fuscella che al mattino vendeva 'a merenna (lo spuntino, la merenda) agli studenti e lavoratori.Questo aveva un grosso cesto ai bordi del quale c'erano tante aste su ognuna delle quali c'erano tanti piccoli sfilatini di pane impilati, ornati con foglie di alloro ed all'interno del cesto i contenitori di arbusti intrecciati, contenenti il formaggio.

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Nei punti di maggior traffico di persone, nacquero le prime improvvisate friggitorie cosi come l'abbiamo vista nel film di DeSica "L'oro di Napoli" con la Loren adorabile 'pizzaiola'. Nei pressi del tribunale (Castel Capuano) divenne famosa " 'e tre sore", ma erano diffuse in tutta la città. Certo, negli anni 50' "Pizzicato" con i suoi 2 megaesercizi in via Guglielmo Sanfelice ed in piazza Municipio ad angolo con via Medina, faceva la parte del leone, ma ha chiuso i battenti assai prima di "Vaco ' pressa" di piazza Dante ed esistono ancora quella del vomero, nei pressi delle funicolari, in piazza fuga, "Cicciotto" a piazza IV giornate (ex piazza Principe di Napoli) ed anche altre ancora.

Sono cambiate alcune cose, ci si è meccanizzati, magari con appositi camion trasformati, le pietanze si sono adeguate alle richiesta del pubblico, ma a Napoli, come in tantissime altre città, mangiare per strada, sulla strada è sempre stata una cosa possibile ed alle volte indispensabile.

E chiudo questa parentesi mangereccia con un digestivo, non nostro, ma meneghino : il Fernet.

Come da noi c'erano i venditori ambulanti di caffè, prima che la diffusione dei bar, con macchine espresso e con i relativi 'ragazzi' pronti a portarvelonei negozi, uffici, case, a Milano, specialmente con il freddo e con la neve, si avvertiva la necessità, nell'800' di bere una bevanda calda e magari alcolica. Ecco che il signor Branca che produceva un amaro digestivo, si attrezzò di un carretto sul quale c'era una brace accesa sulla quale erano disposti tanti spadini che divenivano roventi in modo che al passante che voleva rifocillarsi, quando prendeva il suo bicchierino di elisir, veniva introdotto in questo, lo spadino rovente che immediatamente lo riscaldava a mò di punch ed il 'ferro', da rosso e rovente, ritornava del suo colore originale e naturale FERro - NETto da qui la nascita del nome che ancora oggi è assai diffuso nel mondo.



fatevi una pennichella...
 
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view post Posted on 17/3/2014, 01:22
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Da piazza Dante, scendendo per via Toledo, all'incrocio con via Tarsia c'era l'originaria cartoleria Confalone che poi acquisì altri luminosi locali in piazza Carità. I Confalone, originari di Maiori dove tutt'oggi producono carte e derivati, introdussero il pennino Cavallotti, non so se sia stata una loro invenzione, oppure se hanno solo sfruttato il brevetto, ma di certo divennero i 'cartolai' più affermati di Napoli, insieme a De Magistris fino a circa 40 anni fa.

In via Toledo c'erano tanti interessanti esercizi commerciali come La Rinascente, i magazzini Standa, i magazzini Gutteridge, questi ultimi, oggi presenti a Napoli presso la stazione centrale in piazza Garibaldi, ma privi del fascino degli antichi scaffali e di quel particolare tipo di abbigliamento. L'evoluzione (o involuzione?) ha modificato radicalmente il tessuto cittadino, privandolo di antichi negozi, considerati obsoleti o poco produttivi. Il regno dei bambini, e non solo : Leonetti, esiste ancora oggi e continua nella vendita dei giocattoli, ma si è adeguato d alle Barbie e Goldrake, ha affiancato la vendita di consolle e video giochi.

Di fronte alla Questura, in via Medina c'era un negozio specializzato per la derattizzazione e l'eliminazione di altri parassiti e come insegna aveva la scritta : "Introno l'avvelenatore di Napoli". Anche gli alberghi della zona hanno dovuto cedere il passo : l'Universo, in piazza Carità, oggi è sede di pubblici uffici ed il Toledo è la sede di un importante banca nazionale. Anche i classici negozi di cioccolatini di Gay Odin, cosi tipici nel loro arredamento, oggi sono riuniti in un nuovo e moderno esercizio in via Guantai nuovi. Solo Pintauro, anche se ha cambiato diverse volte la gestione, è ancora presente e pronto a sfornare le deliziose sfogliatelle, ricce e frolle, nostra specialità dolciaria.

La Galleria Umberto, negli anni, è divenuta il 'regno' di Barbaro, con i suoi negozi di abbigliamento ed articoli da regalo. Credo che posseggga oltre il 50% egli esercizi commerciali all'interno della Galleria. In piazza S.Ferdinando resiste il Caffè Gambrinus, uno dei caffè storici italiani. Qui siedevano e s'incontravano persone come Matilde Serao, Edorado Scarfoglio, Gabriele D'Annunzio (che pare abbia scritto " 'A vucchella" in questo locale), Ferdinando Russo, Benedetto Croce ed anche Oscar Wilde, Hemingway e Sartre. Solo nel 2001 potè ritornare alla completezza originaria, poichè nel 1938, su richiesta di un alto personaggio del fascismo, il prefetto fece chiudere la parte del locale che disturbava il bridge della moglie del personaggio e la cedette al Banco di Napoli. Alberto Savinio, ch'era il fratello di Giorgio deChirico, scrisse sul giornale "Omnibus" :“l’aria di Napoli è fatale ai bei caffè, come le rose sono velenose agli asini” ed il regime ordinò subito la chiusure delle sue pubblicazioni.


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view post Posted on 20/3/2014, 18:52
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E stasera devo porre rimedio ad una grave lacuna.

Ho accennato che al nord, d'inverno ( e non solo) fa freddo e si riscalda(va)no con il FerNet, in pratica un punch italico. Ma anche a Napoli fa freddo d'inverno, specialmente dopo il tramonto del sole che avviene intorno alle 17, ora in cui gli anglosassoni bevono il loro the nelle case riscaldate.

Anche noi napoletani avevamo il nostro the, punch o come cavolo volete chiamarlo 'O Broro'e purpo.

Fino a quando le disposizioni della comunità europea, non hanno introdotto pesantissime limitazioni per i cibi venduti in strada, c'erano tanti locali attrezzati, in città, pronti a fornire questa bevanda corroborante che ci riscaldava. Il locale più famoso, per questa specialità, era la pescheria " 'O Luciano", oggi anche ristorante, a Porta Capuana.

Il passante si fermava innanzi ad un pentolone, anche più grande di quello per il rancio dei soldati e gli veniva servito, in una tazza da the, questo brodo bollente ed assai pepato ed insieme c'era anche, come i biscottini per il the, una ranfa di polipo, preventivamente incisa col coltello, in modo che non si dovesse far fatica a farne piccoli bocconi. Più di una volta ho colto di sorpresa amici non napoletani, ed anche inglesi, conducendoli al 'the napoletano'. Da prima assai schifiltosi, coloro che decidevano di provarlo, ne rimanevano entusiasti e quando tornavano in città esprimevano il desiderio di tornare a consumarlo.

Se questo piatto era prettamente invernale, con l'arrivo della bella stagione primaverile, al brodo caldo, in serata, si preferiva andare in una delle tantissime ed improvvisate trattorie, a mangiare " 'A mpepata 'e cozze" ed una "Caponata". La prima prevede due opzioni, dopo la cottura con il pepe, la prima prevede l'eventuale condimento con illimone, ma i veri napoletani la preferiscono con " 'O russo", quest'ultimo è un olio divenuto di colore rosso chiaro, ma acceso, che gli deriva dall'esser stato in contenitori insieme ai peperoncini rossi piccanti, chiamati 'diavolilli'. La vera mpepata non veniva servita su rotonde freselle di grano, ma con analoghe freselle, più piccole e rettangolari, mentre quelle rotonde a"Ruota di Carretto" (come dovrebbe esser la pizza) servono per la "Caponata", sulle quali si adagiano olive verdi e nere, insalata verde, pomodori freschi, alici sott'olio o marinate, cozze, piccoli pezzetti di ranfa di porpo.

Come una volta i fagioli erano 'la carne dei poveri' ed oggi son divenuti cibo da ricchi, anche i due piatti sopra descritti, son divenuti 'pezzi forti' di ristoranti affermati.

E' quasi ora di cena, vi lascio, m'è venuta fame (non appetito)....
 
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view post Posted on 21/3/2014, 16:21

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Lettura piacevolissima...pensa al Gambrinus non sono mai entrata...
 
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view post Posted on 22/3/2014, 17:23
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Ed oggi parliamo di ospedali e cimiteri......

E' necessaria una premessa con la quale desidero rammentare ai miei lettori che all'epoca di cui tratto, Napoli era la terza più popolata città d'Europa, dopo Londra e Parigi e quindi, le problematiche di cui parlo, erano assai ben diverse da quelle di altre città di quell'epoca.

Il rione Sanità di napoli, deve il suo nome ai numerosi nosocomi che sorgono nella zona, un vallone, che in origine era il luogo in cui venivano sepolti i defunti. Gli ospedali assai numerosi presenti sono : Incurabili, ancora attivo, S.Camillo, desueto, S.Gennaro, attivo, e possiamo annoverare anche l'Elena D'Aosta, raggiungibile con l'ascensore che dalla piazza Sanità sale in via Amedeo duca d'Aosta, oggi dispensario A.S.L.

Il complesso dell'osp. S.Gennaro è il più antico, ma cadde in rovina nel XV secolo e fu nel 1468 che venne riutilizzato quale nosocomio per gli appestati e dopo la pestilenza del 1656 fu ampliato e dotato di ospizio, tuttavia si dovette attendere l'avvento di Gioacchino Murat, per poter superare i disagi economici della gestione.

La datazione del S.Camillo è incerta, ma in origine era il convento dei Camilliani e, proseguendo lungo la strada delle Fontanelle, si giunge all'omonimo "cimitero delle fontanelle". Il nome lo deve alle numerose sorgenti d'acqua che erano presenti nella zona. E' un enorme ossario che raccoglie le vittime, spesso anonime, delle epidemia di peste del 1656 e di colera del 1836. Nel cimitero si svolgeva il rito delle 'pezzentelle', che prevedeva l'adozione e la sistemazione del teschio di un anonimo, un'anima abbandonata, quindi 'pezzente'.

Il complesso degli Incurabili è sorto nel 1521, così chiamato perchè, nel volere della fondatrice Maria Lorenza Longo, come ex voto, doveva servire per assistere i malati terminali.

Le bellezze architettoniche sia dell'osp. S.Gennaro, sia degli Incurabili sono ricchissime, ma anche gli arredi interni sono d'inestimabile valore artistico. Ecco una foto dell'antica farmacia degli Incurabili :

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Nei pressi dell'ospedale, com'era conseutudine in quell'epoca, c'era il cimitero dove venivano sepolti i defunti, ma a scapito della falda acquifera che ne veniva inquinata, infatti questa zona era denominata piscina per cui fu realizzato il cimitero delle 366 fosse, primo vero cimitero cittadino, ai piedi dell'altura di Poggioreale, assai poco noto, oggi, ai napoletani, e raggiungibile da una traversa superiore del corso Malta. Questo cimitero è datato 1762 per volere di Ferdinando IV di Borbone, nelle vicinanze del grande Albergo dei Poveri ed era dotato di 19 file di 19 loculi più sei fosse (oggi scomparse) poste nell'atrio del cimitero stesso. L'unicità di questo cimitero consisteva nel fatto che veniva aperto un loculo, per ogni giorno dell'anno, ad accogliere le sepolture avvenute in quel giorno e prevedeva anche gli anni bisestili. Nel 1875 una baronessa inglese, che aveva perso la figlia durante l'epidemia di colera, fece realizzare e donò un macchinario (argano) che veniva utilizzato sia per sollevare le pietre tombali, sia per adagiarvi i defunti affinchè non fossero lasciati cadere nella fossa. Ogni fossa, di circa 7 metri di profondità era di forma quadrata di 4,20 m. C'era poi una fossa centrale, destinata a raccogliere e convogliare le acque piovane fino a raggiungere il Pollena.
Fu chiuso nel 1890 dopo aver accolto oltre 700mila defunti.

Il cimitero di poggioreale è molto più recente, sorto nel XIX secolo, fu consacrato nel 1837 per volere di Ferdinando II di Borbone e divenne operativo pochi decenni prima della chiusura del vicino cimiero delle 366 fosse, sopratutto per ospitarvi cappelle gentilizie ed i quadrilateri, in realtà rettangolari, ma denominati Quadrato. che oltre i portici e gli ipogei, dispongono di spazi riservati alle confraternite e congreghe che provvedono alle sepolture di chi non dispone di cappella gentilizia privata.

La parte superiore dell'area cimiteriale è denominata "Quadrato degli uomini illustri" come previsto dalle leggi del Regno delle due Sicilie, ed all'interno di 7 aiuole, sorgono 157 monumenti singoli.

Dopo il muro di cinta che lo separa da via S.Maria del Pianto, sorge l'ampliamento, detto appunto di S.Maria del Pianto ed è qui che sorgono le tombe di illustri recenti, quali Enrico Caruso e Totò.


Edited by arecata - 22/3/2014, 19:52
 
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