| Licola 28/4/2014
Racconto-55
Il periodo delle vacanze a Martina Franca connotò quella stagione della mia adolescenza. I profumi ed i colori della campagna, i parenti e non solo, anche i vicini che aiutavano nei lavori agricoli, tutto è molto presente ancor oggi in me. Di solito andavamo a Martina i primi di settembre e vi ci restavamo fin quando si riaprivano le scuole. Ci è capitato qualche volta di partecipare alla vendemmia, inutile dire che era una festa. I grappoli d’uva venivano messi in cestini che, una volta pieni, venivano svuotati in grandi cesti, questi ultimi, riempiti, erano sollevati da due persone sulla testa di Peppino, uno dei vicini, che con andamento traballante ma sicuro e con la testa incassata nel collo, trasportava il carico in un trullo precedentemente preparato all’occorrenza. La stanza di un trullo della famiglia dei contadini affianco a noi, si sgombrava di tutto, si puliva per bene e così era pronta per ricevere l’uva che veniva riversata sul pavimento attraverso un finestrino, predisposto anch’esso per la bisogna in quanto foderato tutt’intorno da tralci di vite per accogliere il cesto che veniva poggiato su di essi. Finita la vendemmia, si iniziava la fase della pigiatura. Immaginatevi più di una decina di persone di cui la metà bambini e ragazzi che contemporaneamente più che pigiare, calpestavano letteralmente l’uva sul pavimento del trullo. Che festa e che baldoria, i chicchi d’uva schiacciati che schizzavano da per tutto, i piedi che affondavano nei grappoli soffici e freschi, il succo che scorreva in mille rivoli verso il tombino per scorrere nella sottostante vasca, i volti allegri delle persone, le battute che Carlo e papà non facevano mai mancare, le risate, tutto predisponeva quel succo d’uva a diventare un meraviglioso vino. Il trullo non poteva essere abitato nel periodo della bollitura del mosto per le esalazioni che salivano dal tombino. Finita la bollitura il mosto divenuto vino, veniva sollevato dalla vasca e messo a continuare la sua maturazione nei capasoni, enormi giare di coccio provenienti da Grottaglie. Certo una buona predisposizione c’era in me ma devo dire che in quel periodo è come se avessi fatto un dottorato sul vino che mi ha ben avviato alla passione del bere.
L’ago che ricama la mia vita ha passato col filo Grottaglie quand’ero ragazzo ed oggi me lo ha riproposto mediante mia figlia Elvira che a Faenza mi ha fatto incontrare i tornianti di questo paese della Puglia. Un abbraccio a tutti. Giovanni
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