| Platamona 9/6/2014
Racconto-75
Proseguendo per via Montesanto, appena prima di giungere nel largo di piazza Pignasecca, c’era il pescivendolo che con i suoi banchi occupava quasi la metà della larghezza della strada, si creava quindi un ingorgo e nel rallentamento, come succede oggi per un incidente stradale, tutti gettavano uno sguardo alla varietà di pescato, mentre i giovani addetti alla vendita riempivano la strada dei loro richiami: “magnate a capa d’o purpo verace”, “alice fresche”, “o cefalo ‘e mare”, “’a zuppetella”, “accattateve ‘o comacchio”, “cozzeche d’o Fusaro”, “’e vongole verace” . Questi che erano veri e propri canti, accordati tra loro da voci intonate, accompagnavano il mio cammino verso un’altra giornata di scuola. Questa strada era quella che percorrevo quando, finite le medie, passai al Genovesi, antico e storico liceo classico. I primi due anni di ginnasio li feci nella sede distaccata della succursale che si trovava lungo via Benedetto Croce, a circa duecento metri da piazza del Gesù. La sezione C, a cui fui assegnato, prevedeva al ginnasio la classe mista mentre per i tre anni di liceo era maschile. La sede della succursale era situata in un antico palazzo gentilizio, lungo il decumano inferiore, occupava il secondo piano al quale si accedeva salendo delle scale di piperno che giravano su tre lati mentre il quarto era occupato da un ampio ballatoio che affacciava sul cortile e su cui si aprivano le porte di accesso agli appartamenti. Al cortile, pavimentato con pietra lavica, si accedeva attraverso un ampio portone ad arco. Finite le lezioni, alle dodici e trenta o alle tredici e trenta, lungo la strada del ritorno si incontrava subito a destra un piccolo bar pasticceria in cui ci fermavamo ad acquistare un dolce per placare i morsi della fame, ricordo che pagavamo venticinque lire. Più spesso però rispondevamo al richiamo del pizzaiolo, sulla mano sinistra prima di arrivare alla chiesa di Santa Chiara. “’O zuzzuso”, così lo chiamavamo, ci apostrofava:”Dottò, avvocato, ingegnè” , quindi, portandosi le dita alla bocca, emetteva dei fischi portentosi, invitandoci ad acquistare le sue pizze ed al nostro appropinquarci subito ci dava una margherita o un’olio e pomodoro che con maestria piegava in quattro con la stessa mano che un istante prima aveva in bocca. Alla faccia di tutte le regole d’igiene previste dai testi unici che regolano i pubblici esercizi. Un abbraccio a tutti. Giovanni
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