Le stronzate di Pulcinella

PASSIONI NAPULITANE: ‘E SCELLE … NATALIZIE

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view post Posted on 1/1/2021, 13:19
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Antefatto etimologico: le ali sono le appendici mobili che consentono agli uccelli, a molti insetti e ai pipistrelli di volare; il diminutivo latino di ala è axilla che indica in particolare la parte concava dell’ala, che sostiene e solleva il torace, così come la maxilla (mascella) sostiene la cavità orale di uomini ed animali. Ma a Napoli axilla diventa scella e acquista un valore poetico: consente di librarsi in aria, sia in senso letterario (volando) che poetico, attraverso le sensazioni di odori eccitanti, come per Casanova erano quelli delle ascelle femminili (e sappiamo che Casanova amava Napoli e le sue donne). Per questo motivo, forse, il baccalà a Napoli è una passione che evoca ‘e scelle e il loro afrore....
La storia ci racconta che questa passione viene dal nord, perché la materia prima sono i grandi merluzzi norvegesi (gadus morhua), sapientemente pescati e lavorati nell’Atlantico più freddo. Il pesce, dissanguato direttamente a bordo dei pescherecci, viene privato della testa e delle interiora, poi lavato e pulito in acqua corrente. A questo punto in Norvegia, soprattutto nelle isole Lofoten, il pesce, eviscerato e aperto a forma di ala (sì, proprio l’axilla dell’antefatto) viene essiccato all’aperto, grazie all’azione del sole e del vento, su apposite rastrelliere. Il pesce si deve essiccare in modo uniforme e per questa esigenza l’essiccatura si può effettuare solo tra febbraio e giugno, quando temperature e vento sono in perfetto equilibrio. Si effettuano costanti controlli sulla distanza tra un merluzzo e l’altro, per evitare formazioni di muffe o residui di sangue; poi, una volta essiccato, il merluzzo viene esportato e prende il nome di stoccafisso (versione italiana di stockfish, termine che indica anche un programma multimediale di scacchi). ll baccalà, invece, viene sottoposto semplicemente ad un processo di salatura che può durare anche tre settimane. Per la sua particolare lavorazione, questo alimento può essere preparato tutto l’anno ed è questo il prodotto che in genere troviamo nelle pescherie napoletane, anche già ammollato; questa ammollatura consiste nell’immersione in una bacinella con acqua fredda per un periodo di 24-36 ore, ma con il cambio dell’acqua ogni 8 ore. A Napoli si distinguono il “mussillo di baccalà”, che costituisce la parte più alta e compatta della “scella” e il "coroniello/curumiello/cureniello di baccalà" (dal greco gr. κορώνη, korone), la parte esterna che circonda il mussillo, più bassa e con qualche residuo di spina, più adatto ad essere fritto; lo stesso dicasi per la “scella” dello stoccafisso, di color ambra e meno polputo; entrambe si aprono a fogli con la punta della forchetta e si mangiano lessate e condite in bianco, all’agro, con olio, limone, aglio, sale doppio e prezzemolo.
Ora c’è solo da chiedersi come sia giunto a Napoli il baccalà, ma in realtà il fatto è in solo parte misterioso: una leggenda narra che durante una burrasca una nave vichinga sia naufragata sulle coste italiane, e nel suo carico di provviste c’era, appunto, il merluzzo essiccato. La storia, invece, ci dice sin dal 1500 si svilupparono i primi affari dei negozianti vesuviani e i pescatori procidani impegnati sulle rotte marittime del Nord Europa. A Napoli la diffusione di baccalà (merluzzo essiccato e conservato sotto sale) e stoccafisso (essiccato, ma senza sale) venne favorita in prima battuta dalla Controriforma cattolica, che vietava il consumo di carne nelle feste comandate. L'alternativa prese piede anche e soprattutto nei dintorni del capoluogo, grazie anche al ruolo dei monaci di Madonna dell'Arco, che tra Sant'Anastasia e Somma insediarono e utilizzarono le prime vasche adatte ad «ammollare» il pesce, cioè tenerlo a bagno per poi lavorarlo e metterlo in commercio come un prodotto fresco.
Ma ritorniamo al riferimento etimologico: mussillo è un diminutivo di musso= labbra, dal tardo latinp musu(m), polposo e morbido quasi come le labbra di una giovane donna; ‘e murzille ‘e baccalà sono secondo D’Ascoli, pezzettino, bocconcino; bocconcino gustoso e gradevole, che ben si attagliano alle porzioni di baccalà fritto più che al mussillo; baccalà viene dallo spagnolo bacalao e/o dal portoghese bacalhau; questo termine viene usato anche per indicare uno sciocco-babbeo, forse in riferimento all’ammollatura che priva il pesce del sale, metaforicamente quello che si dovrebbe avere nella zucca.

Raffaele Bracale
 
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