Le stronzate di Pulcinella

RACCONTIAMO NAPOLI E I NAPOLETANI (usi,costumi,tradizioni di un popolo e di una citta')

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view post Posted on 27/3/2008, 09:46
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Pulcinella291 Forum

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Se mi farete compagnia vi immergerete, assieme a me, nei colori, odori, sapori e tradizioni della mia Napoli.
In questo post di tantissime pagine, infatti, collochero' e potete collocare, alla rinfusa, tutto quello che riguarda Napoli e i napoletani, con la speranza che chi non ci vive o chi vi è lontano possa comprendere i costumi, le bellezze, le contraddizioni, l'umorismo, l'allegria, la solarita' di questa citta' e di questo popolo e perchè no anche la sua strafottenza
.(mettici tra i preferiti o registrati ci darai una mano a scrivere)

2007118112131toto

'Napule è ’nu paese curioso:'
'e' 'nu teatro antico,
sempre apierto.
Ce nasce gente ca senza cuncierto
scenne p' 'e strate e sape recita'.
Nunn’è c' 'o ffanno apposta;
ma pe'lloro 'o panurama è 'na scenografia, 'o popolo e' 'na bella cumpagnia, l'elettricista e' Dio ch' 'e fa campa'..


Va p''o vico na voce, na stesa,
p''e mmaéste ca vònno fá spesa...
Na carretta, ch'è chiena 'e campagna,
ll'accumpagna pe' tutt''a cittá.
Coro: Ll'accumpagna pe' tutt''a cittá.
Mo na sciassa cu 'o rrusso e cu 'o ggiallo,
s'appresenta cu 'a museca e 'o ballo:
pazzariéllo è chist'ommo ch'avanza...
Vótta e scanza, cchiù folla se fa...

Puó' dí
ch''e strade 'e Napule cheste só':
nu palcoscenico,
puó' dí
ch''a gente 'e Napule chesto vò':
nu palcoscenico...
Só' scene comiche,
só' scene tragiche,
mentre se recita
siente 'e cantá:
"Napule, Napule, Napule, Na'...
Acqua fresca...chi s''a véve!"

La Napoli colorata e dei vicoli è un gran palcoscenico. Versi che somigliano ad un quadro...'na carretta ch'è chiena ' e campagna. E' il massimo della sintesi poetica. A questo si aggiunga una interpretazione stupenda e Palcoscenico diventa un classico della musica napoletana

mandolini1
Napoli e la musica
La musica è da sempre patrimonio culturale della città di Napoli è parte integrante del costume di vita del popolo napoletano ed il napoletano fin dai tempi piu' remoti fu universalmente accettato come lingua, specie nel canto.Il canto era talmente radicato nello spirito napoletano che il popolo usava comunicare in molte occasioni proprio con questo mezzo espressivo e chi viene ancora oggi in visita alla nostra città potrà ancora sentire, nei quartieri più popolari, i versi melodiosi che i venditori ambulanti lanciano a squarciagola per le strade per decantare le merci in vendita.Nel '700 e nell'800 le orchestrine dei musicanti erano presenti in ogni quartiere ove, sia di giorno che di notte, facevano musica popolare con strumenti tipici della regione come il calascione, la chitarra battente, la tammorra, e strumenti ancora più popolari come putipù, triccaballacche, e scetavajasse che accompagnavano una o più voci. Durante il 18° secolo il Regno di Napoli esportò nelle maggiori capitali europee un così gran numero di compositori ed esecutori della sua musica, e di così grande livello artistico, da far considerare lo stile napoletano come il metro del gusto musicale internazionale (Tyler, 1989). Nel '700 il napoletano, allora come oggi, era nelle musiche l'unico dialetto universalmente accettato come lingua, ed i turisti stranieri rimanevano colpiti, oltre che dalle bellezze della città, dal carattere dei napoletani e dal fatto che i balli, il canto e la danza erano un costume di vita di questo popolo. Charles Burney (1771) riporta nel suo diario, alla data del 23 ottobre 1770, che nelle strade di Napoli, di notte, vi erano cantanti che, accompagnati da calascione, mandolino e violino, riempivano di suoni e canti le strade, rendendo difficoltoso il riposo!
E' quindi chiaro che in una città ove la musica era da sempre un costume di vita, si sia parallelamente sviluppata l'arte di costruire gli strumenti per far musica: mandolini, mandole, liuti, calascioni, lire, violini, chitarre, pianoforti, etc. Anche se il periodo aureo della liuteria napoletana è stato il '700, questa antica tradizione si è mantenuta nei secoli fino ai nostri giorni. Gli strumenti napoletani, antichi e moderni, sono molto apprezzati nel mondo e ciò fa onore alla nostra città.
GLI STRUMENTI MUSICALI NAPOLETANI
Le castagnelle.sono la versione povera e popolaresca delle più nobili nacchere spagnole e consistono in due piccole, cave semisfere di legno intagliato ad hoc, ma un tempo anche di osso ugualmente lavorato,esse sono legate a coppia con una fettuccia che è inforcata dal dito medio vengono azionate schiacciandole ritmicamente contro il palmo della mano, per modo che urtandosi fra di loro, producano un suono secco e schioppettante, atto ad accompagnare, quasi sempre, i passi delle danze popolari quali tarantella, saltarello ed altre consimili.il termine castagnelle o castagnette è dallo spagnolo castaňetas (che in terra iberica indicano le nacchere) quasi castagna per la forma vagamente somigliante delle castagnelle come delle nacchere al frutto del castagno.
La tammorra è propriamente l’ampio tamburo corredato di vibranti piattelli metallici posti in delle fessure ricavate sul cerchio ligneo contentivo della pelle di animale (per solito ovino) che costituisce la superficie che viene colpita, perr cavarne il suono, ritmicamente con le dita o il palmo di una mano, mentre l’altra agita lo strumento per far vibrare di più i piattelli.Versione ridotta e piu' manegevole della tammora è il tammurriello.
Lo scetavajasse tipicissimo strumento musicale popolare napoletano, che per il modo con cui è sonato fa pensare ad una sorta di violino, sebbene non abbia corde o cassa armonica di sorta; esso è essenzialmente formato da due congrue aste lignee di cui una fornita di ampi denti ricavati per incisione lungo tutta la faccia superiore dell’asta corredata altresì di numerosi piattelli metallici infissi con chiodini lungo le facce laterali della medesima asta; l’altra asta usata dal sonatore a mo’ di archetto viene fatta scorrere contro i denti della prima asta (tenuta poggiata ,quasi a mo’ di violino, contro la clavicola) per ottenerne uno stridente suono, facendo altresì vibrare ritmicamente i piattelli nel tipico onomatopeico nfrunfrù.
Il triccabballacche è tipico strumento musicale popolare usato in quasi tutta l’Italia centro –meridionale e non solo dai piccoli concertini rionali popolari, ma anche da più vaste formazioni addirittura di tipo bandistico; esso è costituito da un’ asta lignea fissa alla cui sommità insiste una testa a forma di parallelepipedo, contro cui vengono ritimicamente spinte analoghe teste di due aste mobili incerneriate alla base di quella fissa; le teste per aumentare il clangore dello strumento sono provviste dei soliti piattelli metallici.
La caccavella conosciuta anche con il nome di putipú. Tale strumento in origine era formato essenzialmente da una pentola di coccio, pentola non eccessivamente alta, ma di ampia imboccatura sulla quale era distesa una pelle d’ovino, pelle che debordando dalla bocca era fermata con stretti giri di spago, per modo che si opportunamente tendesse; al centro di detta pelle in un piccolo foro è infissa verticalmente un’assicella cilindrica (originariamente una sottile canna) che soffregata dall’alto in basso e viceversa con una pezzuola o una spugnetta bagnate permette di trasmettere le vibrazioni alla pelle che, è tesa sulla pentolina che fa da cassa di risonanza per modo che se ne ottenga il caratteristico suono ( put-pù,put-pù), vagamente somigliante a quello prodotto dal contrabbasso, suono che per via onomatopeica conduce al putipù che, come ò detto, è l’altro nome con cui è conosciuta la caccavella .
Altri strumenti da ricordare sono:-mandolino strumento notissimo il cui nome è il diminutivo di mandòla che è dal tardo latino pandura forgiata sull’omologo greco pandoýra generico strumento a corde simile al liuto.
- chitarra altro strumento notissimo, il cui nome è dal greco kithàra, attraverso il latino cìthara;
- ciaramella sorta di piffero, strumento a fiato ad ancia piccola e stretta usato come voce solista; il suo nome è probabilmente dal greco kèras che è il corno, pur esso strumento a fiato di tal che più acconciamente in luogo di ciaramella si dovrebbe dire ceramella, sempre che non si voglia seguire per ciaramella il pur percorribile latino: calamella sulla scorta di un calamus che è canna, zufolo,flauto;
- urganetto che è l’organetto ( versione povera del bandeon o bandoneon argentino, sorta di piccolissima fisarmonica a bottoni) il cui nome è dal greco: organon generico strumento anche musicale.
mandolini1
CONTINUA


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Edited by Pulcinella291 - 24/12/2018, 22:46
 
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LA SCENEGGIATA


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è una forma di rappresentazione teatrale economica venuta alla luce nel primo dopoguerra, subito dopo la disfatta di Caporetto, quando lo Stato Italiano disgustato dagli spettacoli triviali e dalle scenette a doppio senso impose la censura e forti tasse agli spettacoli di varietà. All’epoca il Regime non solo non vedeva di buon occhio le piccole compagnie girovaghe ma desiderava soprattutto opporsi all’improvvisazione, cioè a quei copioni improvvisati a cui poco interessava il teatro e la prosa, ma concepivano lo spettacolo solo come pura occasione di svago e di divertimento.
La sceneggiata fiorì dunque nel 1918 quando a Napoli “scoppiò la pace”, scrive Sergio Lori, e inizialmente nel Nord Italia essa fu intesa erroneamente come la “sceneggiatura di un film”, ossia il copione scritto di una pellicola filmica che deve essere realizzata. La sceneggiata invece “è una canzone da recitare, è la sceneggiatura dei versi di una canzone” di matrice popolare ed è proprio questa suddetta canzone, di un successo partenopeo, che dà il titolo allo spettacolo. Essa, composta da tre atti, dà luogo ad una recitazione drammatica.

La classica sceneggiata napoletana unisce in un'unica rappresentazione, come avviene nei varietà, i monologhi, il canto, la musica, il ballo e la recitazione. I motivi principali sono: l’amore, la passione, la gelosia, i valori ancestrali, l’onore, il tradimento, l’adulterio, mamme morenti, il rapporto viscerale madre-figlio, giovani nullafacenti e dissennati, la vendetta, il codice d’onore, la lotta tra il buono e “ ‘o malamente”, etc.
Attorno alla canzone drammatica viene dunque realizzato un testo teatrale in prosa avente come sfondo una trama sentimentale con il conseguente tradimento. I componimenti si ispirano dunque alla quotidianità della vita popolare e le vicende si svolgono nella povera realtà sociale dei quartieri e dei vicoli di Napoli e negli ambienti della malavita. Infatti il teatro della sceneggiata diventa un “teatro d’onore” che rispecchia tutti i dettami più sacri del codice camorristico.
Non è un caso che all’interno della sceneggiata configurano sempre tre personaggi principali che costituiscono una triangolazione isso (lui, detto anche “tenore”, è l’eroe positivo), essa (lei, è l’eroina ed è chiamata anche “prima donna di canto”) e ‘o malamente (il malavitoso, l’antagonista mascalzone cattivo).
Le parti che concorrono da supporto sono quelle affidate invece ai personaggi secondari che per l’appunto fungono da spalla, e sono: ‘a mamma (la seconda donna), portatrice di valori positivi poiché simboleggia il focolare domestico; ‘o nennillo (il fanciullo nato dalla coppia protagonista) e infine ‘o comico e ‘a comica , alle quali è affidato il repertorio comico.
La donna se non veste il ruolo della mamma è vista in maniera negativa, è una moglie fedifraga, la quale disonorando il proprio uomo lo costringe ad essere un assassino uccidendola, affinché questi abbia salvo il proprio onore, dunque ella è portatrice di valori immorali pronta a tradire il valore sacro della famiglia.
La platea ha una forte incidenza sulla scena, essa partecipa attivamente alla rappresentazione mostrando la sua adesione o il suo dissenso alla vicenda rappresentata, tanto è vero che gli attori-autori scrivevano trame tenendo ben presente i gusti del pubblico. Molte volte infatti gli spettatori rispecchiandosi nei personaggi non erano d’accordo sul finale della vicenda, allora originavano animate discussioni dove il tutto finiva con tremende risse verbali e fisiche. Lo spettatore imponeva che nella lotta tra il buono e il cattivo, tra il male e il bene a trionfare fosse sempre il buono, con il quale egli perennemente si identificava.
Verso il 1940 il genere nostrano cadde in un profondo oblio e solo dopo circa vent’anni, precisamente durante gli anni ’70 e ‘80 la sceneggiata ritrova in campo cinematografico il suo antico vigore, sia grazie all’interpretazione di Pino Mauro e sia grazie a Mario Merola, considerato appunto da tutti ‘o rre da sceneggiata .CONTINUA

Edited by Pulcinella291 - 25/5/2009, 05:49
 
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view post Posted on 31/3/2008, 14:11
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LA LINGUA NAPOLETANA
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La Lingua Napoletana è stata relegata a definirsi Dialetto a causa della contrapposizione, intercorsa fra il Re (di Napoli e di Sicilia), Federico II di Svevia, ed il Papa dell’epoca, Innocenzo IV. nel 1245. La vicenda storica narra che a seguito del rifiuto di Re Federico II, divenuto nel 1212 anche Imperatore di Germania, al Papa Innocenzo IV di non voler procedere ad un’ulteriore Crociata, dopo avervi partecipato da protagonista nella Sesta, fu da quest’ultimo scomunicato e nei cedolari legislativi, nelle bolle Statali, nei libri che s'incominciano a diffondere, intimò ai sudditi di tutta la penisola italiana e dell’allora cristianità di non utilizzare il linguaggio usato dallo scomunicato Sovrano, il Napoletano, e di servirsi bensì di quello fiorentino, il cosiddetto Latino -Volgare.
Quest’avvenimento non ha precluso al Napoletano, la lingua parlata imperante fino al 1860 in tutto il meridione nel regno appartenuto ai Borboni, di essere una delle lingue più conosciute al mondo, grazie alla diffusione delle sue meravigliose canzoni, che varcando oceani, superando interi continenti vengono cantate con parole solamente in napoletano e senza bisogno di traduzione.
Il Napoletano è una lingua, che trae origini dal latino, ma prima ancora dall’osco-sabellico, dal greco, dal linguaggio dei fenici, dal bizantino, dal francese, dallo spagnolo, negli ultimi tempi si è arricchito di vocaboli dall’inglese e perfino dall’americano, durante la seconda guerra mondiale e la conseguente occupazione di Napoli.
Una caratteristica del napoletano parlato è che spesso le vocali, se non toniche , (quando cioè non cade l’accento) e quelle utilizzate in fine di parola, non vengono pronunciate distintamente, anzi acquistano un suono indistinto, che viene definito dall’alfabeto fonico internazionale Schwa (temine antico ebraico per dire insignificante) e viene trascritto col simbolo ə (una e capovolta) per indicare che è una vocale semimuta alla francese.

UN PO' DI LEZIONE DI NAPOLETANO
Il Napoletano ('o nnapulitano) è la lingua romanza parlata nella città di Napoli e, nelle sue variazioni e contaminazioni, in Campania e in certe zone delle vicine regioni di Abruzzo, Basilicata, Calabria, basso Lazio, Marche, Molise e Puglia. È una lingua bella e dinamica e vogliamo insegnartela!.Se sei interessato nella stessa sezione di questo sito "napoli è" troverai un vocabolario napoletano ben aggiornato.

L'Italia Meridionale è conosciuta per la sua cucina, la sua musica, il suo romanticismo e la passione, in generale, che tutte queste cose riescono a generare. Purtroppo, è anche conosciuta, però, per la piaga della criminalità da cui ogni buon meridionale vuole a tutti i costi divincolarsi per dare piena libertà alle sue passioni.

Sai: anche la sola ragione del cibo è buona per imparare questa lingua!

Imparare il Napoletano può risultare difficile, dato che non esiste una grammatica standard e non c'è nessuna autorità che ne stabilisca il vocabolario e la relativa grammatica. Ci sono solo delle norme generalmente accettate e noi, in questa sezione, tratteremo, soprattutto, di quelle, avendo cura di indicarti eventuali varianti quando esse siano importanti o interessanti

ecco come si dice .
le parti del corpo='e parte do cuorpo
'a capa -testa
'o fetillo -l'ano (slang)
'o vraccio braccio
'a coscia* gamba
'e rine -schiena
'o stommëco -stomaco
'a mana mano
'a vocca bocca
'o dènte (pl. 'e diente) dente
l'uocchio occhio
'a recchia orecchio
'o dito (rìt) dita
'o pède (pl. 'e piede) piede
'o naso naso
'o dënucchio ginocchio
'o cuollo collo
'o guvëto gomito
'o mascariello guancia
'a spalla spalla
'o 'mbelliculo/ 'o velliculo ombelico
'a nasèrchia narice
'o pietto petto
'a coscia coscia
'o capetiello capezzolo
'a cascetta costato
'o bavero il mento
'o core il cuore
'a huallera lo scroto
'o fegheto il fegato
'e rine le reni
'o rëtone l'alluce
'o retill il mignolo
e'custat le costole
e'stintin l'intestino
o'pesce il pene
'a pucchiàcca la vagina
e'capill i capelli

In napoletano si usa "coscia" anche per "gamba", del resto in italiano, all'inverso, si usa gamba anche per significare "coscia".
Ricavato da "http://it.wikibooks.org/wiki/Corso_di_napoletano/Parti_del_corpo"
I SALUTI
buongiorno bonní, bongiorno
ciao ciáo, ué
buonasera bonaséra
buonanotte bonanotte
arrivederci, ci vediamo statte bbuono

Questa è solamente la forma grammaticale dei saluti napoletani. Perché, per quanto riguarda la civiltà, i Napoletani, in un saluto sono molto calorosi, quindi si avrà un saluto lunghissimo, così, ad esempio:

"Ué Genná, comme staje, 'a quantu tiempo ca nun ce sentimmo, tutto 'a posto, â casa tutt'a posto, mugliereta, mammeta, figlieta? Jammece 'a piglià nu cafè, però pav'io, nun mettere 'a mana ô portafoglio! Mamma e comme te sî fatto bello, ecc...." Il Saluto potrebbe durare ancora parecchio, essendo i Napoletani un popolo molto cordiale.

IL TEMPOè soleggiato c'e stà o sole'
fa molto caldo fa nu caver' e pazz'
pioviggina schizzichea
sta piovendo sta chiuvenn'
sta piovendo molto sta facenn nu cuofen' d'acqua
fa freddo fa friddo
fa molto freddo s' puzz' e fridd

LE STANZE DELLA CASA
a' stanza ó lietto = camera da letto

a' stanza ó baño/ o' banho = camera da bagno

a' stanza ó pranzo = camera da pranzo

a' cucina = la cucina

o' ripostijo/ o' stanzino = lo stanzino (ripostiglio)

a' stanzetta/ a' camera re criature = camera dei bambini

l'andron do palazzo/ = il cortile del palazzo

a' pixina = la piscina

o' ciardino = il giardino

l'asteco = l'attico

o' terrazzo = il terrazzo

o' balcon / o' barcon = il balcone

a' cantina / = la cantina

o' puzzo / = il pozzo

e' scale / = le scale

a' fenèsta / = la finestra

a' fenèstella / = la finestrella

o' salon / = sala da pranzo

o' corridojo / = il corridoio


Che tiempo fa?
è soleggiato- ce sta 'o sol
fa molto caldo- fa nu cavero ê pazze
pioviggina -schezzechïa
sta piovendo sta chiuvenno
sta piovendo molto -sta facenno nu cuofeno d'aqqua/se rapute 'o ciel ( o patapate e l'acqua)
fa freddo -fa friddo
fa molto freddo -fa assaje friddo


I saluti
buongiorno- bonní, bòna jurnàta
ciao -ciá, hué
buonasera -bonaséra
buonanotte bonanotte
arrivederci,- ci vediamo statte bbuono/ ce verrimmo

Edited by Pulcinella291 - 19/2/2010, 02:40
 
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'O Pazzariello
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O Pazzariello era un mestiere ambulante, saltuario e l’esercitava chi senza un lavoro, pur di guadagnare quel poco per vivere o per arrotondare, si vestiva bizzarramente con abiti del tipo da Generale Borbonico, (ossia indossava una marsina con bordi argentati, una camicia con svolazzi nascosta da un panciotto di color rosso fuoco, da brache colorate a strisce bianche e nere, che a mezza gamba poggiavano su calzettoni, color rosa, sgargianti, calzava, poi, scarpe con ghette e per copricapo portava una feluca inghirlandata e per darsi un po’ di tono sul petto della marsina aveva appuntato patacche senza valore, come fregi.)
O Pazzariello si presentava in pubblico impugnando in una mano un bastone dorato e nell’altra, bene in vista, un fiasco di vino, o altri prodotti di prima necessità (pane, pasta) che andava pubblicizzando per conto di una nuova “Cantina” (Osteria) o di una nuova "Puteca" (negozio alimentare).
In realtà il vecchio Pazzariello fu l’antesignano degli attuali imbonitori pubblicitari e si può definire un banditore, che, vestito di variopinte uniformi, per le vie della città informava il popolo dell’apertura di nuovi negozi recitando e cantando filastrocche, accompagnato da una sua piccola banda di suonatori, generalmente, un tamburino, un putipù, uno scetavajasse e un triccheballacche.

Edited by Pulcinella291 - 25/5/2009, 05:57
 
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IL SALONE MARGHERITA
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Venne inaugurato il 15 novembre 1890 nella Galleria Umberto I alla presenza della créme cittadina: principesse, contesse, uomini politici e giornalisti come Matilde Serao presenziarono alla prima del nuovo locale che divenne il simbolo della Belle époque italiana.

L'idea fu vincente e ricalcò totalmente il modello francese, persino nella lingua utilizzata: non solo i cartelloni erano scritti in francese, ma anche i contratti degli artisti e il menu. I camerieri in livrea parlavano sempre in francese, così come gli spettatori. Gli artisti, poi, fintamente d'oltralpe, ricalcavano i nomi d'arte in onore ai divi e alle vedettes parigine.

Solitamente gli spettacoli proposti erano presentati in successione, con un intervallo tra primo e secondo tempo del susseguirsi di rappresentazioni. Solo verso la fine del primo tempo qualche personaggio noto appariva in scena, ma il clou veniva raggiunto al termine, quando il divo eseguiva il suo numero
Forse, quelli che qui vengono riscoperti e rivissuti furono gli anni in cui Napoli si illuse di aver riconquistato, se non altro in apparenza, il suo antico rango di capitale.
Quegli anni, posti nel giusto centro della Belle Epoque, coincisero anche col fiorire e col prosperare del Salone Margherita, primo e massimo cafè-chantant italiano.
Il suo successo fu tale che i ricchi sfaccendati di tutta Italia preferivano, quando erano in vena di divertirsi, Napoli a Parigi. A Napoli, sul palcoscenico del Salone Margherita, appunto, essi potevano ammirare le stesse bellissime dive che avevano fatto la fama mondana di Parigi, dalla Belle Otero e Cléo de Mérode alla Fougére e Lina Cavalieri.
Il Salone Margherita iniziò il suo declino negli anni che precedettero la grande guerra, ma l'autore ne segue gli eventi fino alla definitiva chiusura, avvenuta nel 1982.

LA PORCELLANA DI CAPODIMONTE
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La porcellana di Capodimonte è un tipo di porcellana ottenuta con una antica tecnica scultorea di forgiatura e decorazione a mano.

Il nome di tale tecnica scultorea risale alle sue origini. Quest'arte infatti è nata a Napoli, nella zona collinare di Capodimonte a metà del Settecento quando il re spagnolo Carlo di Borbone e sua moglie la regina Maria Amalia di Sassonia fondarono la Real Fabbrica di Capodimonte. Le opere create dai vari artisti sono oggi conservate nel famosissimo Museo di Capodimonte.
Nel 1743 a Napoli, durante la dominazione borbonica il re Carlo e sua moglie, la regina Maria Amalia di Sassonia fondano all'interno della famosa Reggia di Capodimonte, oggi Museo, la Real Fabbrica dando inizio ad una tradizione che non è mai finita.

La porcellana che si produce in questa zona ha delle caratteristiche peculiari he la contraddistinguono dalla porcellana nord europea. Al sud Italia ,infatti, non c'è il caolino pertanto l'impasto si compone di una fusione di varie argille provenienti dalla cave del sud miste al feldspato. Ne deriva un impasto tenero che da origine ad un nuovo stile.

Le figure di spicco in quegli anni sono sicuramente lo scultore Giuseppe Gricci, il decoratore Giovanni Caselli ed il chimico Livio Vittorio Schepers che perfezionò la composizione dell'impasto.

La porcellana "tenera" durante la cottura si ritira di circa il 20%, perciò se da una parte si perdono le dovizie dei dettagli tipici della porcellana nord europea dall'altra ritroviamo uno stile unico ed inconfondibile pervaso da un'armonia strutturale naturalista.

La massima espressione dell'abilità scultorea degli artisti del Capodimonte è il Salottino di porcellana creato dallo scultore Giuseppe Gricci per la regina Amalia.

Edited by Pulcinella291 - 25/5/2009, 06:10
 
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Real Teatro di San Carlo,
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meglio noto come Teatro San Carlo, è il più importante teatro della città di Napoli ed uno fra i più celebri del mondo.

È il più antico teatro lirico d'Europa, fra quelli oggi esistenti, ed è il più grande teatro italiano. Riconosciuto dall'UNESCO come patrimonio dell'umanità, può ospitare tremila spettatori e conta cinque ordini di palchi disposti a ferro di cavallo, più un ampio palco reale ed un palcoscenico lungo circa trentacinque metri.

Edited by Pulcinella291 - 25/5/2009, 06:12
 
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view post Posted on 6/5/2008, 09:22
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NAPOLI E LE CHIESE
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Forse non tutti sanno che a Napoli ci sono piu' chiese che a Roma .Il numero delle chiese e dei conventi costruite nella città fino al secolo XIX fu altissimo: ogni corporazioni, ogni ordine religioso, ogni principe e ogni casata nobile voleva costruire una sua chiesa con annesso convento, più splendida possibile, in gara con tutti gli altri. Dopo l’unita d’Italia la maggior parte dei conventi, che erano davvero in numero eccessivo, passarono di proprietà dello Stato che li usò come edifici pubblici, quasi sempre come scuole.

Le chiese in parte furono abbandonate e sconsacrate, qualcuna anche abbattuta e fra queste anche qualcuna artisticamente rilevante.

Nel centro storico tuttora le chiese di grande valore artistico e storico sono in numero altissimo, costruite ciascuna a pochi metri dalle altre, solo per citarne alcune ricordiamo :
Chiesa di Sant'Agostino alla Zecca
Chiesa di Sant'Agrippino a Forcella
Santuario delle Ancelle del Sacro Cuore
Complesso di Sant'Andrea delle Dame (Napoli)
Chiesa di Sant'Angelo a Nilo
Chiesa di Sant'Angelo a Segno
Chiesa di Sant'Agnello Maggiore a Caponapoli
Chiesa di Sant'Anna a Capuana
Chiesa di Sant'Anna alle Paludi
Chiesa di Sant'Anna dei Lombardi
Chiesa di Sant'Anna di Palazzo
Basilica della Santissima Annunziata Maggiore
Chiesa di Sant'Antonio a Tarsia
Chiesa di Sant'Antonio Abate (Napoli)
Complesso di Sant'Antonio delle Monache a Port'Alba
Chiesa di Sant'Antonio a Posillipo
Chiesa dei Santi Apostoli (Napoli)
Chiesa di Sant'Arcangelo a Baiano
Chiesa di Sant'Arcangelo agli Armieri
Chiesa dell'Ascensione a Chiaia
Chiesa di Sant'Aspreno ai Crociferi
Chiesa di Sant'Aspreno al Porto
Chiesa dell'Ave Gratia Plena
B
Chiesa di San Bartolomeo (Napoli)
Chiesa di San Benedetto (Napoli)
Chiesa dei Santi Bernardo e Margherita a Fonseca
Chiesa dei Santi Bernardo e Margherita
Chiesa di San Biagio Maggiore
Chiesa di San Biagio ai Taffettanari
Chiesa di San Bonaventura (Napoli)
Chiesa di Santa Brigida
C
Chiesa di San Carlo all'Arena
Chiesa di San Carlo alle Mortelle
Chiesa del Carminiello ai Mannesi
Chiesa di Santa Caterina a Chiaia
Chiesa di Santa Caterina a Formiello
Chiesa di Santa Caterina da Siena
Chiesa di Santa Caterina della Spina Corona
Cattedrale di Napoli
Basilica di Santa Chiara (Napoli)
Chiesa Anglicana (Napoli)
Chiesa della Compagnia della Disciplina della Santa Croce
Oratorio della Confraternita dei Bianchi
Chiesa dei Santi Cosma e Damiano a Porta Nolana
Chiesa dei Santi Cosma e Damiano ai Banchi Nuovi
Chiesa dei Santi Cosma e Damiano a Secondigliano
Chiesa di Santa Croce al Mercato
Chiesa della Croce di Lucca (Napoli)
Chiesa di Santa Croce di Palazzo
Chiesa della Concezione al Chiatamone
D
Chiesa dei Santi Demetrio e Bonifacio
Chiesa di San Diego all'Ospedaletto
Chiesa del Divino Amore
Chiesa di San Domenico Maggiore (Napoli)
Chiesa di San Domenico in Soriano
E
Chiesa dell'Ecce Homo al Cerriglio
Monastero di Sant'Eframo Nuovo
Chiesa di Sant'Eframo Vecchio
Chiesa di Sant'Eligio Maggiore
Chiesa di Sant'Eligio dei Chiavettieri
Complesso dell' Eremo dei Camaldoli
F
Chiesa di San Ferdinando (Napoli)
Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo
Complesso di San Francesco degli Scarioni (Napoli)
Chiesa di San Francesco dei Cocchieri
Complesso di San Francesco delle Cappuccinelle
F cont.
Chiesa di San Francesco delle Monache
Basilica di San Francesco di Paola (Napoli)
Chiesa dei Santi Francesco e Matteo
G
Complesso di San Gaudioso
Basilica di San Gennaro fuori le mura
Chiesa di San Gennaro a Sedil Capuano
Chiesa di San Gennaro ad Antignano
Chiesa di San Gennaro all'Olmo
Chiesa del Gesù Nuovo
Basilica Santuario del Gesù Vecchio dell'Immacolata di Don Placido
Chiesa del Gesù delle Monache
Complesso di Gesù e Maria
Pontificia Reale Basilica di San Giacomo degli Spagnoli
Chiesa di San Gioacchino a Pontenuovo
Chiesa di San Giorgio Maggiore (Napoli)
Chiesa di San Giorgio Martire
Chiesa di San Giorgio dei Genovesi
Chiesa di Santa Maria del Rosario a Portamedina
Chiesa di San Giovanni Battista (Chiaiano)
Chiesa di San Giovanni Battista delle Monache
Chiesa di San Giovanni Battista (Marianella)
Chiesa di San Giovanni Maggiore (Napoli)
Chiesa di San Giovanni a Carbonara
Chiesa di San Giovanni a Mare
Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini (Napoli)
Chiesa dei Santi Giovanni e Teresa
Chiesa dei Girolamini
Chiesa di San Girolamo delle Monache
Chiesa di San Giuseppe a Chiaia
Chiesa di San Giuseppe dei Nudi
Chiesa di San Giuseppe dei Ruffi
Chiesa di San Giuseppe dei Vecchi
Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo
Chiesa dei Santi Giuseppe e Cristoforo
Chiesa di San Gregorio Armeno
I
Chiesa dell'Immacolata e San Vincenzo
Basilica dell'Incoronata Madre del Buon Consiglio
L
Basilica di San Lorenzo Maggiore
Chiesa di Santa Lucia a Mare
Complesso di Santa Lucia al Monte
M
Chiesa Madre di Poggioreale
Chiesa dei Santissimi Marcellino e Festo
Chiesa dei Santi Marco e Andrea a Nilo
Chiesa di Santa Maria dell'Aiuto
Chiesa di Santa Maria Ancillarum
Chiesa di Santa Maria degli Angeli alle Croci
Chiesa di Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone
Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco
Chiesa di Santa Maria Antesaecula
Chiesa di Santa Maria Apparente
Chiesa di Santa Maria dell'Arco
Chiesa di Maria Santissima Assunta in Cielo
Chiesa di Santa Maria Assunta dei Pignatelli
Chiesa di Santa Maria Avvocata
Chiesa di Santa Maria di Bellavista
Ex abbazia di Santa Maria a Cappella Vecchia
Chiesa di Santa Maria di Caravaggio
Basilica Santuario di Santa Maria del Carmine Maggiore
Chiesa di Santa Maria della Catena
Chiesa di Santa Maria la Colonna
Chiesa di Santa Maria della Concezione a Montecalvario
Chiesa di Santa Maria della Concordia
Chiesa di Santa Maria della Consolazione (Napoli)
Complesso di Santa Maria della Consolazione
Chiesa di Santa Maria in Cosmedin (Napoli)
Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli
Chiesa di Maria Santissima Desolata
M cont.
Chiesa di Santa Maria Donnalbina
Chiesa di Santa Maria Donnaregina
Chiesa di Santa Maria Donnaregina Nuova (Napoli)
Chiesa di Santa Maria Donnaromita
Chiesa di Santa Maria Egiziaca a Forcella
Chiesa di Santa Maria Egiziaca a Pizzofalcone
Chiesa di Santa Maria del Faro
Chiesa di Santa Maria della Fede
Chiesa di Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe
Chiesa di Santa Maria di Gerusalemme
Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Capodimonte
Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli
Chiesa di Santa Maria delle Grazie (Piazzetta Mondragone)
Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Toledo
Chiesa di Santa Maria Incoronata
Chiesa di Santa Maria la Nova
Chiesa di Santa Maria Maddalena delle Convertite Spagnole
Chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta
Complesso di Santa Maria di Materdei
Chiesa di Santa Maria Materdomini
Chiesa di Santa Maria della Mercede e Sant'Alfonso Maria de' Liguori
Chiesa di Santa Maria della Mercede a Montecalvario
Chiesa di Santa Maria dei Miracoli (Napoli)
Complesso di Santa Maria della Misericordia
Chiesa di Santa Maria di Montesanto
Chiesa di Santa Maria di Monteverginella
Complesso di Santa Maria dei Monti
Basilica Santuario di Santa Maria della Neve
Chiesa di Santa Maria della Neve in San Giuseppe
Chiesa di Santa Maria ad Ogni Bene dei Sette Dolori
Chiesa di Santa Maria Ognibene
Chiesa di Santa Maria della Pace (Napoli)
Chiesa di Santa Maria del Parto a Mergellina
Basilica di Santa Maria della Pazienza o Cesarea
Chiesa di Santa Maria dei Pazzi
Complesso di Santa Maria delle Periclitanti
Chiesa di Santa Maria di Piedigrotta
Chiesa di Santa Maria del Popolo (Napoli)
Chiesa di Santa Maria in Portico
Chiesa di Santa Maria di Portosalvo
Chiesa di Santa Maria della Purità
Chiesa di Santa Maria Regina Coeli
Chiesa di Santa Maria del Rosario alle Pigne
Chiesa di Santa Maria della Salute
Basilica di Santa Maria della Sanità
Chiesa di Santa Maria della Sapienza
Chiesa di Santa Maria del Soccorso all'Arenella
Chiesa di Santa Maria del Soccorso a Capodimonte
Chiesa di Santa Maria della Solitaria
Chiesa di Santa Maria della Speranza
Chiesa di Santa Maria della Stella alle Paparelle
Chiesa di Santa Maria della Stella
Chiesa di Santa Maria Succurre Miseris dei Bianchi
Chiesa di Santa Maria Succurre Miseris ai Vergini
Chiesa di Santa Maria dei Vergini
Chiesa di Santa Maria della Verità
Chiesa di Santa Maria Vertecoeli
Chiesa di Santa Maria della Vittoria (Napoli)
Chiesa di Santa Marta (Napoli)
Certosa di San Martino
Chiesa di San Michele Arcangelo (Napoli)
Chiesa dei Santi Michele ed Omobono
Chiesa della Missione ai Vergini
Chiesa di Santa Monica (Napoli)
N
Chiesa di San Nicola a Nilo
Chiesa di San Nicola alla Carità
Chiesa di San Nicola da Tolentino (Napoli)
Chiesa di San Nicola dei Caserti
Chiesa della Nunziatella
O
Chiesa di Sant'Onofrio dei Vecchi
Chiesa di Sant'Onofrio alla Vicaria
Chiesa di Sant'Orsola a Chiaia
P
Chiesa di San Pantaleone
Basilica di San Paolo Maggiore
Chiesa di San Pasquale a Chiaia
Chiesa di Santa Patrizia
Chiesa dei Santi Pellegrino ed Emiliano
Basilica di San Pietro ad Aram
Chiesa di San Pietro a Majella
P cont.
Chiesa di San Pietro Martire (Napoli)
Chiesa dei Santi Pietro e Paolo (Napoli)
Chiesa dei Santi Pietro e Paolo dei Greci
Chiesa della Pietà dei Turchini
Pio Monte della Misericordia
Chiesa di San Potito
R
Chiesa di San Raffaele
Chiesa Regina Paradisi
Basilica di Santa Restituta
Chiesa di San Rocco (Napoli)
S
Sacro Tempio della Scorziata
Chiesa dei Santi Severino e Sossio
Chiesa di San Severo fuori le mura
Chiesa di San Severo al Pendino
S cont.
Chiesa della Sommaria
Basilica dello Spirito Santo (Napoli)
Chiesa di Santo Strato a Posillipo
Complesso monastico di Suor Orsola Benincasa
T
Chiesa di Santa Teresa a Chiaia
Chiesa di Santa Teresa degli Scalzi
Chiesa di San Tommaso a Capuana
Chiesa della Santissima Trinità delle Monache
Chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini
Chiesa della Santissima Trinità degli Spagnoli
V
Chiesa di San Vitale Martire
Casa del Volto Santo

Edited by Pulcinella291 - 25/5/2009, 06:17
 
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LE PIAZZE DI NAPOLI

Le piazze di Napoli hanno un notevole valore artistico, storico, architettonico e turistico; la loro storia accompagna quella della città da secoli, da sempre sono parte integrante della vita cittadina, dai mercati o dai grandi eventi pubblici e politici, costituiscono un ulteriore elemento di fascino della città.

Di seguito una lista delle principali piazze monumentali di Napoli:
Indice [nascondi]
1 Piazza del Municipio (P. Castello)
2 Piazza Bellini
3 Piazza dei Martiri (P. della Pace)
4 Piazza Sannazaro
5 Piazza Piedigrotta
6 Piazza Cavour
7 Piazza della Vittoria
8 Piazza del Mercato
9 Piazza del Gesù Nuovo
10 Piazza della Repubblica
11 Piazza del Plebiscito (P. Santo Spirito)
12 Piazza San Gaetano
13 Piazza Dante
14 Piazza Carlo III
15 Piazza Trieste e Trento
16 Piazza San Domenico Maggiore
17 Piazza Nilo
18 Largo Monteoliveto
19 Piazza Garibaldi


PIAZZA PLEBISCITO E LA SUA STORIA
è forse la piu' famosa. La Piazza del Plebiscito di Napoli fu per secoli uno slargo irregolare, dove si svolgevano le feste popolari attorno alle cosiddette macchine da festa, che venivano periodicamente innalzate da grandi architetti (famose quelle di Ferdinando Sanfelice e di Francesco Maresca). Solo dall'inizio del Seicento in poi fu gradatamente "regolarizzata", anche a causa della costruzione del nuovo Palazzo Reale, opera di Domenico Fontana.Il primo intervento significativo nel percorso formativo della contemporanea piazza si ebbe nel 1600, quando nella vasta area tra Santa Lucia e Castel Nuovo, fu costruito in luogo del vecchio palazzo vicereale il maestoso Palazzo Reale per volere del viceré conte di Lemos allo scopo di offrire una degna ospitalità all'allora sovrano di Spagna, Filippo III. La facciata, su progetto di Domenico Fontana, delimitò il perimetro basso di quello che venne ribattezzato “Largo di Palazzo” . La Piazza restava comunque molto caotica. La disposizione davanti a Palazzo Reale era poco dignitosa e molto disordinata, il tutto reso ancor più caotico dai palazzi che si affacciavano da Pizzofalcone. Nel settecento, la facciata del palazzo mutò l’aspetto originale in quello attuale su modifiche dettate da Luigi Vanvitelli allo scopo di fortificare l'edificio. Le arcate erano tutte aperte e questo rendeva la struttura poco solida. L’architetto ne chiuse metà, creando una successione alternata di arcate aperte e nicchie murate, in cui non erano però ancora inserite le statue dei sovrani della città.
Nel 1775, nell’ottica di diminuzione dei possedimenti clericali nel Regno, Ferdinando di Borbone fece abbattere il monastero di Santa Croce per far posto all’attuale “Palazzo del Principe di Salerno Ma fu solo all'inizio dell'Ottocento, durante il periodo napoleonico, che la piazza cambiò completamente volto. Per ordine dei monarchi francesi, essa fu interamente ridisegnata e ripensata: furono demoliti i troppi edifici religiosi che ne limitavano lo spazio ed impedivano di inserirla al meglio nel contesto urbano circostante ed in luogo di essi vennero eretti palazzi di stato, a cornice del famoso emiciclo dorico in pietra lavica e marmo, voluto da Gioacchino Murat su disegno di Leopoldo Laperuta, al centro del quale avrebbe dovuto essere un altro edificio civile, consacrato ai fasti dei napoleonidi. Al centro del colonnato spicca la Basilica di San Francesco di Paola, che ne è l'elemento dominante e fu eretta da Ferdinando I, come ex voto per aver riconquistato il regno dopo il decennio di dominio francese. Isolate sulla piazza, di fronte alla Basilica, s'innalzano le statue equestri di Carlo III di Borbone e di Ferdinando .

Piazza del Municipio (P. Castello)
La piazza è una delle più grandi d'Europa, di forma semi-rettangolare, è abbellita grazie alla presenza di Castel Nuovo, mentre sul lato orientale vi è il teatro Mercadante. La piazza si trova in prossimità del porto, storicamente, fu teatro di grandi partenze di massa (gli emigranti che giunti a Napoli, partivano per Le Americhe). Oggi, segue ancora la sua vocazione storica: è uno dei luoghi del potere della città, su di essa anche il Palazzo San Giacomo (il MUNICIPIO)voluto da Ferdinando I di Borbone, nell'interno, la Pontificia Real Basilica di San Giacomo degli Spagnoli.

Edited by Pulcinella291 - 15/3/2012, 07:57
 
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LE FESTE DI NAPOLI

LA FESTA DEI GIGLI
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La Festa dei Gigli si tiene ogni anno a Nola, in Provincia di Napoli, per celebrare il ritorno in città del Vescovo Ponzio Meropio Paolino (353 - 431 d.C.) dalla prigionia ad opera dei barbari.

La leggenda vuole che il popolo nolano accogliesse il suo Vescovo con dei fiori, dei gigli, raccolti nelle campagne e che, alla testa dei gonfaloni delle antiche corporazioni di mestieri, lo scortasse dalle rive di Oplonti (l'attuale Torre Annunziata) fino alla sede Vescovile.

In memoria di quell'avvenimento, i Nolani hanno tributato nei secoli la loro devozione a San Paolino, portando in processione ceri e fiori prima su strutture rudimentali, poi su apposite costruzioni denominate cataletti e infine su torri piramidali, che nel XIX secolo hanno assunto l'attuale altezza di 25 metri con base cubica di tre metri di lato per un peso complessivo di oltre venti quintali, ricoperte di tradizionali decorazioni in cartapesta, secondo temi religiosi, storici o d'attualità.

Tali costruzioni, denominate per l'appunto Gigli, complesse opere architettoniche realizzate dagli artigiani locali, vengono portate in processione al ritmo di canzoni e musiche composte ogni anno appositamente per la festa, oltre a rivisitazioni di brani appartenenti alla tradizione musicale napoletana ed italiana. Gruppi di oltre 100 uomini, che assumono il nome di paranza, sollevano a spalla i Gigli attraverso appositi supporti di legno denominati "varre" e "varrielli" fissati alla base della struttura.


LA FESTA DI PIEDIGROTTA
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Le radici della Piedigrotta affondano nel passato più mistico e simbolico
di Napoli.
Risalgono ai baccanali erotici, ai misteri lascivi che si celebravano di
notte a ritmo di canti osceni intorno al simulacro del dio Priapo.Una festa legata visceralmente a due luoghi simbolo della città: la Cripta
Neapolitana, in cui si celebravano le orge in onore di Priapo e il
Santuario di Piedigrotta che sostituì, una volta cristianizzato il culto,
la più antica cappella pagana situata nella grotta.

Nella chiesa fu posta la statua della Vergine che, secondo la leggenda, fu
trovata seguendo le indicazioni date in sogno dalla Madonna stessa a tre
differenti persone, l´8 settembre del 1353. il Seicento il secolo d´avvio ufficiale della festa.´ in questo periodo che si sviluppa la pratica religiosa dei nove sabato
di Santa Maria di Piedigrotta. Gruppi di devoti arrivano in pellegrinaggio,
anche dalle zone limitrofe. Tanti a piedi scalzi, per chiedere un miracolo
o per grazia ricevuta: donne desiderose di trovare marito o restare
incinte, madri preoccupate per i propri figli lontani in mare, marinai
grati per pericoli scampati. Per i primi anni la festa si celebra nella
grotta, in seguito si allarga alla villa comunale. Si prega, si mangia, si
canta, si balla. E´ un inno alla vita, insomma, prima dell´arrivo
dell´inverno.Nell´Ottocento, dopo la caduta dei Borbone, dalla festa scompaiono le
sfilate militari che per circa due secoli ne avevano disegnato il profilo
“civile”.a Piedigrotta va avanti con il pellegrinaggio religioso, i giochi
pirotecnici da terra e da mare, le luminarie, le bancarelle.Nel 1835 prende forma la Piedigrotta canora che offre alla melodia
partenopea il suo trampolino di lancio.

Il ritornello della canzone “Io te voglio bbene assaje” diventa il must del
Regno, le note di “Fenesta vascia”, “Michelemmà” insieme a tante altre,
salpano dal Golfo per approdare in America e in Australia.L´unità d´Italia, con il perduto ruolo di capitale, alimentò la nostalgia
partenopea e il rifugiarsi nella lingua degli avi. In questi anni nacque la
canzone classica napoletana. E Piedigrotta diventò davvero un
moltiplicatore di successo e forse persino il luogo di un confronto fra gli
ultimi depositari della vena popolare e il nuovo multiforme ceto di
canzonieri.

LA FESTA DI S.VINCENZO ALLA SANITA'

Processione in occasione delle festività di S. Vincenzo Ferreri detto: 'O Munacone.
La Festa di S. Vincenzo, nasce nel 1878 ed è dedicata a San Vincenzo Ferreri: ‘o Munacone, nato a Valenza nel 1350,
Si svolge nel popoloso e popolare quartiere della Sanita'.Per anni questa festa è stata caratterizzata dalla presenza di numerosi cantanti non solo partenopei ma anche di popolarita' nazionale, che a quanto pare , la cosa non è poi tanto sicura si esibivano gratis per devozione al Santo.
Il santo è venerato nella basilica di Santa Maria della Sanità che si presenta come un affascinante palinsesto artistico, che va dalle preesistenze cimiteriali di età paleocristiana alle prime significative affermazioni monumentali su pianta circolare dell’architettura controriformata, allo sviluppo artistico d’età moderna, all’artigianato plastico ottocentesco, fino alla recente acquisizione di opere contemporanee
.

Edited by Pulcinella291 - 20/6/2009, 03:43
 
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SAN GENNARO PER I NAPOLETANI
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San Gennaro è, senza dubbio, una delle figure più famose nel panorama partenopeo e si può tranquillamente affermare che è noto e venerato in tutto il mondo.
La vicenda che vide coinvolto Gennaro, avveniva nella prima metà del III° secolo, in piena persecuzione cristiana da parte di Diocleziano.La vicenda che vide coinvolto Gennaro, avveniva nella prima metà del III° secolo, in piena persecuzione cristiana da parte di Diocleziano.
A quei tempi, Gennaro, vescovo di Benevento si recò a Pozzuoli per fare visita ai fedeli e qui trovò il martirio per ordine del giudice anticristiano Dragonzio. San Gennaro non significa soltanto devozione religiosa nei confronti di un santo prestigioso.
Esso rappresenta anche un punto di riferimento per credenze popolari, moltissime delle quali pure superstizioni.

IL GIOCO DEL LOTTO PER I NAPOLETANI
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Napoli è la città del folklore e del gioco che ha sempre avuto schiere infinite di adepti di ogni estrazione sociale. Basti pensare alla fortuna del lotto, il gioco genovese cinquecentesco, che trapiantato a Napoli ha creato attorno a sé una vera e propria mitologia, una vera filosofia.
Il popolo di Napoli credeva tanto ciecamente che ogni cosa avesse un riferimento nel lotto che il governo era costretto a sospendere le scommesse su fatti di cronaca troppo giocati per non rischiare il fallimento delle casse detto Stato. Gioco basato sul libro della Smorfia (probabilmente da Morfeo, il Dio del sogno) che spiega i sogni e che indica tutti i numeri che corrispondono a personaggi e avvenimenti della vita quotidiana. Ogni napoletano sa che la smorfia è una chiave per tradurre sogni o eventi in numeri da giocare al lotto, e che Smorfia è anche un libro, da consultare per conoscere la chiave.Napoli paese di magia, di superstizioni e numeri ha un forte legame con il gioco del lotto, e sebbene tale gioco si è diffuso tardi nella nostra città, solo nel 1682, Napoli è pur sempre stata considerata la capitale del banco lotto.

Il gioco del lotto è nato a Genova nel 1539 dalle scommesse illegali che si facevano sui novanta nomi dei candidati che sarebbero usciti dalle urne per le elezioni al Senato e da allora nei secoli a seguire è stato fortemente ostacolato dalla Chiesa e dalle autorità governative in quanto ritenuto un gioco pericoloso e immorale. Persino noti personaggi storici lo abolirono, tra cui Vittorio Amedeo II nel 1713 e Giuseppe Garibaldi nel 1860. Ma, successivamente per far fronte alla continua crisi finanziaria il governo decise di legalizzarlo per trarne i dovuti profitti e dal 1817 fu stabilito che le estrazioni avvenissero ogni sabato.

[size=7]IL GIOCO DELLE TRE CARTE[/size
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Chi ha modo di frequentare con assiduità la stazione centrale di Napoli avrà certo notato, almeno una volta, nella limitrofa fermata della metropolitana, un gruppetto di abilissimi esecutori di questo gioco.
Si tratta di una manciata di uomini, per lo più di mezz'età, accalcati intorno a un tavolino.
Dietro al tavolo sta un signore piuttosto anziano, che muove rapidissimo tre tavolette di legno, ciascuna circondata da un elastico nero.
Su una faccia le tavolette sono tutte uguali, sull'altra ciascuna ha incollata una carta da poker, due nere e una rossa.
Dopo che il signore ha mescolato le tavolette, le persone circostanti puntano sotto quale di esse si nasconde quella rossa.
C’ è il compare che cerca di attirare l’attenzione del “fesso” di turno scommettendo sulla carta vincente.
Il compare vince.
Il fesso no.

Edited by Pulcinella291 - 20/6/2009, 03:48
 
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A NAPOLI LA PRIMA FERROVIA D'EUROPA
La Napoli-Portici fu la prima linea ferroviaria costruita in Italia. Il giorno della sua inaugurazione, il 3 ottobre 1839, era costituita da un unico binario che si snodava per 7,250 chilometri.La costruzione venne fortemente voluta da Ferdinando II di Borbone per dimostrare l'importanza del Regno delle Due Sicilie e per apparire, allo stesso tempo, un sovrano illuminato ed aperto al progresso. Nel 1836 venne firmata una convenzione con cui si concedeva all'ingegner Armando Giuseppe Bayard de la Vingtrie, la concessione per la costruzione in quattro anni di una linea ferroviaria da Napoli a Nocera Inferiore con la priorità per il tratto fino a Granatello di Portici. L'anno seguente venne costituita a Parigi una Società in nome collettivo e una in accomandita per gli azionisti. Al momento fatidico, alle ore 10 del 3 ottobre del 1839, alla presenza del re Ferdinando e delle più alte cariche dello Stato vi fu la partenza del primo treno composto da una locomotiva di costruzione Longridge e da otto vagoni. Il percorso venne compiuto in nove minuti e mezzo tra ali di gente stupita e festante. La locomotiva che trainava il treno era stata battezzata "Vesuvio".

Edited by Pulcinella291 - 11/12/2009, 05:12
 
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LA POSTEGGIA
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I posteggiatori sono figure inscindibili dalla storia e dalla cultura di Napoli: per sette secoli menestrelli, musici e cantori hanno vissuto tra il Vesuvio e il mare, spesso viaggiando in paesi lontani per poi tornare ricchi di bei ricordi ma sempre poveri di risorse economiche. Le origini e lo sviluppo della canzone napoletana sono legati a filo doppio con l'arte "di strada" dei posteggiatori, umili e sconosciuti propagatori di poesie e melodie non di rado destinate all'immortalità.La loro arte ha punteggiato i secoli d'oro della canzone di Napoli .Certo i posteggiatori napoletani furono gli strenui rappresentanti di una tradizione che ha un posto incancellabile nella storia delle espressioni poetiche e musicali della cultura popolare dell'Europa mediterranea.Questi cantori girovaghi si organizzarono spontaneamente tra il Vesuvio e Posillipo già intorno al settecento dando vita alla mobilissima quanto poverissima arte della Posteggia.
Dalle taverne del seicento alle osterie e poi le trattorie ed ai ristoranti ed ai salotti privati per proporre i pezzi classici del repertorio di canzoni napoletane, comprese le divertenti “canzoni di macchietta”.
A muovere questi suonatori erano certamente la passione unita alla necessità, in quanto si trattava di un mestiere poverissimo ed a volte anche con risvolti amari.
Molti dei più illustri compositori ed artisti napoletani facevano i posteggiatori: basti pensare a Giovanni Capurro, autore nel 1883 di “O sole mio”.
I Posteggiatori quindi, pur esercitando questo “mestiere” per pochi spiccioli, rappresentano strenuamente una tradizione popolare che ha un suo posto incancellabile nella storia della musica e della poesia dell’Europa Mediterranea.
A Napoli e nel golfo, entrando in qualche vecchia trattoria, vi può capitare ancora oggi di imbattervi in un posteggiatore che, avvicinandosi al vostro tavolo, dedicherà qualche dolce melodia napoletana alla vostra signora e vi intratterrà per un po’ di tempo… chiamatelo maestro: lo avrete fatto felice!
L’arte dell’intrattenimento.

la trattazione della posteggia non può prescindere dalle taverne delle quali Napoli, in tutte le epoche, ha avuto un nutrito e variegato campionario: Ben 212 se ne contavano nel 1669 quando il Marchese di Crispano dovette, per incarico reale, redigere un elenco per meglio quantificare le tasse dovute (siamo alle solite…) sulla vendita del vino a minuto .

Dapprima erano gli intrattenimenti di tipo popolare e diremmo così
“di piazza”, esecuzioni di canti popolari, agricoli o religiosi, che fornivano l’occasione per fare musica e canti corali o pseudo concerti; quando il cantatore o la canterina erano famosi e stimati.

-“ Tradizione antichissima ha la Posteggia. Si potrebbe far risalire la sua origine al greco RAPSODO e, via via, ai latini JACULATORES, ai medioevali TROVIERI e MENESTRELLI. Essa è, insomma, l’erede degli antichi cantori girovaghi, che portavano dalla Corte e dal Castello i canti al popolo dei borghi e delle campagne e, viceversa, i canti del popolo portavano alla Città ed alla Corte”: questa la bella sintesi di Sebastiano di Massa .

Con l’andare del tempo questa forma di intrattenimento divenne un vero e proprio lavoro; d’altra parte non aveva già cominciato, in epoche remote, il grande Omero ad esercitare una antesignana posteggia? Non facciamo facili parallelismi, (…la classe non è acqua), ma certamente senza questi precursori la posteggia non sarebbe mai assurta a vera forma d’arte; poiché è proprio di questo che si tratta.

Una bella nota di storico colore sulla posteggia può essere rappresentata dalla Corporazione riconosciuta dall’Eletto del Popolo nel 1569 che anticipava di secoli la nascita della solidarietà corporativa: Infatti i musicisti “ambulanti” consociati potevano fruire di una indennità di malattia, premi di nuzialità e perfino il diritto di sepoltura a spese della Corporazione. Disponevano anche di una sede al Molo nelle adiacenze della chiesa di San Nicola alla Carità.

I protagonisti, primi al mondo, riusciti in questa impossibile impresa, (che sarà negata ancora per lunghissimo tempo ai musicisti colti), furono: Masto Roggiero, Cumpà Junno, Muchio, Mase, Ciullo(Giulio)‘o surrentino, Giovanni Leonardo Primavera detto Giallonardo dell’Arpa, Sbruffapappa il più geniale artista del tempo, lo Cecato de Potenza e molti altri. Rapportata ai tempi non è cosa da poco, anzi invero eccezionale.

Un'altra caratteristica di questa categoria di musici era la “Parlèsia” una vera e propria lingua che si erano inventati per poter liberamente parlare davanti ai clienti senza dare loro nessuna possibilità di essere intesi.

Le ultime generazioni di posteggiatori conoscono molto poco questa parlata, ve ne faccio solo pochi esempi per darvi -il senso del suono- di questa lingua nascosta: Le “bbane” sono i soldi; “spunisce ‘o jammo” significa “Va da chi ci ha chiamato e fatti pagare , “ ’a cummara” invece è la chitarra, ecc.

A questo “pubblico esercizio” è stato dato il nome di Posteggia al quale, i suonatori di tradizione, sono stati sempre avversi: avrebbero senz’altro preferito essere indicati con –i professori-, come fece generosamente Giovanni Gaeta (E.A.Mario) nella sua famosissima canzone “Dduje paravise”.

Purtroppo, però la borghesia li ha sempre considerati musicisti di seconda classe; infatti soltanto pochissimi rappresentanti di questo genere, sono stati invitati fuori delle patrie mura ad esibirsi davanti ad altre Corti per le loro eccezionali qualità vocali e musicali.

L’appellativo dato a questi musici erranti e/o ambulanti deriva dal verbo “posteggiare” (nel senso di… tenere il posto) e/o da “posto” (nel senso di… fisso).

Promesse di matrimonio, i matrimoni stessi, battesimi, compleanni, ricorrenze e promozioni erano le occasioni di lavoro più comuni e remunerative: Conoscenze elementari di musica, stiracchiate melodie sul mandolino e/o flauto, un “filo di voce” bene intonato e tantissimo cuore nelle interpretazioni; questi gli ingredienti necessari alla posteggia.

Aggiungete poi alcuni fattori esterni quali: L’ospitalità della taverna, gli splendidi tramonti, la Luna d’argento, la pace delle campagne soleggiate oppure il fresco della sera, i buoni cibi, l’ottimo vino e… capirete perché nessuna donna, italiana o straniera che fosse, sia mai riuscita a resistere al fascino di Gegè, Pinuccio, Totore, Pascalino; insomma di… Napoli.

La posteggia è pratica antica, come antica è l’arte della seduzione: Fateci caso, oltre a divertire i convenuti con brani allegri e canzonatori, i posteggiatori (quelli veri) avevano il potere di influenzare positivamente le coppie facendole innamorare ancor di più ed oltre ad una buona mancia, anche se mai chiesta, ricevevano grandi soddisfazioni in termini di simpatie e richieste di lavoro; erano, tra l’altro, anche procacciatori di clienti per il locale che li “adottava”.

Nessun posteggiatore si è mai veramente arricchito; e questo è vero… ma quanta poesia in questa arte – mestiere:

“ La canzone è fatta di tre elementi: un mandolino, una chitarra, una voce… non un tenore, o un baritono. Una voce. Un uomo che possa cantare con la stessa naturalezza con la quale respira o parla. Una voce, magari senza portata. Una voce, forse rauca. Ma la voce d’ un uomo che “sente” ; una voce persuasa e persuasiva.
Una chitarra e un mandolino che seguono e commentano, senza particolare bravura. Il posteggiatore viene vicino, e canta un po’ curvo, quasi sottovoce…” queste le commosse parole scritte dal grande Alberto Consiglio .

Ricordiamo insieme alcuni tra i posteggiatori più famosi:

Alfonso GRAMEGNA intorno al ‘900 con il suo quintetto fu ospite per molti anni dello Zar Nicola II di Russia.

Il celebre Giovanni Di FRANCESCO (1852 – 1935) detto “‘o zingariello” fu amico di poeti e compositori napoletani e prediletto da Richard Wagner; venne ricordato e celebrato in composizioni poetiche di Salvatore di Giacomo, e Libero Bovio scrisse apposta per Lui un componimento poetico (1930):

“Zingariello, cantatore ‘e Pusilleco, senza voce sapive cantà;
cielo e mare, - quanno ‘a notte era doce –
cu n’accordo ‘e chitarra facive scetà!”.

Giuseppe SACCO e Raffaellina PERES DE VERA furono a Lipsia nel 1905;

Pietro RONCONE e Luigi CALIENNO del complesso Anepeta (1911);

Raimondo SCHOTTLER e MARANIELLO del Complesso della Rosa(1910);

Luigi CALIENNO e Raffaele SAVARESE del Complesso Moreno (1917).

Il FRASCHINI altro tipico posteggiatore, fu anche ricordato da Di Giacomo nel fascicolo “Piedigrotta for ever” del 1901;

Giuseppe ASSANTE, Giuseppe GALASSO e Giacobbe Di CAPUA composero la posteggia della - Trattoria Pallino - al Vomero nel 1902;

Alla “Trattoria dell’ Allegria” nel 1905, c’erano: Totonno ‘o barraccaro, Pietro MAZZONE, Giuseppe de MARIA, Raffaele de POMPEIS e Gennaro SPINELLI ;

presso il Ristorante D’angelo nel 1949, dilettavano il pubblico i posteggiatori: Vincenzo MARMORINO, Giorgio SCHOTTLER, Salvatore dell‘ AVERSANO e Mimì PEDULLA’.

Sono altresì da ricordare, e con grande affetto, i fratelli (da tutti considerati gemelli per la straordinaria rassomiglianza) Giulio e Raffaele VEZZA conosciutissimi in tutta Napoli per aver partecipato a numerosi film anche con Rondinella e Totò. Erano “fissi” da Salvatore alla Riviera fino a pochi anni or sono; di eccezionale bravura tecnica ed armonica, con soli violino e chitarra sembravano una orchestra intera.

Un singolare rappresentante della categoria fu Eugenio PRAGLIOLA (1907–1989) detto “cucciariello” od anche “Eugenio cu ‘e llente”. Intratteneva il pubblico sugli autobus della provincia, e con fisarmonica e megafono, bombetta ed occhiali senza vetro, divertiva tutti.

Il suo intervento iniziava con questa “entrata” :

Signurì buongiorno eccellenze
Con insistenza, all’ apparire della mia presenza
Addò nisciuno me penza,
faccio appello alla vostra indulgenza
E dimostratemi ‘nu poco ‘e benevolenza.

Eseguiva qualche canzone allegra e concludeva la sua esibizione con una esilarante e provocatoria richiesta di pagamento:

Signure e signurine, ledi e milòrd,
aggiate pacienza cacciate ‘nu sòrd,
pe chi nun tene na lira ‘e spicce:
ci’hanna ascì ‘e bbolle ‘ncopp’’o sasiccio!

Infine voglio ricordare Vincenzo MASULA, ormai ultra ottantenne, che ha dedicato la sua intera vita alla posteggia nei ristoranti di Marechiaro.

Abitava nel mio stesso caseggiato di Via Santa Maria in Portico, tra Piazza Amedeo e la Riviera di Chiaia. Ho avuto da Lui e fin da ragazzino, preziose “dritte” e molti testi di canzoni tipiche della posteggia.

Ha partecipato anche alla realizzazione di alcuni film ambientati a Napoli con attori famosi, nei quali si può ancora ammirare la sua arte.

Ora passa le sue giornate tra i ricordi presso L’Ospizio Marino di Baia Due Frati a Posillipo; la bella presenza, voce da Tenore leggero ed un personale modo di suonare la chitarra erano le sue caratteristiche professionali e non mancavano per certo, garbo ed eleganza al suo modo di porsi al pubblico.

Un vero Gentiluomo d’altri tempi.


Edited by sefora1 - 19/5/2010, 10:26
 
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GLI ASTRONI
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Localizzato nella più zona più esterna dei Campi Flegrei, il cratere degli Astroni è al centro di una serie di crateri vulcanici che si accalcano l'uno sull'altro: ad est Agnano, a sud la Solfatara, ad ovest Cigliano, a nord la cerchia dei crateri detti comunemente Fossa Lupara. Per Astroni (da sturnis, per l'abbondanza di uccelli o da strioni, stregoni) si indica la caldera di un cratere vulcanico formatosi per esplosione 4000 anni fa; il cratere si presenta come un tronco di cono largo e schiacciato il cui orlo, di forma ellittica, ha una lunghezza di 2000 metri, una larghezza di 1500 metri, un perimetro di circa 7 Km e un'altezza media di 200 metri. Il cratere ha un'area di circa 257 ettari e al suo interno, in seguito ad una attività vulcanica secondaria, sono emersi alcuni rilievi, quali il Colle dell’Imperatrice (82 m.), la Rotondella (74 metri) e i Pagliaroni (54 m.); la parte più bassa del cratere è occupata da tre laghetti: il Lago Grande, il Cofaniello Piccolo e il Cofaniello Grande.

Nella formazione del vulcano si riconoscono tre fasi: risalita di magma dal condotto di alimentazione, fuoriuscita esplosiva violenta di ceneri, lapilli, pomici e scorie e formazione dell’edificio craterico, attività magmatica a bassa esplosività, con origine dei rilievi interni. Le ultime manifestazioni vulcaniche furono di tipo fumarolico e idrotermale cui si collega l’uso delle sorgenti di acqua sulfurea, già utilizzate nell’antichità come stazione termale. Nel XIII secolo Pietro da Eboli le cita come Balneum Astruni, la cui acqua aveva potere decongestionante e curava i reumatismi.

Divenuti riserva reale di caccia in età aragonese, Alfonso I li circondò con un alto terrapieno e, più tardi, don Pedro de Toledo dotò gli Astroni della Torre Centrale, della Torre Lupara e della Torre Nocera, in funzione di avvistamento. La tenuta, ceduta a privati nel 1692, fu donata ai Gesuiti, che, dopo circa 70 anni, la cedettero a Carlo III di Borbone che la ripropose come tenuta di caccia reale e la dotò, sul crinale del cratere, del solido muro di cinta e della Vaccheria, utilizzata come casino di caccia. Fino alla metà del XIX secolo gli Astroni furono particolarmente curati, ma con l'Unità d'Italia, cominciò la decadenza: nel 1870 si assistette al prosciugamento naturale dei laghi Cofanielli e il bosco si ridusse a ceduo di misera qualità; nel 1920 l'area divenne proprietà dell'Opera Nazionale Combattenti; dal 1939 al 1944 il bosco fu abbattuto ed il cratere utilizzato come campo di prigionia sia dai tedeschi sia dagli americani, con la costruzione di baracche e ricoveri. Divenuto parco faunistico nel secondo dopoguerra, nel 1961, su indicazione della Direzione dello Zoo di Napoli, furono introdotte molte specie animali, anche esotiche. Dal 1969 il cratere è stato dichiarato oasi della protezione della fauna; nel 1979 il cratere degli Astroni è passato al demanio della Regione Campania che lo ha destinato nel 1992 a Riserva Naturale dello Stato "Cratere degli Astroni" e l'oasi è diventata un importante riferimento per numerose attività di educazione ambientale.
Il Centro Recupero Fauna Selvatica provvede alla cura, alla riabilitazione e alla liberazione di animali feriti, specialmente rapaci, che vengono consegnati al centro; inoltre il Ministero dell'Ambiente ha istituito il Centro di Educazione Ambientale "Cratere degli Astroni", gestito dalla Delegazione WWF Campania, che svolge attività di educazione ed informazione ed ha inoltre finalità di documentazione ed aggiornamento sui problemi ecologici e di tutela dei beni ambientali.


NAPOLI SOTTERRANEA
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Il sottosuolo di Napoli è composto di roccia tufacea che ha caratteristiche di leggerezza, friabilità e stabilità del tutto particolari. I primi a sfruttare le caratteristiche geologiche del territorio furono i Greci che, a partire dal 470 a.C., diedero inizio alla crescita di quel mondo affascinante che è la Napoli sotterranea.
Dettaglio del tufo
ceneri e lapilli nel suo interno
E’ facile arguire come gli intenti dei greci non fossero artistici poiché le trasformazioni furono dettate da esigenze d’approvvigionamento idrico e dalla necessità di recuperare materiale da costruzione per erigere gli edifici di Neapolis.

Le cavità create per prelevare i blocchi tufacei utilizzati come mattoni furono utilizzate, infatti, come cisterne sotterranee adibite alla raccolta d’acque piovane. Nei secoli successivi l’espansione della città, con la conseguente crescente necessità di materiale da costruzione, indusse gli abitanti del luogo a scavi sempre più estesi e alla realizzazione di un vero e proprio acquedotto che permetteva di raccogliere e distribuire acqua potabile grazie ad una serie di cisterne ingegnosamente collegate ad una fitta rete di cunicoli.

Tale tendenza crebbe ulteriormente durante il dominio dei romani che, sfruttando le loro ben note capacità, ampliarono a perfezionarono l’esistente acquedotto facendo di Napoli una delle città meglio servite dell’epoca. Alla creazione della “città che poggia sul vuoto” contribuirono, nei secoli successivi, altri avvenimenti:

- a partire dal 1266, con l'avvento degli Angioini, la città conobbe una grande espansione urbanistica con conseguente incremento dell'estrazione del tufo dal sottosuolo per costruire nuovi edifici;

- per evitare l’espansione incontrollata della città, fra il 1588 ed il 1615, alcuni editti proibirono l'introduzione di materiali da costruzione entro la cinta urbana e i cittadini, per evitare sanzioni e soddisfare la necessità d’ampliamento urbanistico, pensarono bene di estrarre il tufo sottostante la città, sfruttando i pozzi già esistenti, ampliando le cisterne destinate a contenere l'acqua potabile e ricavandone di nuove.

Vale la pena di ricordare che questo tipo d’estrazione, che avveniva dall'alto verso il basso, richiedeva tecniche particolari al fine di garantire la stabilità del sottosuolo ed evitare crolli indesiderati e che non tutti furono all’altezza del compito. Ovviamente, le cisterne destinate a conservare l’acqua non erano un modello di igiene e spesso contribuirono alla diffusione di malanni ed epidemie per cui nel 1885, dopo una tremenda epidemia di colera, fu abbandonato l'uso del vecchio sistema di distribuzione idrica per adottare il nuovo acquedotto, ancora oggi in funzione.

L'ultimo intervento sul sottosuolo risale alla seconda guerra mondiale, quando per offrire rifugi sicuri alla popolazione si decise di adattare le strutture dell'antico acquedotto alle esigenze dei cittadini.
Furono allestiti in tutta Napoli 369 ricoveri in grotta e 247 ricoveri anticrollo. Un elenco ufficiale del Ministero degli Interni del 1939 annoverava 616 indirizzi che portavano nei 436 ricoveri suddetti, alcuni dei quali con più di un accesso. Finita la guerra, per la mancanza di mezzi di trasporto, quasi tutte le macerie furono scaricate nel sottosuolo.
Fino alla fine degli anni '60 non si è più parlato del sottosuolo, anche se molti continuavano ad utilizzare i pozzi come discariche. Dal 1968, però, cominciarono a verificarsi dissesti e sprofondamenti dovuti essenzialmente a rotture di fogne o perdite del nuovo acquedotto: tali inconvenienti, che in tutte le città del mondo si evidenziano con rigurgiti di liquami in superficie o allagamenti, a Napoli invece, proprio per la presenza del vasto sottosuolo cavo, si palesano con grosse voragini.
Ciò è dovuto al fatto che le acque di acquedotto o di fogne, trovano quasi sempre una via preferenziale verso i vecchi pozzi, per cui si innesca un vuoto che procede verso l'alto e si rende palese solo allorché in esso crolla l'ultimo strato, costituito o da solai di terranei o dalla massicciata delle stesse strade.
Dopo circa 20 anni di scavi e di bonifica, oggi è possibile conoscere una pagina inedita della storia di Napoli.

Edited by Pulcinella291 - 25/5/2009, 06:37
 
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I QUARTIERI SPAGNOLI
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Per i Quartieri Spagnoli è bello girare senza un itinerario prefissato, affidandosi al proprio senso dell'orientamento (generalmente si sconsiglia al turista di farsi identificare facilmente estraendo una mappa della città), aiutati in questo dalla griglia regolare di questo intervento urbanistico pianificato da don Pedro de Toledo (l'odierna via Toledo fu aperta nel 1536) per acquartierare le truppe spagnole. Il famigerato e fitto dedalo di vie si estende alle spalle dell'elegante via Toledo fino alle pendici del colle di san Martino, compresa fra Montesanto a nord e via Chiaia a sud. Elenco un po' alla rinfusa da sud a nord alcune punti degni di un passaggio: vicolo Croce Cariati con la croce posta in cima alla scalinata, la chiesa della Trinità degli Spagnoli, il largo Baracche (in cui si vede l'impegno del comune per riqualificare la zona, ma le panchine sono sempre desolatamente vuote), la chiesa di Montecalvario protetta da un alto muro, l'isolato ancora vistosamente puntellato dopo il terremoto del 1980, il pergolato nell'ultima parte di via del Gelso, la chiesa di santa Maria dei Sette Dolori al culmine di via Pasquale Scura (ultimo nome ufficiale di Spaccanapoli nel suo attraversamento da est a ovest della città). Anche al visitatore più distratto risulterà evidente che i Quartieri, da sempre icona tipica della napoletanità più vivace, sono ormai fuggiti dagli stessi napoletani che hanno lasciato spazio per gli extracomunitari.

LA CAZZIMMA
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E' una parola che da poco tempo è entrata a far parte del gergo napoletano.Cazzimma è un termine prettamente napoletano, di difficile comprensione da parte di chi non è Napoletano e per di pù difficilmente spiegabile con un semplice sinonimo.
Infatti per poterlo spiegare anche se, forse non in maniera precisissima, bisogna ricorrere a una perifrasi.
Quindi per poter rispondere convenientemente alla persona che mi ha rivolto la domanda, mi sono rivolto a un mio amico, un ingegnere alquanto sconosciuto che ha dato una definizione del termine brillante.
Riporto di seguito la suddetta definizione.
Premetto che questa che sto per inviarti è una mia personale interpretazione del termine che di fatto è intraducibile per chi non è Napoletano. Il termine "CAZZIMMA" rappresenta un modo d'essere che ha molto a che fare con CATTIVERIA in realtà però questo termine ha una valenza un pò più articolata in quanto la CAZZIMMA è un modo di essere cattivi con intelligenza ossia proprio BASTARDI. In sostanza il cattivo può anche essere cretino, in questo caso esso sarà dotato di CATTIVERIA ma non di CAZZIMMA. Pertanto il CAZZIMMOSO (colui che è dotato di cazzimma) utilizza l'intelligenza e quindi ti fotte. In conclusione possiamo dire che gli attacchi del cattivo possono essere anche schivanti in quanto in generale non intelligenti; quelli del cazzimmoso sono molto subdoli ed efficaci e pertanto è difficile difendersi. MORALE ALLA CAZZIMMA SI PUO' RISPONDERE SOLO CON CAZZIMMA.
(Vai sotto ci sono altre pagine,continua)

Edited by Pulcinella291 - 25/5/2009, 07:54
 
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BELZEBU'
Palomba - Bruni


Nun ce sta nu filo 'e viento,
pare 'e fuoco tutt''a rena...
ma, stanotte, a Margellina,
che succede, gente, gè'?
Nu vasciello a vele nere,
s'avvicina chianu chiano...
'mmiez'ê tuone e 'mmiez'ê lampe,
sta sbarcanno 'nterra ccá.

- Ma chi è, ma chi è, ma chi è?!... -
'Mmiez'ê ffiamme rosse e blu...
Gente, gente, currite a vedé!...
E' arrivato Belzebù!
'E Rumane, 'e Sarracine,
'e Spagnuole e ll'Angioine,
'e Tedesche, 'e Marucchine:
ce mancave sulo tu!

Arapítele 'e pporte a Belzebù!

Fa nu passo 'e mille metre
e, cu 'a voce sója d'inferno,
mentre cadono 'e palazze,
isso allucca: - Nèh, guagliù!... -
E da 'a vocca d''o Vesuvio,
cientomila diavulille,
se ne tornano sciulianno
'ncopp''a coda 'e Belzebù...
- Ma ched è... ma ched è...ma ched è? -
Se n'è ghiuto Belzebù!

Finalmente stavota over'è:
'nziem'ê figlie 'e Belzebù,
'e Rumane, 'e Sarracine,
'e Spagnuole e ll'Angioine,
'e Tedesche, 'e Marucchine,
mo, nun 'e ttenimmo cchiù!

E 'nzerrátele 'e pporte a Belzebù!

Mm'è venuto nu suspetto
ca quaccuno s'è nascosto..
e mo, invece 'e stá a ll'inferno,
va giranno p''a cittá...
Chisà quante ce ne stanno,
assettáte 'int''e ppultrone,
chisti diavule 'mperzona,
chisti figlie 'e Belzebù...

- Viene 'a ccá, viene 'a ccá, viene 'a ccá...-
Torna ampresso, Belzebù!
Sulo tu puó' salvá 'sta cittá:
Vienatille a pigliá tu...
'E Rumane, 'e Sarracine,
'e Spagnuole e ll'Angioine,
'e Tedesche, 'e Marucchine,
e chist'ate che saje tu...

Portatille a ll'inferno, Belzebù!...

VAI GIU' CI SONO ALTRE PAGINE

Edited by Pulcinella291 - 29/6/2009, 01:02
 
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