| LA CRISI POSTBELLICA E L'AVVENTO DEL FASCISMO In l'Italia la crisi postbellica, vista l'inferiorità strutturale dello Stato, ebbe effetti più laceranti rispetto agli altri paesi vincitori. Le riforme realizzate all’inizio del secolo e in particolare il suffragio universale maschile, non avevano avuto il tempo di svilupparsi e di incidere sulla coscienza morale e politica, svilite nei loro effetti dall’entrata in guerra.La crisi postbellica italiana diede luogo a numerose rivolte sociali e politiche; queste furono provocate anche dalla mancata attuazione delle promesse ai soldati nel momento più critico per l'Italia durante la guerra.Probabilmente in Italia non c’erano le condizioni perché potesse avvenire una rivoluzione, ma si avvertiva unicamente l’esigenza di una migliore politica sociale: tuttavia le classi meno abbienti, esaltate dalla vittoria dei bolscevichi in Russia, speravano in una presa del potere delle forze di sinistra, mentre i rappresentanti della borghesia moderata, da parte loro, temevano qualsiasi contestazione dell’ordine costituito. Ovviamente gli operai furono le prime vittime di quest'opera di ristrutturazione; il loro salario reale diminuì di molti punti percentuale e, di conseguenza, diedero vita ad agitazioni sociali. I sindacati, la CGIL e la Confederazione italiana del lavoro, ebbero uno sviluppo prodigioso. Non solo gli operai organizzavano scioperi, ma anche le organizzazioni di braccianti e contadini, nel centro e nel sud, mossero a frequenti occupazioni di terre. Il suffragio universale a sistema proporzionale, congiunto alla crisi sociale ed economica, favorì la nascita dei grandi partiti di massa: sorsero in questi anni il Partito Popolare Italiano e il Partito Comunista Italiano. Anche il partito socialista uscì trasformato dalla guerra mondiale ed ebbe un notevole successo elettorale (i suoi deputati passarono da 52 a 156 nelle elezioni del 1919), ma non seppe sostanzialmente mettere a frutto questa forza, in quanto era profondamente diviso al suo interno, fra lo schieramento moderato e riformista.L'altra novità politica del dopoguerra italiano fu la nascita del movimento Fasci italiani di combattimento, guidato da Benito Mussolini. Non c'è dubbio che tale movimento approfittò moltissimo delle lotte interne del partito socialista, che portarono, lo vedremo, alla sconfitta di alcune lotte sociali. Il movimento si presentò dapprima come un élite, non di massa, in cui confluivano confusamente nazionalisti, dannunziani, futuristi, antisocialisti. C'erano anche però ex socialisti ed ex sindacalisti, che avevano militato nelle file del sindacalismo rivoluzionario.Alle sue origini il fascismo non ebbe carattere economico, non si presentò come espressione della borghesia reazionaria e capitalista. Fu chiaro, però, come sin dalla nascita i Fasci fossero guidati da un forte spirito aggressivo antisocialista e imperialista. Nelle elezioni del 1919 non raccolsero più di 5.000 voti. Tuttavia Mussolini moderava i principi ideologici del suo movimento, in particolare abbandonando le opzioni politiche del repubblicanesimo e dell’anticlericalismo; in questo modo riuscì a riscuotere consenso anche fra l’opinione pubblica cattolica, attaccando il partito di don Sturzo in quanto compromesso con l’ideologia di sinistra. Stava gia' preparando un gran movimenti di massa che poi ebbe il suo apice nel 1922. Il 24 ottobre 1922, in questo clima di tensione fra le forze politiche, Mussolini concentrò a Napoli migliaia di camice nere. Fu decisa la marcia su Roma guidata da un quadrunvirato composto da Emilio de Bono, Italo Balbo, Cesare De Vecchi, Michele Bianchi. Il presidente del consiglio Facta chiese al Re, Vittorio Emanuele III, la proclamazione dello stato d'assedio, ma questi si rifiutò di firmarlo. I fascisti entrarono in Roma il 28 ottobre 1922.Il Re dette l'incarico a Mussolini di formare il nuovo governo, che sarà costituito da fascisti, liberali, popolari, ma con l'opposizione di Sturzo e Meda, e da indipendenti. Mussolini sapeva che le classi conservatrici diffidavano della natura squadrista del fascismo e si mosse secondo un’ottica di moderazione. Ebbe inizio cosi' il ventennio fascista.
GLI INNI E LE CANZONI DEL VENTENNIO
In via generale al centro di tutti i canti fascisti resta l'apologia del Capo, che si sa, aveva sempre ragione; l'innalzamento dell'onore, del singolo come della nazione, a valore assoluto; la venerazione della bandiera, emblema dell'identità e dell'appartenenza più acritiche e inossidabili. Sono tutte canzoni popolari che nascono talvolta da un sentimento diffuso, talaltra dall'esplicito intento di creare un sostrato mitologico e ideale che desse credito ai miti della patria e dell'eroe e presentandosi come l'ovvio e comune sentire del popolo italiano, contribuisse alla sua creazione e ne incarnasse effettivamente lo spirito. Si passa dalle più famose, come “Giovinezza”, “Faccetta Nera”, o “Vincere e vinceremo”, alle meno note, meno orecchiabili destinate a sparire ben presto in quel grande buco nero che è la storia. GIOVINEZZA era un inno cantato dai reparti d'assalto impegnati, dopo Caporetto, sulla linea del Piave.Durante il triennio 1919 – 1921 comparvero altre versioni di Giovinezza. Lo stesso Marcello Manni scrisse poi un'ulteriore versione che divenne l'inno delle squadre d'azione fasciste; il ritornello, appena ritoccato, giusto per invocare esplicitamente il movimento Fascista, suonava Giovinezza, giovinezza,primavera di bellezza:nel Fascismo è la salvezza della nostra libertà.L'ultima versione di "Giovinezza" di Marcello Manni fece da ponte tra quella degli arditi e quella, definitiva, pubblicata nel 1925 col nuovo testo di Salvator Gotta ed approvata, ufficialmente, dal Direttorio del Partito Nazionale Fascista come "Inno Trionfale del Partito Nazionale fascista. contin ua
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