Le stronzate di Pulcinella

le canzoni della nostra emigrazione (quando ad emigrare eravamo noi)

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view post Posted on 8/7/2011, 07:55
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Pulcinella291 Forum

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Alla fine dell' ottocento la nostra emigrazione assunse caratteri di un vero e proprio esodo. Un esodo che nel corso degli anni ha visto il nostro Paese perdere quasi 27 milioni di persone.
In pochi anni nei decenni a cavallo tra la fine dell'800 e l'inizio del nostro secolo furono quattro milioni i nostri connazionali che si diressero verso gli Stati Uniti, in particolare New York raccolse circa un terzo dell'intera cifra. Paradossalmente, sarà proprio questa gente povera, espulsa dal mercato del lavoro del proprio paese, che con le loro rimesse dall'estero (pari al 50% attivo della bilancia dei pagamenti) permetterà l'importazione delle materie prime e i beni capitali che necessitarono alla nascente industria italiana. L'emotività del nostro popolo dette a questo fenomeno un carattere melodrammatico, l'emigrante diventò l'eroe di una saga popolare intrisa di pianto, che enfatizzava la condizione del meridionale come di un popolo reietto.
Molti pezzi musicali simboleggiarono questa epopea.
Eccone qualcuno.
Mamma mia dammi cento lire

Conosciutissima e diffusissima in tutta l'Italia settentrionale, questa canzone si riferisce alle migrazioni dei contadini settentrionali verso l'America meridionale assai più che verso quella settentrionale (che attrasse successivamente, la migrazione meridionale), nella seconda metà del secolo scorso.

Video


Come avete potuto ascoltare , oltre alle rimarchevoli "cento lire" che servivano allora per il viaggio, evidenzia l'angoscia della mamma conscia che, partito il figlio, difficilmente l'avrebbe rivisto. Ma molte mamme non riescono a fermare il proprio figlio, che di alternative alla fame nella sua terra ne trova ben poche.

Nel 1868 nasce Addio a Napoli che s'impernia sul tema dell'addio dell'emigrante alla sua terra natia.
Ascoltiamola qui nella versione bellissima di Enrico Caruso

Video



"Santa Lucia lontana", scritta da E. A. Mario nel 1919,divenne subito un successo non solo popolare e fu molto importante a livello sociale perché portava alla luce la realtà dell'emigrazione - fenomeno fino ad allora misconosciuto dalla cultura ufficiale . La canzone è dedicata ai tantissimi emigranti napoletani che partivano dal porto di Napoli alla volta di terre lontane (quasi sempre alla volta delle Americhe); le parole del brano sono appunto ispirate ai sentimenti che questi provavano allontanandosi dalla terraferma, fissando il pittoresco panorama del borgo di Santa Lucia, ultimo scorcio della loro terra che riuscivano a vedere, sempre più piccolo, all'orizzonte.
Ascoltiamola nelle versione di Andrea Bocelli:
Video
continua


Edited by Pulcinella291 - 22/10/2018, 11:52
 
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view post Posted on 8/7/2011, 19:02
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Pulcinella291 Forum

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Addije, addije - Addio, addio ,Sono le parole di un canto che le raccoglitrici di ulive intonano ancor oggi in Abruzzo.
Le nebbie autunnali coprono i monti, e più in basso i campi si fanno deserti via via che cessano le attività agricole. Ma proprio adesso comincia il lavoro delle raccoglitrici, che per raggiungere gli uliveti abbandonano i paesi salutando i fidanzati e i mariti.E le cadenze e le ripetizioni del canto sembrano esprimere la malinconia dell' autunno e di quella partenza. (La raccolta delle ulive, che inizia verso ottobre e dura anche diversi mesi, può avvenire in più modi: per brucatura, staccando con le ntlani o con un apposito rastrello i frutti dai rami della pianta; per scuotitura, raccogliendo i frutti da terra man mano che cadono; per raccattatura raccogliendoi frutti dopo che sono caduti da soli, ormai maturi; infine, per bacchiatura, battendo cioè i rami con una pertica, detta bacchio).
Eccovi una versione moderna della canzone


Trenta giorni di nave a vapore è uno dei canti più conosciuti del nord-italia sull’emigrazione., mentre Son partito al chiaro di luna è un canto bellunese dove vengono cantati il dolore per l'abbandono della propria valle, la forte nostalgia per la stessa e la gioia dell'incontro con gli amici, al tanto agognato ritorno:

Son partito al chiaro di luna
per cercare un po' di fortuna,
e nel partir tutto dovei lasciare
questo è il destin di chi deve emigrar.

Tra la neve e il vento gelato
col pensiero a ciò che ho lasciato;
e nel mio cuor mi vien la nostalgia
dei monti e i pian della vallata mia.

Son tornato di giorno a Maggio pieno
quando il sole risplende sereno,
e con gli amici canto in allegria,
son tornato alfin alla casetta mia!


O bella bimba dalle labbra fresche di rosa
se tu acconsentirai ti voglio mia per sposa
ma prima un piccol, piccol nido mio
mai più lontan dal paesello mio
Ma prima un piccol, piccol nido mio
mai più lontan dal paesello mio !



Non mancarono canzoni che raccontarono tragedie , una fra tutte la canzone che fu composta nell'Italia settentrionale, per ricordare il naufragio di una nave carica di italiani che emigravano in America, avvenuto il 4 agosto 1906:Il tragico naufragio della nave Sirio. Eccovene una versione bellissima:

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Il naufragio ebbe dell'incredibile e le critiche furono a dir poco aspre, perché la giornata era bella, il mare in bonaccia e buona la visibilità. La nave, proveniente da Genova e diretta verso lo Stretto di Gibilterra, correva a tutta velocità quando andò a schiantarsi su una delle secche più note del Mediterraneo.

Il Sirio era rimasto come un cavallo mentre salta l'ostacolo, con la prua che guarda il cielo e la poppa poggiata sugli scogli a tre metri di profondità. Aveva a bordo 120 passeggeri di prima e seconda classe e oltre 1200 emigranti che durante il giorno prendevano il sole a proravia. Gran parte di loro, a causa dell'urto improvviso, fu scagliata in mare e morì annegata.

All'epoca si disse: “Avrebbero potuto salvarsi quasi tutti, perchè il Sirio non andò subito a fondo, ma rimase in agonia ben sedici giorni, prima di spaccarsi in due ed affondare. Purtroppo le operazioni di salvataggio furono così caotiche e disperate che ci furono 293 morti, (riconosciuti ufficialmente secondo i Registri del Lloyd's di Londra) ma secondo la stampa, e non fu mai smentita, le vittime superarono le 500 unità, gran parte delle quali fu pietosamente composta lungo il molo del porto di Cartagena e poi tumulata nei cimiteri della zona. Le lapidi sono ancora leggibili e portano nomi e cognomi italiani “.

Oramai si parte da tutte le regioni d'Italia in cerca di fortuna e "Chiantu de l'emigranti"
E' una canzone calabrese, in cui si esprime il dolore dell'emigrante nel lasciare il paese e la sua famiglia e la pena della moglie nel vederlo partire:

Strada mia abbandunata, mo te lassu
chiagnennu me ne vaju le vie vie.
O quanti passi che da tia m'arrassu,
tante funtane faru l'uocchie mie.
Nun so' funtane, no, ma fele e tassu,
tassu che m'entassau la vita mia.
Io partu pe' l'America luntana,
nun sacciu adduje me porta la fortuna.

Risposta

Sant'Antuone mio fallo venire
e non mi fa' pigliare cchiu de pena!


Traduzione

Strada mia abbandonata, ora ti lascio
piangendo me ne vado lungo la via.
Quanti sono i passi che da te m'allontano
tante fontane fanno i miei occhi. Non sono fontane, no, ma fiele e veleno
veleno che m'ha avvelenato la vita
Io parto per l'America lontana
non so dove mi porta la fortuna.

Risposta

Sant'Antonio mio, fallo ritornare
e non mi fare prendere più dalla pena



CONTINUA
 
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view post Posted on 11/7/2011, 07:21
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La partenza dal paese, l'abbandono delle case e della famiglia, il sentimento di nostalgia per gli affetti lasciati dietro le spalle continuano ad essere gli argomenti che hanno prodotto una ricca raccolta di canti, sia popolari, sia d'autore.
Spesso queste canzoni sono nate su melodie popolari conosciute, adattandovi testi semplici e immediati, di cui vi possono essere varianti regionali che di poco si discostano nei contenuti.
In Emigranti (Merica, Merica) si cantano le tristi condizioni di vita dei nostri emigranti (Abbiam dormito sul nudo terreno) e l'orgoglio per aver contribuito allo sviluppo americano (e cò l' aiuto dei nostri Italiani / abbiam formato paesi e città).

Trenta giorni di macchina a vapore,
nella Merica ghe semo arrivati,
ma nella Merica che semo arrivati,
no' abbiamo trovato nè paglia nè fien.


E Merica, Merica, Merica, cossa saràla 'sta Merica? Merica, Merica, Merica, in Merica voglio andar.
Abbiam dormito sul nudo terreno
come le bestie che va a riposar
E' la Merica l'è lunga, l'è larga,
circondata da fiumi e montagne,
e co' l'aiuto dei nostri italiani
abbiam formato paesi città.

E Merica, Merica, Merica, cossa saràla 'sta Merica? Merica, Merica, Merica, in Merica voglio andar.
E co' l'aiuto dei nostri italiani
abbiam formato paesi e città.

Le canzone che si psonno' definire l'inno dell'emigrazione sono senza dubbio Lacreme napulitane e O paese do sole ambedue di Libero Bovio che ascoltiamo rispettivamente da Sergio Bruni e di Giuseppe Di Stefano


Video




Le peripezie del viaggio, spesso affrontate su bastimenti che impiegano settimane a coprire le lunghe distanze; il timore dell’impatto con la nuova realtà che li attende (costumi, tradizioni, ma soprattutto lingue diverse ), oltre , naturalmente, alla la nostalgia, struggente compagna di viaggio, sono gli altri temi di questi canti.
Ma se ghe pensu è una canzone in lingua genovese, che è diventata ormai simbolo della musica e della presenza di Genova nel mondo.La paternità della canzone è invece sicuramente attribuibile a Mario Cappello (tanto per i versi quanto per la musica) mentre Attilio Margutti collaborò soltanto alla stesura musicale.La canzone narra la storia di un genovese costretto a emigrare in America Latina in cerca di fortuna, ma ripensando alla bellezza della sua città e sopraffatto dalla nostalgia per essa, decide di ritornare.
La canzone apre e chiude con il riferimento alla povertà del protagonista, che dopo essere partito senza un soldo (sensa ûn-a palanca), torna trent'anni dopo a Genova lasciando tutto quello che aveva guadagnato in America pur di rivedere la sua terra (E sensa tante cöse o l'è partïo)

Qui l'ascoltiamo in una versione di Mina:
Video


L'anno di nascita del brano fu il 1925. La prima interpretazione del brano fu quella del soprano Luisa Rondolotti

c ontinua


Edited by Pulcinella291 - 22/10/2018, 11:58
 
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view post Posted on 12/7/2011, 08:15
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Pulcinella291 Forum

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Uno dei più noti ricercatori e studiosi di musica popolare, Roberto Leydi, pone i canti dell’emigrazione nella categoria dei canti sociali e politici. L’emigrazione fu, infatti, un fenomeno sociale molto determinante, e lo è ancor oggi, nella vita di milioni di uomini e nella storia di molti paesi, sia di quelli dai quali gli emigranti partivano come di quelli in cui gli stessi si stabilivano e dove, con il loro lavoro, contribuirono, a volte anche in modo determinante, alla crescita economica degli stati ospiti.
"Montagnutis" è un canto friulano che vuole significare come questo popolo, che non si è mai lasciato intimorire da difficoltà di vario genere (guerre, invasioni, carestie, terremoti, mancanza di lavoro), abbia risposto in ogni occasione positivamente legando le sue "fortune" all’esigenza di lavorare lontano di casa.
Montagnutis" nasce con le prime emigrazioni, quelle al di là delle montagne di casa, alle quali l’emigrante, usando un vezzeggiativo, chiede di abbassarsi per rivedere i luoghi cari, i luoghi in cui andava a far l’amore (tristezza e nostalgia) (). Si rivolge anche alle stelle e, tramite loro, vuole mandare un saluto alla sua donna che l’attende (speranza).

Ad una certa propaganda per favorire il fenomeno migratorio in America, molto spesso arriva la risposta della controparte, infatti ci si imbatte in stornelli composti a proposito, come questo ad esempio, apparentemente di origine popolare, ma invece d’ autore. Si tratta di un brano presentato al concorso per la” Canzone Lombarda” nel 1892 autori Tarenghi, A.Ferrari Paris, e riproposto da Luciano Ravasio:

‘Ndé piö in America
‘Ndé piö ferméss a cà
sé v’preme la salüte
se v’preme la salüte
‘Ndé piö in America
‘Ndé piö ferméss a cà
se v’preme la salüte
e anche la libertà

S’ pöl ciamà l’America
Mercat chè i vend i bianch
I sfrötadur, la piovra
Chat süga töt ol sanch


Non mancarono anche i canti di scherno per il compaesano tornato arricchito in patria. Nacquero cosi' canti popolari spesso scherzosi detti a dispetto), volti a ridicolizzare la situazione, dolorosa e patetica, del forzoso allontanamento degli emigranti dalle giovani mogli. In queste esternazioni popolari, non mancava mai l’allusione al soprabito (sciammerica) indossato dall’emigrante di ritorno: i lavoratori rimasti in paese, pronti a schernire e umiliare chiunque fosse riuscito a salire nella scala sociale e abituati a vedere i contadini in abiti di fustagno stinti e lisi, facevano pesare questa conquista del benessere con la perdita dell’onore familiare. Nei paesi abruzzesi, restando vivo fino agli anni 1960, circolò un canto che ironizzava sulla disgrazia di qualche emigrante la cui moglie, rimasta sola, lo aveva tradito. Il canto in questione fu raccolto nel 1907 da Benedetto Croce in occasione di un suo soggiorno a Raiano, in cui l'emigrazione era altissima :
«Vi’ che t’à fatte la Merica! O pover’americane, tutte quatrine, o cafone nche sciammèrica. Se l’artista lo sapeva, alla Merica non ci jeva. La moglie dell’americane va alla messa cu sette suttane si ‘nginocchia e prega Dio: manna quatrine, marito mio. Li quatrine ca sî mannate, m’aggiu magnate cu nnamurate; m’aggiu magnate in bona salute; manne quatrine, cornuto futtute. Tiritùppete rind’o murtale: o cafone è caruto malato pa troppa gelusia: curre curre a farmacia. La moglie d’americano sotto o lietto tene o compare justa a mezzanotte o cumpare saglie ncoppa. O povero americano dalla Merica è turnate, la moglie si è andata: poche quatrine m’ hai purtate, curre a l’America, marito mio. O povero americano, tutte quatrine c’ha mannate; e mo ch’è ritornate, diebbete e cuorne à truvate»
Traduzione:
Vedi che ti ha fatto l’America! O povero americano, tutto quattrini, o cafone col soprabito. Se l'artigiano lo sapeva, in America non ci andava La moglie dell'americano va alla messa con sette sottane si inginocchia e prega Dio: manda quattrini, marito mio. I quattrini che hai mandato, me li sono spesi con l’amante; li ho mangiati alla buona salute; manda quattrini, cornuto fottuto. Tiritùppete dentro il mortaio. Il cafone si è ammalato per la troppa gelosia: corri in farmacia. La moglie dell’americano sotto il letto tiene il compare proprio a mezzanotte il compare sale sul letto. O povero americano dall’America è tornato, la moglie se ne è andata: pochi quattrini mi hai portato, corri in America, marito mio. O povero americano, con tutti i quattrini che ha mandato; ora che è ritornato, ha trovato debiti e corna.

Bellissima e struggente invece , è" la porti un bacione a firenze"nella quale si parla di una bambina che si avvicina ad un signore che sta facendo ritorno in patria e gli chiede di dare un bacione a Firenze per lei:

Son figlia d'emigrante,
per questo son distante,
lavoro perchè un giorno a casa tornerò.
La porti un bacione a Firenze,
se la rivedo, glielo renderò


Ascoltiamola nella versione di Carlo Buti


Bello era anche un canto molisano nel quale una madre malediceva il treno che le ha portato lontano il figlio:

Pozz'esse accise u treno e chi lo tire
che m'ha purtate u figlio a Geresdire
Pozz'esse accise u treno e chi lo tocche
che m'ha purtate lu ninno a Nove jorke


Al treno è anche dedicato questo canto:

Lu trenu da disperaziuni

Guardati chistu trenu cum'è nivuru
oi cum'è nivuru
è lu trenu d'a disperaziuni
è lu trenu d'a disperaziuni.

Chianciti forti mugghieri, mammi chianciti,
oi mammi chianciti,
l'omini vosta aviti da lassari
l'omini vosta aviti da lassari.

3Pi putiri sfamari 'sti piccirilli
oi 'sti piccirilli
ninn'amu iri luntanu assai
ninn'amu iri luntanu assai.

'A terra nostra amu da lassari,
oi amu lassari
pi' vinti franchi di 'sti corvi nivuri
pi' vinti franchi di 'sti corvi nivuri.

Là subba dintu u' Nordu amu pagari,
oi amu pagari
cu la vita nu tuozzo di pani
cu la vita nu tuozzo di pani.

Lavuratura ca jittati 'u sangu
ca jittati 'u sangu
pi anni e anni 'nta na terra luntana
pi anni e anni 'nta na terra luntana

lu jurnu ca turnati s'avvicina
oi, s'avvicina
pi nun partiri chiù d'a terra nostra
pi nun partiri chiù d'a terra nostra
Traduzione:
Guardate questo treno come è nero
oh com è nero,
è il treno della disperazione
è il treno della disperazione.

Piangete forte mogli, mamme piangete
oh mamme piangete
i vostri uomini dovete lasciare
i vostri uomini dovete lasciare.

3Per poter sfamare questi bambini
oh questi bambini
ce ne dobbiamo andare molto lontano
ce ne dobbiamo andare molto lontano.

La terra nostra dobbiamo lasciare
oh dobbiamo lasciare
per venti franchi dati da questi corvi neri
per venti franchi dati da questi corvi neri.

Lassopra dentro al nord dobbiamo pagare,
oh dobbiamo pagare
con la vita un tozzo di pane
con la vita un tozzo di pane.

Lavoratori che sputate sangue
che sputate sangue
per anni e anni in una terra lontana
per anni e anni in una terra lontana

il giorno che tornate si avvicina
oh s'avvicina
per non partire più dalla terra nostra
per non partire più dalla terra nostra




Gli emigranti portarono con se anche i propri canti popolari dei loro paesi che non divennero celebri , non sono conosciuti e pur tuttavia segnarono la loro vita:

Amuri amuri quantu sî luntanu

Amuri, amuri quantu sî luntanu,
cu ti lu conza lu lettu a la matina?
Cu ti lu conza nun t'u conza bonu,
amuri, amuri quantu sî luntanu!

Amuri, amuri quantu sî luntanu.
Cu t'accumpagna quannu veni 'a sira?
La fantasia m'ha lassata sula,
amuri, amuri quantu sî luntanu

Traduzione:
Amore, amore come sei lontano,
chi te lo fa il letto la mattina?
chi lo fa non lo fa bene,
amore, amore quanto sei lontano!


Amore ,amore quanto sei lontano,
Chi ti fa compagnia la sera?
La fantasia mi ha lasciato sola,
amore, amore quanto sei lontano

 
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elisabetta zangari
view post Posted on 13/9/2013, 14:25




sono felice di aver trovato questo sito... la musica popolare è la mia passione (sono una bibliotecaria in pensione) grazie elisabetta
 
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Amadeus1
view post Posted on 19/9/2013, 16:29




Ottimo intervento caro Seb. Forse non tutti al sud conoscono la vera storia dell'emigrazione, anche se molte famiglie oggi hanno parenti in usa, in Australia, in Brasile, in Argentina. La stessa terza o quarta generazione di discendenti italiana in questi Paesi, nati lì, non sanno il perchè sono nati lì e la lingua italiana l'hanno pure dimenticata.
Prima del 1860 emigravano dal Veneto, dal Piemonte, dalla Liguria dove la vita dava davvero ben poco in termini di economia e di conseguenza di benessere, non dal sud che, bene o male, aveva un reddito pro capite superiore a tutti gli stati preunitari. (A tale proposito Francesco Saverio Nitti fa un resoconto preciso nel suo libretto Scienza della finanze)
Dopo il 1860, con l'invasione dell'ex Regno di Napoli, con tutto quello che ne derivò, iniziò la diaspora sudica: oltre 25 milioni di persone, pagando un biglietto e una tassa all'ormai regno unito, poterono abbandonare le proprie case per sfuggire ad un'oppressione "nazionale" di cui ancora si portano i segni.
Certamente le canzoni napoletane dell'epoca mirano al drammatico, ma cos'altro fu, se non un dramma abbandonare le proprie famiglie, i figli, i vecchi genitori? Dramma che ancora oggi continua, anche se per altri motivi.
Ho scritto qualcosa a proposito. Ho immaginato la partenza di un soldato borbonico che scrive a suo padre dalla nave Elisabetta in partenza per le americhe, dove lui và a combattere per gli stati americani nella guerra di secessione. Furono circa 1500 i soldati borbonici che combatterono, chi per i nordisti chi per i sudisti, ma tutti si fecero onore e in America oggi esiste una stele che li ricorda, in Italia sembrano non essere mai esistiti.
Amadeus1 ex proteus_13
P.S. Tinipyc non lo vedo più, come inserisco un file?
 
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view post Posted on 26/9/2013, 07:39
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Videomaker - Photographer

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...ci dimentichiamo troppo presto del passato, delle fatiche, umiliazioni che hanno subito i nostri nonni/e e bisnonni/e....e non ci accorgiamo o peggio tentiamo di rifiutare coloro che lo fanno oggi col nostro paese...forse, proprio per queste ragioni, ancora oggi non siamo abbastanza maturi per essere un VERO grande paese, e solo uscendo fuori dal nostro confine, che maturiamo e spesso diventiamo grandi persone....è strano....
 
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view post Posted on 26/9/2023, 17:38
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Pulcinella291 Forum

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