Le stronzate di Pulcinella

Autobiografia, ...doverosamente...

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view post Posted on 7/3/2012, 09:24
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doverosamente, un album di ricordi deve cominciare con una autobiografia...
il "ma tu, ch si?..." è doveroso, anche se poi, il saperlo, si rivela il più delle volte privo di interesse...
comunque:

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Autobiografia

La biografia è il racconto che qualcuno fa di tutte le cose che ti sono successe nella vita quando sei diventato uno importante, uno che conta. E quel qualcuno cerca di diventare importante a sua volta raccontando i fatti tuoi. Nella speranza che qualcun altro li legga e ci si interessi pure.

L’autobiografia è invece quando questo racconto te lo fai da solo. O perché sei uno scrittore di successo e sai che la gente comprerà la storia della tua vita per avere in biblioteca l’opera completa, o perché non c’è nessuno disposto a scommettere su di te o infine, ed è il caso più frequente, perché nessuno eri e nessuno sei rimasto.

Biografia ed autobiografia hanno una cosa in comune: la presunzione che gli eventi quotidiani di una vita possano perdere il carattere di quotidianeità perché sono capitate a tizio invece che a sempronio.

La biografia si differenzia infine dall’autobiografia per il fatto che a rigore (anche se poi non ti crede nessuno a meno che tu sia già morto) puoi chiamarti non responsabile delle fesserie che ci sono scritte dentro.

L’una e l’altra infine dovrebbero avere la decenza di limitarsi a raccontare le cose rilevanti.

Nella convinzione della giustezza di quest’ultimo asserto, nell’accingermi a comporre la mia autobiografia, sono contento di aver già scritto cinque paragrafi: se riesco a farci anche una chiusa interessante, riuscirò a buttar giù una paginetta intera; forse anche due.


Nacqui. Era il 17 aprile 1939.


E questo è certamente un fatto rilevante, per un sacco di gente. Per me, naturalmente, perché fu quello il vero inizio dei miei guai. E poi per i miei genitori orgogliosi di avere anche loro un figlio maschio, per mia sorella che si ritrovava un concorrente in più nelle cose di casa, e per i maestri, il prete, i dirigenti del Banco di Napoli, i politici che ho votato e per tutti quelli che hanno beneficiato delle tasse pagate per almeno quarantacinque anni di fila… ad oggi.

In modo forse ancora più rilevante, la mia nascita ha contato per mia moglie che ancora mi sopporta, per i miei quattro figli, i quattro nipoti, i generi eccetera… senza di me, la loro vita sarebbe stata affatto diversa. Ma non ci è dato di sapere come, e quindi scordiamocene.

Dopo l’evento importante della mia nascita non mi sembra ci sia molto da raccontare per un bel po’ di anni… Forse che sono stato testimone del primo bombardamento di Fabriano o del successivo “passaggio del fronte”… … 54 bombardamenti e alcuni mesi dopo. Una gran paura dei botti e un immenso stupore di quanti mezzi a motore avessero gli americani. Non avrei creduto esistessero tante camionette e camion e carrarmati in tutto il mondo.

Di interesse comune potrei anche raccontare di quella volta a Siena che il palio lo vinse il Valdimontone che non c’entrava punto, lasciando noi tifosi del Drago (perché abitanti dell’omonima contrada) a bocca asciutta…
Ma fu un dolore di breve durata.
Poco dopo nuovo trasferimento: a Napoli. Era l’aprile 1948.

Dei primi tempi di Napoli potrei raccontare molte cose, ma tutte molto personali e rilevanti solo per me. Le delusioni di mio padre silurato da quelli che credeva i più sinceri amici, la morte di mio fratello, la casa elegante degli zii nel più sordido e puzzolente vicolo della città, la nostra “casa nuova” a Furigrotta… la morte di mio padre. Nel tempo i ricordi stratificano e si ammassano come in un tappo di buio.

Anche i ricordi belli.
Alla quinta elementare, che mi fecero ripetere perché ci ero arrivato troppo presto, ero di gran lunga il più bravo in italiano… anzi il più bravo di tutta la scuola… e forse di tutta la storia di quella scuola.

Bella forza!… figlio di uno scrittore e di una professoressa, istruito fino al giorno prima nella più esclusiva scuola di Siena, ripetente come ho detto per età, nel confronto con i coetanei dell’estrema degradata e povera periferia di una città massacrata dalla peggiore delle guerre non potevo che uscire facile vincitore… e naturalmente emarginato.
Io non ero uno di loro, non potevo mimetizzarmi fra i miei compagni scugnizzi e monelli.
Loro lo sapevano, io lo sapevo, i maestri facevano a gara per sottolineare le differenze sociali. Ed io ero sempre più isolato. Anche per questo sono diventato così.

Alla fine, il mio essere nessuno riuscì ad averla vinta. Mediocre studente, mediocre universitario, mediocre programmatore in una mediocre banca. Mediocre marito, mediocre padre, mediocre cittadino.

Mediocre perché il successo si valuta dai risultati, naturalmente considerando anche l’appropriato uso del mezzo.
Machiavellicamente parlando certamente il fine giustifica il mezzo…. se questo è adeguato; ma se per aprire una noce ti serve la schiacciasassi, sei un perdente. Così per la mia dominanza in quinta elementare, così nelle altre cose della vita. Non ho mai fatta molta strada, forse anche perché troppo geloso della mia integrità morale, e il compromesso non l’ho mai accettato.

Tuttavia sono certamente un vincente, ed amo definirmi “un nessuno di notevole successo”.

Perché infine c’è qualcosa nella mia vita che merita di essere citata, un elemento “da biografia”, ed è l’amore. L’amore che tante persone hanno avuto, gratuitamente, verso di me e fors’anche l’amore, molto di meno, che gratuitamente ho dispensato.

Ecco, è proprio qui il mio primo, fondamentale convincimento.
L’amore, per essere tale, deve essere assolutamente gratuito.
Altrimenti è altre cose, magari bellissime ed utilissime, ma non vero amore.

Non è gratuito l’amore del cucciolo che dai genitori chiede in cambio nutrimento e protezione o, diventato più grande, la sua parte di eredità e se possibile, un pochetto di più, a scapito degli “amati” fratelli.

E non del tutto disinteressato quello dei genitori, che ai figli affidano la speranza di una qualche propria immortalità, identicamente a come fanno gli artisti con la propria arte, scultura o pittura o poesia che sia.

Difficilmente è amore quello per il proprio lavoro, visto quasi sempre come strumento di affermazione di sé e scaletta verso il successo sociale, e quello per la cucina frequentemente solo maschera di golosità ed ingordigia.

Mi spiegai una volta, rispondendo ad un amico e chiarendo il mio scetticismo anche per l’amore che dono io:

«Ma perché, quando vai per la strada
sorridi alle persone che incontri?»

«Perché sono contento che siano vive»

«Ma, scusa, per te non è importante
d’essere vivo tu?»


«Anche. Ma se loro non fossero vivi,
a chi potrei sorridere? e senza sorriso,
che vivrei a fare?»


[“Reciprocità” 28/2/2001]


Non mi riesce di riconoscere il vero amore disinteressato predicato nei Vangeli ma non pretendo troppo; mi riferisco io ad altri amori, quelli per cui non c’è (o forse basta che non si trovi?) una motivazione razionale.

Io in quelli mi sento vincente, anche se di concreto non ci ho mai ricavato nulla, ma in verità nemmeno speso granché.

Mi sento vincente perché la gente mi considera anche se non faccio favori (non ne avrei i mezzi) e non privilegio nessuno (non ne sarei capace). E sono generoso perché mi da gusto esserlo.

Mi sento vincente perché non ho bisogno di mentire (troppo orgoglioso per farlo) e riesco a tenere per me il giudizio (anche se è solo strafottenza) e tacere non mi pesa.

So che la gente mi ama perché sente che nel tempo che mi concede io sono tutto al suo servizio (perché non ho altro da fare) e non vorrò per me un momento di più (anche se solo perché non ho nulla da chiedere) e li ascolto volentieri (infatti perché ho poco da dire, e non mi sento sicuro a dare consigli a vanvera, come si sentono obbligati a fare quasi tutti).

Infine la gente mi ama perché si accorge che sono più contento dei loro avanzamenti di carriera che dei miei; e questo è vero, perché capisco che per loro è una cosa importante, mentre per me, quasi un fastidio.

E’ tutto. Alla fine di questa esistenza, anch’io morirò e andrò al camposanto, ma non credo sarà un evento da pubblicare sui giornali.

Conclusione dell’Autobiografia

Questa l’obiettività della mia vita. Cioè l’elencazione delle cose rilevanti che mi riguardano.
Per essere completa, la storia deve includere anche la soggettività, cioè il racconto di quello che c’è dentro l’animo (nel caso dell’autobiografia) o di quello che immaginiamo debba esserci (nella biografia di un altro).
Qui posso cavarmela con tre frasi: la dicotomia perenne che ho nell’anima, due tronconi distinti congiunti da un’elastica immutabile cerniera.

La vita: un tragico evento futuro
che dà angoscia già ora.

La vita: uno scialbo evento passato
che ancora dà noia e rimorsi.

In mezzo, a legarli,
da sempre ed ancora
ogni ora e per sempre,
il nulla presente.


Temporalmente, non saprei dire purtroppo quando io sia passato dall’uno all’altro troncone, o se ci sia passato una sola volta o più volte. O forse 23.820 volte.
Dove 23.820 è il numero dei miei giorni di vita: ad oggi.



Lucio Musto 4 luglio 2004 parole 1484
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view post Posted on 9/3/2012, 20:42
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^_^ Grazie Lucio....
 
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