Le stronzate di Pulcinella

Dom XXX TO - B

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view post Posted on 28/10/2012, 17:26
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Certe volte, andando a Messa, mi vengono delle riflessioni su un punto o due delle letture.
Niente a che vedere con le Omelie o col commento delle Scritture, che non solo qualificato a fare.
Solo qualche idea che mi viene in mente. Se non do fastidio a nessuno, le pubblicherei qui.


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Domenica XXX del tempo ordinario – anno B

Vangelo
Mc 10,46-52




In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla,
il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.
Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire:
«Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».

Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte:
«Figlio di Davide, abbi pietà di me!».

Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!».
Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!».
Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.

Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?».
E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!».
E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato».
E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.





A mio sentire, la frase chiave di tutto i brano è:
gettato via il suo mantello balzò in piedi e venne da Gesù

Bartimeo è l’immagine di ognuno di noi: cieco e mendicante. Immagine forte, perché possiamo intuire quanto fosse disagiata la posizione di un cieco povero in cananea, a quei tempi.
Mendicare, vuol dire chiedere aiuto, a tutti indistintamente, nella speranza che qualcuno possa aiutarci, e tanto più forte ed insistentemente chiediamo quanto più autorevole ci sembra colui al quale rivolgiamo la nostra preghiera.
Bartimeo sente la folla, sente che sta passando Gesù, il pezzo grosso di cui ha sentito parlare, e investe le sue poche energie, e grida forte, per farsi sentire.

E’ esattamente quello che facciamo anche noi, mendicanti di fede. Quand’è Domenica, Natale, Pasqua, quando siamo di fronte al Santissimo esposto, cerchiamo di pregare più forte, più intensamente, nella speranza di farci sentire, ed ottenere il dono di una fede più grande.

Ma non si muove Bartimeo, rimane seduto. Il suo pregare è soprattutto uno scrupolo di coscienza, proprio come spesso il nostro. In fondo in fondo non ci aspettiamo granché; anzi, esperienza insegna che più l’invocato è grande, e meno si cura dei piccoli.
Prega, preghiamo… perché “non si sa mai!”.
Questo è molto umano, comprensibile, e forse perdonabile.

Ma quando Gesù si accorge di lui e lo chiama, Bartimeo, professionista dell’accattonaggio, fiuta subito l’affare: Gesù, colui che distribuisce miracoli mi ha notato… ora si, che avrò la grazia!

E butta via il mantello, non gli servirà più!... Notato da Gesù e convocato alla sua presenza, Bartimeo, uomo di vera fede, sa già di non essere più un cieco, di non essere più un mendicante!...

Infatti alla domanda di Gesù risponde diretto, quasi spavaldo, senza salamelecchi o giri di parole. Gesù mi ha chiamato, vuole quindi, adesso, interessarsi di me, può farlo, inutile tergiversare: chiedo quello che mi serve, senza alcuna esitazione.

E corre. Non si lascia sfuggire quell’attimo, non corre il rischio che Gesù vada oltre, si perda nella folla, sta ben attento a sfruttare il suo momento, la sua occasione, quella certo sognata da sempre. Vedere!

E noi?... preso dalla storia ho trascurato il parallelismo. Bartimeo, ognuno di noi.

Se fra un attimo, stasera, domani, o un giorno futuro sentiremo rumoreggiare, se qualcuno o qualcosa ci dirà “è Gesù che passa”… saremo altrettanto pronti a buttare via il nostro mantello di contingenti, di ipocrisie, di superflui, di vuoti orpelli terreni e correre lesti alla chiamata?
In più, saremo attenti abbastanza da sentire la sua voce nel clamore della folla o dovremo sperare di avere anche noi qualcuno che ci sollecita, come a quell’uomo?:
«Coraggio, alzati, ti chiama!»

Ci ricorderemo di chiedere l’essenziale, la cosa più importante per noi, così come fece il nostro modello, lo sveglio Bartimeo?

Ed una volta riacquistata la vista… ci ricorderemo di rimanere alla sequela di Cristo?...

Perché, se è vero che “La fede salva”, come Gesù stesso ha detto al mendicante riscattato, rimane pur sempre la libertà dell’uomo, rispettata anche da Dio, la libertà di tornare per sciattezza ad infognarsi nella miseria della cecità umana.


Lucio Musto 24 ottobre 2012
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view post Posted on 3/2/2013, 21:00
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Non son degno che tu entri sotto il mio tetto

«Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto;
per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te;
ma di' una parola e il mio servo sarà guarito.
Anch'io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno:
Va'!, ed egli va; e a un altro: Vieni!, ed egli viene; e al mio servo: Fa' questo!, ed egli lo fa»



E’ la storia di quel Centurione con il servo in fin di vita. Sente parlare di Gesù guaritore e gli manda gli anziani di Cafarnao per chiamarlo al capezzale di quell’uomo e farlo guarire.
Gesù prontamente s’incammina, ma il Centurione gli manda incontro degli amici con l’ambasciata riportata in citazione. Il servo prontamente guarisce e Gesù commenta: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!» [Lc 7,10]

Osserviamo innanzi tutto che presso i romani dell’epoca, un servo era poco più di una mera proprietà, ed anche che il Centurione rappresenta una piccola autorità del paese, forse come una volta da noi il graduato reggente la stazione dei carabinieri.

Possiamo immaginare dunque questo graduato, preoccupato per la vita di quel servitore prezioso, forse anche amico, sente di questo guaritore di passaggio.
Non se la sente di esporre la sua autorità ad un insuccesso o un rifiuto, ma cerca di dare comunque peso alla richiesta del “miracolo”, e si fa raccomandare dai notabili locali, gli anziani.
Ci viene da immaginare che abbia pensato:
“il mio servo è spacciato ormai, ed il santone non ci rischierà la faccia, ma tentar non nuoce… se rifiuterà di venire a curare l’uomo avrà detto no a dei suoi conterranei, e l’autorità romana non sarà comunque scalfita.
Un atteggiamento quindi prudente e scettico, ma in fondo comprensibile e pietoso verso il servo morente. Chi può non comprendere un ultimo disperato tentativo verso una persona che ti è cara?

Gli anziani vanno e caldeggiano l’intervento di Gesù, il quale senza esitazione si incammina come sempre in pronta donazione di se verso chi a lui si rivolge con preghiera fervida…
e la cosa spiazza del tutto il Centurione e forse si aspettava un prudente svicolare da parte del Maestro.

Tanta pronta, franca, totale e sicura disponibilità lo turba profondamente e fa scattare in lui, intelligente di comando, la conversione dell’animo.
Non ha bisogno di verifiche, il militare aduso alle certezze. Questo Santone sa il fatto suo, davvero è in grado di fare i miracoli, davvero è chi dice di essere.
Il Centurione valuta immediatamente la sua posizione e si sente sottomesso. Questo Gesù comanda alla morte come lui comanda agli uomini, è quindi un capo, certo più grande di lui, e gli si riconosce subalterno.
La conversione è immediata. Prima ancora che il miracolo si compia la sua fede è perfetta:
Signore padrone della morte, non scomodarti a venire bella mia casa, troppo misera per te; a te basta una parola per esplicare il tuo potere; io lo so e ti credo!

E Gesù loda questo Centurione per essere stato vigile di mente e di cuore, attento ad accogliere l’illuminazione della fede , pronto alla conversione, totale e consapevole.


Lucio Musto 12 settembre 2011
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view post Posted on 11/4/2013, 03:47
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Libertà

OA - 9 aprile 2013



Stasera leggo il capitolo settimo e l’ottavo della prima lettera ai Corinzi; il capitolo relativo alla verginità ed al matrimonio, e quello degli idolotiti.

Quanta fermezza, quanta chiarezza e quanto rigore normativo! ma insieme, di quanta libertà di autodeterminazione l’uomo legittimamente dispone!

Sono stato spinto a meditare su alcuni aspetti di questi scritti.

Innanzi tutto Paolo distingue nettamente, e si fa scrupolo di ripeterlo ad ogni occasione, fra quanto è materia di dottrina, ispirata da Dio, e quanto invece solo suo parere, frutto di suo convincimento o elaborazione mentale. E naturalmente mi viene da pensare a quante volte accade, ad ognuno di noi, di mescolare la verità che sappiamo oggettiva, la volontà di Dio, la dimostrazione scientifica, con quanto è frutto solo di nostro giudizio, o peggio, di nostra irrazionale sensazione!

Poi mi desta ammirazione come Paolo parli di uomini e donne, di moglie e marito con perfetta specularità. In una materia tanto delicata come il rapporto coniugale, continua puntigliosamente a ripetere “moglie e marito, marito e moglie”. Anche in tema di verginità non fa distinguo di sesso, chiaramente mostrando di tenere ad una verginità mentale e spirituale, piuttosto che ad un mero fatto ginecologico.
E la tanto oggi strombazzata sudditanza della donna all’uomo imposta dalla Chiesa pare che si riduca ad un fatto sociale di igiene familiare. Un marito che gestisce la famiglia, un padre che esercita una sana patria potestà ed un controllo sulle intemperanze e le fragilità giovanili dei figli.
Gli sposi si affrancheranno dalla soggezione paterna per vivere insieme e di comune accordo la propria vita.
Mi viene in mente il “dovere coniugale” tanto spesso invocato e sventolato a giustificazione e scusa di separazione in quei matrimoni raccogliticci che tanto spesso si imbastiscono con colpevole leggerezza.
Paolo raccomanda caldamente che sia l’amore reciproco ed il rispetto dell’altro, come sacro tempio di Dio a guidare queste questioni.

Ancora più puntuale è la trattazione degli idolotiti, gli animali sacrificali per gli idoli, il cui consumo veniva codificato dai pagani e naturalmente vietato dagli ebrei.
Mangiare di quella carne non è peccato, fa notare Paolo, perché gli idoli non esistono, ma uno solo è Dio. Per un cristiano si tratta semplicemente di cibo preparato in un modo diverso dall’usuale, e quindi nessun imbarazzo a partecipare al desco di un non credente o vivere da cristiani in una famiglia o un ambiente pagano.
Il cristiano (lo aveva già detto nei capitoli precedenti) è un essere spirituale, al di sopra di semplici ritualità, e le nostre preoccupazioni devono essere più alte!
Ritornano le parole dell’evangelista:
“” Niente di ciò che entra nell'uomo dall'esterno può farlo diventare impuro. Piuttosto, è ciò che esce dall'uomo che può renderlo impuro “” [Mc 7,15]
Ma Paolo non si ferma qui: non è così semplice e ci ammonisce fermamente di stare attenti però che questa nostra consapevolezza del primato dell’uomo spirituale su quello carnale non si muti in motivo di preoccupazione e di scandalo per quei nostri fratelli che tale colpevolezza non l’hanno ancora, e quindi sono più fragili e meno preparati nella fede, perché allora si che faremmo torto ai nostri principi di amore fraterno!

Quest’ultimo aspetto è quello che mi ha maggiormente fatto riflettere.
Quante volte accade che, chiusi nelle nostre certezze, consapevoli e sicuri che il nostro agire sia lecito, o corretto, o buono, o generoso, o altruistico, andiamo dritti come treni senza affatto guardarci intorno, senza punto preoccuparci di turbare la sensibilità di altri che ci stanno intorno e che non riescono a penetrare la giustezza del nostro fare?

Dobbiamo vigilare anche su questo. La sia pur involontaria istigazione al turbamento altrui rende illecito il nostro lecito comportamento.


Lucio Musto 9 aprile 2013
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CITAZIONE
Dobbiamo vigilare anche su questo. La sia pur involontaria istigazione al turbamento altrui rende illecito il nostro lecito comportamento.

questo passaggio è bellissimo, grazie Lucio
.
 
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grazie a te, Pullecenè!... io sto scoprendo che andarsene in chiesa un'ora a settimana a stare seduto zitto e muto su una sedia nel silenzio assoluto serve, e serve più di tante frenetiche ore passate nel frastuono sociale a fare un sacco di cose che non servono a niente!
 
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Domenica IV di Pasqua - anno C



E' utile andare a Messa anche perché spesso sei costretto ad ascoltare parole destinate a farti riflettere, e che ti si imprimono dentro non tanto per il fattarello in sé ma perché trovano precisi riscontri nella tua vita reale, di stamattina, di ieri sera...

Oggi mi hanno particolarmente colpito due immagini.

La prima, leggendo gli atti degli Apostoli dove si racconta di Paolo e Barnaba che predicano in Antiochia, ed hanno grande seguito di gente. Per questo motivo suscitano gelosia ed invidia nei preti locali che “sobillano le donne della nobiltà ed i notabili... “ e perseguitandoli provano a scacciarli.
Ed allora gli Apostoli dicono che è per loro indispensabile annunciare la Parola prima a quelli che sono più vicini, ma se questi non intendono recepirla, nonostante ogni buona volontà, non rimane che “scuotere la polvere dalle scarpe” ed andare via per predicare la Parola da un’altra parte.
Anche noi, dobbiamo fare lo stesso, ho pensato. Proporre le idee in cui crediamo e che ci sembrano giuste, mettendoci tutta la chiarezza di cui siamo capaci, ma non cercare di imporla a tutti i costi. Gli altri sono liberi, e questa libertà occorre rispettarla.
Questo principio facile e logico non sempre ci è ben presente davanti agli occhi.

La seconda immagine è da una citazione da S.Agostino fatta dal prete durante l’omelia. Più o meno ha riportato: «io sono “con voi” come cristiano fra i cristiani, e la cosa mi riempie di gioia, perché siamo amici, la pensiamo alla stessa maniera, ci stimiamo e rispettiamo, ognuno si fida degli altri... e sto “per voi” come vescovo. E questo mi dà molta preoccupazione, perché sento la piena responsabilità di ogni parola che dico, del modo in cui la accettate, le conseguenze che ne traete...»
Anche qui ho pensato al parallelo con noi stessi. Quando scherziamo e conversiamo per diletto possiamo anche godere di quel momento con leggerezza. Ma quando parliamo seriamente, qualsiasi cosa diciamo, ci assumiamo in toto ogni responsabilità. Non solo di quello che diciamo, ma anche del come gli altri la interpretano. Fatta salva ogni buonafede, s’intende!


Lucio Musto 21 aprile 2013
 
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view post Posted on 25/4/2013, 23:36
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Venticinque aprile San Marco

Nella mia città c’è una importante chiesa dedicata a questo santo e stasera Il Vescovo vi ha celebrato la messa soffermandosi un poco sulla figura dell’evangelista.
Rifletto con le sue parole.

Non sappiamo molto della vita di questo cristiano tanto importante da aver scritto uno dei Vangeli, pilastri del cristianesimo, ma quel poco che sappiamo ci può essere di grande consolazione.
Marco, evangelista e martire, è uno di noi. Uno che la chiamata di Cristo, il cammino di fede, lo patisce; non lo vive come una marcia trionfale dopo una splendente rivelazione, ma come una maturazione lenta, faticosa, incerta.

Lo troviamo ancora giovinetto nell’orto degli olivi, probabilmente in disparte, coperto solo con un lenzuolo. Forse la curiosità lo aveva spinto in quel luogo con urgenza, senza nemmeno dargli il tempo di vestirsi. O forse è questa una immagine simbolica, che non indagheremo.
Certo che all’approssimarsi delle guardie che vengono a prendere Gesù si impaurisce e scappa via perdendo il lenzuolo per strada e rimanendo nudo [Mc 14]

Lo incontriamo di nuovo alla sequela di Paolo in viaggio verso Antiochia, ma gli Atti degli Apostoli ci informano che non resistette a lungo. La fatica del servizio, e certo più ancora la crescente ostilità che Paolo incontrava nel suo viaggio fu troppo per la sua fermezza d’animo e rinunciò.

E Paolo, nel suo viaggio successivo non volle portarlo con se. Questo ci mostra che non era ancora maturo, ma anche che non aveva perso la fede. Titubava insicuro, come accade tante volte anche ad ognuno di noi.

Ed ancora eccolo a Roma, questa volta al fianco di Pietro che lo indica come “figlio”; forse lo ha battezzato egli stesso, ma dopo poco è reclamato di nuovo da Paolo per aiutarlo nel ministero.
Il tempo è passato e Marco è cresciuto nella fede, tanto che “si fa le ossa” come vescovo nelle diocesi di Udine e Grado. Ma naturalmente non basta.

Per quanto si sia nati piccoli, per quanto si sia pavidi, tiepidi, insicuri sull’arduo cammino della fede, perseverando si va sempre avanti e la strada della santità non conosce termine.
Marco adesso è in Egitto a fondare la chiesa di Alessandria. Ha scritto il suo Vangelo, ha portato la sua testimonianza concreta come primo vescovo di quelle terre, non gli rimane che consacrarle effondendo il suo sangue. Cosa che puntualmente accade nel martirio.

Questo, il messaggio chiaro rivolto a noi dal Santo Evangelista:

Non abbiate vergogna della vostra attuale pochezza. Perseverate nella strada del bene fino alle estreme conseguenze. Ce la potete fare, con l’aiuto silenzioso di Dio, e raggiungerete il traguardo che sembrava tanto lontano.


Lucio Musto 25 aprile 2013
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view post Posted on 26/4/2013, 17:05
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Mo te si allargato? E mo' aspetto il 20 Gennaio, fatti un giro in tutte le chiese dove si trova San Sebastiano, e fatti venire tutte le ispirazioni possibili ed immaginabili .
 
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view post Posted on 26/4/2013, 18:42
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San Sebastiano è un santo importante!... per lui ci vogliono almeno due puntate! ;)
 
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io direi importantissimo anche perchè due mesi fa è nato un altro suo adepto!
 
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CITAZIONE (Pulcinella291 @ 27/4/2013, 10:53) 
io direi importantissimo anche perchè due mesi fa è nato un altro suo adepto!

soprattutto per quello!... che poi è nepote d'o nonno...
Dovrò studiarlo bene, perché per farlo Martire, a San Sebbastiano
lo dovettero ammazzare due volte che una non bastava, se ben mi ricordo la storia...

ma attenzione!...
L'altra sera andai con Ro a farmi una pizza da Ciro, l'unico posto qui intorno in cui la pizza è mangiabile,
perché Ciro è di Torre Annunziata, ed ho conosciuto anche i suoi genitori, freschi arrivati dal Sud.
Due simpatiche persone; ed il papà di Ciro, con fare esageratamente altezzoso ha detto:
" E badate bene che io sono Antonio!... "
al che io subito pronto 'a copp' a' mano:
" E c'aggia fa?... Voi sarete pure Antonio 'o gruosso, ma i' conosco chillo ca conta: Antonio 'o piccerillo! (il nipotino, figlio di Ciro) "

E 'o viecchio se' avuta a sta'... però tutto ca se ciaciava all'idea!
 
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view post Posted on 27/4/2013, 18:33
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infatti je me ciaceo assaje da due mesi a questa parte.Don Lu' a puntella è puntella. A proposito qualcosina sulla puntella o supponta nun ne tiene? Scava int' o cascione jamme!
 
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view post Posted on 27/4/2013, 21:19
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'na cosa 'a tenesse...e me la ricordo anche a mente... ma non è il caso di esaggerare... con questi tipi di scavi... ca si no se ne càreno 'e fundamenta!...
 
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view post Posted on 27/5/2013, 10:23
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Come riva del mare

Come falesia di costa alta
contro la burrasca degli uomini inquieti
lottiamo impavidi e resistiamo
alla furia della tentazione che pure
gradatamente, tenacemente,
frantuma e sbriciola
la nostra tracotanza rocciosa.

Là dove invece fatti umili
di microscopici granelli silicei,
singoli frammenti d’identità,
liberi e sciolti in nostra indipendenza
ma resi uno nell’appartenenza,
soffice spiaggia di umanità premurosa,
là vinciamo quel mare che imponente
di onde furiose e distruttrici.

E quegli stesso, a questa riva delicatamente
porta nuovi grani di sabbia come noi
da aggregare in condivisione e pace.



Questo pensiero mi è venuto stasera con il Preambolo ed il primo capitolo della seconda lettera a Corinzi.

Ho letto Paolo nell’angoscia della tentazione, quando gravi avversità gli si accanivano contro a causa della sua predicazione e del cuore indurito della gente, e l’ho immaginato come bastione di costa alta, solidamente ancorato nella fede alla quale ormai si è votato e che lo sostiene, eppure soggetto alle insidie ““di Satana, del quale non ignoriamo le macchinazioni”” [2Cor 2,11].

Come lui vedo me stesso, presuntuosamente arroccato nelle mie certezze e tentato a quella superiorità di chi sa, di chi presume di essere il prediletto, lo scelto, l’unto.
Lentamente ma costantemente e dolorosamente il turbine delle tentazioni del mondo erodono quella certezza, dilavandola via e lasciandomi di nuovo esposto, a lacerazioni più profonde.

Paolo, come accade per tutti noi, diventa vincente quando si fa uno con la comunità di Corinto, numerosi si come granelli di sabbia, soggetti alle spinte tormentose di molte altre possenti ideologie presenti in quella grande e cosmopolita città, che li squassano proprio come onde che spostano la rena docile di qua e di la sulla spiaggia.
Ma essa stessa, la spiaggia, pur libera in ogni suo singolo frammento rimane coesa nella sua integrità di collettività, e crescerà. per apporto di sempre nuovi granelli, nuovi fratelli di fede, fino a diventare egemone.

La dolcezza di una spiaggia è molto più salda dell’orgogliosa asprezza della falesia!


Lucio Musto 14 maggio 2013
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Ancora sul Samaritano



Quale storia più conosciuta di questa? quale parabola evangelica più letta, approfondita, studiata, ripetuta?.

Eppure stasera, mi è apparso un dettaglio nuovo, un aspetto che non avevo mai considerato, e con mi sembra affatto trascurabile. Ancora una differenza sostanziale fra i due personaggi che tirano dritto e quello, il Samaritano appunto, che si ferma ad aiutare il giudeo malmenato e ferito.

Il Sacerdote non si ferma timoroso di contaminare sé stesso col sangue del ferito e non poter degnamente assolvere ai suoi compiti al Tempio.

Il Levita teme di sminuire la sua funzione di educatore e guida delle genti perdendo tempo con un pezzente mezzo morto.

Entrambi, compresi della loro importante funzione sociale e religiosa, si preoccupano di cosa può accadere a loro, in conseguenza di quell’uomo bisognoso di soccorso.

Al di là del fatto evidente dell’omissione di soccorso in qualche modo motivata, anche se moralmente non accettata, dalle caratteristiche dei due personaggi, si sottolinea il loro generale atteggiamento spirituale, volto innanzi tutto alle esigenze personali.
Non a caso nella Parabola sono state scelte queste due figure, entrambe “persone perbene”, prese dalla preoccupazione verso Dio e verso gli altri, nel servizio strettamente liturgico, ed in quello più ampio di guida sociale e spirituale!... si fossero scelti personaggi più materialisti, più venali, più indifferenti tanto disamore sarebbe stato quasi scontato, ma la Parola vuole andare oltre e metterci sull’avviso: la cosa ci riguarda personalmente, perché noi tutti ci consideriamo buoni, onesti, rispettabili e sensibili. Probabilmente siamo anche noi persone per bene, ma il dettato evangelico ci indica che non è sufficiente; bisogna andare oltre...

Il Samaritano al contrario si chiede innanzi tutto cosa potrebbe accadere al moribondo, “prima” di preoccuparsi di se stesso e delle proprie occupazioni. Che comunque non trascura.
Infatti soccorso l’uomo nella sua emergenza, portatolo in luogo sicuro e preoccupatosi dell’immediato futuro del malcapitato parte proseguendo per la sua strada.
Ma non l’abbandona; dopo aver fatto la sua parte di “pronto soccorso”, lo affida all’albergatore perché ne abbia cura durante la convalescenza.
Ma all’albergatore non impone la sua stessa misericordia; infatti la misericordia arricchisce solo chi spontaneamente l’elargisce. All’albergatore chiede solo un servizio e lo retribuisce.

La differenza fra egoismo e misericordia talvolta non è che una questione di priorità.

Stiamoci attenti anche noi, alle nostre scalette delle urgenze!


Lucio Musto 9 giugno 2013
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Considerazione: è per me stupefacente notare come le Scritture offrano sempre nuovi spunti di riflessione, e che ci sia sempre qualcos’altro da scoprire. Forse nessuna parola è scritta a caso o è inutile. Ad esempio ora mi chiedo perché sia specificato: “Un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gerico...”
Non bastava dire “Un uomo era in cammino...”?
E’ quella solo una frase introduttiva, o avrà anch’essa un significato che ancora non ho scoperto?

Mi sa che anche la più celebre delle Parabole, quella del buon samaritano dovrò rileggerla con maggior attenzione, e rifletterci su!
 
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