Le stronzate di Pulcinella

Tutte le Stragi ed eccidi nazisti in Italia:con immagini d'epoca

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view post Posted on 1/2/2013, 09:50
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Pulcinella291 Forum

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L'eccidio di Castiglione di Sicilia


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Nell' agosto del 1943 La Germania e l'Italia sono ancora alleate,l'armistizio non era ancora stato dichiarato, ma le truppe delle due nazioni si stanno ritirando non riuscendo a far fronte alle truppe alleate sbarcate in Sicilia e sono inseguite dalla VII° armata statunitense e dalla VIII° armata inglese, durante questa ritirata un drappello di SS aspetta l'ordine di ritirarsi in una frazione del comune di Castiglione, precisamente in contrada Sciambro. Verso la notte del 10 agosto 1943 a queste truppe naziste viene sottratto un autocarro contenete delle provviste alimentari. Il mattino dell'11 agosto un veicolo con a bordo 40 soldati tedeschi con la scorta di un mezzo corazzato irruppe nel paese di Castiglione di Sicilia e all'ordine di un ufficiale delle SS aprono il fuoco sia con le mitragliatrici che con il carro armato, contro la popolazione civile del paese, causando subito decine di morti e feriti, testimoni riferiscono che i nazisti entrano urlando nelle case e fanno uscire gli uomini, colpendoli con calci e con i fucili, una donna viene gettata da un balcone e lasciata sulla strada nonostante avesse le gambe fratturate. Quando le persone sono tutte uscite i nazisti li obbligano ad andarsene dal paese, e prendono come ostaggi circa 200 persone, fra i quali ci sono anziani e bambini, picchiando chi non scattava agli ordini e fucilando quelli che si rifiutavano. Secondo alcuni testimoni gli ostaggi vengono imprigionati nel castello, secondo altri all'aperto in un ovile, comunque senza ne bere ne mangiare, e vengono tenuti rinchiusi per tre giorni durante i quali i nazisti saccheggiano il paese e poi gli danno fuoco. Mentre gli abitanti abbandonano il paese alcuni volontari tentano e riescono a fare una mediazione che salva gli ostaggi.Nell'attacco si conteranno 16 morti e 20 feriti gravi. Questo l'elenco ufficiale delle vittime di Castiglione : Nicolò Camardi, Francesco Cannavò, Giuseppe Carciopolo, Antonino Calano, Nunzio Costanzo, Giovanni Grifò, Giovanni Damico, Francesco Di Francesco, Salvatore Di Francesco, Giuseppe Ferlito, Vincenzo Nastasi, Salvatore Portale, Santo Purello, Giuseppe Rinaudo, Carmelo Rosano, Giuseppe Seminara.

LA STRAGE DI NOLA:un eccidio quasi dimenticato


E' stato uno dei massacri piu' efferati compiuto dai Nazisti nel nostro paese.
Nel 1943 a Nola erano presenti sia il Distretto militare (presso la reggia Orsini), sia le truppe del 12º Reggimento di Artiglieria.

Dopo lo sbarco di Salerno, avvenuto il 9 settembre, l'armata Kesselring decise di convogliare tutte le forze disponibili verso il capoluogo salernitano, in modo da organizzare al meglio la difesa. Il 10 settembre due tedeschi alla guida di una motocicletta tentarono di disarmare i soldati italiani e al loro rifiuto decisero di aprire il fuoco.

I soldati italiani (e forse anche qualche civile) risposero al fuoco e uno dei due tedeschi venne ucciso, mentre l'altro venne catturato (nel conflitto cadde anche il civile Giuseppe De Luca).

Subito dopo i soldati italiani decisero di inviare una delegazione presso le truppe germaniche di stanza a Nola. Nonostante i militari italiani fossero disarmati e sventolassero il vessillo bianco i tedeschi aprirono il fuoco contro di loro. Uno dei militi italiani, Aldo Carelli, rimase ucciso. Il giorno dopo la divisione corazzata Goering giunse nella piazza antistante la caserma italiana e, nonostante la strenue e coraggiosa resistenza degli italiani, disarmarono le truppe. Successivamente fecero uscire fuori tutti i soldati di stanza e fucilarono sommariamente 10 ufficiali
Tra loro venne fucilato anche il tenente Enrico Forzati, che venne insignito della medaglia d'oro per alti meriti, per essersi offerto a sostituire un commilitone, come pare dalle relazioni ufficiali redatte dai carabinieri.

Qualche giorno dopo venne ucciso anche il civile Gaetano Santaniello che pare avesse compiuto il sabotaggio della linea ferrata. Il 1º ottobre i nolani riuscirono a prendere le munizioni conservate nella locale caserma dei carabinieri e fronteggiarono le truppe tedesche che, nel clima generale di fuga di quei giorni, furono costretti ad abbandonare la città
Ecco l'elenco delle vittime della strage di Nola:
Giuseppe De Luca (10 settembre)
Sol. Aldo Carelli (10 settembre)
Col. Amedeo Ruberto (11 settembre)
Col. Michele De Pasqua (11 settembre)
Ten. Roberto Berninzoni (11 settembre)
Cap. Mario De Manuele (11 settembre)
Ten. Enrico Forzati (11 settembre)
Ten. Alberto Pesce (11 settembre)
Ten. Gino Iacovone (11 settembre)
Ten. Luigi Sidoli (11 settembre)
Ten. Pietro Nizzi (11 settembre)
Ten. Consolato Benedetto (11 settembre)
Gaetano Santaniello (22 settembre)
Amedeo Tortora (14 settembre)


L'eccidio di Boves


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Fu una rappresaglia nazista contro i civili inermi,il 19 settembre 1943 e poi tra il 31 dicembre 1943 ed il 3 gennaio 1944 a Boves, in provincia di Cuneo.
Una volta avvenuto lo sbarco degli alleati in Sicilia, Mussolini viene arrestato, ed il governo è assegnato al generale Pietro Badoglio, il quale firma l'armistizio con gli angloamericani rendendolo noto l'8 settembre 1943, lasciando però le forze militari italiane senza alcuna precisa istruzione sul come comportarsi,da quel momento in poi, con i tedeschi e con gli alleati.
I soldati italiani sono allo sbando, ed i nazisti ne approfittano per prendere possesso di tutti i territori italiani non ancora in mano agli alleati.

Nel paese di Boves, situato in provincia di Cuneo, si costituisce una delle prime formazioni partigiane italiane: un reparto di militari italiani, comandati dall'ufficiale Ignazio Vian, dopo l'8 settembre, si rifugia sulle montagne ed inizia una azione di resistenza contro le truppe tedesche.

Per caso un giorno un gruppo di partigiani sceso in paese a far provviste si imbatte in una macchina con a bordo due soldati tedeschi, catturandoli senza troppe difficoltà e conducendoli prigionieri in montagna. I due facevano parte della divisione SS Leibstandarte "Adolf Hitler", che risponde qualche giorno dopo attaccando le postazioni partigiane. Nello scontro muore un soldato tedesco, il cui corpo viene abbandonato dai compagni in ritirata. Le SS, comandate dall'Oberführer Theodor Wisch e dal Sturmbannführer Joachim Peiper, occupano allora Boves, e convocano immediatamente il parroco e il commissario della prefettura. A questi ultimi intimano di organizzare un'ambasceria presso i partigiani, chiedendo la restituzione degli ostaggi, pena la rappresaglia su Boves. Il parroco chiede al comandante tedesco di scrivere su un pezzo di carta che avrebbe risparmiato il paese se l'ambasceria fosse andata a buon fine. Ma il comandante risponde che non ce ne era bisogno e che la parola di un tedesco valeva più di mille firme di un italiano. Con una macchina ed una bandiera bianca il parroco e il commissario risalgono la valle, superando vari posti di blocco tedeschi, fino a raggiungere il paesello divenuto base dei partigiani. Dopo una lunga trattativa, pur col dubbio di cedere l'unica garanzia contro la rappresaglia tedesca, i partigiani riconsegnano gli ostaggi con tutta l'attrezzatura e anche la loro macchina. Al ritorno in paese del parroco e del commissario con i due ostaggi e, tra l'altro, il corpo del tedesco caduto in battaglia, le SS danno inizio all'eccidio. A Boves molti sono fuggiti, in campagna, nelle ore e nei giorni precedenti, è rimasto principalmente chi non era in grado: vecchi, invalidi. Le SS incendiano il paese, circa 350 case la cifra ufficiale, e massacrano 32 persone compresi il parroco ed il commissario della prefettura, i quali, addirittura, vengono bruciati vivi.
Quello di Boves è stato uno dei primissimi episodi del sistema repressivo tedesco che prevedeva azioni contro la popolazione civile in risposta alle azioni partigiane e dei militari italiani.

Tra il 1943 ed il 1944 la città subì una seconda ondata di violenze; in questo caso, l'esercito tedesco attuò dei rastrellamenti nella zona montana di Boves per coprire la propria ritirata ed evitare i "colpi" dei gruppi partigiani presenti in zona. Il paese, soprattutto nelle frazioni montane, viene di nuovo dato alle fiamme; i morti sono 59, tra civili e partigiani.

Strage di Matera



Persero la vita 24 persone di cui 16 cittadini materani. Matera fu la prima città del Mezzogiorno a insorgere contro il nazifascismo.
Il 18 settembre per prevenire azioni di sabotaggio prendono 12 ostaggi e li rinchiudono nella caserma della milizia. Il giorno 21 un tedesco con le armi in pugno rapina una gioielleria della città, ma Emanuele Manicone che si trova nei pressi interviene e armato di un pugnale riesce a sopraffare il tedesco e a ucciderlo, la notizia si sparge, gli abitanti della città tirano fuori le armi e aiutati dal presidio militare italiano comandato dal tenente Francesco Nitti aprono il fuoco contro i tedeschi, che in formazioni motorizzate girano per le strade della città sparando contro chiunque gli capiti a tiro. Ormai è diventata una battaglia per la libertà e anche fra i tedeschi ci sono varie vittime, e a un certo punto dopo aver fatto esplodere gli impianti più importanti della città, fanno esplodere la caserma dove sono detenuti gli ostaggi, non rimane nessun sopravissuto , i tedeschi lasciano la città quando stanno per arrivare gli alleati.
In virtù dei sacrifici delle sue genti, la città di Matera è stata insignita della Medaglia d'argento al Valor Militare. Tale onorificenza venne conferita il 21 settembre 1966 dal Ministro della Difesa Roberto Tremelloni e consegnata tre anni dopo dal suo successore Luigi Gui, il quale decorò della medaglia il gonfalone della città e scoprì una lapide con la seguente iscrizione:

« Matera prima città del Mezzogiorno insorta in armi contro il nazifascismo addita l'epico sacrificio del 21 settembre 1943 alle generazioni presenti e future perché ricordino e sappiano con pari dignità e fermezza difendere la libertà e la dignità della coscienza contro tutte le prevaricazioni e le offese. »


Eccidio di Pietransieri-Roccaraso


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fu compiuto dall'occupante nazista in Italia il 21 novembre 1943 a Pietransieri, frazione del comune di Roccaraso (provincia dell'Aquila

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Pietransieri è una frazione del comune di Roccaraso che è situato tra il Parco Nazionale d’Abruzzo e il Parco della Maiella. Dopo che gli alleati sono sbarcati in Sicilia e avanzano verso nord nelle penisola, Hitler ordina alle forze tedesche presenti nell' Italia centrale di difendere le proprie posizioni fino alla primavera del 1944, la zona comprendente il comune di Roccaraso è proprio situata nella linea difensiva chiamata Gustav che i tedeschi hanno formato per tentare di fermare gli alleati, l'ordine di Hitler impone anche di fare terra bruciata nelle zone dove operano le forze dei partigiani, e in base a questo ordine il maresciallo Albert Kesselring, comandante tedesco delle armate presenti in zona fa affiggere un manifesto nelle località di Rivisondoli, Pescocostanzo, Roccaraso e Pietransieri. Ma la popolazione evidentemente ignora l'avvertimento, e i tedeschi compiono un efferata rappresaglia, agli ordini del tenente Schulemburg, prima fanno razzia del bestiame uccidendolo e lasciandolo abbandonato nei boschi prossimi alle località, poi raggruppano i civili li portano nel bosco di Limmari dove li massacrano, le vittime sono 128, e comprendono 34 bambini con meno di 10 anni e un neonato di un mese, i cadaveri vengono abbandonati nel bosco e vengono sepolte dalla neve e rinvenute nella primavera del 1944. A Pietransieri è stato edificato un Sacrario dedicato alle 128 vittime della barbarie nazista. Sulle pareti del tempio sono incisi i nomi e l'età delle 128 vittime della strage. Per ricordare i Martiri a partire dal 1945, il 20 novembre nel paese si svolge una fiaccolata notturna che partendo dal bosco di Limmari giunge in paese. Il 25 luglio del 1967 il capo dello stato italiano Giuseppe Saragat, in memoria della terribile strage. consegna al comune di Roccaraso la Medaglia d'Oro al Valor Militare che viene appuntata sul gonfalone del comune.

I Caduti di Pietransieri
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Lanciano: la Rivolta del 1943



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I primi di ottobre del 1943 a Lanciano in provincia di Chieti i tedeschi hanno ormai occupato tutti i centri di controllo della città, e imperversano con razzie e rastrellamenti, in pochi giorni in molti si ritrovarono defraudati di tutti i loro beni, nella città si stava tentando di organizzare una forma di resistenza, e il giorno 5 ottobre 43 vengono attaccati alcuni furgoni della Wehrmacht. Dai tedeschi viene ucciso brutalmente il partigiano La Barba che aveva partecipato all'attentato, e questo episodio fa sfociare la rivolta della popolazione, con una battaglia che viene condotta per le vie cittadine, ma i rivoltosi hanno poche armi e poca strategia militare e i nazisti riescono a soffocare la rivolta, pur subendo elevate perdite di uomini, molti dei rivoltosi riescono a fuggire disperdendosi nelle campagne, sapendo bene che i Nazisti non facevano prigionieri, alla fine Lanciano viene incendiata e distrutta in gran parte, il bilancio finale parla di 47 soldati tedeschi e 23 cittadini di lanciano uccisi. Gli alleati arriveranno soltanto a dicembre per la difficoltà di sconfiggere i tedeschi che trovano sui monti dell'Abruzzo, difatti questa è l'ultima regione del Sud Italia a venire liberata.
I lancianesi caduti in combattimento :
Bianco Vincenzo
Calabrò Giovanni
Castiglione Giuseppe
Cuonzo Achille
Giangiulio Adamo
Marsilio Giuseppe
Rosato Guido
Stella Raffaele

Strage di Monchio, Susano e Costrignano


fu una rappresaglia commessa dalle truppe naziste in Italia il 18 marzo 1944, contro la costituzione delle prime brigate partigiane sull'appennino modenese. Tutti i fatti sono avvenuti in frazioni del comune di Palagano, ma all’epoca questo territorio era parte del comune di Montefiorino. Nell'indicare la strage viene spesso omesso il nome del paese di Savoniero, essendoci stata una sola vittima di questa frazione uccisa inoltre il giorno dopo, presso la rocca di Montefiorino

Il 9 marzo 1944 nei pressi di Savoniero avvengono degli scontri fra i Partigiani e soldati nazifascisti, conclusosi con la morte di 7 fascisti, il 16 ed il 17 marzo avvengono altri scontri vicino al Monte Santa Giulia dove stazionano i partigiani, nello scontro muore un ufficiale nazista e alcuni soldati. A questo punto i tedeschi mandano nella zona un reparto di paracadutisti sotto il comando del capitano Kurt Cristian von Loeben, e truppe della G.N.R. di Modena, che circondano la valle. Al mattino del 18 marzo queste truppe iniziano a cannoneggiate a ripetizione le frazioni di Monchio, Susano e Costrignano, gli abitanti di queste zone cercano la fuga ma rimane difficile effettuarla per l'intenso bombardamento a cui è sottoposta tutta la zona, in seguito i tedeschi muovono i mezzi corazzati verso le frazioni e per mezzo di segnali luminosi informano l'artiglieria sulle zone ancora da colpire. Quando tutti i mezzi corazzati raggiungono le frazioni cessano i colpi di artiglieria, e inizia un vero massacro, le case vengono razziate come pure gli animali, e le persone che vengono trovate uccise, a parte gli uomini che servono ai nazisti per trasportare la roba saccheggiata, finito lo sterminio si conteranno 139 civili morti Tra questi poveri morti sono da segnalare la presenza di 6 bambini di età inferiore ai dieci anni, 7 ragazzi tra i dieci ed i sedici, 7 donne di cui una all’ultimo mese di gravidanza, 20 anziani ultra sessantenni di cui uno semi paralizzato.
Ecco l'elenco dei morti della strage di Monchio, Susano e Costrignano:
Frazione di Monchio:

Abbati Callisto, Abbati Cristoforo, Abbati Giuseppe, Abbati Milziade, Abbati Raffaele, Abbati Remo, Abbati Tommaso, Albicini Ermenegildo, Barozzi Augusto, Barozzi Adelmo, Barozzi Mario, Bedostri Giuseppe, Bedostri Luigi, Bucciarelli Livio, Braglia Ambrogio, Cornetti Adele, Cornetti Luigi, Caminati Giovanni, Caselli Alberto, Carani Ernesto, Carani Geminiano, Compagni Ernesto, Debbia Enrico, Debbia Franco, Debbia Valerio, Debbia Roberto, Facchini Sisto, Ferrari Egidio, Ferrari Remo, Ferrari Teobaldo, Fiorentini Giuseppe, Fontanini Teodoro, Giberti Attilio, Giberti Eleuterio, Giusti Giuseppe, Guglielmi Aurelio, Guglielmi Emilio, Guglielmini Luigi, Guglielmini Renato, Guglielmini Giuseppe, Sajelli Pia, Magnani Amilcare, Marchi Ivo, Martelli Giuseppe, Martelli Alvino, Massari Gino, Mesini Celso, Mesini Alessandro, Mussi Remo, Ori Attilio, Ori Ernesto, Pancani Claudio, Pancani Ernesto, Pancani Marco, Pancani Tonino, Pistoni Leonildo, Pistoni Michele, Pistoni Luigi, Ricchi Ernesto, Ricchi Viterbo, Rioli Antonio, Rioli Pellegrino, Rioli Mauro, Silvestri Agostino, Tincani Ennio, Tincani Geminiano, Venturelli Dante, Silvestri Ines, Venturelli Gioacchino, Venturelli Florindo e Sassatelli Adelmo.

Frazione di Susano:

Gualmini Celso, Aschieri Clerice, Aschieri Massimiliano, Gualmini Raffaele, Baschieri Maria, Gualmini Lavinia, Gualmini Celso di Raffaele, Gualmini Viterbo, Gualmini Aurelio, Albicini Delia, Marastoni Ursilia, Marastoni Orfeo, Carlo di NN, Gherardo Filippo, Garzoni Francesca, Baldelli Camillo, Casacci Dovindo, Casini Battista, Casolari Florigi, Pagliai Domenico, Pagliai Tonino, Peli Giuseppe, Peli Andrea, Zenchi Dante.

Frazione di Costrignano:

Barbati Ersidio, Barbati Ignazio, Barbati Luigi, Barbati Pasquino, Baschieri Mario, Beneventi Pellegrino, Beneventi Giacomo, Beneventi Giuseppe, Caminati Adelmo, Casinieri Luigi, Ceccherelli GianBattista, Chiesi Sante, Compagni Tolmino, Ferrari Secondo, Ferrari Nino, Ghiddi Lorenzo, Lami Alcide, Lami Silvio, Lami Ennio, Lami Mario, Lorenzini Marcellina, Maestri Massimo, Pancani Giuseppe, Pigoni Luigi, Pigoni Lino, Rioli Ernesto, Rioli Claudio, Rioli Pellegrino, Rosi Dante, Sassatelli Lodovico, Severi Enrico.

Frazione di Savoniero:
Sassatelli Adelmo (catturato e poi ucciso il 19 marzo presso la rocca di Montefiorino).


Strage della Benedicta


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Avvenne tra il 6 aprile e l'11 aprile 1944 fu un'esecuzione sommaria di settantacinque partigiani appartenenti alle formazioni garibaldine, compiuto da militari della Guardia Nazionale Repubblicana e reparti tedeschi in località Benedicta presso Capanne di Marcarolo, nel comune di Bosio, nell'Appennino Ligure. Altri settantadue partigiani erano caduti nei precedenti scontri.
Nella zona dell'Appennino Ligure fra le province di Alessandria e Genova agli inizi del 1944 ci sono due formazioni partigiane, e precisamente la Brigata Autonoma Alessandria e la 3° Brigata Garibaldi Liguria, in maggioranza sono formate da giovani, hanno pochi armamenti e poca esperienza bellica, ma vogliono guerreggiare con i Nazifasciti che controllano la zona, e molti hanno rifiutato di obbedire all'ordine dell'arruolamento obbligatorio nell'esercito repubblichino, ( Così veniva chiamato l'esercito formato dal governo di Salò giudicato specialmente da antifascisti e repubblicani, solo un paravento per i Nazisti) I nazisti in seguito all’uccisione di un gendarme tedesco, di un interprete e un autista e al ferimento di due sottufficiali, fatto avvenuto nei pressi di Campo Ligure, decidono di intraprendere un rastrellamento circondando la zona del monte Tobbio, le truppe nazi-fasciste tre colonne composte da circa 1500 granatieri della 356° divisione di fanteria tedesca guidati dal colonnello Rohr, circa 350 repubblichini della GNR e alcuni bersaglieri. partendo dai comuni di Lerma, Mornese, Carrosio, Voltaggio, Masone, Rossiglione, Campo Ligure, Busalla, Pontedecimo, e Campomorone, bloccano l’intera zona tra la Valle Scrivia e la Valle Stura, e iniziano a marciare verso il monte Tobbio. Quando iniziano i combattimenti la 3° Brigata Garibaldi Liguria si divide in piccoli gruppi, e cerca di trovare un varco di fuga nell'assedio. Intanto la Brigata Autonoma Alessandria si attesta alla Benedicta e ai Pian degli Eremiti tentando un improbabile e disperata difesa, gli uomini disarmati o inesperti delle due divisioni cercano rifugio nel Monastero della Benedicta che viene fatto esplodere dai nazifascisti. I partigiani che vengono catturati vengono fucilati dai bersaglieri dell'esercito repubblichino, fra gli uccisi nel tentativo di resistenza e quelli fucilati muoiono 147 partigiani che vengono gettati in una fossa comune. Gli altri partigiani catturati vengono inviati ai carceri di Genova e Novi Ligure. A questi prigionieri vanno aggiunti quelli che non si erano arruolati volontariamente nell'esercito di Salò che vengono ingannati dalle SS che promettono il condono a chi si costituisce. In totale i nazifascisti fanno circa 400 prigionieri che vengono inviati in Germania, I partigiani finiscono nel campo di concentramento di Mathausen, gli altri in campi nelle vicinanze e costretti al lavoro coatto, dei 191 prigionieri che arrivarono a Mathausen 144 non sopravvissero, 30 furono trovati vivi alla liberazione, degli altri non si conosce cosa gli sia accaduto. 19 di questi prigionieri insieme ad altri 42 reclusi vengono fucilati dai nazisti il 19 maggio del 1944 nelle vicinanze del passo del Turchino per rappresaglia ad un attentato fatto contro soldati tedeschi in un cinema di Genova. I nazifascisti con questi stermini speravano che la popolazione non sostenesse più la resistenza, ma riuscirono solo a far aumentare il furore e l'odio contro di loro.
Ecco l'elenco dei caduti .
Elenco dei novantasette patrioti fucilati alla Benedicta o nei pressi della stessa il 7/4/1944 (a fianco del nomi è indicata la località di origine di ciascun caduto): Alice Agostino Antonio (Gavi), Allegro Luigi (Serravalle), Badalocco Luigi Adamo (Gavi), Badino Giuseppe (Mignanego), Bagnasco Benedetto (Voltaggio), Bagnasco Sergio, Baracchi Elio (Sampierdarena), Barbieri Giulio (Novi Ligure), Barbieri Tullio (S. Quirico), Barissone Natale (Arquata Scrivia), Benasso Pierino (Genova), Berti Francesco Angelo, Bianchini Ferruccio (Gavi), Biava Angelo (Sardigliano), Bisio Luigi (Tassarolo), Bonelli Arturo, Briata Giuseppe (Lerma), Briccola Maria (Parodi Ligure), Briccola Pio (Gavi), Buffarello Alfonso (Tassarolo), Calcagno Adriano, Cambiaso Agostino (Sampierdarena), Cambiaso Pietro (Campomorone), Camera Pio (Ovada). Canepa Rocco Renato (Ovada), Carrea Cesare (Gavi), Carrea Ferdinando (Gavi), Carrea Rino (Serravalle), Carretta Rinaldo (Sardigliano), Cartasegna Emanuele (Parodi Ligure), Casarino Armando (Sampierdarena), Cassano Carlo (Gavi), Cassano Giacomo (Gavi), Castelli Filippo (Mazara del Vallo), Chiappella Albino (Serravalle Scrivia), Chiesa Mirco (Albenga), Cipollina Aldo (Gavi), Conte Giovanni (Capanne di Marcarolo), Cosso Paolo (Serravalle Scrivia), Cremonte Carlo (Serravalle Scrivia), Fasciolo Antonio (Capriata D'Orba), Ferrari Francesco (S. Cristoforo), Ferreri Armando (Badalucco), Fossati Aldo (Gavi), Gastaldi Giovanni (Parodi Ligure), Gemme Aldo (Gavi), Gemme Andrea (Tassarolo), Ghiglione Giuseppe (Pontedecimo), Ghio Emilio (Bosio), Ghio Giacomo (Bosio), Ghio Mario (Bosio), Ghio Mattia (Bosio), Grosso Enrico (Serravalle Scrivia), Grosso Luigi (Bosio), Grosso Pietro (Serravalle Scrivia), Icardi Enzo (Serravalle Scrivia), Marini Ilio, Martinetti Luigi (Sampierdarena), Massa Giacomo (Gavi), Massa Giuseppe (Gavi), Mazzarella Amedeo, Mazzarello Andrea (Francavilla), Mazzarello Elio (Serravalle Scrivia), Merlo Enrico (Bosio), Merlo Luigi (Bosio), Merlo Renato (Bosio), Minetti Pietro (Novi Ligure), Molinari Emilio (Bosio), Montaldo Ambrogio, Montecucco Enrico (Serravalle Scrivia), Montobbio Lorenzo (Capriata d'Orba), Odino Luigi (Carrosio), Palmieri Virginio (Pontedecimo), Paravidino Antonio (Roccagrimalda), Pasino Pietro (Torino), Pastorino Romeo (Ovada), Pestarino Biagio (Capriata d'Orba), Piccini Ferruccio (Lerma), Podestà Stefano (Novi Ligure), Ponte Giacomo (Arquata Scrivia), Ponte Giovanni (Bosio), Pontigia Giuseppe (Serravalle Scrivia), Porcile Giovanni (Sant'Olcese), Prati Bruno (Tortona), Profumo Angelo (Pontedecimo), Rainero Angelo (Cassano Spinola), Rebora Gaetano (Francavilla), Robello Giovanni (Arquata Scrivia), Sancristoforo Angelo (Serravalle Scrivia), Segaliari Lorenzo (Serravalle Scrivia), Sobrero Pasquale (Cassano Spinola), Traverso Ernesto Tomaso (Carrosio),. Traverso Luigi (Gavi), Traverso Luigi (Parodi Ligure), Trussardi Marco (Clusone), Tulipan Ezio (NoviI Ligure), Verardo Arturo (Pontedecimo).
Quattordici caduti (o fucilati) a Passo Mezzano Il 6/4/1944: Campora Giovanni (Campomorone), Cavalieri Primo (Campomorone), Delle Piane Giovanni (Pontedecimo), Delle Piane Serafino (Pontedecimo), Gastaldo Giuseppe (Tagliolo), Giordano Liliano (Fegino), Giuliani Rizzardo (Sampierdarena), Grondona Elio (Pontedecimo), Frediani Amerigo (Pontedecimo), Rivera Giacomo (Pontedecimo). A questi sono da aggiungere quattro salme non identificate.
Due caduti (o fucilati) alle Piane Galianeto il 6/4/1944: Binci Ettore (Fegino), una salma non identificata.
Quattro caduti a Piani di Praglia il 6/4/1944: Bonelli Arturo (Genova), Calcagno Adriano (Pontedecimo), Gallesi Giuseppe (San Quirico), Rissotto Riccardo (Bolzaneto).
Due caduti in località Roncassi il 7/4/1944: Ballestrazzi Ezio (Sala Bolognese), Giudici Settimio (Cassima di Reggio Emilia).
Diciannove catturati il 7 e l'8/3/1944, trasferiti alle carceri di Genova e fucilati il 19 maggio (insieme ad altri, al Colle del Turchino)(vedi alla voce).
Cinque fucilati a Isoverde l'8/4/1944: Cavenna Agostino (Isoverde), Gazzo Edoardo (Pontedecimo), Gazzo Giacomo (Pontedecimo), Leone Nicola (Genova), Pauschin Carlo (Genova).
Tredici fucilati a Villa Bagnara l'8/4/1944: Canepa Giacomo (Borzoli), Colla Tullio (Pegli), Cuccabita Paolo (Quarto), Fabbri Alvaro (Rivarolo), Menini Silvio (Sampierdarena), Merlo Aldo (Capriata d'Orba), Montaldo Ambrogio (Capanne Marcarolo), Morchio Gino (San Quirico), Pastorino Geronimo (Voltri), Pastorino Vittorio, Penso Domenico (Montese), Sobrero Giulio (Tagliola), una salma non identificata.
Sedici fucilati a Voltaggio l'8/4/1944 : Alloisi Vincenzo (Gavi), Bagnasco Sergio (Serravalle Scrivia), Casalini Emilio (Pontedecimo), Conte G. B. (Sardigliano), Dondero Stefano (Sampierdarena), Ferri Evandro (Rivarolo), Pedemonte Franco (Gavi), e Repetto Giacomo (Voltaggio); l'11/4/1944: Agosti Giovanni (Levanto), Crocco Luigi (Crocefieschi), Farina Clemente (San Clemente), FIrpo Alfredo (Crocefieschi), Gaglioti Nicola (Grotto), Guasti Giuseppe (Mombaruzzo), Melagro Pierino e Taddei Guido (Dego).
Tre caduti (o fucilati) il 7/4/1944: ai Laghi del Gorgente: Prassio Andrea (Sampierdarena); in Località Fuia: Gelsomini Giuseppe (Reggio Calabria); e l'8/4/1944 a Capanne Superiori un partigiano sovietico non identificato.
Elenco dei centoquarantanove morti nei campi di deportazione: Agosti Benito (Lerma), Aiello Salvatore (Genova), Anfosso G.B. (Voltaggio), Bagnasco Enrico (Voltaggio), Bagnasco Enrico (Gavi), Bagnasco Giuseppe (Voltaggio), Bellotti Giacomo (Masone), Benasso Giuseppe (Voltaggio), Benedetti Mario (Genova), Beroldo Giuseppe (Vobbia), Bisio Carlo (Voltaggio), Bisio Enrico (Voltaggio), Bisio G.B. (Campomorone), Bisio Silvio (Fraconalto), Bodrato Pierino (Tagliolo Monferrato), Bottaro Lorenzo (Voltaggio), Bottaro Riccardo (Voltaggio), Bottaro Ugo (Genova), Brucca Carmelo (Furnira), Bruzzo Luciano (Mignanego), Busallino Cornelio (Fraconalto), Buzzalino Silvio (Voltaggio), Calabrese Giuseppe (Freina), Caivelli Rodolfo (Genova), Campora Giovanni (Campomorone), Campora Severo (Campomorone), Caneva Carlo (Tagliola Monferrato), Cardellino Fulvio (Pontedecimo), Carrea Giulio (Gavi), Carrosio Cesare (Voltaggio), Carrosio Mario (Voltaggio), Casella Giorgio (Vobbia), Caserza Angelo (Rossiglone), Cavo Giovanni (Voltaggio), Cavo Natale (Voitaggio), Cavo Vittorio (Voitaggio), Cerechino Adelmo (Genova). Compostlnl Aldo (Campomoronej, Condo Ruggero (Reggio Calabria), Conte Francesco (Ceranesi), Corte Luigi (Ceranesi), Curletto Angelo (Ceranesi), Daffunchio Angelo (Serravalle Scrivia), Denegri Luigi (Mornese), Fede Vincenzo (Naro), Ferrari Renato (Genova), Flamini Luigi (Lecce nei Marsi), Gaggero Valerio (Bolzaneto), Gaggero Vittorio (Pontedecimo), Gastaldo Francesco (Mornese), Gastaldo Giacomino (Mornese), Ghio Giovanni (Bosio), Giacobbe Luigi (Boscomarengo), Guareschi Marco (Genova), Guerrazzi Italo (Bovalino), Guglielmino Guglielmo (Carrosio), Guglielmino Silvio (Vobbia), Imperiale Silvio (Vobbia), Leverato Antonio (Tagliola Monferrato), Longhitano Vito (Agira), Macciò Alfredo (Masone), Macciò Angelo (Masone), Macciò Enrico (Genova), Marziota Carmelo (Orsomarso), Massone Palmiro (Castelletto d'Orba), Mazzarello Alfredo (Mornese), Mazzarello Antonio (Mornese), Mazzarello Giuseppe (Mornese), Mazzarello Lorenzo (Mornese), Mazzarello Stefano (Mornese), Merlo Adolfo (Parodi Ligure), Minetti G.B. (Rossiglione), Molinari Roberto (Pontedecimo), Montaldo Albino (Ceranesi), Montaldo Carlo (Ceranesi), Odicini Giacomo (Lerma), Odino Aldo (Carrosio), Odino Francesco (Genova), Olivieri Lorenzo (Campoligure), Ottonello Giuseppe (Masone), Ottonello Tomaso (Masone), Ottonello Vitale (Masone), Parodi Angelo (Ceranesi), Parodi Edilio (Ceranesi), Parodi Francesco (Ceranesi), Parodi Gerolamo (Ceranesi), Parodi Giacomo (Ceranesi), Parodi Giacomo (Ceranesi), Parodi Giacomo (Ceranesi), Parodi Giovanni (Ceranesi), Parodi Guido (Ceranesi), Parodi Luigi (Ceranesi), Parodi Mario (Ceranesi), Parodi Martino (Ceranesi), Parodi Silvio (Ceranesi), Pastorino Giovanni (Masone), Pastorino Nicola (Masone), Pastorino Tommaso (Genova), Pastorino Tommaso (Genova), Pastorino Tommaso (Campoligure), Patrona Emilio (Masone), Pesce Claudio (Rossiglione), Pesce Renato (Rossiglione), Pastorino Angelo (Mornese), Pastonino Enrico (Mornese), Piana Giovanni (Campoligure), Piombo Matteo (Campoligure), Pizzorni Ezio (Rossiglione), Pozzolo Carlo (Genova), Ratto Luigi (Vobbia), Rebora Nicola (Genova), Repetto Adolfo (Voltaggio), Repetto Antonio (Rossiglione), Repetto Francesco (Voltaggio), Repetto Francesco (Ronco Scrivia), Repetto Francesco (Voltaggio), Repetto Felice (Campomorone), Reperto G.B. (Voltaggio), Repetto G.B. (Voltaggio), Repetto Giovanni (Genova), Repetto Giovanni (Voltaggio), Repetto Giuseppe (Voltaggio), Repetto Giuseppe (Voltaggio), Repetto Giuseppe (Voltaggio), Re-petto Giuseppe (Parodi Ligure), Repetto Luigi (Voltaggio), Repetto Natale (Voltaggio), Risso Arturo (Genova), Risso Bruno (Genova), La Rosa Vernero (Belpasso), Rossi Adalgiso, Rossi Angelo (Ceranesi), Rossi Attilio (Ceranesi), Rossi Eliseo (Ceranesi). Rossi Emilio (Ceranesi), Rossi Francesco (Ceranesi), Rossi G.B. (Ceranesi), Rossi G.B. (Ceranesi), Rossi Giacomo (Ceranesi), Rossi Giuseppe (Ceranesi), Rossi Pietro (Ceranesi), Rossi Tereso (Ceranesi), Rossi Tommaso (Ceranesi), Savino Leonzio (Voltaggio), Scotto Francesco (Genova Pontedecimo), Tassistro Giuseppe (Tagliola Monferrato), Torriglia Eugenio (Mornese), Traverso Nicola (Voltaggio), Tritta Michelangelo (Genova), Verardo Natale (Pontedecimo).

Il Martirio di Fondotoce

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Fondotoce, o Fondo Toce una frazione del comune di Verbania nella provincia del Verbano Cusio Ossola. Il suo nome è legato al corso del fiume Toce, che proprio poco lontano dall'abitato termina il suo corso, sfociando nel Lago Maggiore.Qui agli inizi dell'estate del 1944 ci sono diversi aspri combattimenti fra i partigiani e i nazisti, nel corso di questi combattimenti 43 partigiani vengono catturati dalle SS, e rinchiusi nella cantina dell'asilo per essere interrogati, durante questi interrogatori due persone muoiono per la violenza delle torture subite. I 41 partigiani rimasti vengono portati a Intra nelle cantine di una villa occupata dalle SS con dei camion, nel frattempo ci sono altri scontri e vengono fatti altri due prigionieri, una dei quali è una donna Cleonice Tommasetti che aveva cercato di ricongiungersi con il suo compagno fra i partigiani. Il 20 giugno del 1944 le SS si preparavano per fucilare i prigionieri ma si parla di un repubblichino ha l'idea di prima della fucilazione far sfilare i prigionieri per le strade di Intra, Pallanza, Suna, e Fondotoce obbligando quelli che aprono il corteo a portare un grande cartello con scritto sopra Sono questi i liberatori d’Italia, oppure sono i banditi?. Poi i partigiani vengono condotti sul ciglio di un canale, dove a gruppi di tre per volta vengono fucilati sparandogli nella schiena. Vi fu un unico sopravvissuto Carlo Suzzi che non veniva colpito gravemente durante la fucilazione, e dopo come da prassi quando passa un ufficiale delle SS per sparare un ultimo colpo a chi respira ancora viene nuovamente ferito solo di striscio, e finito il tutto viene nascosto e medicato nel migliore modo possibile da un contadino, e dopo qualche settimana è di nuovo sui monti a combattere contro i Nazisti

La strage di Gubbio



Sul luogo dove il 22 Giugno 1944 , i nazisti uccisero 40 innocenti per rappresaglia , ora sorge Mausoleo .
Ecco cosa avvenne.
Dopo l’uccisione, nel pomeriggio del 20 Giugno, di un ufficiale tedesco ed il ferimento di un altro in un bar cittadino da parte di una pattuglia dei Gap, subito l’esercito nazista iniziò il rastrellamento nella Città interrompendolo la sera del 20, dopo l’intervento del vescovo Ubaldi, il quale ebbe l’assicurazione dal comandante tedesco della zona che non si sarebbe dato ulteriore corso alla rappresaglia, purché non fossero accaduti alti incidenti. Invece il giorno successivo il rastrellamento fu ripreso con maggiore determinazione e più a lungo raggio. Furono presi uomini e donne, giovani e meno giovani, alcuni rilasciati dopo una parvenza di interrogatorio, altri trattenuti senza scampo. Nella notte alle prime ore del 22 Giugno alcuni furono trascinati inconsci a scavare la fossa, dove poco dopo, a ridosso del muro che conserva i segni delle pallottole assassine, gli altri furono legati come bestie da macello, trucidati in modo selvaggio, poi finiti a colpi di pistola ed appena ricoperti con qualche manciata di terra.
Il più giovane delle vittime aveva 17 anni e il più anziano 55 anni".

Bettole dove i corpi delle vittime vennero bruciati

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In provincia di Reggio Emilia i partigiani tentano e falliscono l' attacco ad un ponte nei pressi di La Bettola una piccola frazione del comune di Vezzano sul Crostolo, durante la notte la polizia militare della Wehrmacht si pensa in collaborazione con dei fascisti italiani organizza una tremenda rappresaglia, 32 delle persone che si trovano nella locanda della frazione subito vengono fatti prigionieri fatti allungare sul pavimento e costretti per molto tempo a rimare in quella posizione, poi vengono suddivisi in due gruppi, alcune donne prigioniere subiscono abusi sessuali, quindi i prigionieri vengono fucilati, l'unico sopravvissuto colui che gestiva la locanda in cui è stato effettuato lo sterminio dice che l'ordine di aprire il fuoco fa dato in italiano. In seguito tutte le vittime fra le quali c'è anche un neonato vengono bruciate

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Strage di Falzano di Cortona


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Il 26 giugno 1944 una pattuglia tedesca, formata da tre soldati, compie una razzia nei pressi di una fattoria. Poco dopo tale pattuglia viene intercettata da un gruppo di partigiani e ne nasce uno scontro a fuoco che costa la vita a due dei soldati e porta al ferimento del terzo, il quale, tuttavia, riesce a scappare ed a raggiungere un ponte vicino, dove si trova un gruppo di genieri dell'esercito tedesco, appartenenti all' 818° Battaglione Pionieri di Montagna della Wehrmacht, posto a guardia di un gruppo di civili incaricati della riparazione del ponte medesimo. Avvertiti dell'agguato, il gruppo di soldati muove immediatamente in direzione Falzano. Lungo la strada viene ucciso un giovane del luogo e la sua casa è data alle fiamme. A questo punto il gruppo tedesco entra nuovamente in contatto coi partigiani che riescono a bloccarli per la notte.Il mattino seguente il gruppo nazista riparte in direzione Falzano. Lungo il percorso vengono uccise altre tre persone, mentre undici vengono prese come prigionieri e successivamente rinchiuse in un'abitazione precedentemente data alle fiamme. A questo punto la casa viene fatta esplodere e solo un giovane allora quindicenne, Gino Massetti, riesce miracolosamente a salvarsi grazie ad una trave caduta poco prima dello scoppio che lo ha riparato dall'esplosione. Altre due persone sono successivamente passate per le armi nel corso della giornata.
Il 16 febbraio 2004 il tribunale militare di La Spezia rinviò a giudizio l'ex maggiore Herbert Stommel, 88 anni, già comandante del reparto pionieri di montagna, responsabile del massacro, e Josef Sheungraber, all’epoca sottufficiale dello stesso battaglione. Nel processo il Comune di Cortona e la provincia di Arezzo si sono costituite parti civili.
Gli imputati vengono condannati all'ergastolo nel 2006, sentenza confermata poi dal Tribunale Militare d'Appello di Roma, nel novembre del 2007. Sull'onda di tale risultato, nel 2008 anche il Tribunale Militare di Monaco di Baviera condanna i due all'ergastolo.

Civitella 244 morti

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Era Il 18 giugno del 1944 quando quattro giovani soldati tedeschi entrarono nel circolo ricreativo di Civitella per bere un bicchiere di vino, rifocillandosi così dal caldo dell'incombente estate. Tra gli avventori del locale vi erano tuttavia alcuni partigiani che, notati i militi della Wehrmacht, imbracciarono i fucili, sparando contro di essi. Dallo scontro a fuoco che ne nacque furono i tedeschi ad avere la peggio: due soldati morirono subito, mentre un terzo spirò poche ore dopo, a causa delle gravi ferite riportate.
Immediatamente il comando tedesco impose alla popolazione locale di fare i nomi dei colpevoli. Gli occupanti lanciarono un ultimatum di 24 ore, trascorse inutilmente le quali sarebbe stata operata una rappresaglia tra i civili per vendicare i 3 soldati morti. Contemporaneamente i tedeschi avviarono perquisizioni nelle case di Civitella e delle due frazioni più vicine, Cornia e San Pancrazio (quest'ultima nel comune di Bucine), ritenute ospitanti diversi partigiani in quanto circondate dai boschi e non facilmente raggiungibili. Nessun civile osò collaborare con i tedeschi e, anzi, furono in molti a lasciare le case, temendo la rappresaglia.

Il 19 giugno l'ultimatum era scaduto, ma subito i tedeschi non fecero nulla, tuttavia il 29 giugno la tragedia si consumò. Al mattino, per la festa dei SS. Pietro e Paolo, il paese era pieno di persone. Molti non si erano recati nelle campagne o nei boschi per lavorare, restando così a casa o andando a Messa.

Dal comando tedesco partirono 3 squadroni: uno destinato a Cornia, l'altro a San Pancrazio e un terzo, il più grande, si riversò nel centro di Civitella. I tedeschi irruppero nelle case, aprendo il fuoco sugli abitanti a prescindere dal sesso o dall'età ed alla fine si contarono 244 morti: 115 a Civitella, 58 a Cornia e 71 a San Pancrazio.

a Cavriglia :uccisi 191 civili maschi fra i quattordici e gli ottantacinque anni


Nel giugno del 1944 in provincia di Arezzo nel comune di Cavriglia agiscono due brigate di partigiani denominate Chiatti e Castellani, i due gruppi agiscono abbastanza autonomamente dal centro organizzativo dei partigiani, e sabotano diversi ponti, tendono agguati a fascisti e soldati tedeschi prendendoli prigionieri o uccidendoli. il 29 giugno catturano un prigioniero e durante l'interrogatorio ottengono i nomi dei partigiani nativi di Meleto e Castelnuovo dei Sabbioni.
Il 4 luglio 1944 191 civili maschi fra i quattordici e gli ottantacinque anni vengono rastrellati, mitragliati e bruciati da reparti tedeschi specializzati della Divisione Hermann Göring nei paesi di Meleto, Castelnuovo, Massa e San Martino.
Dopo la strage i soldati nazisti scomparvero dalla valle d'Avane senza lasciare traccia di sé. Nessuno seppe più niente di loro e la popolazione, che non vide mai fatta giustizia sulla morte dei propri padri, tentò nel tempo di spiegarsi i motivi del massacro. Nacquero così progressivamente negli anni la tesi della rappresaglia, del controllo del territorio, quindi quella che voleva come preordinatori della strage i repubblichini locali che intendevano distruggere la radice storica comunista di questa società.

Nessuno si preoccupò mai dei veri responsabili tedeschi, dei cosiddetti cani che dormono da non stuzzicare, nessuno dette più peso alle loro strategie, ai loro piani, alle loro origini ed alle loro filosofie di guerra, stabilite ai prodromi del secondo conflitto mondiale da Adolf Hitler.
Ecco l'elenco delle vittime della strage di Cavriglia:
Castelnuovo dei Sabbioni
Abrate Ferruccio, 67 anni
Bagiardi Don Ferrante, 48 anni
Balbetti Giulio, 73 anni
Baldassini Aldo, 49 anni
Baldassini Augusto, 74 anni
Beni Giovanni , 79 anni
Biagini Domenico, 86 anni
Biancalani Federigo, 33 anni
Bonadiman Carlo, 57 anni
Bonci Adolfo, 74 anni
Bonci Angiolo Vittorio, 84 anni
Bonci Fortunato, 34 anni
Boni Annibale, 66 anni
Borchi Giovanni, 36 anni
Borchi Zanobi , 66 anni
Borgia Mariano, 61 anni
Borgogni Andrea, 75 anni
Bottonelli Romano, 69 anni
Brandini Settimio, 40 anni
Bucci Raffaello, 77 anni
Burbui Agostino, 48 anni
Camici Angiolo, 57 anni
Camici Gualtiero, 48 anni
Camici Pilade, 61 anni
Caselli Ottavio, 39 anni
Cavalli Giorgio, 34 anni
Cavicchioli Adolfo, 41 anni
Ceccherini Adelindo, 46 anni
Ciambellini Anselmo, 45 anni
Ciambellini Antonio, 64 anni
Corsi Giuseppe, 61 anni
Cottoni Angiolo, 66 anni
Cristofani Ivo, 17 anni
Degli Innocenti Agostino, 65 anni
Donati Nello, 65 anni
Filandi Roberto, 74 anni
Foggi Araldo, 32 anni
Francalanci Franco, 64 anni
Galli Enrico, 68 anni
Garzonetti Vittore, 74 anni
Giannini Andrea, 76 anni
Giuffredi Otello, 33 anni
Grazzini Nello, 35 anni
Grillo Santo, 24 anni
Lari Armando, 56 anni
Lucherini Adelmo, 37 anni
Lucherini Amato, 62 anni
Mercante Giovanni, 72 anni
Minenna Domenico, 24 anni
Nannoni Estevan, 30 anni
Neri Remigio, 66 anni
Neri Rolando, 32 anni
Pasinetti Giovanni, 28 anni
Periccioli Girolamo, 68 anni
Piccioli Martino, 63 anni
Pieralli Sabatino, 60 anni
Pierazzi Luigi, 73 anni
Pierazzini Emilio, 27 anni
Polverini Giuseppe, 39 anni
Rossinelli Teodosio, 37 anni
Saggioli Silla, 45 anni
Secciani Brunetto, 39 anni
Tilli Ferdinando, 55 anni
Tinacci Brunetto, 32 anni
Trefoloni Fedele, 56 anni
Trefoloni Guido, 35 anni
Trefoloni Primo, 57 anni
Tricoli Mario, 27 anni
Tricoli Massimo, 25 anni
Ussi Oscar, 33 anni
Uva Natale, 59 anni
Venturi Nello, 35 anni
Zangheri Adolfo, 55 anni
Zeni Angiolo, 59 anni

Meleto
Artini Pietro, 41 anni
Baldi Gabriello, 61 anni
Balsimelli Guido, 41 anni
Bartolini Alfredo, 65 anni
Bartolini Egidio, 73 anni
Bartolini Elio, 39 anni
Becattini Natale, 27 anni
Benini Gino, 58 anni
Biagini Vasco, 44 anni
Bindelli Luigino, 18 anni
Bonaccorsi Atos, 37 anni
Bonaccorsi Oscar, 35 anni
Borgheresi Adon, 15 anni
Bottai Antonio, 57 anni
Brilli Giuseppe, 79 anni
Brogi Azelio, 31 anni
Camici Andrea, 36 anni
Camici Dino, 34 anni
Camici Giovacchino, 65 anni
Camici Giulio, 29 anni
Camici Modesto, 72 anni
Camici Osvaldo, 33 anni
Camici Ruggero, 67 anni
Camici Silvio, 69 anni
Casucci Giovan Batta, 39 anni
Cheti Lanfranco, 27 anni
Chianni Antonio, 58 anni
Chianni Bruno, 34 anni
Ciapi Antonio, 69 anni
Coccoloni Ferdinando, 74 anni
Corsi Ezio, 38 anni
Cuccoli Mario, 19 anni
De Caroilis Ettore, 41 anni
Dumossi Dino, 30 anni
Dumossi Faustino, 58 anni
Dumossi Terzilio, 24 anni
Ermini Antonio, 43 anni
Ermini Giuseppe, 68 anni
Fabbri Mario, 42 anni
Failli Orazio, 43 anni
Ferrati Cesare, 49 anni
Ferrati Dino, 47 anni
Fondelli Don Giovanni, 59 anni
Forasti Umberto, 66 anni
Freccioni Antonio, 67 anni
Gonnelli Armando, 39 anni
Gonnelli Pilade, 46 anni
Innocenti Arduino, 51 anni
Innocenti Luigi, 88 anni
Lachi Alfredo, 21 anni
Lachi Giustino, 48 anni
Malvisi Giustino, 48 anni
Mariottini Agostino, 55 anni
Martini Cesare, 58 anni
Martini Gino, 41 anni
Marziali Bruno, 34 anni
Marzocchi Argante, 23 anni
Matassini Numa, 50 anni
Meacci Giustino, 55 anni
Melani Brunetto, 43 anni
Melani Luigi, 71 anni
Melani Mario, 27 anni
Melani Virgilio, 35 anni
Morelli Giovan Batta, 34 anni
Morelli Mario, 30 anni
Mugnai Giuseppe, 43 anni
Mugnai Luigi, 58 anni
Navarrini Mario, 28 anni
Neri Pasquale, 63 anni
Nocini Pietro, 32 anni
Panicali Amedeo, 41 anni
Pascali Pasquale, 32 anni
Pasquini Guido, 45 anni
Pasquini Pietro, 73 anni
Pastorini Ivan, 21 anni
Pazzagli Elio, 46 anni
Peretoli Eugenio, 73 anni
Piccioli Emilio, 64 anni
Pieralli Egisto, 59 anni
Pratellesi Pasquale, 43 anni
Quartucci Giovanni, 60 anni
Rossi Giuseppe, 43 anni
Rossini Eudelfo, 38 anni
Rossini Francesco, 37 anni
Rossini Giovanni, 63 anni
Rossini Valentino, 34 anni
Salami Giocondo, 41 anni
Simonti Giuseppe, 46 anni
Sottani Giuseppe, 61 anni
Sottili Giovacchino, 59 anni
Tigli Iacopo, 80 anni
Turchi Angiolo, 68 anni
Urbani Terzilio, 32 anni

Massa dei Sabbioni
Morini Don Ermete, 35 anni
Pagliazzi Dante, 26 anni

San Martino in Pianfranzese
Borgheresi Pasquale, 58 anni
Cappelli Giovan Batta, 63 anni
Ermini Amedeo, 55 anni
IGNOTO

I morti di Padulivo (fi)


Il mattino del 10 luglio 1944 si presentò alla fattoria di Padulivo un reparto SS composto da una sessantina di uomini con lo scopo di requisire bestiame. A Padulivo in quei giorni erano ospitati più di 150 persone, in gran parte sfollati provenienti da Vicchio, ma la fattoria veniva tenuta d'occhio dai nazifascisti perchè vi era il sospetto (fondato) che il proprietario Aldo Galardi aiutasse e saltuariamente ospitasse i partigiani che erano acquartierati sulla cima di Monte Giovi.

Nella perquisizione i tedeschi si accorsero che era stato portato via da poco un cavallo e ne chiesero conto. Il cavallo era infatti stato requisito dai partigiani. Gli ufficiali tedeschi allora avvertirono che se non avessero avuto quel cavallo avrebbero bruciata l'intera fattoria.
Una donna si prese l'incarico di recuperarlo.

Con questa mossa però i partigiani poterono essere avvertiti della presenza e della consistenza del reparto SS: quando i tedeschi si ritirarono da Padulivo i partigiani li attesero poco lontanto. Nell'imboscata cadde un soldato ed un altro rimase ferito.
I tedeschi rientrarono rapidamente alla fattoria dove dopo aver ottenuto aiuto per medicare il ferito arrestarono tutti coloro che poterono trovare. Incendiata la fattoria e l'abitato circostante incolonnarono gli oltre cento prigionieri verso Vicchio.
Giunti al ponte dove aveva avuto luogo l'imboscata partigiana mitragliarono 10 uomini e la donna che si era prestata al recupero del cavallo. Uno degli uomini non soccombette immediatamente, ma non si riebbe mai dalle gravi ferite e morì tempo dopo.

Dopo una notte di prigionia i cento catturati subirono un interrogatorio e vennero rilasciati, ad eccezione di quattro uomini e di tre donne. Gli uomini vennero usati per requisire altro bestiame, poi vennero portati di nuovo nel luogo dell'agguato partigiano e uccisi


Eccidio di san Polo



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Il 14 luglio del 1944, due giorni prima della liberazione di Arezzo, nella cittadina di San polo furono uccisi 65 civili: donne, anche in avanzato stato di gravidanza, bambini, anziani e invalidi. I loro corpi furono poi bruciati. A pianificare la strage il comando di stato maggiore del 274esimo reggimento granatieri dell’esercito tedesco.

Fu un disertore tedesco, catturato dai nazisti, a rivelare che poco distante da San Polo d’Arezzo, in località Pietramala, c’erano dei soldati tedeschi catturati dai partigiani.

Nel corso delle udienze presso il Tribunale Militare di La Spezia, è emerso che solo 17 persone tra quelle massacrate erano presumibilmente partigiani. Gli altri erano civili.

La sentenza del Tribunale di La Spezia ha assolto per non aver commesso il fatto Herbert Hantschk, l’87enne ex tenente dell’esercito della Germania nazista imputato nel processo per la strage. La sentenza di assoluzione è stata confermata in appello.

Quella di San Polo è stata una delle molte stragi che si sono verificate nel comune di Arezzo. Complessivamente sono state 254 le vittime per rappresaglie nazi-fasciste: il 6 luglio a San Leo (4 caduti), il 24 giugno a Palazzo del Pero (10), il 6 luglio al Mulinaccio (15), il 10 luglio a Badicore (13), l’11 luglio a Staggiano, Villa Sacchetti, (11), il 14 luglio a San Polo, Pietramala, Molin dei Falchi, Vezzano (65


Eccidio di Tavolicci

Tavolicci è un piccolo centro di montagna frazione del Comune di Verghereto dove si consumò la più tragica delle rappresaglie fasciste dell’ultima guerra mondiale in Romagna.
La sera del 21 Luglio 1944 una squadra di n. 5 agenti di polizia italo-tedesca si portava a Tavolicci (piccola borgata di circa 80 abitanti posta nel comune di Verghereto, Forlì, Parrocchia di S. Maria in Montegiusto). Perlustrarono tutto il paese, penetrarono in tutte le case, simulando grande gentilezza e cortesia ed assicurando alla popolazione che contro di essa non sarebbe stato fatto nulla e che quindi dormisse nella propria abitazione.

La mattina seguente un’ora avanti il giorno, mentre gli abitanti di Tavolicci dormivano ancora tranquilli così vigliaccamente ingannati, una squadra di agenti di polizia italo-tedesca (in numero di circa 40) come belve feroci irrompevano nel paese.

Alcuni circondandolo con mitragliatrici ed altri penetrando con violenza nelle abitazioni, imponendo a tutti gli abitanti di alzarsi e vestirsi immediatamente.
Intanto gli uomini validi e giovani venivano legati con funi e tratti sulla piccola piazzetta del paese affinché fossero spettatori del massacro e del martirio delle loro donne e dei loro bambini.
Gli uomini vecchi ed invalidi furono barbaramente uccisi sulla soglia delle loro abitazioni, tutte le donne e i bambini furono con spinte e minacce, rivoltella alla mano, radunati in un piccolo ambiente e fu loro intimato di stendersi a terra: erano madri urlanti e stringenti al petto i loro neonati, erano ragazze nel fior della vita che imploravano pietà e misericordia, erano piccoli fanciulli atterriti che attaccati alle gonne delle loro madri piangevano e chiedevano pane.
Il boia che aveva la faccia mascherata e che parlava benissimo l’italiano, sulla soglia della porta, atteso il momento opportuno, sparò varie raffiche di mitragliatrice su quel cumulo di vittime innocenti che inutilmente imploravano misericordia. Poi si ritirò chiudendo la porta, ma sentendo ancora delle grida, dei gemiti, ritornò per ben due volte sparando vari colpi di rivoltella sulle persone che accennavano ancora qualche segno di vita. Alcune donne e bambini che tentavano di fuggire furono barbaramente uccisi e massacrati. Una piccola fanciulla di cinque anni che forse aveva tentato di darsi alla fuga fu trovata completamente sventrata.
Finalmente per coprire in parte il massacro e non lasciare tracce dell’orrendo delitto venne appiccato fuoco al locale sottostante, adibito a stalla, unitamente ad un paio di vacche, e così molti di quegli innocenti finirono bruciati vivi.
Intanto altri agenti si erano versati contro le abitazioni e quindi rubavano ed asportavano ciò che faceva loro comodo e poi appiccarono fuoco a tutte le case. Gli uomini arrestati venivano trascinati a Campo del Fabbro (Comune di S. Agata Feltria) a circa due chilometri di distanza e quivi venivano tutti orrendamente massacrati ed uccisi.
Qualche donna e qualche fanciullo anche feriti riuscirono ad evadere alla vigilanza delle guardie e mettersi in salvo; altri riuscirono alla partenza degli agenti a fuggire dalla prigione in mezzo alle fiamme ed al fumo.


Eccidio di Malga Zonta

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La notte del 12 agosto 1944 un plotone di soldati nazisti inizia un rastrellamento nelle zone di Folgaria un piccolo comune in provincia di Trento, e del Passo Coe un ampio pianoro situato a 1.600 m di altezza li nelle vicinanze, e in piena notte irrompono in località Malga Zonta dove sono rifugiati alcuni partigiani provenienti dalle zone vicentine, scoppia un conflitto a fuoco dove cadono morti alcuni soldati tedeschi, un loro ufficiale, e altri rimangono feriti, ma all'alba il commando tedesco ha la meglio, e allinea tutti i presenti nella zona sotto una tettoia, dopo un controllo dei documenti alcuni abitanti di Malga Zonta vengono rilasciati, mentre 17 persone vengono fucilate, e poi sepolte in una buca causata dallo scoppio di una bomba durante la prima guerra mondiale. I tedeschi scattano anche due fotografie della fucilazione. Rimangono molti dubbi sulla reale sorte di Bruno Viola che in alcuni documenti risulta fra i 17 fucilati, ma non viene riconosciuto dai familiari, secondo altri resoconti sarebbe morto alcuni giorni prima in atri scontri a fuoco fra i nazisti e i partigiani.

Strage di Borgo Ticino

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Le vittime furono dodici, si chiamavano:

Virginio Tognoli, Francesco Tosi, Nicola Narciso, Giovanni Fanchini, Cerutti Franco, Benito Pizzamiglio, Alberto Lucchetta, Luigi Ciceri, Rinaldo Gattoni, Andes Silvestri, Olimpio Parachini, Giuseppe Meringi
Era il 13 agosto 1944, il giorno più nero della recente storia di Borgo Ticino.
Il 13 agosto del 1944 Partendo da Sesto Calende comune in provincia di Varese dei reparti delle SS comandate dal capitano Krumhar, e affiancate da uomini della X Mas al comando del tenente Ungarelli partono verso Borgo Ticino un comune in provincia di Novara, arrivano in questa località nelle prime ore del pomeriggio, e bloccano il paese sotto la minaccia delle armi convogliano tutta la popolazione in un unica piazza, viene avvisata che è corso una rappresaglia per il fatto che tre soldati nazisti sono stati feriti in quella zona, e che si doveva incendiare il paese per impedire agli abitanti di dar ricovero ai partigiani, vengono scelti 13 giovani e schierati al muro per essere fucilati, ma il comandante propone di sospendere l'esecuzione in cambio di 300000 lire, la somma viene pagata, ma i giovani vengono fucilati lo stesso se ne salva miracolosamente solo uno. Dopo la fucilazione i tedeschi e gli uomini della X Mas iniziano a saccheggiare il paese e a dar fuoco a ogni cosa, i familiari delle vittime non possono avvicinarsi ai cadaveri dei loro cari fino al giorno dopo.

GLI ECCIDI DI MARZABOTTO

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E' stato uno dei piu' terribili eccidi effettuati dai nazisti sul nostro territorio . Per questa strage efferata al termine della seconda guerra mondiale, Walter Reder fu processato e nel 1951 condannato all'ergastolo. Il 14 luglio 1980 il tribunale militare di Bari gli concesse la libertà condizionale, aggiungendo però un periodo di trattenimento in carcere di 5 anni, "salva la possibilità per il governo di adottare provvedimenti in favore del prigioniero". Il 23 gennaio 1985, il presidente del consiglio Craxi decise di liberare anticipatamente Reder. A suo favore erano intervenuti a suo tempo sia il Governo austriaco che quello tedesco[6]. Morì a Vienna nel 1991.
Nel 2006 ha avuto inizio il processo contro 17 imputati, tutti ufficiali e sottufficiali della 16. SS-Freiwilligen-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS[7]. L'istruzione dei procedimenti ha avuto luogo grazie alla scoperta, avvenuta nel 1994, di 695 fascicoli di inchiesta presso la sede della Corte Militare d'Appello di Roma[7]. Questi fascicoli, segnati con il timbro della "archiviazione provvisoria"[7] datata 1960 e conservati in un armadio rivolto verso il muro, il cosiddetto "armadio della vergogna", rimasto chiuso fino alla scoperta avvenuta nel 1994, contenevano i dati riferiti a numerosi ufficiali delle SS responsabili di crimini di guerra dal 8 settembre 1943 al 25 aprile 1945[8].
Il 13 gennaio 2007 il Tribunale Militare della Spezia ha condannato all'ergastolo dieci imputati per l'eccidio di Monte Sole, ritenuti colpevoli di violenza pluriaggravata e continuata con omicidio

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La mattanza di Marzabotto è nota anche come la strage di Monte sole fu un insieme di stragi compiute dalle truppe naziste in Italia tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, nel territorio dei comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno che comprendono le pendici di Monte Sole in provincia di Bologna, nel quadro di un'operazione di rastrellamento di vaste proporzioni diretta contro la formazione partigiana Stella Rossa.
La strage di Marzabotto, con circa 1830 morti (tra cui intere famiglie e molti bambini, anche se ricerche fondate soprattutto sui dati delle anagrafi dei Comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno hanno dimostrato come il dato relativo ai caduti riferito in questo e in altri testi vada diversamente considerato e messo in relazione a un più ampio territorio. Infatti gli eccidi compiuti da nazisti e fascisti colpirono i tre comuni durante l’estate-autunno 1944 e causarono complessivamente la morte di 955 persone. In particolare la strage nazista del 29 settembre - 5 ottobre 1944 fu causa di 770 morti. Marzabotto, Monzuno e Grizzana Morandi ebbero poi anche 721 morti per cause varie di guerra. Da qui il dato complessivo accertato dal Comitato Onoranze: 1676 decessi per mano di nazisti e fascisti e per cause di guerra.Ecco cosa avvenne.
Lo scopo era quello di annientare la Brigata Partigiana 'Stella Rossa' che a partire dal '43 operava sulle colline bolognesi.
La strage si fa risalire al maresciallo Albert Kesserling che ne fu mandante, mentre l'esecutore materiale si chiamava Walter Reder, maggiore delle SS soprannominato "il monco" perchè aveva lasciato l'avambraccio sinistro a Charkov, sul fronte orientale, racconta Arrigo Petacco sul portale della guerra di liberazione.
Reder arrivò in Emilia a fine settembre sulle tracce della brigata partigiana Stella Rossa. Per tre giorni, a Marzabotto, Grizzana e Vado di Monzuno, il maresciallo delle SS compì la più tremenda delle sue rappresaglie. In località Caviglia i nazisti irruppero nella chiesa dove don Ubaldo Marchioni aveva radunato i fedeli per recitare il rosario. Furono tutti sterminati a colpi di mitraglia e bombe a mano.

Nella frazione di Castellano fu uccisa una donna coi suoi sette figli, a Tagliadazza furono fucilati undici donne e otto bambini, a Caprara vennero rastrellati e uccisi 108 abitanti compresa l'intera famiglia di Antonio Tonelli (15 componenti di cui 10 bambini).

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I nazisti misero a ferro e a fuoco l'intera Marzabotto distruggendo anche 800 appartamenti, una cartiera, un risificio, quindici strade, sette ponti, cinque scuole, undici cimiteri, nove chiese e cinque oratori. Infine, la morte nascosta: prima di andarsene Reder fece disseminare il territorio di mine che continuarono a uccidere fino al 1966 altre 55 persone. In totale, le vittime di Marzabotto, Grizzano e Vado di Monzuno furono 1.830.
Fra i caduti, 95 avevano meno di sedici anni, 110 ne avevano meno di dieci, 22 meno di due anni, 8 di un anno e quindici meno di un anno. Il più giovane si chiamava Walter Cardi: era nato da due settimane. Dopo la liberazione Reder, che era riuscito a raggiungere la Baviera, fu catturato dagli americani. Estradato in Italia, fu processato dal tribunale militare di Bologna nel 1951 e condannato all'ergastolo. Dopo molti anni trascorsi nel carcere di Gaeta, fu graziato nel 1985 per intercessione del governo austriaco. Morì pochi anni dopo in Austria senza mai essere sfiorato dal rimorso.

2 dicembre 1944 Eccidio di Portofino

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Nella zona di Portofino era insediato un nutrito contingente di marina germanica in funzione di avvistamento e difesa costiera comandato dal tenente Ernst Reimers. In particolare Reimers aveva stabilito il proprio comando nel castello di San Giorgio, situato oltre il piccolo paese di Portofino verso la punta orientale del capo, e lo aveva parzialmente trasformato in una prigione allestendovi numerose celle.

A fine novembre 1944, le squadre di azione patriottiche uccidono contemporaneamente, in zone diverse del Ponente genovese, nove fascisti. E’ un’azione che dimostra la forza delle azioni partigiane. Il comando tedesco decreta il coprifiopco dalle 19.00 alle 5.00 nelle zone teatro degli attentati: Cornigliano, Sestri Ponente, Pegli, Prà, Voltri, Bolzaneto, San Quirico, Pontedecimo e Campomorone e nella notte tra il 2 e 3 dicembre scatta la rappresaglia nazista per i nove uccisi.

Vengono fucilati sulla spiaggia dell’Olivetta 22 prigionieri politici prelevati dalla IV sezione del carcere di Marassi a disposizione delle SS e i loro corpi, legati l’uno all’altro con filo di ferro, furono caricati su alcune barche e gettati in mare il largo con pesanti pietre come zavorra. La scelta degli sventurati non poté che avvenire per determinazione del comandante dell’AK di Genova tenente colonnello Engel. All’operazione partecipò anche Vito Spiotta, segretario del fascio di Chiavari e vice comandante della brigata nera “Silvio Parodi”.

Le ragioni di questo eccidio non furono mai esplicitate dai tedeschi come rappresaglia, ma è fondata l’ipotesi, affermata da Gimelli, che esso vada posto in relazione alla cosiddetta “giornata della spia” del 30 novembre precedente. In quella occasione erano state giustiziate su iniziativa del Comando generale delle brigate Garibaldi alcune spie fasciste.

Il significato di questa azione fu che interi quartieri della città vennero occupati e a lungo militarmente presidiati dalle formazioni partigiane.
ecco l'elenco delle vittime di Portofino:
Albramo Bassignani
Domenico Camera
Agostino Carniglia
Emanuele Causa
Otello Cenatelli
Cafiero Cipriani
Giovanni Costaluigi
Carlo Dellacasa
Domenico De Palo
Carlo Faverzani
Antonio Ferrari
Marcello Goffi
Giuseppe Golisano
Bartolomeo Maffei
Onelio Matterozzi
Alfredo Meldi
Luigi Calso Meldi
Tullio Molteni
Giovanni Odicini
Emanuele Sciutto
Cipriano Turco
Diofebo Vecchi.

Fucilazioni di Cravasco


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Dopo il massacro avvenuto alla Benedicta fra il 7 e l'11 di Aprile del 1944, le formazioni partigiane che operano nell' Appennino ligure si riorganizzano, e fra queste nasce la Brigata Volante Balilla, che nel marzo del 1945 agisce nei territori nella zona del comune di Campomorone in provincia di Genova, il giorno 22 marzo la brigata si trova a Cravasco una frazione del comune di Montoggio, quando nella località arriva una pattuglia di soldati tedeschi che dopo aver saccheggiato le case della zona e essersi rifocillati nell'osteria locale riparte in direzione del Monte Carlo, ma durante il percorso viene attaccata dai partigiani della brigata Balilla che gli tende un agguato, i partigiani intimano la resa ai tedeschi che rispondono sparando e vengono tutti uccisi. Il giorno seguente la frazione di Cravasco viene invasa da soldati delle SS insieme a dei repubblichini, appena arrivati iniziano a incendiare le case a maltrattare e arrestare il parroco e i pochi uomini che riescono a trovare. Nel frattempo le SS hanno prelevato dal carcere di Marassi a Genova 20 prigionieri politici e li trasportano a Cravasco, durante il viaggio due prigionieri aiutati dai compagni riescono a fuggire, i 18 restanti vengono condotti nel cimitero di Cravasco e qui fucilati, uno di essi viene ferito al collo e rimane vivo, verrà in seguito curato e aiutato da alcuni abitanti della zona a riunirsi ai partigiani


Strage di Pedescala

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I reparti tedeschi stanno abbandonando il fronte per rientrare in patria per cercare di difendere la loro terra, ormai le notizie che gli arrivano sono per loro catastrofiche, e cercano di accelerare il più possibile il loro rientro in Germania, per agevolare questo a Vicenza viene firmato un accordo fra il comando tedesco e il Comitato di Liberazione Nazionale per facilitare l'esodo dei soldati tedeschi senza più scontri con i partigiani italiani. Il giorno 30 aprile un reparto tedesco per rientrare in Germania transita da Pedescala una località in provincia di Vicenza che è posta fra Vicenza e il passo del Brennero, e si ferma nel paese senza che avvenga nessuno scontro, quando ripartono i tedeschi lasciano nel paese diversi armamenti per proseguire più agevolmente il viaggio, dopo poco che ha ripreso il viaggio la colonna tedesca subisce un agguato e sette soldati rimangono uccisi, il comandante Tedesco pensa che l'agguato sia stato preparato dai partigiani di Pedescala e ritorna indietro con il suo plotone e opera una feroce rappresaglia uccidendo 82 persone e infierendo anche sui cadaveri. La colonna tedesca viene poi bloccata nella valle per due giorni in cui commette altre stragi cercando di aprirsi un varco fra l'altro sequestra alcuni civili nella frazione di Forni che poi verranno uccisi nelle vicinanze della frazione di Settecà. Chi sia stato l'autore dell'agguato alla colonna di tedeschi che poi ha provocato la rappresaglia non si è mai saputo, ma gli abitanti del luogo erano estranei al fatto.

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Edited by Pulcinella291 - 29/1/2019, 14:54

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