Le stronzate di Pulcinella

STORIA DEL CALCIO NAPOLI-ANEDDOTI, CURIOSITA', INTRIGHI E MISTERI

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view post Posted on 14/5/2013, 08:52
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Pulcinella291 Forum

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Il calcio a Napoli è nato nel 1904 con il Naples Cricket and Football Club, si giocava sul Campo di Marte, dalle parti di Capodichino e ancor prima sul terreno sconnesso del Mandracchio, nella zona del porto, vicino l’attuale Via Marina .La maglia era blu e celeste, il presidente era Luigi Salsi, imprenditore edile di origini emiliane. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e qui ora vogliamo raccontare alcuni eventi che hanno fatto la storia del calcio nella nostra citta'.Una storia lunga piu' di cent'anni fatta di aneddoti e curiosità ma anche di intrighi e misteri, insomma ricostruiremo anche attraverso le immagini e documenti filmati alcuni momenti salienti che a volte ci faranno sorridere, altre volte ci faranno arrabbiare ed altre ancora ci faranno gioire. Siete pronti ?Partiamo!

I PRIMI SPETTATORI PAGANTI PER ASSISTERE ALLE PARTITE

Fino ad allora si era sempre giocato su campetti sterrati ed improvvisati, al “Campo di Marte” in zona Capodichino dove ora c’è l’aereoporto e al “Mandracchio” in via Cristoforo Colombo nei pressi del porto. Il primo vero campo è quello di via Campegna, proprio dietro all’attuale stazione di “Campi Flegrei”, non distante dal San Paolo a Fuorigrotta, oddio, non si poteva chiamare un vero stadio, ma almeno c'era uno spazio adeguato . Non c'erano spogliatoi e i giocatori arrivavano gia' in divisa e così, dopo la gara, se ne andavano. Fra gli spettatori abbondano contessine, marchese e duchesse, notabili e “gagà" il piu' delle volte ilari nel vedere uomini che correvano dietro una palla.
Dopo pochi anni e c’è un primo salto di qualità. Ad Agnano, proprio dove oggi c’è l’ippodromo ecco spuntare la prima vera struttura dedicata al calcio. Nell’ottobre del 1912 si inaugura il campo, fornito di spogliatoi in legno e di un settore, pure ligneo, destinato agli spettatori. I dirigenti di allora provano anche a far pagare il pubblico.Mezza lire costerebbe il biglietto per assistere alle partite del Naples, ma sono in pochi a passare dal botteghino. La maggior parte preferisce sfruttare i rilievi del terreno adiacente al rettangolo .
Sul terreno di gioco si alternano il Naples e l’Internazionale, società di poco più giovane. Il portiere di una di queste due ha una curiosa abitudine: si porta una sedia e su quella vi si siede, quando l’azione di gioco è lontana. Contemporaneamente si gioca anche da un’altra parte. Al “Vittorio Emanuele III"sul campo del Poligono di Tiro fu inaugurato nel 1913 In precedenza ospitava soprattutto polli e tacchini. Le prime partite del Naples e dell’Internazionale, disputate su un fondo sabbioso e irregolare, cominciarono così ad avere anche gli spettatori paganti. Si giocava in una zona antistante le varie postazioni di sparo del tiro a segno. Tra il primo e il secondo tempo, un rappresentante delle società raccoglieva i soldi per l'ingresso con un blocchetto di ricevute. Arriva la prima guerra mondiale e la vittoria italiana non contribuisce a risolvere il problema stadio di Napoli che oltre Al “Poligono” ed Agnano, si appoggia pure a un piccolo stadio all’interno dell’Ilva di Bagnoli.


Spalti in legno, senza curve per un massimo di 8mila posti in piedi, proprio sotto Posillipo. E’ il campo dell’Ilva Bagnoli, ma a turno vi si appoggiano pure il Naples, l’Internazionale e la Pro Napoli. Piccole realtà dilettantistiche che, vengono sistematicamente battute non appena varcano le soglie della Campania. Società che abbisognano di una svolta. Sul piano organizzativo e su quello della mentalità.


I PRIMI TIFOSI NAPOLETANI
le prime manifestazioni di giubilo da parte dei napoletani si verifico' nel 1905, quando fu orgnaizzato in maniera molto estemporanea una partita di calcio , tra il Naples da poco fondato e un gruppo di marinai inglesi arrivati nel porto. Gli inglesi erano considerati i veri inventori del calcio , percio' la partita fu molto sentita nell'ambiente cittadino.Si gioco' a Bagnoli e vinse clamorosamente il Naples per 3-2. Grandissimo fu il tifo da parte dei napoletani che per la prima volta accorsero in massa ad assistere ad una partita di pallone. La vittoria fece subito il giro della citta'e, forse, fu cosi' che i napoletani cominciarono ad appassionarsi a questo nuovo gioco.

PER UNA PARTITA DEL NAPOLI CI FU LA PRIMA RADIOCRONACA
Essendo uno dei club più seguiti del paese, il Napoli si è spesso distinto non solo in ambito calcistico ma anche nella cultura partenopea e italiana. La partita di spareggio Napoli-Lazio del 23 giugno 1929, valida per l'ammissione al primo campionato di Serie A a girone unico, fu il primo incontro di campionato a essere trasmesso in una rudimentale "radiocronaca" (non si può parlare di radiocronaca vera e propria, in quanto quest'ultima venne introdotta in Italia solo qualche anno dopo); infatti il Mezzogiorno sportivo, quotidiano di Napoli, aveva inviato allo stadio di Milano (dove si disputò lo spareggio) un giornalista, che durante la partita telefonava alla redazione descrivendo le varie azioni di gioco; il contenuto della telefonata veniva poi trascritto dal giornalista Michele Buonanno che inviava i dispacci a un altro giornalista, Felice Scandone, che ne leggeva il contenuto da un balcone, informando così la folla in trepidante attesa dell'andamento dello spareggio. La partita, per la cronaca, terminò 2-2 ed entrambe le squadre vennero ammesse al primo torneo di massima serie a girone unico.


IL CAVALLINO RAMPANTE ED IL CIUCCIO

Nel primo anno di vita del Napoli, cioè nella stagione 1926-27 la squadra aveva come emblema un cavallino rampante, come quello della Ferrari. Ma quell'anno fu estremamente sfortunato,l'Associazione Calcio Napoli terminò ultima con un solo punto, conquistato contro il Brescia in casa (0-0), in 18 partite con ben 61 gol incassati. E fu cosi' che il giornale satirico "o Vache e pressa"paragono' il cavallino rampante al famoso ciuccio di Fichella molto contemplato nei detti partenopei ”con “trentaseie chiaje (piaghe) e ‘a coda fraceta".Da quel momento molto spesso i tifosi portarono al campo un asinello in carne ed ossa con la maglietta azzurra del Napoli:

LA MAGLIA NEL MOMENTO DELLA FONDAZIONE

Al momento della fondazione fu adottata una maglia di colore azzurro in riferimento al colore della Casa Reale dei Borbone di Napoli con colletto celeste e pantaloncini bianchi. Da allora l'azzurro è rimasto nella maglia sino ad oggi, mentre è aumentata la presenza del bianco.Nel 1965-66 il presidente azzurro Roberto Fiore, per scaramanzia, decise di cambiare i colori della maglia del Napoli: in quella stagione gli azzurri giocarono con una maglia bianca con fascia trasversale azzurra. Già a partire nella finale di coppa Italia, quando il Napoli vinse il primo titolo dei quattro, contro la Spal la squadra partenopea indossò una inconsueta maglia rossa con bordi bianchi per non confondersi con la casacca spallina biancoazzurra. Questa terza divisa fu usata altre volte al San Paolo negli anni 60 quando la regola era che a cambiare casacca per problemi cromatici con gli avversari, era la squadra di casa e non quella in trasferta. Regola che poi sarà invertita nel 1969.



Mister Garbutt, i calciatori del Napoli e le ballerine di Macario


L'appellativo Mister con cui vengono abitualmente indicati i moderni allenatori di calcio viene fatto derivare dal modo in cui Garbutt - da poco giunto sul suolo italiano - veniva salutato ed indicato, appunto Mister Garbutt. Nel 1929, fu chiamato ad allenare il Napoli da Giorgio Ascarelli per partecipare al primo campionato di Serie A della storia, dopo che la squadra, fondata da pochi anni, aveva raggiunto piazzamenti poco soddisfacenti, ultimo posto nella stagione d'esordio, terzultimo l'anno dopo e per finire l'ultimo posto utile alla qualificazione per il campionato di Serie A, pochi mesi prima della sua assunzione. Cambia i metodi d'allenamento, facendo esercitare i giocatori nel dribling, a colpire la palla di testa ad altezze sempre maggiori e forzando chi usava solo un piede ad usare l'altro facendo in modo che questo fosse il solo ad indossare la scarpa da calcio negli allenamenti; instaura quindi una disciplina ferrea, lasciando poco tempo libero ai suoi calciatori. A Napoli rimane sei anni, raggiungendo per due volte il terzo posto in campionato.
Abbiamo detto della sua disciplina ferrea , i giocatori erano continuamente controllati anche di notte. E fu cosi' che alla vigilia di una importante partita nell’Hotel Sitea dovette passare una notte in bianco.
Nell'hotel erano ospitati sia i calciatori del Napoli che le ballerine di Macario a quel tempo il re della rivista.
L'allenatore si accorse subito che tra i giocatori e le formose ballerine era nato un certo feeling e monto' di guardia. Furono in molti quella notte ad essere ricacciati nella propria stanza dal mister inferocito.
Morale della favola , i calciatori passarono una notte insonne e persero la partita 3 a 0.



SENTIMENTI II il portiere del Napoli pararigori, insegui' per il campo il fratello che gli segno'

Arnaldo Sentimenti (Bomporto, 24 maggio 1914 – Napoli, 12 giugno 1997) era il secondo di cinque fratelli tutti calciatori: Ennio (I), Vittorio (III), Lucidio (IV) e Primo (V), pertanto è noto anche come Sentimenti II.
Dopo aver trascorso quattro anni tra le serie minori italiane, con le maglie di Crevalcore ed Urbino, venne notato dall'inglese William Garbutt, allenatore del Napoli di quei tempi, in una partita del 1934 proponendogli di fare un provino per il Napoli, che venne superato. Arnaldo ebbe l'occasione di giocare con continuità solo dopo il ritiro dell'estremo difensore Giuseppe Cavanna. Sposo' una ragazza napoletana e a fine carriera visse fino alla morte al Vomero.Con il Napoli giocò ben 12 campionati dal 1934 al 1948 e fu il capitano negli ultimi 8. Giocò complessivamente 227 partite (195 in Serie A e 32 in Serie B) ed è ancora oggi tra i portieri del Napoli rimasti imbattuti più a lungo, con circa 800 minuti d'inviolabilità della porta.
Ebbe la fama di pararigori. tra gare di campionato, di Coppa ed amichevoli, parerà ben 32 penalty, dodici dei quali consecutivi nella stagione 1941-42. Curioso che a mettere fine a quella lunga imbattibilità fu proprio il fratello, Sentimenti IV, anche lui portiere, detto “Cochi”, passato poi alla Juve per una luminosissima carriera. Capitò che in Napoli- Modena il 17 maggio del 1942, all'Ascarelli di mattina (spesso durante il periodo di guerra si giocava a mezzogiorno perché a quell’ora i bombardamenti ed i relativi allarmi erano meno frequenti) Sentimenti IV , che oltre ad essere un apprezzato rigorista, sapeva giocare anche all’attacco, sul 2-0 per il Napoli, volle tirare un penalty concesso dall’arbitro Bellè. Tra il sorriso beffardo di Sentimenti II, forte del fresco primato, abituato a ben altri tiratori (aveva neutralizzato anche Piola, Meazza e Frossi), il fratello modenese realizzò il rigore con una finta ed una cannonata all'incrocio dei pali, che piegò Arnaldo, nonostante questi avesse intuito la traiettoria. Sentimenti II, ovviamente stizzito, non tanto per il gol del 2-1, ma per l’inviolabilità interrotta, inseguì il fratello per buona parte del campo.


LA PRIMA RETROCESSIONE DEL NAPOLI:UN VERO INTRIGO POLITICO

Era il campionato 1941-42 il Napoli ed il Livorno viaggiavano in cattive acque, l'ultima di campionato era decisiva per la permanenza in serie A di una delle due compagini.
Il Napoli doveva giocare con il Genoa e i labronici col Milan. Il genero del giudice Galeazzo Ciano,livornese di nascita, si mosse attivamente per evitare la retrocessione del Livorno.
Convocò i Federali di Genova e di Milano e ai due – si racconta – venne ventilato una possibile destituzione dall’incarico qualora il Livorno fosse retrocesso. Entrambi i Federali si mossero, quindi, per catechizzare le società ed i giocatori del Milan (perché non si impegnassero contro il Livorno) e del Genoa (perché giocassero allo spasimo contro il Napoli nella partita decisiva nell’ultima giornata). Il piano riuscì perfettamente. Il Milan si fece battere clamorosamente in casa dal Livorno (2-0) mentre il Genoa lottò alla morte e travolse per tre a zero il Napoli.

QUANDO CROLLO' LA TRIBUNA DELLO STADIO DEL VOMERO

Lo stadio "Arturo Collana" fu costruito come stadio di calcio alla fine degli anni venti, e inizialmente prese il nome di "Stadio XXVIII ottobre". Ospitò saltuariamente le partite interne del Napoli calcio, divenendone in seguito il campo ufficiale durante la stagione 1933-1934 a causa dei lavori di ristrutturazione dell'Ascarelli, scelto per ospitare la coppa del mondo italiana nel 1934.
Nel corso della seconda guerra mondiale il Napoli vi tornò a giocare solo nel 1942 e per breve tempo: dopo l'8 settembre 1943 fu requisito dalla Wehrmacht ed utilizzato dalle SS come campo di concentramento nel quale rinchiudere i napoletani da inviare in Germania, provocando la reazione dei cittadini, sfociata poi nelle Quattro giornate di Napoli.
Nell'immediato dopoguerra l'impianto, ribattezzato (ma per breve tempo) "Stadio della Liberazione", tornò ad ospitare la squadra azzurra, essendo l'unico in città a garantire un minimo di agibilità. Nel 1946, durante la partita Napoli-Bari, alla rete di Lushta, la prima del giocatore albanese coi partenopei, l'esultanza fu tanta e scomposta da provocare il cedimento di un settore della tribuna, col conseguente crollo ed un bilancio di 114 feriti.
L'utilizzo dello stadio avrebbe dovuto essere una soluzione provvisoria, anche per l'inadeguatezza della capienza, ma tale situazione di precarietà si protrasse invece per 15 anni, fino all'inaugurazione del nuovo Stadio San Paolo a Fuorigrotta (1959)

UNA PRESUNTA COMBINE TRA IL NAPOLI E LA ROMA, SCATENO' I TIFOSI

Era il campionato (1946-47) il Napoli era da tempo gia' in zona sicurezza, mentre la Roma aveva estremo bisogno di punti per salvarsi. Si era a tre giornate dal termine quando si gioco' al Vomero lapartita che fece gridare allo scandalo.
Il Napoli presento' una formazione oltremodo rimaneggiata e la squadra capitolina vinse inaspettatamente per 3 a 0 con due reti Krieziu che nella stagione successiva fu trasferito dalla Roma riconoscente "a prezzo scontato" al Napoli. I tifosi per questo contestarono la squadra e quando la domenica successiva contro la Lazio si pareggio' 0 a 0, si scateno' un vero e proprio putiferio, con lancio di bottiglie e pietre.Una pietra colpi' il terzino del Napoli Mario Pretto (Schio, 7 ottobre 1915 – 2 aprile 1984-10 stagioni in maglia azzurra ) che la rilancio' sugli spalti , incattivendo ancor piu' la folla che assedio' gli spogliatoi. Pretto si salvo' uscendo dallo stadio vestito da poliziotto.

UN'ALTRA STRANA COMBINE COL PADOVA
Era il 1951 ultima di campionato, il Napoli, gia' salvo, doveva giocare contro il Padova bisognoso di punti per la salvezza. patavini dovevano vincere per non retrocedere. Il Napoli, invece, era già impegnato nella campagna di potenziamento ed aveva già gettato molte rete, qualcuna anche a Padova e precisamente per un attaccante. Si “narra” che i dirigenti veneti si raccomandarono al dinamico “reggente” azzurro Gigino Scuotto di non infierire, ottenendo un sorriso ed una promessa di…scambio merce. Alcuni calciatori del Napoli vennero avvicinati dalla dirigenza azzurra e catechizzati di non infierire piu' di tanto.
Dopo poco dall'inizio un fallo in area e fu calcio di rigore in favore del Padova.

Mentre tutti i dirigenti si aspettavano un gol facile, Giuseppe Casari (Martinengo, 10 aprile 1922)uno dei piu' grandi portieri nella storia del Napoli paro' il rigore.
Cavolo! Erano andati in fumo tutte le premesse di combine?Ma no! 4 minuti dopo , altro atterramento in area ed altro rigore e nuova eccezionale respinta di Casari che sventò prima il penalty e poi neutralizzò anche il successivo tiro ravvicinato dei biancorossi, tra gli sguardi risentiti dei dirigenti patavini e l’imbarazzo di quelli azzurri. Evidentemente l'ottimo Bepi Casari non era a conoscenza degli accordi. Il Padova alla fine vinse lo stesso per 2-0 e si salvò . I dirigenti delle due squadre alla fine della partita evitarono pure di salutarsi.

Continua .

Edited by Pulcinella291 - 3/6/2013, 17:16
 
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PER UN GRANDE NAPOLI VOTA ACHILLE LAURO

"'O cumundante"nel dopoguerra, dopo una iniziale adesione al movimento dell'Uomo Qualunque, si avvicinò al movimento monarchico di Alfredo Covelli, determinando con il suo apporto finanziario la nascita del Partito Nazionale Monarchico (PNM.
Come uomo politico fu dotato di grande carisma e addirittura "venerato" da gran parte dei napoletani, tanto che nelle elezioni comunali del 1952 e 1956 riuscì ad arrivare fino a circa trecentomila preferenze, quota mai raggiunta prima da un candidato alle elezioni locali
Nell'elezioni comunali del 1952, Don Achille utilizzo' anche il Napoli nella . sua campagna elettorale,fece affiggere per la citta' manifesti con uno slogan diventato famoso:"Per un grande Napoli ed una grande Napoli, vota Achille Lauro".Comunque, Lauro, sindaco di Napoli, mantenne le promesse con i tifosi. Quell’anno, oltre a Pesaola e Vitali, fu acquistato soprattutto Hasse Jeppson, campione svedese dell’Atalanta, grazie al versamento record di 105 milioni.


L'ACQUISTO DI VINICIO E IL MISTERO DEI NONNI AVERSANI

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Don Achille, oltre a Jeppson compro' nel 1955 un altro calciatore che entrera' di diritto nella storia del Napoli:il brasiliano Luiz de Menezes Vinicius, ribattezzato a Napoli Vinicio.
A dir la verita' si voleva comprare un altro brasiliano Da Costa che poi passo' alla Roma. Vinicio era in giro per l'Europa con il suo Botafogo di cui era diventato l'idolo quando a Roma fu avvicinato da Monzeglio l'allenatore del Napoli:"“Stavo sotto la doccia - racconterà Vinicio- a partita da poco conclusa, quando mi si avvicinò un signore simpatico, sorridente, in compagnia di Rocha. Disse il suo nome nel porgermi la mano, ma non capii molto. Poco dopo, invece, Carlito mi disse che era l’allenatore del Napoli, Monzeglio, il mio futuro tecnico nel Napoli di Jeppson, il centravanti che avevo tanto ammirato durante la Coppa Rimet del 1950”. Ma per tesserarlo c'erano dei problemi nel Napoli c'erano gia' tre stranieri ( (Jeppson, Pesaola, Vinyei), e ne sono consentiti solo due, si tenta di trovare un parente italiano a Vinicio. Un parroco di Aversa scova nella cittadina casertana una famiglia con il cognome della madre di Vinicio, Amarante, e sostiebe che una donna con quel nome, emigrata in Brasile, è la nonna del giocatore. Senza i documenti necessari, la parola del parroco vale però zero e Lauro è costretto a cedere l'ungherese Vinyei. Piccolo aneddoto: quando si sparge la voce dei presunti parenti di Aversa, un giorno Vinicio è raggiunto all'Hotel Parker's, dove alloggia, da una folla di aversani che lo chiamano zio e cugino e nipote mio. Avrà il suo daffare ad allontanarli. La sua prima partita col Napoli fu davvero memorabile.
Fischio d'inizio e palla al centro. Vinicio tocca ad Amadei, il "fornaretto" passa indietro a Castelli, il mediano lancia in avanti, Vinicio parte a razzo ed è sulla palla, travolge Grosso e Bearzot e, dal limite dell'area, fionda un missile sotto la traversa del portiere Rigamonti. Gol in soli 40 secondi dall'inizio della partita. Un debutto fulminante.

ANNIBALE FROSSI( “A CIUCCIUVETTOLA)suggeri' inascoltato l'acquisto di Rivera e Picchi

Nel 1959 Lauro (proprietario del club a tutti gli effetti, sebbene ne delegasse la gestione ad un dirigente) ingaggio' come allenatore Annibale Frossi(Muzzana del Turgnano, 6 agosto 1911 – Milano, 26 febbraio 1999). Dopo una campagna acquisti che portò in Campania Schiavone, Cuman e Rambone, i partenopei si trovarono alla quarta giornata senza aver guadagnato un punto, con un bilancio di due reti segnate e dieci subite. Fu subito esonerato e Lauro ebbe a dire:"“ Cu chelli lente nere, Frossi me pareva ‘na ciucciuvettola".Fu quindi sostituito l'11 ottobre 1959 da Amadei che alla prima partita, il 18 ottobre 1959, diede i primi punti alla squadra, frutto di una vittoria casalinga contro l'Atalanta per 1-0. Retrocesso al ruolo osservatore del club, carica occupata proprio da Amadei poco prima, suggerì invano a Lauro l'acquisto di Picchi e Rivera.

L'ABOMINEVOLE UOMO DELLE NAVI


Era questo l'appellativo che qualcuno diede al Comandante per i suoi modi bruschi e spiccioli, come quando se la prese con Monzeglio per gli scarsi risultati .
In una intervista infatti, ne dice di tutti i colri nei confronti dell'allenatore. In questo senso anticipa un futuro fatto di scoop, esclusive e bombe sensazionali del giornalismo sportivo. Poi sparisce. Monzeglio non si dà pace, gli manda le sue dimissioni. Lauro gli scrive un biglietto:
"Le respingo nettamente e la prego di rimanere al suo posto. Distinti saluti".
Monzeglio resta ma non è più lui anche se il Napoli finisce al quarto posto. La Napoli sobillata dal comandante a suon di quintali di maccheroni regalati al popolo, è tutta contro Monzeglio.
Un giorno negli spogliatoi Lauro se la prende perfino con Jeppson. Monzeglio si mette in mezzo e rinnova le sue dimissioni. "Stai zitto e resta al tuo posto" lo rimbecca Lauro. Un giorno arriva a Napoli Gigi Peronace, general manager del Birmingham e Lauro gli offre questa stessa carica nel "suo" Napoli. Il buon Peronace gli presenta un sacco di progetti stupendi e termina l'esposizione dicendo: "Presidente lei la domenica deve starsene in tribuna, non in campo, ad ammirare lo spettacolo". Figuriamoci. Lauro non gli fissa nemmeno un appuntamento per discutere i dettagli. "Stateve buono" gli risponde e lo congeda per sempre.

L'ACQUISTO DI CANE'(pigliamme a chiste , è 'o cchiu brutto)

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Faustinho Jarbas meglio noto come Cané (Rio de Janeiro, 21 settembre 1939)fu acquistato dal Napoli per trentamila dollari dell'epoca nel 1962.
Una curiosita' interessante è rappresentata dal fatto che fu scelto direttamente da Lauro che non lo aveva manco visto giocare.
Lo scelse in fotografia e ando' cosi' :Andò così. Lauro chiamò Gigino Scuotto e gli disse che un procuratore di giocatori brasiliani, tale Josè de Gama, gli aveva scritto proponendogli l’acquisto di alcuni calciatori carioca, inviandogli anche delle foto, come fossero delle pin-up girl. Sarebbero venuti a Napoli a provare senza alcun impegno, con la sola spesa della metà del prezzo del viaggio. Lauro mostrò a Scuotto le foto dei giocatori e indicandogli quella di Canè, gli disse : “Vedi, Gigì, io voglio prendere chisto, perché è ‘o cchiù brutto. Chist’è niro, gli avversari si spaventeranno e lui farà i gol. Pigliàmmelo!"
E fu cosi' che Cane' divenne uno degli acquisti piu' indovinati del comandante

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Militò nel Napoli dal 1962 al 1969 e di nuovo dal 1972 al 1975, segnando 56 reti.




BUGATTI L'OTTAVIO VOLANTE

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Che Ottavio Bugatti sia stato uno dei migliori portieri della storia del Napoli è da molti risaputo, ma, forse sono in pochi a sapere o ricordare che la sua migliore partita l'ha disputata a Torino il 24 novembre 1957, contro la Juve. Il portiere azzurro vincitore del “Premio Combi” era emozionato di dover ricevere dalle mani del presidente juventino Umberto Agnelli l’ambito riconoscimento, attribuito al miglior portiere del campionato precedente. Alla vigilia della partita si temette persino di dover rinviare la premiazione, a causa di un improvviso attacco febbrile che lo aveva colpito. pur con 37,8 di febbre, volle scendere egualmente in campo e legittimò il “Premio Combi” con una prestazione sublime, la più bella della sua carriera, parando anche l’imparabile e determinando l'unica sconfitta casalinga della Juventus in quella stagione. Contro questa Juve di Boniperti, Sivori e Charles, il Napoli di Comaschi, Di Giacomo, Vinicio e Bugatti vinse clamorosamente per 3-1, con i gol di Vinicio, Novelli e Di Giacomo.
gigante gallese Charles alla fine commentò: "Con un altro portiere al posto di Bugatti avremmo vinto per 7-3. Mai visto un portiere così".

IL DUELLO TRA I GIORNALISTI PALUMBO E SCOTTI


Il Napoli da sempre ha avuto intorno un'atmosfera effervescente non solo da parte dei suoi sostenitori, ma anche da parte del giornalismo sportivo.
Da sempre c'è stata una stampa sportiva molto critica e un'altra, come si usa dire adesso "filogovernativa"
Ai tempi della presidenza di Lauro, il Napoli sostenuto dal Roma, il quotidiano del Comandante, era bersagliato dal Mattino, di ispirazione democristiana. Le alterne fortune della squadra, strumentalizzata da Lauro nei periodi elettorali, favorivano gli attacchi che sfociarono in un duello tra i capiservizi sportivi Antonio Scotti e Gino Palumbo. Gino Palumbo era del “Mattino” e Antonio Scotti del “Roma”.attaccò ancora una volta il Napoli, con Lauro primo bersaglio, e Scotti gli rispose con un corsivo dal titolo: "Lo sciacallo". Palumbo ribattè con una mezza colonna di improperi. Si dettero appuntamento all' alba in un viottolo di campagna a Quarto per una sfida con la spada "al primo sangue", giudice lo sciabolatore Arturo De Vecchi, olimpionico nel 1928 e 1932. Era un giorno di maggio del 1959. Palumbo ricordava così quell' alba memorabile: "Io e Scotti eravamo in canottiera, con le spade in mano, Scotti dieci anni più giovane di me e dieci centimetri più alto". Il maestro di scherma Mimmo Conte suggerì a Palumbo una tattica difensiva. Fu quella che Palumbo attuò. Al quarto incrocio delle spade, sentì il braccio pesante e rimase stancamente in difesa. Così lo trovò l' affondo di Scotti che Palumbo evitò con un' ultima stilla di energia e, levando automaticamente in alto la spada, colpì di striscio un polso dell' avversario. Padrini dei duellanti, Franz Guardascione e Antonio Pugliese, redattori-capo di Mattino e Roma.Basto' una sola goccia di sangue – come stabilito - per porre fine al duello.

LO SCHERZO DI PESAOLA AD UN GIORNALISTA
Tra Enrico Marcucci direttore di Sport Sud e l'allenatore del Napoli Bruno Pesaola non correva buon sangue poichè da sempre il giornale non lesinava critiche, non solo, ma anch perchè il giornale aveva messo alle calcagna del Petisso il suo reporter, Adolfo Sessa.
E allora Pesaola penso' di combinare uno scherzetto al giornale.
Confidò a Sessa che il Napoli stava per acquistare un giocatore argentino di nome Porongo. Tutto inventato. Sessa riportò la falsa indiscrezione a Marcucci che la pubblicò. Da quel giorno la "guerra" a Pesaola fu ufficialmente dichiarata.

I LITIGI CON I GIORNALISTI
Quello di Pesaola con Marcucci non fu il solo dissidio, altri episodi, alcuni clamorosi testimoniano che tra la stampa ed il calcio Napoli non c'è stato sempre un buon feeling.
Il ritorno di Vinicio sulla panchina del Napoli nel 1978 fu deludente dopo la prima conduzione conclusa a due punti dallo scudetto, dietro la Juve, alcuni anni prima. Ferlaino voleva sostituirlo con Mariolino Corso che, con la squadra "Primavera", aveva vinto il campionato giovanile. Sergio Troise, cronista del Mattino, fece un' intervista a Corso sui "gioielli" della sua formazione e Corso si lamentò che Vinicio non desse spazio a Nino Musella, geniale giovane calciatore di Fuorigrotta. Amico di Vinicio, Troise lo avvertì dell' intervista che il giornale avrebbe pubblicato. Il brasiliano disse: "Fai pure che con Corso me la vedo io". Ma, dopo la pubblicazione, Vinicio si infuriò temendo una manovra ai suoi danni (la manovra c' era, ma Troise non c' entrava). Rivedendo il giornalista al San Paolo per l' allenamento, piantò i giocatori, corse per tutto il campo e, raggiunto Troise, gli si avventò addosso, a stento trattenuto da Albertino Delfrati, allenatore in seconda, da Vinazzani e dal secondo portiere Pasquale Fiore. All' episodio Gianni Melidoni, amico di Vinicio, dedicò un articolo sul Messaggero" col titolo: "Vinicio mette in fuga un giornalista". Mino Jouakim, corrispondente del Guerin Sportivo diretto da Brera, per una cronachetta maliziosa su Antonio Juliano fece a botte col giocatore negli spogliatoi. Un' altra volta, era il 1968, Jouakim s' imbattè in Harald Nielsen che, in piazza Carità, comprava tre cravatte da una bancarella. Gliene sfuggì una e, piegandosi per raccoglierla, il giocatore si lamentò. "Reumatismi?" gli chiese Jouakim. "Macché, ernia del disco", rispose il danese. Jouakim rivelò sul giornale il malanno del centravanti, tenuto nascosto, e s' accapigliò negli spogliatoi col medico del Napoli, Peppe Covino. è più fresco il ricordo del tentativo di aggressione di Maradona a Giuseppe Pacileo, in uno studio televisivo. Il giornalista del Mattino gli aveva appioppato 3,5 in pagella. Questo succedeva fra i giornalisti e il Napoli in tempi di autentiche "battaglie".


continua

Edited by Pulcinella291 - 20/6/2013, 08:42
 
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ANEDDOTI SU GIOACCHINO LAURO-PRESIDENTE DEL NAPOLI

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Gioacchino era molto legato al padre ma ne soffriva molto dell'atteggiamento dittatoriale . Il comandante, infatti, era solito mettere in ombra qualsiasi sua iniziativa ed aveva, in ogni caso, l'ultima parola su tutto. Forse non aveva tutto i torti, don Achille, ben conoscendo il carattere e la munificita' di suo figlio.
Gioacchino era il figlio maggiore, era talmente terrorizzato dal padre da non osare fumare in sua presenza. Tenuto a "stecchetto" sul piano economico (Lauro ha sempre dato ai suoi figli un semplice stipendio), chiedeva in famiglia continuamente del denaro alla sorella o alla madre. I soldi gli servivano a soddisfare la sua fama d'irresistibile playboy e d'impenitente gaudente, giorno e notte alla ricerca di donne e divertimenti.
Gioacchino si occupò prevalentemente delle sedi estere della flotta, per potere avere maggiore libertà di azione. Predilette erano le linee verso l'Australia, con capolinea a Sydney, dove lui era molto stimato per la puntualità e il funzionamento esemplare dei collegamenti, che davano lustro e denaro all'azienda.
S'interessò alla politica, per la quale era molto portato, divenendo sindaco di Sorrento e deputato.
Un bel giorno suo padre, forse, per distrarlo da ben altri affari, lo propose come presidente del Napoli (" o cumandante" regnava nell'ombra come "onorario".
Entrò in carica il 17 dicembre 1966, subentrando a Fiore e fu subito chiaro e accattivante con i giocatori, toccandoli in quello che hanno di più caro: il portafoglio."Premi e stipendi saranno sempre garantiti, nessuna preoccupazione economica".
A qualcuno regalo' anche la Porsche, gioielli alle signore, denari distribuiti ad ampie mani. Quando esordì al “Gallia” di Milano per il mercato calcistico, lievitarono i prezzi (anche quelli delle "gentildonne"). Ma gli acquisti furono eccellenti: arrivarono Pogliana, Claudio Sala, Barison e soprattutto dal Mantova Dino Zoff. Per poco fallì l’acquisto di Gigi Riva.
Da raccontare il caso Barison. L’attaccante era giunto a Napoli fortemente raccomandato da Altafini che voleva continuare a tenere affettuosamente unite le due famiglie. “Zio Josè” consigliò al suo amico di chiedere a Gioacchino Lauro non meno di 15 milioni e mezzo di ingaggio. “Sedici o diciassette – disse – andranno benissimo”. Barison fece tesoro della raccomandazione e tenne bene a mente le cifre da chiedere, ma si sentì proporre dal magnanimo neopresidente: “Guè, nun fa storie cu’ mme. O ti pigli ventidue milioni, o nun me scuccià. Non ne facciamo niente!”.
Accompagnava spesso i calciatori nelle trasferte e nel dopo partita li appestava benevolmente negli spogliatoi con i suoi inseparabili super sigari cubani, giunti in Italia espressamente per lui, attraverso il fornitore personale del barbuto leader maximo: Fidel Castro
Legherà il suo nome ad acquisti importanti, come quello di Dino Zoff ed a prestigiosi risultati come il secondo posto assoluto, un traguardo mai raggiunto prima.
Si comportò come un presidente patriarca, che teneva in gran conto il fattore umano e grande fu il rimpianto, quando un male incurabile lo strappò prematuramente alla vita.

Acquisti del ‘65, arrivarono Sivori e Altafini

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Il Napoli che risaliva dalla serie B trovò in Roberto Fiore un presidente determinato ed entusiasta. Al mercato del calcio esplosero faville azzurre. I due colpacci si chiamarono Sivori e Altafini due autentici fuoriclasse in litigio con le loro vecchie squadre la Juve e il Milan.
In citta' successe di tutto, tripudio generale, inferiore solo all'acquisto di Diego Maradona.
La stazione di Mergellina e il piazzale furono invasi da una folla enorme ed elettrizzata che accolse il grande Omar. Più di un milione di aficionados gremirono lo stadio di Fuorigrotta lungo la stagione che si concluse con un eccellente terzo posto, atteso da 32 anni (dall’era di Voyak e Sallustro).
Omar e Josè coniugarono entusiasmo e incanto. I dribbling e il tiro forte e felpato di Sivori; l’energia e l’astuzia di Altafini. Con i due fuoriclasse scendevano in campo Faustinho Canè il gran regista Juliano, l’efficace ala sinistra Gastone Bean e, in mediana, Stenti e Vincenzo Montefusco. Difesa affidata ai terzini Ronzon e Nardin e al roccioso centromediano Panzanato. Tra i pali il bravo Bandoni, predecessore di Zoff. E in panchina Bruno Pesaola, mitico allenatore dalle irrinunciabili scaramanzie (il cappotto di cammello, l’eterna sigaretta) e fortissimo motivatore dei giocatori. Ogni domenica di calcio, san Paolo gremito e fremente… Era di là da venire il “tradimento” di Josè. E non fu solo campionato. Il Napoli vinse anche una Coppa internazionale. Di scarsa risonanza, ma era la prima nella storia azzurra: coppa delle Alpi, in Svizzera.

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Proprio in quegli anni fu coniato dai tifosi, in onore di Faustinho Jarbas, quello che è stato giustamente definito come una straordinaria metafora “a dispetto”, nel paragone tra il nostro calciatore con tre assoluti campioni brasiliani dell’epoca: ”Vavà, Didì, Pelè…/ site ‘a uallera ‘e Canè!”


PESAOLA UN NAPOLETANO NATO ALL'ESTERO

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Da più di mezzo secolo il Petisso vive ai piedi del Vesuvio col suo immancabile cappotto di cammello portafortuna. A lui sono legate numerose storie ed aneddoti sia come giocatore che allenatore del Napoli.
Ha sempre amato la citta' tanto che un giorno ebbe a dire:"quando il Napoli soffre è Napoli stessa a soffrire perché “Il Napoli non è una squadra di calcio, è lo stato d’animo di una città".Regala al Napoli una coppa Italia quando erano ancora in serie b ed anche il suo primo trofeo internazionale, la Coppa delle Alpi e lo fa a modo suo, con uno stratagemma da vecchia volpe, da scugnizzo napoletano perché la coppa vedeva Napoli e Juventus in due giorni diversi con due squadre svizzere, il Napoli doveva vincere ma all’intervallo le due squadre italiane erano ancora a pari punti così dice allo speaker di annunciare al pubblico che la Juventus sta vincendo e va negli spogliatoi ad urlare in faccia a Sivori “Lasci la vittoria al tuo nemico Heriberto?! Bella figura!”. Missione compiuta perché far scatenare Omar “El Cabezon” Sivori equivaleva a vittoria certa difatti fece 3 assist per Bean, Canè e Montefusco.
Fumava una media di 40 sigarette a partita ed era un gran furbo.
Incitava l’esigente pubblico del San Paolo, agitava il braccio sinistro in avanti per spronare la squadra all’attacco mentre in segreto, col braccio destro, intimava i sui ragazzi a restare vigili in difesa.
Pesaola era il tipo d’uomo che in una conferenza stampa pre-partita, mentre era sulla panchina del Bologna, annunciò al mondo una zemaniana partita all’attacco mentre in gran segreto preparava il più italiano dei catenacci, al che un giornalista di Bergamo, tifoso dell’Atalanta che dominò quella partita pur non riuscendo a portare a casa il risultato, con la consueta cortesia che tanti bergamaschi dedicano alle persone del Sud gli disse che si sentiva preso in giro solo perché aveva annunciato un modulo tattico non messo in pratica. Il Petisso con la sua solita flemma gli rispose che lui aveva mantenuto le promesse ma che l’Atalanta gli aveva rubato l’idea.


SIVORI E LA MAXI RISSA CON LA JUVENTUS E L'ADDIO DEL CABEZON


Dopo due stagioni fantastiche, che ne avevano fatto il "re" del San Paolo, Sivori si infortunò a un ginocchio e giocò pochissimo nel torneo 1967-68, entrando in collisione con l'allenatore Bruno Pesaola, che a fine stagione, nonostante il brillante secondo posto alle spalle del Milan, fu ben lieto di accettare le proposte della Fiorentina, dove avrebbe vinto subito lo scudetto. Sivori restò a Napoli e la società ingaggiò l'allenatore Carlo Parola per curarne in esclusiva il recupero e mandò il giocatore a Grado a curarsi.
Al ritorno, Sivori mise le carte in tavola, dichiarando polemicamente che avrebbe rifiutato ogni impiego come tredicesimo.
Il 13 novembre 1968 l'argentino torna in campo contro il Leeds, in Coppa delle Fiere (sconfitta 0-2). Poi esordisce in campionato il 17 novembre, in casa contro il Palermo: entusiasma il San Paolo e segna il gol della vittoria di misura, salvando tra l'altro Chiappella, dato per ormai silurato.
La settimana dopo è in programma lo scontro con la Juventus, allenata da Heriberto Herrera. Il tecnico paraguaiano del "movimiento" (una sorta di teorizzazione ante litteram del pressing e del gioco a tutto campo) aveva a suo tempo preteso la cacciata dal club bianconero del "boss" Omar, che vi aveva dettato legge per otto campionati, grazie alla predilezione degli Agnelli. Insomma, la partita scotta, anche per la posizione precaria del Napoli. Favalli, l'uomo dedicato alla marcatura dell'argentino, non fa complimenti, cercando scopertamente di innervosirlo. Sivori cade nella trappola e all'ennesimo colpo non si trattiene, reagendo con violenza. Favalli crolla a terra, come folgorato. L'arbitro Pieroni indica a Sivori la via degli spogliatoi mentre si scatena la rissa, al termine della quale vengono espulsi il napoletano Panzanato, l'allenatore Chiappella e lo juventino Salvadore.

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I precedenti purtroppo sono contro Omar, recordman di squalifiche, e il giudice sportivo ci va pesante, appiedandolo per sei turni (nove peraltro se li becca lo stopper Panzanato).
venerdì 6 dicembre, mentre viene deferito assieme ai presidenti di Juve e Napoli, Catella e Fiore, Sivori annuncia, dopo un lungo colloquio con lo stesso Fiore, di aver deciso di abbandonare il calcioSivori, dopo gli anni d'oro della Juventus, vive a Napoli stagioni travagliate culminate poi con la fuga in Argentina
SIVORI: Fuga da NapoliLa vicenda del suo addio all'Italia è emblematica. Dopo due stagioni fantastiche, che ne avevano fatto il "re" del San Paolo, Sivori si infortunò a un ginocchio e giocò pochissimo nel torneo 1967-68, entrando in collisione con l'allenatore Bruno Pesaola, che a fine stagione, nonostante il brillante secondo posto alle spalle del Milan, fu ben lieto di accettare le proposte della Fiorentina, dove avrebbe vinto subito lo scudetto. Sivori restò a Napoli e la società ingaggiò l'allenatore Carlo Parola per curarne in esclusiva il recupero e mandò il giocatore a Grado a curarsi.
Al ritorno, Sivori mise le carte in tavola, dichiarando polemicamente che avrebbe rifiutato ogni impiego come tredicesimo.
Non accettava l'alternativa con Barison per la maglia numero 11 e voleva giocare titolare, perché si sentiva ancora il migliore di tutti. Il 27 ottobre, al San Paolo, un violento alterco tra Omar, Parola e il medico sociale Corvino e poi con l'amministratore delegato Roberto Fiore fa scoppiare il bubbone: l'allenatore sostiene che il giocatore ha nelle gambe solo sessanta minuti, il campione sostiene di voler giocare e di poter essere utile al Napoli. Viene convocato il consiglio di amministrazione.
Alla fine si decide per un milione di multa. Molti ne hanno abbastanza delle e di apprestarsi a tornare definitivamente in Argentina di lì a venti giorni, «per protestare contro le sei giornate di campionato ingiustamente inflittemi: una forzata pausa che compromette irrimediabilmente il mio campionato». Così Sivori lascia l'Italia. Approdato in Argentina, dichiara: «Se mi sentirò capace di sacrificarmi, di ritornare al mio miglior stato di forma per rendere al massimo, giocherò nel River Plate». Dopo qualche settimana decide di appendere definitivamente le scarpe al chiodo.

LE INVASIONI E LE INTEMPERNZE NELLA STORIA DEL CALCIO NAPOLI

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La pagina nera che vide coinvolta la partita con la Juve non fu la prima ma nemmeno l'ultima, purtroppo il Napoli sia in casa che in trasferta, è stato al centro di seri incidenti sul terreno di gioco e sugli spalti, per colpa dei suoi tifosi o per colpa dei sostenitori avversari. Invasioni di campo, guerriglie con la Polizia, attacchi agli arbitri, sassaiole, lanci di petardi, tutti validi motivi per l'intervento sanzionatorio del Giudice Sportivo che - tranne rari casi -ha applicato il 2-0 al tavolino .
Ricostruiamone qualche pagina.

1925-26 tra l’Internaples e l’Alba Roma:botte da orbi in campo e sugli spalti

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La prima vera invasione che si ricordi avvenne nella gara di ritorno della finalissima interregionale del torneo 1925-26 tra l’Internaples e l’Alba Roma. Nella notte che precedeva la gara d’andata, i tifosi romani si appostarono sotto le finestre dell’albergo che ospitava i napoletani e per ore ed ore infastidirono i giocatori con le loro stornellate. Gli azzurri dopo una notte ovviamente insonne, stanchi e nervosi, subirono poi un umiliante 6-1 tra il vergognoso comportamento dei tifosi capitolini, i quali durante la partita si distinsero per il lancio di ortaggi, oggetti e insulti. Nella partita di ritorno a Napoli, all’Arenaccia, dopo 10 giorni, la folla napoletana – in cerca di rivalsa - riuscì a contenersi anche perchè l’Internaples era andata in vantaggio ben presto su calcio di rigore, ma sul finire della gara, quando i giochi sembravano già fatti, l’Alba pareggiò con un penalty, dopo un’azione viziata da un fallo simulato. Botte da orbi in campo e sugli spalti, invasione di campo, caccia ai giocatori romani e al malcapitato arbitro Dani.
Al Napoli fu inflitta la squalifica di campo per un anno, che poi fu ridotta a due mesi, a seguito della riforma del torneo. Si andò a giocare al campo dell’Ilva Bagnoli.

CON L'AMBROSIANA INTER :L'ARBITRO COLPITO DA UNA SCARPA
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Tafferugli ed intemperanze avvennero anche il 24 maggio 1931, si giocava Napoli- Ambrosiana, una sfida anche tra i piu'grandi cannonieri dell'epoca Attila Salustro e Peppino Meazza. La partita si concluse sul 2 a 2, ma numerosi furono i tafferugli .
Mentre le squadre erano sull’1-1, l’ala milanese Visentin accompagnò il gol del 2-1 con un’esultanza insolita che dette l’impressione ai tifosi di aver fatto il gesto dell’ombrello, prettamente italico. Fu inscenata una violenta contestazione contro l’arbitro Scorzoni, colpevole di non aver espulso il reo. La partita fu sospesa per alcuni minuti, per sedare i tumulti, e quando il gioco riprese l’arbitro bolognese, a pochi minuti dalla fine permise al Napoli di pareggiare con Tansini, grazie ad un rigore concesso per placare la folla. Ciò non gli impedì di subire un nutrito lancio di oggetti ed una scarpa sul petto. La partita fu data vinta all’Ambrosiana per 2-0 ed il campo venne squalificato per una giornata .La partita successiva si giochera' a Salerno.

ANCHE A SALERNO VI FURONO INCIDENTI
(7 giugno 1931) – A seguito della squalifica per gli incidenti di Napoli - Ambrosiana, gli azzurri ospitarono il Milan sul campo neutro di Salerno. Ma anche qui, a seguito della sconfitta per 1-0, i tifosi azzurri provocarono incidenti, convinti che a danno del Napoli si stesse attuando una congiura a favore delle milanesi. Il risultato di 1-0 non venne mutato, anche perché il Napoli aveva già perso sul campo, ma il clima rimase tesissimo. Nella successiva partita interna con il Torino (21 giugno 1931) conclusasi col risultato di 1-0 per i granata, la concessione ai granata di un rigore inesistente provocò un’invasione. Conseguenza, il 2-0 a tavolino e la squalifica di campo fino al 30 settembre del 1931.

Campionato campano 1945 un arbitro si finse morto
Il Campionato campano 1945 fu una competizione calcistica che si disputò in Campania dal gennaio 1945 al giugno dello stesso anno. A causa della seconda guerra mondiale, sia al Nord che al Sud non si disputò un campionato nazionale ma si disputarono dei campionati regionali.
Al campionato presero parte due formazioni di serie B (Napoli e Salernitana), quattro squadre militanti allora in serie C (Stabia, Scafatese, Torrese e Casertana), due squadre allora militanti in Prima Divisione Campana (Frattese e Portici), la P.M.I. (una squadra composta da agenti della Polizia Militare) e una società appena rifondata (Internaples). A Napoli le gare furono giocate nel recinto dell'Orto Botanico, poiché lo Stadio Ascarelli era stato abbattuto durante la guerra. A Salerno invece fu utilizzato lo stadio "Littorio", sopravvissuto incredibilmente quasi intatto allo sbarco alleato e successivamente rinominato Stadio Donato Vestuti.
La prima giornata si disputò il 28 gennaio 1945. La squadra favorita era il Napoli per il suo blasone ma la squadra partenopea non iniziò bene il campionato anche a causa del fatto che in conseguenza della guerra molti forti giocatori rinforzarono le altre squadre campane rendendole più temibili (si pensi che nello Stabia militava Romeo Menti che in seguito verrà acquistato dal Torino e giocherà in nazionale, e che la Frattese aveva ingaggiato giocatori come Busani e Nicolosi.
Durante la partita Salernitana-Napoli al Vestuti accadde un incidente deplorevole: al 35° sul punteggio di 1-1 l'arbitro Stampacchia fischiò un rigore a favore del Napoli; i tifosi salernitani inferociti per la controversa decisione arbitrale invasero il campo e anche tra i giocatori avvenne una rissa; Stampacchia per calmare giocatori e tifosi dovette fingersi morto, sfruttando un colpo di arma da fuoco sparato sugli spalti.
In seguito a questa partita il Giudice Sportivo squalificò il campo alla Salernitana che disputò le rimanenti partite in campo neutro e soprattutto ordinò che il campionato venisse sospeso per un mese. Il campionato riprese in giugno e venne vinto a tavolino dallo Stabia.

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11 gennaio 1948 arbitro assediato nello spogliatoio

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Terza partita della stagione ’47-’48 caratterizzata da sassaiole. Gol del solito Di Benedetti contro il Bologna al Vomero. Sembrava fatta e, invece, a pochi minuti dalla fine l’arbitro triestino Pieri, in nera giornata, convalidò la rete del pareggio di Biavati, preceduta da un fallaccio dell’ala nazionale ai danni di Pretto. I tifosi napoletani si sentirono defraudati della vittoria e a fine partita, secondo la moda di quella stagione, lanciarono una fitta sassaiola , completata dall’assedio all’arbitro, costretto per varie ore nello spogliatoio. Una giornata di squalifica al campo. Contro il Milan si giocò sul “neutro” di L’Aquila. Autogol di Rosi, raddoppio di Raccis, espulsioni degli azzurri Di Benedetti e Verrina e del milanista Cerri. Alla fine (0-2), tentativo di invasione di campo da parte dei tifosi del Napoli, accorsi in gran numero, e assedio all’arbitro Pera negli spogliatoi. Ma il Napoli pagò fino all’ultimo il rapporto ormai incrinato con gli arbitri e col “palazzo”. Famosa fu la scandalosa direzione di gara di Bonivento a San Siro il 20 giugno nella partita-spareggio per la retrocessione tra l’Inter ed il Napoli. Due falli da rigore ai danni di Krieziu e Barbieri non furono puniti, un gol regolare di La Paz venne annullato dopo una vera aggressione dei nerazzurri all’arbitro (ultima direzione della sua carriera). A fine partita, vinta dall’Inter per un gol di Lorenzi, la Polizia fu costretta a intervenire per proteggere Bonivento dalla reazione inviperita degli azzurri. Stagione segnata. Il veleno finale fu costituito poi dall’accertata corruzione operata dal Napoli per la partita vinta a Bologna. Conseguente il declassamento all’ultimo posto e retrocessione.

10 gennaio 1954 vittoria a tavolino al Genoa
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Protagonista assoluto allo Stadio del Vomero l’arbitro Righi di Mestre, autoritario, ma per niente preciso. Il Napoli di Jeppson, Amadei e Bugatti affrontava il Genoa bisognoso di punti per la salvezza. L’arbitro non seppe contenere il gioco duro dei liguri. Falli plateali del Genoa non puniti, gol in fuorigioco dei rossoblu, nonostante lo sbandieramento del guardalinee, rigori non concessi al Napoli: mai vista una serie così lunga di errori, mentre sugli spalti la folla era in fermento. Righi arrivò persino a ritenere in gioco un pallone ribattuto in campo da un fotografo, appostato dietro la porta di Bugatti. Inevitabile il tentativo di invasione di campo, prontamente respinto dalla Forza pubblica, con partita sospesa per cinque minuti. Ma dopo la ripresa del gioco, uno spettatore riuscì a ad entrare sul terreno, nell’intento di arrivare all’arbitro; sulla sua strada, però, trovò Comaschi, che prima lo stese con un violento huppercut e poi consegnò l’invasore ancora incosciente ai poliziotti. Da quel momento l’arbitro cambiò: diventò più “morbido” nei confronti degli azzurri e in pieno recupero assegnò un rigore al Napoli per una carica inesistente ai danni di Vinjei in area: gol di Amadei, 3-2 per gli azzurri. Evidente la falsa vittoria. I giocatori del Genoa furono rassicurati subito da Righi: la partita era stata da lui considerata chiusa prima della fine per le intemperanze del pubblico. “Non fate storie in campo, la partita ve la do vinta nel referto” dichiarò ai genoani. Righi inopportunamente ribadì la sua decisione anche dopo la partita, quando accettò di fare il viaggio di ritorno con i liguri. E nelle dichiarazioni alla stampa, i genoani confermarono di aver avuto in anticipo e in confidenza l’assicurazione del 2-0 a tavolino. Provocarono così polemiche e reazioni anche nella Federcalcio. Il Giudice puntualmente fu costretto ad assegnare la vittoria al Genoa (art. 58), ma evitò di aggiungere la squalifica del campo al Napoli. Solo 300 mila lire di multa.

6 novembre 1955 Finale Western al Vomero
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Oramai a Napoli si era diffuso il il preconcetto della sudditanza psicologica e quindi di un certo atteggiamento condizionato della classe arbitrale nei confronti delle squadre più importanti del calcio italiano, e spesso , a dire la verita' anche a ragione.
Ma quello che accadde il 6 novembre 1955 è senza dubbio da ricordare.
Preceduta da due arbitraggi negativi per gli azzurri (contro la Roma in casa e a Bergamo contro l’Atalanta), la partita con il Bologna al Vomero fu tra le più drammatiche che la storia del Napoli ricordi. Un quarto d’ora d’inferno, protagonista l’arbitro Maurelli di Roma, autore di un arbitraggio “tecnicamente imperfetto e psicologicamente insufficiente”, scrissero le cronache del tempo. Ad un quarto d’ora dalla fine, il Napoli vinceva per 3-0, nonostante falli e scarponerie dei felsinei passati inosservati. Sul finire due gol del Bologna. Dunque 3-2. Mentre tutti guardavano l’orologio, l’arbitro si trastullava, prolungando di qualche minuto la gara, giusto il tempo per fischiare al 47’ un rigore contro il Napoli molto dubbio. Un dipendente del Napoli, Piccolo, andò a protestare, ma incontrò sulla sua strada il massaggiatore del Bologna, che gli piombò addosso, tramortendolo con un colpo di bottiglia in testa. Al masseur bolognese un poliziotto mise sul momento persino le manette. Inevitabile l’invasione dai Distinti mentre Maurelli, protetto da un poliziotto, guadagnava gli spogliatoi ed uno dei guardalinee veniva percosso. Di fronte alle centinaia di tifosi entrati in campo, incontenibili, la Polizia commise l’errore di ingaggiare una vera guerriglia con gli invasori, con lanci e rilanci, da entrambe le parti, di pietre e lacrimogeni. La situazione diventò tragica, quando i tutori dell’ordine cominciarono a sparare in alto a scopo intimidatorio. Oltre un’ora di assedio, centoquaranta i feriti, tra cui sette gravissimi, 92 medicati e curati nell’infermeria azzurra, trenta fermi, quindici arresti. Un’inchiesta fu predisposta dal ministro degli Interni, Tambroni. Maurelli dichiarò di essere pronto a ritirarsi. Il Giudice omologò il 3-3, con tre giornate di squalifica, poi ridotte a due . A Bari la Juve e a Roma la Fiorentina. Questa partita con i viola (2-4) il 31 dicembre 1955, fu la prima trasmessa in diretta Tv dalla Rai con anticipo al sabato. Quell'infelice arbitraggio consigliò o costrinse Maurelli a dare le dimissioni



L'ARBITRO BRUNO DE MARCHI da Pordenone fugge nell'auto di Achille Lauro:Lauro. “Vienetenne cu mme
Era il 4 ottobre 1959, partita col Genoa al Vomero, arbitro Bruno De Marchi da Pordenone, non all’altezza di una partita così importante per la classifica. Dopo il gol di Barison che aveva portato in vantaggio il Genoa, l’arbitro commise due errori, uno dopo l’altro, non tecnici, ma psicologici, dovuti all’inesperienza. De Marchi fischiò un rigore per fallo su Vinicio proprio mentre Luis cadendo riusciva a colpire egualmente la palla e a segnare (!). Niente gol, ma penalty da battere. De Marchi irremovibile di fronte alle proteste degli azzurri e dei tifosi. Tiro del nervosissimo Comaschi, palo, il terzino riprendeva la palla (vietato dal regolamento) e la passava a Di Giacomo, gol annullato. 1-0 per il Genoa, e Napoli ultimo a zero punti. Immaginarsi la tensione sugli spalti. Una vera bolgia, mentre i giocatori guadagnavano il sottopassaggio sotto una fitta pioggia di pietre. A questo punto, entrò in scena la Polizia, indirizzando gli idranti verso le gradinate, quelle vicine al sottopassaggio, dove le reti erano state divelte. Ma dopo un po’ la pressione dell’acqua venne meno (chissà come e perché…) e la “Celere”, fu costretta prima al lancio dei lacrimogeni, poi intrecciò con i tifosi una vera, ignominiosa sassaiola. Bilancio: sessanta agenti feriti, di cui alcuni gravemente, trenta tifosi contusi, venti fermi, dodici arresti. L’arbitro lasciò lo stadio , ben accucciato, protetto nella macchina del Comandante Lauro. “Vienetenne cu mme – gli disse – debbono passare sul mio corpo” e fuori le auto della Polizia erano ancora impegnate in pazzeschi caroselli. Per il Giudice fu 2-0 a tavolino a favore del Genoa, accompagnato da una giornata di squalifica al campo ( a Livorno contro l’Atalanta)

COL MODENA DISTRUTTE ANCHE LE PORTE

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(28 aprile 1963) - Un’altra partita con esito drammatico. Fu la prima invasione nel nuovo stadio San Paolo, nel giorno in cui si votava per il rinnovo della Camera e del Senato. Arbitro il pur famoso Campanati. Di scena il Modena, diretto avversario nella lotta per la salvezza. Due gol dei canarini, il secondo con una vistosissima aggiustatine di mano di Bruells. Pochi minuti dopo su calcio d’angolo, il difensore modenese Balleri deviava la palla con le mani, impedendo a Fanello di segnare. Fischio dell’arbitro: ma anziché il rigore l’arbitro fischiava una punizione contro il Napoli. Quindi nuovo fallo di rigore non visto su Tomeazzi. Era la scintilla. Prima una pioggia di oggetti, poi un’invasione solitaria invasione bloccata dalla Polizia, quindi una marea di esagitati in campo, costrinsero giocatori ed arbitro a fuggire negli spogliatoi. Ma non era finita: la folla inferocita, anche per il comportamento deludente degli azzurri, si impadronì del campo, approfittando anche della carenza di Forza Pubblica impegnata soprattutto nei seggi per le votazioni. Impossibile impedire gravi atti di vandalismo. Furono divelti i tabelloni pubblicitari che servirono da ponte dagli spalti per invadere il terreno di gioco. Spaccati i marmi, asportati i travertini delle gradinate e distrutte totalmente le due porte in campo. I danni allo stadio superarono i 130 milioni dell’epoca. 148 furono i fermi, 62 i feriti. Un pomeriggio di vergogna. Si parlò di invasione organizzata. Le scene furono altamente drammatiche. Alla fine, due a zero del Giudice Sportivo e retrocessione ormai acquisita. Quattro le giornate di squalifica al campo, poi ridotte a tre, di cui una scontata nello stesso campionato (col Bologna sul neutro di Bari) e le altre riversate nella successiva stagione in Serie B.

QUANDO IL SAN PAOLO FU SQUALIFICATO PER DUE ANNI
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La Coppa Anglo-Italiana del 1970 fu la prima edizione del torneo, vinta dallo Swindon Town.

L'atto conclusivo del torneo è tristemente noto per essere stato una delle prime finali di una competizione calcistica ad essere sospesa per violenze dei tifosi.
A Napoli si giocava la finale tra gli azzurri e lo Swindon town. Era il 28 maggio 1970 e fu un giorno di ordinaria follia.
Questa data è stata purtroppo rimossa dalla memoria collettiva, non solo dei napoletani, ma anche da chi si occupa di calcio: eppure dovrebbe essere ricordata, a causa dei gravi fatti che accaddero in quella occasione, per evitare che si ripeta in futuro. All’epoca non esistevano ancora gli ultras o quantomeno non esisteva nulla di paragonabile al fenomeno odierno del tifo organizzato.
Il Napoli aveva già affrontato la formazione inglese: gli azzurri avevano vinto a Swindon 2 a 1 e avevano perso in casa per 1 a 0. Nella formazione partenopea mancavano le due stelle, Dino Zoff e Antonio Juliano: entrambi erano stati convocati in Nazionale dal commissario tecnico Ferruccio Valcareggi per i mondiali di Messico ’70. A sostituire in porta il Dino nazionale (in quel periodo riserva di Enrico Albertosi) c’era Trevisan. Ad eccezione dei due nazionali e di Altafini, Hamrin e Barison, il "ciuccio" non aveva grandi nomi nella sua formazione, a causa delle croniche difficoltà economiche. C’erano anche Ottavio Bianchi, che aveva fatto faville nel suo ruolo a centrocampo nel campionato 1969/70 ma non era stato convocato in Nazionale per la spedizione messicana, e Gianni Improta, all’epoca giovane promessa, amatissimo dai tifosi. Gli altri erano erano Floris, Monticolo, Zurlini, Panzanato e Montefusco. Dall’altra parte c’era lo Swindon Town, che, nonostante la squillante vittoria con la Roma nella Coppa Anglo-italiana, restava sulla carta una formazione più debole, considerata la sua perdurante militanza nella terza serie inglese. I suoi undici nomi (Jones, Thomas, Trollope, Butler, Burrows, Harland, Smith, Smart, Horsfield, Noble, Rogers) non erano certo al livello dei mostri sacri dell’allora formazione nazionale (come Bobby Moore, Jack Charlton e Geoffrey Hurst) che si accingeva a difendere in Messico il titolo mondiale conquistato a Wembley nel 1966. Eppure, sin dalle prime battute dell’incontro si vide che lo Swindon era una formazione molto agile e compatta: il suo allenatore, Fred Ford, aveva creato un gruppo vincente che dava filo da torcere agli avversari. Il Napoli, oltre alle sue lacune difensive, soffriva la mancanza del suo capitano Juliano, che sapeva guidare il gioco della squadra: mancando il suo faro di centrocampo la formazione napoletana piombò ben presto nella notte più nera. Invece la forza della squadra inglese era evidente proprio nella linea mediana: e così dopo soli 24 minuti Noble segna la prima rete per gli inglesi. La reazione degli azzurri è impacciata e incosistente: all’epoca non erano ancora consentite le sostituzioni, che sarebbero state introdotte ufficialmente ai mondiali messicani. L’allenatore Giuseppe Chiappella non avrebbe potuto quindi porre rimedi dal punto di vista tattico. Viste le premesse del primo tempo non si poteva pretendere che nella ripresa il Napoli potesse fare miracoli: così giunse la disfatta. Lo Swindon Town realizzò altri due gol: al 58' ancora con Noble e al 63' con Horsfield solo davanti a Trevisan: fu il giusto coronamento della netta superiorità della squadra inglese, contro un Napoli formato vacanza da fine stagione. Intanto, sugli spalti la situazione stava progressivamente degenerando. I tifosi montarono una feroce contestazione, che passò dai fischi, dalle urla e dalle invettive lanciati dopo i primi due gol inglesi, alle vie di fatto più vergognose della storia del "ciuccio". Proprio dopo il terzo gol, mio padre intuì quel tremendo clima di rabbia: "Marco andiamo!" esclamò prendendomi ancora per mano, ma stavolta in modo fermo e deciso. Quella decisione improvvisa, ma provvidenziale, mi risparmiò la visione dell’avvilente e denigrante spettacolo che si sarebbe scatenato poco dopo.
a poco più di 10 minuti dalla fine al San Paolo si scatenò l’inferno. Come novelli cavernicoli del XX secolo, i tifosi napoletani divelsero le panche di travertino, dov’erano seduti, poste nella parte bassa delle due curve e dei distinti e le frantumarono in piccoli pezzi: così iniziarono un fitto lancio di pietre verso il campo, accompagnato (come se non fosse bastato) da bottiglie di vetro.Correva il 79° minuto: l’arbitro austriaco Paul Schiller decise di interrompere la partita e mandò subito le squadre negli spogliatoi. Nonostante la pronta disposizione del direttore di gara, Horsfield, autore del terzo gol, fu centrato sulla coscia da una pietra e riportò una brutta ferita. Secondo le cronache dei quotidiani inglesi, il lancio del travertino dagli spalti durò a lungo, anche durante la carica della polizia, che riuscì a domare la rivolta dei tifosi soltanto dopo molto tempo. Intanto, nel "bunker" degli spogliatoi l’arbitro decideva la sospensione definitiva e l’assegnazione della coppa del torneo allo Swindon Town. La battaglia sugli spalti e all’esterno dello stadio proseguiva tra la folla rabbiosa e le forze dell’ordine: alla fine si conteranno 40 feriti tra i poliziotti e 60 tra i tifosi. Le persone arrestate furono 30, quelle fermate 11. Il Napoli venne squalificato per due anni dalle competizioni internazionali.

SETTEMBRE 2003 DERBY CON L'AVELLINO:LA MORTE DI UN GIOVANE NAPOLETANO

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Era la serata del 20 settembre 2003, quando allo stadio comunale Partenio di Avellino si sarebbe dovuto disputare l’incontro di calcio tra le squadre di Avellino e Napoli valevole per il campionato di calcio di serie B anno 2003/04. L’evento sportivo in realtà non ebbe mai luogo, poichè, pochi minuti prima dell’inizio dell’incontro, si verificarono gravi incidenti. Anzi, una vera e propria tragedia. Anche perchè l’invasione nello stadio da parte di un folto gruppo di tifosi del Napoli, aveva scatenato una vera e propria ressa. E’ così accadde che nella ressa creatasi, un giovane tifoso napoletano, tale Sergio Ercolano, spinto dalla calca, è precipitato in un corridoio di accesso al locale dello stadio.
Così si era scatenato un vero e proprio inferno. A scatenarlo i tifosi napoletani. Una serie di danni che non solo erano stati accertati dalle riprese della Digos, ma anche da una perizia effettuata dai tecnici del Comune. Erano stati violentemente fracassati i cartelloni pubblicitari presenti nello stadio, strappate le reti delle porte, distrutti gli idranti, rubati i palloni, danneggiate le panchine, gettati innumerevoli oggetti dagli spalti, danneggiati i servizi igienici in parte addirittura divelti, messi fuori uso gli altoparlanti e gli apparecchi di ripresa a circuito chiuso, fracassate numerose vetrate, distrutti gli scalini e i seggiolini posti sugli spalti.Alle 24 il bilancio è di 30 feriti, 15 agenti (uno accoltellato). Ma la notizia più terribile è quella sulle condizioni di Sergio Ercolano: i medici non hanno più speranze per lui. I tifosi azzurri stringono d' assedio l' ospedale Moscati dove è ricoverato.
CONTINUA


Edited by Pulcinella291 - 27/5/2013, 08:17
 
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FANTASIA UMORISTICA DEI TIFOSI NAPOLETANI
La fantasia dei tifosi napoletani nel coniare slogan è stata sempre prolifica , alla storia è oramai passato lo striscione di risposta ai tifosi veronesi che all'andata ci accolsero cosi':

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senza dubbio striscioni offensivi e razzisti, ma i napoletani non si scomposero affatto e alla partita di ritorno , con lo spirito fantastico che li ha sempre contraddistinto, riposero cosi':

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"Giulietta è una zoccola e Romeo cornuto".

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A Proposito della fantasia e dello spirito dei tifosi partenopei ,vediamo ora altri striscioni e foto molto indicativi :
Siamo qui negli anni 60:

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questi invece gli slogan per la vittoria del primo scudetto:

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Ogni tanto i tifosi protestano contro i politici , è il caso di questo striscione dal tono piuttosto polemico. "Alle prossime elezioni - è scritto su un telo bianco - una sola cosa è sicura: la scheda elettorale va messa nella spazzatura. La vera Napoli disprezza questa politica di munnezza:

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o contro gli regge le fila del calcio italiano:

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oppure quando esprimono la loro solidarieta' a Mario Balotelli da parte di alcune tifoserie del nord:

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"solidarieta' a Mario , pero' cu nuie fa l'ommo pecchè cca stamme cchiu' nire e te!".
oppure quando esprimono la loro solidarieta' al Giappone in occasione del disastroso terremto:

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Per l'esordio al San Paolo del nuovo Napoli 2009-10 la fantasia dei tifosi napoletani ha partorito un simpatico ed eloquente striscione inneggiante alla nuova coppia d'attacco azzurra Lavezzi-Quagliarella:

"Con Lavezzi e Quagliarella vi faremo ballare la tarantella".

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Bellissimo è anche questro striscione apparso per le vie di Napoli dopo la vittoria dell' Italia sulla Francia :

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oppure questo apparso durante la partita contro il Bajern di Monaco
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Molto spiritosi sono anche questi striscioni:

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IL Tifoso del Napoli è stato sempre antijuventino
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Stupendo questo contro la pubblicita' dell'acqua minerale sponsorizzata da Del Piero

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lo striscione che segue, invece, racconta le meraviglie di Napoli
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Molto ben augurante è anche questo striscione apparso contro il Milan:
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L'indispensabilita' del pocho Lavezzi:
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Potremmo continuare all'infinito, ma credo che la fantasia e l'arguzia napoletana sia stata gia' ben rappresentata dalle foto che abbiamo esposto.



QUANDO IL NAPOLI ACQUISTAVA LE VECCHIE GLORIE
E' capitato molte volte che il Napoli acquistasse vecchie glorie con le speranza che avessero ancora molto da dare alla causa, in qualche occasione è andata bene , ma in molte altre, per un motivo o per un altro, sono risultati acquisti deludenti.Diciamo pure che spesso si ingaggiavano ex campioni nel momento sbagliato quando, probabilmente, non avevano più nulla da offrire al calcio e alla squadra che gli pagava lo stipendio.
Abbiamo messo insieme un elenco che non ha la presunzione di essere una lista completa e indiscutibile.
Guido Gratton (Monfalcone, 23 settembre 1932 – Bagno a Ripoli, 26 novembre 1996

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Era un centrocampista, fisicamente forte e resistente, con compiti di collegamento tra difesa e attacco e di rifornimento del reparto offensivo,ebbe le sue migliori stagioni nella Fiorentina dove ne divenne una bandiera.Nel 1955-1956 vinse coi viola il primo scudetto del club toscano, mentre l'anno successivo conquistò la Coppa Grasshoppers e giocò la finale di Coppa dei Campioni persa a Madrid contro il Real. Nel 1958-1959 la Fiorentina stabilì, con 95 reti segnate in 34 gare, il record di marcature per un campionato a diciotto squadre.Gioco' anche in Nazionale.
Lasciò i viola nel 1960 per giocare nel Napoli con grossi guai fisici. Doveva essere un punto di forza, diventò l’anello debole, una delusione, uno dei protagonisti della retrocessione azzurra (18 gare, 2 gol). Un solo anno, poi va andò a…consolare la Lazio. È morto nel 1996, a 64 anni, ucciso da alcuni rapinatori introdottisi nella sua casa di Bagno a Ripoli per sottrargli l'incasso di un piccolo circolo tennistico che gestiva da qualche tempo.

Gino Pivatelli(Sanguinetto, 27 marzo 1933)
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Centravanti puro ma attaccante agile e tecnico, dal tiro potente .Nell'estate del 1953 viene acquistato dal Bologna nel quale diventa il punto di riferimento dell'attacco rossoblu. In sette stagioni confeziona ben 105 reti. Nel campionato 1955-56 arriva alla cifra record di 29 gol in 30 partite con un'incredibile media gol (quasi 1 gol a partita), entrando nella storia con il titolo di capocannoniere della Serie A, unico calciatore italiano ad aggiudicarsi il titolo negli anni cinquanta. Nel 1960 quasi a fine carriera disputa una stagione nel Napoli poco esaltante tanto che l'anno dopo fu subito venduto al Milan dove arretrò man mano la sua posizione in campo: ingaggiato con il compito di far segnare i compagni di squadra, arrivò a ricoprire il ruolo di difensore centrale ma riuscì a vincere lo scudetto nel 1962 e la Coppa Campioni nel 1963.

FLAVIO EMOLI (Torino, 23 agosto 1934)
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Era considerato uno dei piu' forti mediani-terzini dell'epoca. Con la Juve vinse tre scudetti e due Coppa Italia, dal 1963-1966 gioco' nel Napoli e a dir la verita', non fece male, tanto che divenne anche capitano.

Harald Nielsen (Frederikshavn, 26 ottobre 1941)
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Nielsen arrivò in Italia per il campionato 1961-1962, ingaggiato dal Bologna. Nella sua prima stagione in Italia giocò 16 partite segnando 8 reti. L'anno seguente vinse il titolo di capocannoniere con 19 reti e in quello successivo riuscì a vincere uno storico scudetto con i rossoblù e nuovamente il titolo di capocannoniere con 21 centri. Nel 1968-1969 passo'al Napoli (10 partite, 2 reti) e fu subito ceduto alla Samp.

Kurt Hamrin (Stoccolma, 19 novembre 1934)
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Fu attivo nel campionato italiano, e con 190 reti in Serie A è il settimo miglior marcatore della competizione. Senza dubbio un fuoriclasse,«un'ala destra elegante e micidiale. Aveva tiro e segnava con facilità. Aveva fantasia e visione di gioco. Era lieve e veloce, in campo volava: lo chiamano Uccellino. Era un grande opportunista: con dribbling stretti, scatti, guizzi e allunghi puntava sempre l'avversario cercando il tunnel o il rimpallo. Giunse a Napoli nel 1969 , gia' anziano in due stagioni gioco' solo 22 partite segnando tre reti. Concluse cosi'la sua carriera.

Aristide Guarneri (Cremona, 7 marzo 1938)
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Fu lo stopper della grande Inter di Herrera e della nazionale. Arrivò al Napoli nel 1968, a trent’anni, proveniente dal Bologna con un glorioso passato. Ma a causa dell’età avanzata e della nostalgia, il difensore ex nazionale rese molto a di sotto delle aspettative e dopo una stagione (22 presenze) fu congedato. Nell’Inter di Herrera aveva vinto tre scudetti, una Coppa campioni ed una Intercontinentale, al fianco dei mitici Burgnich, Facchetti e Picchi. Una curiosità: Guarneri prese parte alla storica sconfitta contro la Corea del Nord ai mondiali inglesi del 1966

LUCIANO CHIARUGI(Ponsacco, 13 gennaio 1947)
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Chiarugi era un'ala di notevole velocità (uno dei suoi soprannomi era La Freccia di Ponsacco) e dall'ottimo controllo di palla, capace di dribblare l'avversario, di concludere facilmente a rete o di fornire assist per gli attaccanti. Veniva considerato per il suo estro un giocatore atipico, tanto da essere soprannominato "Cavallo pazzo". Nonostante fosse mancino, veniva spesso utilizzato sulla fascia destra;[ era inoltre uno specialista delle punizioni.Nella stagione 1968-69, divenne campione d'Italia con la Fiorentina.Dopo sette stagioni in Viola, passò nel 1972, per 400 milioni di lire,[7] al Milan, società con la quale vinse la Coppa Italia e la Coppa delle Coppe 1972-1973 .Dopo quattro anni a Milano, Chiarugi passò al Napoli nell'estate 1976, scambiato con Giorgio Braglia. Con i partenopei si aggiudicò una Coppa di Lega Anglo-italiana. Nelle due stagioni napoletane Chiarugi segnò 6 reti in 34 incontri. Da lui ci si aspettava molto di piu'.




Edited by Pulcinella291 - 29/5/2013, 08:27
 
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VERONA-NAPOLI E LO SCANDALO DELLA TELEFONATA


Nel 1974 ci fu un caso di illecito sportivo in cui furono coinvolti Saverio Garonzi (presidente del Verona), Sergio Clerici (giocatore del Napoli ed ex-veronese), Peppino Affalato (segretario del Foggia) e l'arbitro fiorentino Gino Menicucci.
Al termine della gara tra Verona e Napoli, vinta 1-0 dai veneti il 21 aprile 1974, un giornale napoletano riportò la notizia di una telefonata tra il presidente del Verona Garonzi ed il calciatore brasiliano Clerici, all'epoca centravanti napoletano con un passato in gialloblù, in cui il massimo dirigente scaligero avrebbe promesso al calciatore di aiutarlo ad aprire una concessionaria FIAT al suo rientro in patria, a fine carriera.
In seguito a questo articolo, i dirigenti del Foggia si recarono all'Ufficio Inchieste della FIGC per ottenere l'apertura di un'indagine al fine di aver diritto al ripescaggio in serie A (a fine campionato il Verona si salvò ed il Foggia retrocesse in serie B assieme a Sampdoria e Genoa).
Il presidente gialloblù, una volta convocato dalla Procura Federale, inizialmente negò l'esistenza di quella telefonata, ma successivamente il giocatore Clerici confermò che quella conversazione telefonica, in effetti, era avvenuta.
A quel punto Garonzi ammise di aver parlato. Per la Giustizia Sportiva la negazione del dirigente al primo interrogatorio ed il contenuto della conversazione furono sufficienti per decretare la retrocessione del Verona e riammettere in serie A il Foggia.
Successivamente fu proprio il Foggia ad essere protagonista in negativo della seconda parte dello scandalo. All'ultima giornata, infatti, era in programma Foggia-Milan e, prima della gara, il segretario pugliese Affalato cercò di corrompere il direttore di gara, il fiorentino Gino Menicucci, ed i due guardalinee regalando loro tre orologi. Menicucci rifiutò sdegnato e raccontò tutto all'Ufficio Inchieste prima e al Giudice sportivo poi.
Al termine del processo di primo grado il Verona venne penalizzato di 3 punti, che avrebbe dovuto scontare nel Campionato di 1974-1975, il Foggia invece fu penalizzato di 3 punti, da scontare in serie B l'anno successivo.
A quel punto fece ricorso la Sampdoria, penultima in classifica, affermando che il Verona doveva scendere in serie B per aver commesso illecito sportivo ed il Foggia doveva essere penalizzato in quel campionato con conseguente ripescaggio dei doriani. Il Verona ando'in B al Foggia 6 punti di penalizzazione nel Campionato di Serie A 1973-1974, 3 punti di penalizzazione nel Campionato di Serie B 1974-1975.
C'è un retroscena pero'.Quando il presidente Garonzi del Verona telefono al suo ex giocatore el
Gringo Clerici centravanti del Napoli per "ammorbidirlo" prima della partita Verona-Napoli con la promessa di una concessionaria FIAT in Brasile, non c'era nessun terzo orecchio ad ascoltare o intercettare. Poi ci sono varie versioni dei fatti: chi favoleggia che Clerici non seppe tenere il segreto e Ferlaino (si proprio lui) lo portò per le orecchie dai giudici federali, chi invece dice che fu Garonzi stesso a farsi sgamare, ma come
fu e come non fu, sulla base della sola testimonianza di Clerici il Verona fu retrocesso in B, per un illecito solo tentato e che si reggeva sulle sole testimonianze dei diretti interessati.

VINICIO FU IL PRIMO IN ITALIA AD APPLICARE LA ZONA
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Nella stagione 1973-74 Vinicio si cimento' come allenatore per la prima volta sulla difficile piazza di Napoli riportando un lusinghiero terzoposto e sperimentando per la prima volta in Italia una tattica innovativa in Europa adottata dall'Olanda:la zona.Il suo tentativo tattico fece scalpore e fu portato avanti con ammirevole coerenza e brillantezza di risultati, prima di tramontare subitaneamente al cospetto di spietate esigenze di classifica. E il trauma dovette essere forte, se rimase nella stessa esperienza dell'allenatore una meteora priva di apprezzabile seguito. La sua avventura tattica tuttavia riveste una importanza fondamentale, perché valse a increspare la bonaccia tattica del calcio italiano, dimostrando che nuove vie potevano essere aperte. Tra l'altro, l'idea non nasceva sull'onda dei facili entusiasmi per il calcio olandese, ma aveva radici profonde nella carriera del tecnico. Risalenti al 1968 quando allenava L'Internapoli di Chinaglia, Massa e Wilson.

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Vinicio è considerato una specie di profeta, può dunque azzardare la mossa tattica che gli sta a cuore. Gli danno del visionario, per quel Napoli "strano", tutto racchiuso in trenta metri, accorciato come zona comanda; e soprattutto per le tempeste cui espone il povero Tarcisio Burgnich, costretto a 35 anni a trasformare il suo compassato e prudente modo di fare il libero in interpretazioni audaci, da costruttore di gioco pronto alle avanzate, e il portiere Carmignani, destinato a trovarsi spesso in balia degli attaccanti avversari che hanno superato la linea difensiva. Fuorigioco, pressing, ruoli intercambiali, nessun punto fisso per l'avversario
Le prime brillanti settimane di campionato, però, premiano la squadra e Vinicio viene applaudito come geniale innovatore.
Il tecnico ci prende gusto, il suo amore per la battuta paradossale si sposa con la voglia e la necessità di stimolare i tifosi e arriva a ottobre a sfidare l'asfittica Nazionale di Fulvio Bernardini.
Contrariato per la tenacia con cui il Ct continua a ignorare i suoi giocatori nonostante le ottime prestazioni, il tecnico afferma che il Napoli è pronto a sfidare a singolar tenzone la squadra azzurra: se il Napoli batterà la Nazionale, il tecnico pagherà un banchetto per tutti a Borgo Marinaro.

ALTAFINI CORE 'NGRATO E IL NAPOLI PERSE UNO SCUDETTO
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Era il 6 aprile del 1974 ( e posso dire io c'ero)il Napoli di Luis Vinicio occupa sorprendentemente il secondo posto in classifica a due punti dalla capolista Juventus.La domenica precedente la Juve ha perso il derby con il Toro, il Napoli ha battuto il Milan: sono solo due, ormai, i punti che dividono le due squadre. La partita che si disputerà sul vecchio Comunale di Torino è decisamente importante per le due squadre, ma soprattutto per il Napoli che intravede la possibilità di agguantare e superare la Juve, da sempre l’avversaria per antonomasia dei tifosi napoletani e sognare il primo scudetto della sua storia.
Il Napoli si presentò a Torino con un seguito di circa 35mila tifosi, partiti da ogni parte d’Italia. La prima volta che in uno stadio la maggioranza dei tifosi era della squadra ospite.
I giocatori messi a disposizione dell’allenatore non erano nomi famosi a parte Iuliano,Clerici e il libero Burnich reduce dai trionfi herreriani con l’Inter. Degli altri c’era poca storia. Il portiere Carmignani , ceduto l’anno prima proprio dalla Juve per un paio di papere che aveva realizzato nel campionato precedente. Gli altri erano buoni calciatori come , Bruscolotti, Orlandini, Vavassori, Canè e Braglia. Ma Vinicio li aveva trasformati in tanti giganti.
Il primo tempo si concluse con la Juve in vantaggio di uno a zero con gol di Causio al 19’che aveva sfruttato un ottimo passaggio di Damiani. Le squadre si erano fronteggiate a viso aperto, nessuna delle due dava l’impressione di poter prevalere sull’altra e quindi il momentaneo vantaggio non preoccupava tanto i tifosi azzurri che continuavano instancabili ad incitare i propri beniamini e così si arrivò al 13’ del secondo tempo allorquando Iuliano, dal limite dell’area juventina, scagliò un fendente potentissimo che Zoff non riuscì ad intercettare. Da quel momento ci fu una sola squadra in campo :il Napoli. La partita diventa un tiro al bersaglio; si ricorda, in particolare, una delle più sensazionali parate che Zoff abbia mai fatto, su una nuova staffilata del suo vecchio amico Juliano.Ma mentre tutti si aspettavano il gol del vantaggio partenopeo ,al '78 l'allenatore juventino decide di fare entrare Josè Altafini, che l’anno prima aveva giocato nel Napoli e poi ceduto a parametro zero alla Juve che lo ingaggiò a gettoni. Ultimi minuti di gioco, quando su di un tiro di Cuccureddu da fuori colpi' il palo , su quella palla si avventò proprio Altafini e segnò il definitivo 2 a 1.
La parola disperazione non riesce a descrive lo stato d’animo delle migliaia di tifosi napoletani.Da quel momento Altafini fu core 'ngrato.Per la cronaca La domenica dopo il Napoli vinse per 7 a 1 contro la Ternana mentre la Juve perse a Como. Questo completa il quadro di quel fine campionato. Se solo avessimo pareggiato a Torino avremmo vinto lo scudetto.

Napoli-Anderlecht semifinale della Coppa delle Coppe:il trionfo di Bruscolotti
Terminata l'era Vinicio, il Napoli tornò ad uno dei suoi allenatori storici: Pesaola. Di questo periodo il ricordo più bello è quello legato alla Coppa delle Coppe del 1976. Il Napoli è in semifinale L'avversario designato era il temibilissimo Anderlecht, squadra belga di grandi tradizioni e soprattutto arricchita dalla presenza di un fuoriclasse olandese, l'attaccante Reesenbrink.
Il racconto di Bruscolotti.
per noi già era stata un'enorme soddisfazione essere arrivati in semifinale. Il terrore di tutti era questo Reesenbrink. Il Petisso (questo era il soprannome di Pesaola) decise che la marcatura dell'olandese sarebbe stata affidata a me. Incominciò così la sua preparazione psicologica. Ricordo che il giorno prima della partita, durante il ritiro, stavo leggendo il giornale in poltrona. Arriva il Petisso con un altro e, facendo finta di non avermi visto, attacca: "Ma che vuole questo Reesembrink? Va dicendo che viene qui, fa due – tre goal, fa quello che vuole, nessuno lo può fermare..". E così via per caricarmi. Io smisi di leggere il giornale e gli dissi che Reesenbrink era fortissimo, che avrei fatto il possibile. E lui mi disse:" Stia tranquillo, so quanto lei vale e ce la farà".
Caricato a dovere, arrivò la partita. Ci fu una palla lunga verso di noi lanciata dal centrocampo. Saltammo in due: lui per girarla, io per rinviare. Purtroppo, in questo doppio movimento, lo presi con la fronte sulla tempia. Cadde a terra e perse conoscenza. Passai alcuni minuti di terrore pensando al peggio: tentarono di alzarlo più volte e lui si afflosciava. Poi finalmente si riprese,anche se dovette uscire dal campo.
A cinque minuti dalla fine poi, ci fu una punizione dal limite. Sulla palla Juliano. Mentre loro contestavano la punizione, io avanzai, mi piazzai e chiamai il capitano: "Anto', Antonio". Lui mi diede la palla, non ho visto più niente, ho tirato e ho fatto goal! Che emozione, sono cose che rimangono per sempre. Ancora oggi dopo gli scudetti, ancora oggi si ricordano di quella partita!
Per la cronaca il Napoli venne eliminato al ritorno dopo un arbitraggio a dir poco scandaloso.Bruscolotti non gioco perchè squalificato e Tarcisio Burgnich, ormai giunto alla fine della carriera, inseguì per tutto il campo l'arbitro.

Un'altra volta il Napoli vicino allo scudetto, ma Napoli Perugia.....
Era il 26 aprile 1981. Il campionato di serie A si avviava verso una spettacolare volata a tre per lo scudetto e con un calendario favorevole ai campani che alla penultima giornata avrebbero affrontato la Juve a Fuorigrotta. Nella panchina della squadra partenopea sedeva Rino Marchesi. Il presidente Ferlaino lo preferì a Mimmo Renna, segnalato dal direttore generale Antonio Juliano. Dalla campagna acquisti dell’estate ’80 non uscì un Napoli particolarmente rinforzato. Gli obiettivi prefissati (tra cui Pecci, Falcao e Brady) svanirono tutti ed i tifosi dovettero accontentarsi di Nicolini (ex Catanzaro) e Pellegrini III, arrivato dall’Avellino.

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Ceduti Filippi, Volpecina e Bellugi, il rinforzo difensivo fu Luciano Marangon. Lasciarono il Napoli anche Tesser, Improta ed Agostinelli. La riapertura delle frontiere, portò sotto il Vesuvio l’olandese Rudy Krol, ex colonna del grande Ajax e della nazionale arancione, considerato un “nobile decaduto” dopo essere finito in prestito al Vancouver, nel piccolo soccer canadese. L’orange arrivò a settembre, quasi per il rotto della cuffia.Marchesi ebbe il merito di trasformare Krol in battitore libero, perno fondamentale della squadra, abile nell’applicare la tattica dell’off-side. Per il potenziamento muscolare del nuovo straniero, il preparatore atletico preparò un pesante copertone attaccato ad una fune robusta e con l’olandese che doveva saliva di scatto le gradinate dello stadio.
Il neo acquisto fu molto utile nella costruzione del gioco. I suoi lanci precisi per le punte si rivelarono un toccasana in molte circostanze. L’allenatore ebbe il merito di esaltare le caratteristiche dei singoli, costruendo un buon collettivo. In questo modo, Krol diventò il leader della squadra.

Tra i giocatori che si misero in evidenza spiccò Guidetti, bravo in fase di copertura a centrocampo. Di rilievo fu anche l’annata di Castellini tra i pali e Bruscolotti in difesa.

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Musella, promessa partenopea, fu impiegato spesso come centravanti di manovra, trovata tattica di Marchesi che diede buoni risultati.
Con l’arrivo di Krol, - classe, serietà e dedizione in dosi elevate - la campagna abbonamenti registrò un’impennata considerevole. L’allenatore, tuttavia, si mostrò insoddisfatto dai movimenti di mercato della società. Lo stentato inizio di stagione confermò le preoccupazioni di Marchesi, goleada interna contro la Roma a parte (4-0). La squadra cominciò a macinare gioco e risultati a partire dalla trasferta di Firenze, risolta da un gol di Musella.La scalata fu portata a termine dopo quattordici risultati positivi. La squadra campana entrò stabilmente nei quartieri alti della classifica, sempre a stretto contatto con il primo posto. La conferma di mister Marchesi anche per la stagione 81/82 aveva incrinato i rapporti tra Ferlaino e Juliano. Il direttore generale rassegnò le dimissioni.
Il 12 aprile ’81, la vittoria esterna del Napoli contro il Torino(rete di testa di Musella) ed il concomitante pareggio della Roma, portò i partenopei al comando della classifica. L’euforia era alle stelle, lo scudetto sembrava a portata di mano, tanto più guardando il calendario. Alla ripresa delle ostilità, infatti, il Napoli avrebbe ospitato il Perugia, maglia nera stagionale, mentre Roma e Juventus avrebbero incrociato Ascoli e Udinese, due pericolanti in lotta per non retrocedere.L’imponderabile incertezza del football stava per giocare un altro dei suoi colpi ad effetto. Il 26 aprile ’81, il San Paolo presentava uno strepitoso colpo d’occhio: tutto esaurito, 80 mila spettatori sugli spalti. Per tanti, quella contro il Perugia sarebbe stata una pura formalità.La squadra umbra, ultima e ormai spacciata, non poteva far paura.

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Al primo minuto, gli ospiti si presentarono in area napoletana con un cross di Di Gennaro dalla fascia sinistra. Il pallone arrivò dalle parti del difensore partenopeo Ferrario, alle sue spalle era appostato il giocatore ospite De Rosa.
Intervento in spaccata del numero 6 napoletano e palla indirizzata imparabilmente alle spalle di un incredulo Castellini, vanamente proteso in plastico tuffo. Con il più incredibile degli autogol, gli ospiti si portarono in vantaggio. Restavano da giocare 89 minuti e tutti pensarono al classico incidente di percorso che sarebbe stato superato senza problemi né patemi.Cominciò l’assedio. L’area del Perugia sembrò la fortezza Bastiani di buzzatiana memoria al momento dell’assalto dei tartari. Per ben tre volte, il palo disse no ai padroni di casa. In una circostanza, Pellegrini finì sul montante insieme al pallone, dopo aver superato anche il portiere. Al resto pensò Malizia, l’estremo difensore umbro che in quella stagione era spesso finito in panchina. Parate su parate: di mano e di piede, in due tempi, in uscita e in tuffo, tra la disperazione dei tifosi presenti al San Paolo. I minuti passarono inesorabili, ogni tentativo si rivelò vano.

Marchesi inserì in avanti anche l’ex Speggiorin. Fu tutto inutile, compresi i dodici tiri dalla bandierina collezionati dai padroni di casa. Per il Napoli si consumò una disfatta storica. Dall’agognato primo posto solitario alla terza piazza, a -2 dal vertice. Il treno verso il titolo era passato e la squadra napoletana lo aveva mancato clamorosamente.
Napoli: Castellini; Bruscolotti; Marangon; Guidetti, Krol, Ferrario; Damiani, Vinazzani, Musella (55' Speggiorin I), Nicolini Enrico (46' Cascione), Pellegrini III; Panchina: Smimmo, Ciccarelli, Caffarelli - All. Marchesi
Perugia: Malizia; Nappi, Ceccarini; Frosio, Pin C.; Dal Fiume; Bagni, Butti, De Rosa G., Goretti, Di Gennaro; Panchina: Mancini F., Lelj, Tacconi D., Bernardini, Fortunato E. S. - All. Molinari

CONTINUA
 
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TUTTI I CALCIATORI DEL NAPOLI CHE HANNO GIOCATO CON LA NAZIONALE
All'11 settembre 2012 sono 42 i calciatori del Napoli ad aver ricevuto la convocazione nella Nazionale maggiore italiana, 31 dei quali hanno effettivamente collezionato almeno una presenza] Il recordman di presenze è Fernando De Napoli (49)

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mentre il primato delle reti va ad Amedeo Amadei (4).I primi calciatori azzurri a militare in Nazionale furono Marcello Mihalich ed il Veltro Attila Sallustro,

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che debuttarono il 1º dicembre 1929 contro il Portogallo.
La partita terminò 6-1 e tre gol furono realizzati dai due azzurri (due da Mihalic, che divenne anche il primo a segnare in Nazionale, ed uno da Sallustro.
Nessuno dei due, tuttavia, fu convocato per il Mondiale 1934, al contrario di Giuseppe Cavanna, portiere azzurro che si laureò campione del mondo come secondo di Gianpiero Combi.

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Il rapporto tra Napoli e Nazionale si rinnovò nella seconda metà degli anni sessanta con l'approdo in azzurro di due importanti calciatori partenopei: Antonio Juliano e Dino Zoff, che portarono l'Italia alla vittoria del suo primo titolo europeo nel 1968 e al secondo posto nel Mondiale 1970.
Lo stesso Juliano partecipò anche al Mondiale 1966 e al Mondiale 1974, mentre Mauro Bellugi prese parte all'Europeo del 1980.
Il periodo con più napoletani in Nazionale coincise con quello del Napoli di Maradona. A rappresentare il sodalizio partenopeo nelle spedizioni azzurre al Mondiale 1986, all'Europeo 1988 e al Mondiale 1990 si alternarono Salvatore Bagni, Fernando De Napoli, Ciro Ferrara, Giovanni Francini, Francesco Romano e Andrea Carnevale, mentre Luca Fusi e Massimo Crippa vestirono la maglia della Nazionale in alcune amichevoli. Dopo quel periodo nessun giocatore del Napoli fu più chiamato per la fase finale di un Europeo o un Mondiale, ma solo per gare di qualificazione alle stesse competizioni, oppure amichevoli (Ciro Ferrara, Gianfranco Zola, Fernando De Napoli ed ultimo Angelo Carbone, convocato nell'ottobre del 1992).
Il declino del club interruppe il rapporto tra partenopei e Nazionale; per 15 anni nessun calciatore del Napoli fu convocato in azzurro. Spezzò il digiuno delle convocazioni Paolo Cannavaro il 13 ottobre 2007, convocato per l'amichevole contro il Sudafrica, senza tuttavia fare ingresso in campo.Fu l'esterno destro Christian Maggio, convocato per l'amichevole contro la Grecia del 19 novembre 2008, a far terminare il lungo periodo di 16 anni in cui nessun calciatore del Napoli era sceso in campo la maglia della Nazionale, subentrando nel corso del match a Mauro Germán Camoranesi: l'ultimo calciatore del Napoli a disputare una gara con la maglia della selezione nazionale italiana era stato Fernando De Napoli il 25 marzo 1992 nell'amichevole contro la Germania. Per quanto concerne le presenze in gare valevoli per competizioni ufficiali, il digiuno terminò il 5 settembre 2009 con la presenza in campo di Fabio Quagliarella nella partita contro la Georgia, valida per le qualificazioni al Mondiale 2010.

Lo stesso Quagliarella, insieme a Christian Maggio e Morgan De Sanctis, venne poi convocato per il Mondiale 2010, 20 anni dopo l'ultima volta che il club partenopeo aveva avuto suoi rappresentanti tra le file azzurre nella fase finale della massima competizione internazionale; nel corso della manifestazione

I VARI RECORD DEI CALCIATORI DEL NAPOLI
Il giocatore che detiene il record di presenze in campionato è Antonio Juliano, con 394 presenze (355 in Serie A). Il primato per quanto concerne la sola Serie A va invece a Giuseppe Bruscolotti, con 387 presenze; quest'ultimo detiene anche il record di presenze complessive tra campionato e coppe (511).
Il massimo cannoniere della storia del Napoli è Diego Armando Maradona, con 115 reti realizzate tra il 1984 e il 1991, di cui 81 in Serie A.
Il record di gol in campionato (comprendendo anche i tornei di Divisione Nazionale) appartiene ad Attila Sallustro, con 108 reti, mentre il massimo cannoniere in Serie A è Antonio Vojak, con 102 reti. Il record di gol in un singolo torneo di massima serie appartiene ad Edinson Cavani, con 29 reti realizzate nella stagione 2012-2013.Il record di gol in una singola partita ufficiale appartiene a Daniel Fonseca, che siglò cinque reti il 16 settembre 1992 nella gara in trasferta contro gli spagnoli del Valencia, valevole per l'andata dei trentaduesimi di finale di Coppa UEFA, unico caso di cinquina esterna realizzata nelle coppe europee da un calciatore di una squadra italiana.

Per quanto concerne le competizioni europee (comprendendo anche i tornei non organizzati dall'UEFA), il record di presenze appartiene ad Antonio Juliano con 39 apparizioni, mentre il primato di reti compete ad Edinson Cavani con 19 gol.
Nelle coppe nazionali, infine, il giocatore più presente è Giuseppe Bruscolotti con 96 partite giocate, mentre Diego Armando Maradona siglò il maggior numero di reti, 29.

I GEMELLAGGI DEI NAPOLETANI CON ALTRE TIFOSERIE


Il gemellaggio tra i supporters del Napoli e quelli del Genoa è uno dei più antichi che il calcio italiano possa vantare: ebbe inizio il 16 maggio 1982 in seguito al pareggio per 2-2 a Napoli tra le due squadre nell'ultima giornata della Serie A 1981-1982, risultato che consentì al Genoa di salvarsi e condannò contestualmente il Milan alla seconda retrocessione in Serie B della sua storia. Il rapporto venne poi ulteriormente consolidato all'ultima giornata di campionato della Serie B 2006-2007 quando, con il pareggio per 0-0 a Genova, entrambe le squadre ottennero la promozione in Serie A. Lo storico gemellaggio tra le due tifoserie è stato anche omaggiato e sostenuto da iniziative commerciali.

Esiste, inoltre, una forte amicizia con i supporter dell'Ancona e vi sono buoni rapporti con le tifoserie di Palermo e Catania. Una simpatia è nata anche con alcuni gruppi della tifoseria rumena dell'Universitatea Craiova, rinsaldata in seguito all'eliminazione dei rivali dello Steaua Bucarest dall'Europa League proprio per mano del Napoli

LE RIVALITA CON ALTRE TIFOSERIE


I tifosi azzurri hanno cattivi rapporti soprattutto con le squadre del Nord.Storica è la rivalità col Verona, mentre rivalità con Inter, Juventus e Milan nacquero nella seconda metà degli anni ottanta, con gli azzurri che sfidavano la "Triade del Nord" per contenderle il titolo di Campione d'Italia.

L'ostilità degli ultras con i tifosi della Lazio nasce dal gemellaggio che legava negli anni ottanta napoletani e "cugini" romanisti, gemellaggio poi infranto dopo il gesto dell'ombrello di Salvatore Bagni del 25 ottobre 1987 e dopo il quale nasce la rivalità coi giallorossi. Esistono inoltre rivalità con Sampdoria, Reggina[200] e anche con l'Atalanta, Avellino, Bari, Bologna, Brescia, Cagliari,Lecce, Salernitana, Udinese. Altre rivalità minori con Foggia, Perugia, Pisa, Pistoiese, Ternana e Vicenza

Quando Bagni pose fine allo storico gemellaggio con i tifosi giallorossi
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Eppure Roma e Napoli, incredibile a dirsi ad oggi, erano tifoserie gemellate. Supporters che si mischiavano sugli spalti del San Paolo e dell’Olimpico senza alcun problema (sembra un’era fantascientifica…). Poi d’improvviso l’amicizia tra i due schieramenti si interrompe e negli anni insorgono disordini e atti di violenza reciproci.
Ma quale fu il motivo della fine del gemellaggio?

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25 ottobre 1987. Si gioca Roma-Napoli e i giallorossi conducono per 1-0 con rete del Bomber Pruzzo.
Il Napoli è ridotto in 9 per una doppia espulsione di Renica e Careca. A pochi minuti dalla fine Maradona batte un calcio d'angolo, in area svetta Francini che insacca per un insperato pareggio. Ci furono lanci di oggetti in campo. A fine partita Bagni "festeggia" sotto la curva sud rivolgendo ai tifosi giallorossi il celebre gesto dell'ombrello: quel giorno cessò lo storico gemellaggio del Derby del Sole.
Da lì fu un crescendo di botte da orbi, accoltellamenti vari e arresti.Questa la testimonianza a distanza di anni di Salvatore Bagni: “Per colpa mia non c’è più il gemellaggio ,Mi pentii e chiesi scusa ma non bastò”.
C'è anche un'altra versione che spiega i motivi della fine , la racconta l'attore Massimo Bonetti tifoso romanista.
"Io ricordo bene l'episodio che pose fine al bellissimo gemellaggio tra le due tifoserie, ero allo Stadio. Andò così: partì il tifoso romanista dalla curva sud con la bandiera e si diresse verso la nord strapiena di tifosi biancoazzurri napoletani. Quando arrivò lì ci furono applausi e cori per la Roma da parte loro, una cosa bellissima. Partito dalla curva nord quello napoletano, invece, una volta attraversato il campo e giunto alla Sud, prese fischi e bottigliette. Da romanista vero, doc, oggi chiedo scusa agli amici partenopei. Poi si è scritto del gesto dell'ombrello di Bagni ecc. ecc., ma quello è un episodio successivo e sicuramente, seppur deprecabile, fu la reazione adrenalinica dopo un gol che valeva un pareggio riacciuffato in netta inferiorità numerica, non certo la causa della fine di quell'amicizia"
 
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LA STORIA DEL TIFO ORGANIZZATO A NAPOLI.

Le origini del tifo organizzato a Napoli risalgono agli anni sessanta. Nel 1972 nacque il gruppo degli Ultras della Curva B (poi CUCB, Commando Ultras Curva B), fondato da Gennaro Montuori; questi ultimi furono i primi a realizzare imponenti scenografie all'interno dello stadio San Paolo. Successivamente diedero alle stampe un proprio giornale e produssero una trasmissione televisiva dedicata al Napoli che viene tuttora trasmessa sulle emittenti locali partenopee; nel corso degli anni, inoltre, diedero vita a diverse iniziative contro la violenza negli stadi, tra le quali l'esposizione dello striscione «La violenza ci divide, il tifo ci affratella». Nel 1986 gli ultras della Curva B fondarono un gruppo di tifose, le Ultrà Girls.[ Negli anni ottanta nacque anche un altro gruppo di tifose, denominato Ladies Napoli, formato per lo più da docenti.[ A partire dagli anni '90, il tifo in curva B è profondamente cambiato: Gennaro Montuori (detto Palummella), forse a causa della morte del fratello, lasciò il mondo del tifo causando lo scioglimento del suo gruppo (il CUCB) e dei gruppi minori ad esso collegati. Attualmente i maggiori gruppi della curva B sono i Fedayn E.A.M. 1979 e gli Ultras Napoli. I Fedayn, fondati nel 1979, condividono la mentalità dei tifosi della curva A: proprio per questa comunanza di ideali ci sono stati dei tentativi da parte dei gruppi della curva A di convincere i Fedayn a traslocare nella loro curva. Il loro slogan è E.A.M. (Estranei Alla Massa). Gli Ultras Napoli sono invece formati per lo più da tifosi che non facevano parte del CUCB in quanto non ne condividevano l'ideologia filosocietaria.[ Oltre a questi, sono presenti i Tifosi del nostro ideale (ex Masseria Cardone) e gli Area Nord (prima entrambi nella A).
La Curva A è invece occupata da numerosi gruppi: Mastiffs, Vecchi Lions, Teste Matte (formata per lo più da tifosi provenienti dai Quartieri Spagnoli), Sud, Bronx, Brigata Carolina, Rione Sanità, Fossato Flegreo. La curva A è quella maggiormente violenta e contestatrice; per questo non è in buoni rapporti con la curva B, più pacifica e folkloristica. Tentativi di riconciliazione tra le due curve sono falliti.



SAVOLDI, LO SCANDALO E LA MONNEZZA

Nell’estate del 1975 Savoldi viene ceduto dal Bologna al Napoli in cambio di 1440 milioni, Clerici e la comproprietà di Rampanti. La valutazione è di due miliardi. L’Italia grida allo scandalo: una città con i problemi di Napoli non può spendere tanto per un calciatore. Il trasferimento fece scalpore: c’era già il problema dei rifiuti, e ci fu l’indignazione generale. ma come al posto di risolvere il problema della monnezza pensano a comprare Savoldi , si disse.Come se i problemi della citta' avesse dovuto risolverli Ferlaino. E più si sale al nord, più cresce l’indignazione. La voce fuori dal coro è quella di Enzo Biagi, che sul Corriere della Sera, approva l’affare Savoldi: “L’ingegnere Ferlaino non è né un dissipatore né un Pulcinella: è un freddo manager che si adegua alla realtà. Fa il suo mestiere molto bene. Non tocca a lui risolvere le secolari questioni sociali, realizzare le riforme e la giustizia: spaghetti, casa, un moderato lavoro, ma il suo compito è organizzare la migliore formazione degli “azzurri”. Non ha offeso la miseria, caso mai l’ha consolata. E poi, siamo onesti: Napoli non va male perché hanno comperato Savoldi, ma perché non possono vendere i Gava”. Comunque l’acquisto di Savoldi si rivelò un affare per il Napoli: gli abbonati saranno 70.405, record nella storia della società. Nemmeno Maradona è riuscito a superarlo.


1984:ARRIVA IL PIBE
Dopo Savoldi , un altro acquisto clamoroso si stava preparando quello di Diego Maradona, il calciatore piu' forte del pianeta. Se ne parlava da tempo , e la citta' era in trepida attesa. 50 giorni di trattative, «Quelli del Barcellona alzavano sempre il tiro e la cifra». Corrado Ferlaino e Antonio Juliano, presidente e direttore generale del Napoli appena scampato alla retrocessione in B, non si amavano troppo però ce la misero tutta per vincere il braccio di ferro e acquistare Diego Armando Maradona, il fuoriclasse argentino che aveva rotto con il Barca dopo due campionati, l`infortunio, le polemiche con i dirigenti e i tifosi. Cinquanta giorni di aspri colloqui nella sede del Camp Nou e nell`ufficio del vice presidente Gaspare, al piano più alto dell`Hotel Princesa Sofia. E poi l`annuncio, arrivato il 30 giugno 1984.

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. E' l'ultimo giorno di mercato quando il sottopancia della trasmissione Number one in onda su canale 34 da' la notizia:è fatta il Napoli ha acquistato Maradona.La notizia che fece il giro del mondo e impazzire la città . I napoletani si riversarono sulle strade a migliaia , caroselli di auto, uomini e donne impazziti di felicita':una festa che duro' un'intera notte.

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Prima c'è la conferenza stampa-sauna in una palestra sotterranea degli spogliatoi, con giornalisti, operatori

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dopo poco esce fuori a seppellirsi sotto l'urlo incredibile d'una folla incredibile. Cinquantamila napoletani hanno pagato un simbolico biglietto (imposto dalle autorità di polizia per motivi di ordine pubblico, con incasso devoluto in beneficenza).

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Dieguito chiede il microfono, e tutto d'un tratto la montagna inintelligibile di suoni assordanti si sbriciola al suolo come d'incanto, mentre cala un irreale silenzio, quasi qualcuno avesse spento un invisibile interruttore.

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«Buonasera, napoletani - squilla il campione - Io sono molto felice di essere con voi». Nel boato che si riaccende incontenibile prende un pallone, accenna un palleggio, poi calcia altissimo di sinistro a campanile. «Forza Napoli», conclude mentre il tripudio si leva assordante come un bombardamento di voci. Il più forte calciatore del mondo ora è di Napoli, di un'intera città impazzita. Tra pochi istanti sparirà inghiottito dal sottopassaggio, e la festa, pur così povera per inspiegabile volere della società, dilagherà come un fiume in piena per ogni strada di Napoli

continua sotto

Edited by Pulcinella291 - 4/6/2013, 18:20
 
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QUANDO MARADONA SCAPPO' DALLA PROCURA
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Da qualche giorno sulle pagine dei giornali sono finite le immagini del capitano del Napoli "ospite" della famiglia Giuliano, i ras di Forcella. E allora il 28 settembre del 1989. Diego è convocato nel vecchio tribunale di Castelcapuano dal pubblico ministero Federico Cafiero de Raho. Non è indagato nè imputato di alcunchè. Ma l'inquirente, all'epoca sostituto procuratore di punta dell'anticamorra ,vuol sentirlo come testimone anche perchè Dieguito aveva ritardato il suo rientro in Italia, lanciando strani messaggi e, in sostanza, si dice spaventato dalla camorra.
In Procura, Maradona diventa incerto e spaurito. Cafiero de Raho inizia l'interrogatorio, prima domanda scontata: "Signor Maradona, perchè in un comunicato ha annunciato di voler restare in Argentina spaventato dalle minacce camorristiche? Quali sono queste intimidazioni?". La risposta, con voce flebile: "Giudice, quel comunicato l'ho fatto perchè la stampa diceva cose incredibili sul mio mancato rientro ma io, in realtà, volevo dire un'altra cosa: volevo sottolineare la mia paura per il comportamento dei tifosi. Era un appello alla società del Napoli affinchè mi tutelasse prendendo adeguate misure per evitare la reazione incontrollata dei tifosi". Il numero 10 pensa di averla chiusa lì, Non è così. Arrivano altre domande e l'argentino viene assalito dal panico. Sgrana gli occhi, farfuglia qualcosa e con uno sprint inatteso imbocca la porta e prova una serpentina per sfuggire al magistrato negli angusti corridoi della Procura. Cafiero de Raho resta di sasso. Fortuna vuole che, ad attenderlo in quegli uffici ci sia anche il suo avvocato di fiducia, Vincenzo Maria Siniscalchi. E' lui a convincerlo a ritornare davanti al pm.Angosciato, Maradona siede ancora in Procura e prova a rispondere agli interrogativi del magistrato. Non è proprio convincente. Dice e si contraddice. "Il ritardo nel tornare a Napoli? La camorra non c'entra. Le foto con i Giuliano? Sì, quel Carmine lo conosco. Lo vidi in una casa in cui fui portato da Palummella, come è chiamato il nostro capotifoso della curva B, Gennaro Montuori. Ricordo vagamente quel giorno: finito l'allenamento del pomeriggio Palummella mi condusse in un club di tifosi dove mi fermai a parlare con alcuni di loro e fui invitato a cena da un tale". Cafiero lo interrompe e gli mostra le foto. "Sono io in una casa con certe persone...voi mi dite che si tratta di gente della famiglia Giuliano...io, io riconosco i posti in cui venni portato quella sera dopo l'allenamento. Anzi, ecco la foto della vasca a forma di ostrica dove compaio con un ragazzo dal pullover rosso: beh, mi hanno detto che quello era un altro capotifoso del Napoli, un altro di quelli che mi invitarono a cena. Oltre a lui riconosco Carmine Giuliano. Poi nessun altro". Vi siete rivisti?, chiede Cafiero. "Con Carmine sì, sei mesi fa, al ristorante Rosolino. C'era un matrimonio a cui Palummella mi aveva chiesto di intervenire. D'altronde mi capita spesso di essere invitato dai tifosi a manifestazioni di vario genere. Non prendo soldi per tutto ciò, però mi danno premi, targhe e regali. Comunque ero all'oscuro di chi si sposava quel giorno e incontrai Giuliano casualmente. Con lui non ho avuto altri rapporti".
Signor giudice, da quando sono rientrato a Napoli continuano a chiamarmi: telefonate anonime in cui mi insultano pesantemente e dove mi dicono di tornarmene in Argentina. Ma per quanto riguarda la camorra vi assicuro di non aver mai chiesto protezione ad alcun delinquente famoso o meno famoso. Io non tratto napoletani camorristi. Anche se conosco moltissime persone a causa della mia notorietà". Diego non fornisce elementi utili per proseguire l'indagine. La vicenda finisce lì. (da repubblica napoli.it)

MARADONA CHIESE AIUTO ALLA CAMORRA PER RECUPERARE OGGETTI CHE GLI AVEVANO RUBATO?

Salvatore Lo Russo, capo dell’omonimo clan di Miano che da qualche tempo è andato a ingrossare le fila dei collaboratori di giustizia, in una delle sue tante deposizioni ha anche dichiarato di conoscere bene Diego.
Per il pentito ’asso rgentino sapeva perfettamente quale fosse il ‘lavoro’ di Lo Russo, al punto da chiedere il suo aiuto in occasione di un furto subito nel 1990. “Maradona si rivolse a me nell’occasione in cui subì il furto di una ventina di orologi e del Pallone d’Oro. Gli feci recuperare gli orologi tramite Peppe ‘o biondo che li trovò presso i Picuozzi dei Quartieri Spagnoli, mentre non fu possibile recuperare il Pallone d’Oro che avevano già sciolto. Mandai ai Quartieri 15.000.000 di lire che, però, mi furono poi mandati indietro. Ricordo che uno tra gli orologi che mi mandarono non apparteneva a Maradona e questi non volle tenerlo per sé, tanto che lo regalai a Pugliese”.

IPOTESI SULLA PERDITA DI UNO SCUDETTO
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Ed è proprio Pietro Pugliese che parlo' di una presunta combine organizzata da Maradona e da altri calciatori per fare in modo che il Napoli non vincesse lo scudetto regalato in extremis dal Napoli al Milan, nel 1988, perché le cosche che controllano il Toto clandestino volevano così. A fine anno, il “Giornale di Napoli” e “Il Sole-24 Ore” avevano titolato in prima pagina: «Lo scudetto del Napoli sbanca la camorra». La spiegazione è semplice: sulle ali dell’entusiasmo, migliaia di napoletani si erano precipitati a puntare forti somme sulla vittoria della squadra azzurra presso i bookmaker del Totonero, che da quelle parti è gestito direttamente da alcune cosche camorristiche. Le quali, a fine stagione, avevano dovuto pagare molti miliardi di vincite. La stagione seguente, nel solo girone di andata, la camorra aveva accettato scommesse per 20 miliardi sulla nuova vittoria del Napoli, con quote fino a “uno a tredici” (chi punta un milione ne vince 13): in pratica, se lo scudetto l’avesse rivinto il Napoli, i bookmaker della malavita avrebbero dovuto sborsare qualcosa come 260 miliardi. Una prospettiva che atterriva i capiclan, i quali proprio dal Totonero (oltre che dalla droga) ricavano gran parte dei loro guadagni. Per questo “era necessario” che il Napoli perdesse lo scudetto 1987-88: per recuperare i quattrini perduti l’anno precedente, e per evitare un nuovo salasso. A dicembre l’auto di Maradona, sebbene supersorvegliata, era stata danneggiata; negli stessi giorni Salvatore Bagni – l’altro calciatore simbolo della squadra scudettata – aveva subìto due furti in casa e uno in auto. Messaggi camorristici? Chi può dirlo. Sta di fatto che, dopo 25 giornate da primato, la trionfale galoppata del Napoli verso la riconquista dello scudetto si era interrotta nella primavera 1988 in modo brusco e inspiegabile. Intervistato dal “Corriere della Sera” nel marzo del 1994, un anonimo scommettitore rivelerà: «Già prima della sconfitta con il Milan, quella del 1° maggio, fu chiaro tutto. Quando il Napoli cominciò a perdere punti di vantaggio in poche partite, dopo averne accumulati così tanti durante il campionato, noi del giro intuimmo che si era venduto lo scudetto. La vittoria del Napoli veniva data a mezzo quando la squadra di Maradona aveva ancora 5 punti di vantaggio. Una quota bestiale, folle: giocando un milione te ne davano cinque. Era chiaramente un regalo. Tutti lo giocavano, ci mettevano milioni su milioni, il rischio sembrava minimo». Un sistema che pareva fatto apposta per attirare schiere di polli da spennare; poi l’improvviso crollo del Napoli: «Moltissime persone ci rimisero decine di milioni». I bookmaker, invece, guadagnarono decine di miliardi.
Nei primi anni ’90, però, le dichiarazioni di Pugliese riguardanti una presunta ‘combine’ organizzata da Maradona e da altri calciatori per fare in modo che il Napoli non vincesse lo scudetto furono ritenute poco credibili dagli inquirenti che non trovarono alcuna conferma alle sue parole.

continua
 
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QUANDO IL NAPOLI VINSE IN EUROPA
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Nel 1989, quando Maradona era Dio (o se preferite Dio era Diego Armando Maradona, tanto intorno al Vesuvio ancora oggi è lo stesso), la cavalcata europea del Napoli in Coppa UEFA divenne un tripudio di un’intensità unica, un pieno di emozioni capace di sconvolgere anche i più insensibili.
Per molti napoletani, sotto alcuni aspetti, la gioia per quel titolo internazionale fu addirittura superiore a quella del primo scudetto. Tutto merito di Diego, di Antonio, di Nando, di Ciro e degli altri ragazzi che Ottavio Bianchi, il mister, schierava magistralmente in campo.
Nel primo turno ad alzare bandiera bianca furono i greci del Paok Salonicco: 1-0 a Napoli con rigore di Maradona, 1-1 in trasferta con gol di Careca, dopo una partita segnata da scontri tra tifosi e lanci di bottigliette sul terreno di gioco. Assoluto protagonista dei sedicesimi di finale, coi tedeschi del Lokomotiv Lipsia, fu invece un terzino, Giovanni Francini. Suo, infatti, il punto dell’1-1 fuori casa e il primo gol della gara di ritorno al San Paolo. Il 2-0 definitivo fu sigillato dall’autorete di Heiko Scholz.
Con i transalpini del Bordeaux bastò un gol di Andrea Carnevale in Francia (0-1), poi a Napoli la squadra amministrò il vantaggio: reti bianche e passaggio ai quarti, dove il gioco cominciò a farsi complicato. Avversari, nientepopodimeno, i bianconeri juventini.
Un vero e proprio derby italiano che rimase nella memoria dei napoletani per una rimonta dal sapore leggendario. A Torino, infatti, la squadra di Dino Zoff vinse 2-0 con un gol di Pasquale Bruno e un’autorete di Giancarlo Corradini. Al San Paolo, invece, gli azzurri si presero una storica rivincita: Maradona e Carnevale pareggiarono i conti durante i tempi regolamentari. Si passò, quindi, ai supplementari e qui avvenne il miracolo. Quando ormai tutti pensavamo all’ineluttabilità della lotteria dei rigori, all’ultimo minuto del secondo tempo supplementare Alessandro Renica sfruttò un assist al bacio di Careca e schiacciò di testa la palla in rete: 3-0 e passaggio del turno.
La semifinale col Bayern Monaco (ancora una squadra tedesca sul cammino dei partenopei) costituì un sontuoso segnale di potenza: Maradona giocò due partite memorabili, sfornando assist a ripetizione e magie a piene mani. Al San Paolo Careca e Carnevale banchettarono, regolando gli avversari con un secco 2-0. A Monaco, in Baviera, finì invece 2-2 con una doppietta del solito Careca. Il Napoli arrivava così meritatamente in finale contro i biancorossi dello Stoccarda.
Il sorteggio designò il campo del San Paolo per l’andata, il 3 maggio 1989, e il Neckarstadion per il ritorno. Ricordo che la data della seconda partita, il 17 maggio, provocò non pochi scongiuri tra i napoletani. Quel numero – diciassette – appariva infatti ben più pericoloso dei pur temibili avversari che schieravano, tra gli altri, gente del calibro di Jürgen Klinsmann, Srečko Katanec e Maurizio Gaudino.
Quella sera, al San Paolo, c’erano circa ottantacinquemila spettatori. Al diciassettesimo (e poi dicono che noi napoletani siamo superstiziosi!) i tedeschi andarono in vantaggio con Gaudino, complice un’inaspettata papera del portiere Giuliani. La veemente e rabbiosa rimonta della ripresa, firmata da Maradona e Careca, rianimò un popolo, quello partenopeo, storicamente abituato a cadere e a rialzarsi. Il 2-1 finale, ottenuto all’ottantasettesimo, fu accolto con grande soddisfazione, anche se questo risultato costituiva ben più di un’insidia in vista della partita di ritorno.

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In quei giorni si capì che c’era bisogno del sostegno di tutti. Maradona, nei panni di un novello Masaniello, chiamò a raccolta il popolo napoletano il quale, da parte sua, rispose alla grande. L’esodo in massa dei tifosi partenopei verso Stoccarda fu imponente. Nelle macchine, nei treni o nei torpedoni diretti in Germania si riversarono uomini tanto diversi e tanto uguali: grandi avvocati e notai affiancarono pescatori, panettieri o meccanici.Tutti insieme, senza distinzioni età, ceto sociale o sesso, a gridare Forza Napoli!
Quella Coppa, alla fine, arrivò: non poteva essere altrimenti. Diego alzò il trofeo verso il cielo di Stoccarda dopo un pirotecnico ed emozionantissimo 3-3. Fu un risultato bugiardo, perché il Napoli dominò la partita schiacciando i teutonici sotto tutti i punti di vista. Alemão, Ferrara e Careca colpirono con astuzia, malizia e classe. Il futuro interista Klinsmann andò a segno per il primo pareggio, poi sull’1-3 un autorete di Rambo De Napoli e Olaf Schmäler suggellarono un risultato utile solo per gli almanacchi.

LA MORTE DI GIULIANO GIULIANI il portiere della coppa Uefa e dello scudetto

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Il 14 novembre 1996 a Bologna si spegne Giuliani il portiere di uno scudetto e della coppa Uefa.
L' ombra della droga, l' assoluzione, poi un addio in silenzio Giuliani, dallo scudetto all' Aids .
Ora c' e' chi dice che si ammalo' per una "follia" alle nozze di Maradona La vita di Giuliano Giuliani se n' e' andata a solo trentotto anni.
Quella malattia ha un nome, lo sanno tutti e lo sapeva anche lui,l' ex portiere era malato di Aids.E scelse comunque di percorrere in silenzio il cammino tragico lungo il quale si era avviato. Viveva a Bologna, tra casa e l' ospedale S. Orsola dove poi mori'.
Non serve neppure cercare di capire dove e' successo, quando e' successo e come. Se c' entra la droga o qualche serata trascorsa senza rendersi conto di cio' che poteva nascondere il piacere di un' ora. Dietro storie cosi' un momento di scelleratezza ci sta sempre, ma il prezzo poi e' altissimo, e puo' capirlo solo chi lo paga. Giuliani lo ha pagato per conto suo.

MARADONA ED HEATHER PARISI :UN COLPO DI FULMINE
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Si conoscono grazie alla tivù. E' il 22 dicembre del 1984. Siamo negli studi televisivi di Fantastico 5, il varietà Rai condotto all'epoca da Pippo Baudo e la valletta Heather Parisi.
C’è pure il corvo Rockfeller. Siamo in buona compagnia. Pippo chiede la linea per il collegamento con un albergo di Torino. L'indomani si gioca Juventus-Napoli. Il Napoli è in ritiro, ma c'è tempo per un breve collegamento. Signore e signori, Diego Armando Maradona. Baudo dirige lo scambio di battute, Maradona pare emozionato, ride, fa i complimenti a Heather, ci vediamo presto. Ciao, ciao. I due si salutano, linea alla pubblicità. Tutto avviene davanti a milioni di telespettatori, ignari di quello che capiterà da lì a pochi giorni. Il lunedì successivo, il giorno dopo la partita, Maradona comincia a tempestare di telefonate Heather. La ragazza cede. E’ un colpo di fulmine.
Nasce una storia a lungo tenuta segreta.
Qualche sospetto sorge il 13 gennaio dell’anno dopo, il 1985. Si gioca Fiorentina-Napoli. Al Franchi di Firenze gli spettatori non possono fare a meno di torcere il collo verso la tribuna. C'è una ragazza bionda che non può passare inosservata. Segna Maradona, Heather sorride ai flash dei fotografi. Diego alla fine le dedica il gol. Si viene a sapere che alla fine della partita i due se ne vanno assieme a Napoli, nella villa di Diego. E’ un problema. Diego è sposato con Claudia Villafane, la compagna di una vita, conosciuta da ragazzino. Ma Diego a Napoli è intoccabile. Tutto gli è concesso.
Più di una volta, di notte, Maradona sale sulla sua Porsche e spinge l’acceleratore fino a Roma, dove si incontra con Heather. Un casellante li riconosce mentre El Pibe allunga dal finestrino i soldi del pedaggio autostradale, la notizia comincia a circolare. «Novella 2000» li fotografa al balcone della casa di Diego, nel momento in cui si affacciano stropicciati alla finestra dopo la consumazione. La fine della storia coincide con il momento più alto della carriera di Dieguito: il Mondiale di Mexico '86 vinto, praticamente da solo.

MARADONA, IL FIGLIO E LA RIVOLTA DEI TIFOSI
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E' il 26 settembre 1986 nasce il figlio di Maradona,un figlio che non riconosce, frutto di una relazione con Cristina Sinagra, all’epoca ragioniera di ventidue anni, «senza lavoro», come specificano le cronache. Il giorno dopo l'inviato di «Novantesimo minuto»Biazzo raggiunge la Sinagra nella clinica Sanagrix del Vomero a Napoli, le porge il microfono, lei racconta tutto.Il figlio è frutto della sua relazione col Pibe. Un'intera città, Napoli, le si rivolta contro. E' una approfittatrice, cerca pubblicità, danneggia El Pibe. Che, da par suo, nega tutto e - richiesto della prova del dna - rifiuta sdegnato.Ha inizio in quei giorni una battaglia legale che durerà più di vent'anni. La Signora Sinagra si sottopose, mesi dopo, durante un programma Rai alla macchina della verità. La macchina confermò la sincerità della Sinagra. La trasmissione non fu mai mandata in onda in quanto Maradona fece sapere alla RAI che se quella trasmissione fosse andata in carosello, non avrebbe più rilasciato interviste alla RAI.Solo molti anni dopo Maradona riconobbe il figlio nato dalla relazione con Cristiana Sinagra
 
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I CALCIATORI DEL NAPOLI ACCUSATI DAI PENTITI
Era il 1995 quando alcuni pentiti di camorra dichiararono ai pm napoletani che la droga era compagna abituale nelle notti brave dei più celebrati campioni dell'era Maradona. Vi furono tre arresti firmati dal giudice Raffaele Marino, due eseguiti: Vincenzo Buondonno e Rosario Viglione, accusati di spacciare coca e di sapere molto sul Napoli .
L' indagine dei magistrati Luigi Gay e Luigi Bobbio trae spunto dalle confessioni di Pietro Pugliese, l' ex guardia giurata che per prima accusò Maradona. Ma l' istruttoria contò altre importanti rivelazioni. Come quelle del narcotrafficante Mario Fienga. E, soprattutto, le dichiarazioni di alcune mogli dei giocatori e del centrocampista del Napoli e della nazionale, Massimo Crippa.
Lo stesso Crippa dichiaro' che durante la festa dello scudetto del 90,, un veloce motoscafo accostò l' Angelina Lauro, la nave scelta dal Napoli per celebrare la notte del secondo scudetto .
Qualcuno consegnò un pacchetto a bordo. Subito dopo un uomo dai capelli brizzolati ma dall' aspetto ancor giovane, fece girare la voce: "C' è la coca". Molti calciatori interruppero i loro balli scatenati. E andarono a ' sniffare' . Fantasie? Niente affatto. I sospetti della magistratura su questa e altre vicende del Napoli (anni ' 87-' 90) hanno trovato molti riscontri. Ed un' ammissione. Chiara, fondamentale. Crippa ha ammesso di essersi drogato. Confermate le accuse del pentito Pugliese.
Fu Coppola manager di Maradona ad avvisare :"c'è la coca". E la cocaina c' era davvero, nel bagno di una cabina. Crippa si giustifica, "eravamo così allegri, così felici...". Il mediano della nazionale finì in quel bagno con Coppola che sistemava una striscia di coca sul lavandino. "Ne presi un po' ", ammette. E gli altri compagni? Gran brutta domanda per Crippa: "Da quelle parti ne vidi qualcuno...non so con certezza se poi...vidi Diego Maradona, Nando De Napoli, Billy Bigliardi, Sandro Renica, ma non so se poi loro...non so". Il Napoli e la droga. Vecchia storia. Molti sapevano, tutti tacevano. Alla fine ha pagato solo Diego Armando Maradona: una condanna, la squalifica, l' odissea argentina con l' arresto .

QUANDO PACILEO DIEDE 3,5 IN PAGELLA A MARDONA
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Giuseppe Pacileo, firma storica de 'Il Mattino'dopo una partita giocata ad Udine diede un 3,5 a Maradona. quei tempi - e temo anche oggi - si usava concedere almeno il 6 di stima ai grandi giocatori. L' "evento" ebbe immediata risonanza nazionale. Pacileo venne subissato di telefonata nonchè di inviti presso le televisioni.
Pacileo spiego' che partendo da un due aveva aggiunto un voto per il rigore segnato, e mezzo voto per il passaggio gol che Diego aveva fatto. Ma ecco cosa dice Pacileo:"Inopinatamente e casualmente prima della trasmissione vi incontrai Maradona. Costui, con volto corrucciato, mi apostrofò chiedendomi conto e ragione: "Non me importa tanto del voto, ma che le racconto alle mie figlie se me domandano di che cosa me devo vergognare? Io non me devo vergognare de niente!" e, appallottolato il foglio incriminato del Mattino, me lo lanciò contro. "Senza colpire", come scriverebbe il giudice sportivo.
La partecipazione del divo mi era stata accuratamente tenuta nascosta, per
cui decisi di affibbiare all'emittente un anno di squalifica, e cominciando da quella sera scomparvi dai suoi schermi. Piovvero ogni sorta di supposizioni, come minimo: "Maradona ‘a vattuto a Ppacileo!". Pacileo invece, benché non "vattuto", aveva ritenuto opportuno evitare confronti in video sgradevoli che potevano anche scendere sotto il livello dell'accettabile. Pacileo si recò invece da Pasquale Nonno, allora direttore del Mattino, chiedendogli un mutamento di incarico; giacché ogni sua valutazione successiva di Maradona sarebbe stata dai più considerata con sospetto: quello che in gergo giuridico si chiama legittima suspicione. Nonno rispose picche: "Non puoi ritirarti e dargliela vinta". Siccome il direttore era lui non mi rimase che continuare. Non molto tempo dopo il buon Tièche avrebbe dovuto vergognarsi di essere stato arrestato, a Buenos Aires, a casa sua, sempre per fatti di droga. Chissà che cosa avrà detto in quella occasione alle figlie...
continua
 
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LE GIOVANI PROMESSE NON MANTENUTE DEL CALCIO NAPOLI
Numerosi sono stati i calciatori su cui il Napoli faceva affidamento che pero'rimasero semplici meteore .
Qui ne ricorderemo alcuni.
Virgilio Canzi : Prelevato nel 1969-70 dal Lecco in B, dove aveva realizzato undici gol nella precedente stagione. Goleador di buone prospettive, esordi' in serie A in una sconfitta interna con la Fiorentina. Poi deluse, segnando in azzurro un solo gol, in 17 partite. Per la storia, accadde in Torino - Napoli, vittoria degli azzurri in trasferta per 2-0, con gol appunto di Canzi e di Juliano, alla quarta giornata. Dopo di che il buio, in una stagione in cui Chiappella aveva pur lanciato nove giovani. Virginio Canzi lasciò Napoli per Brescia.

Gaspare Umile (Marsala, 3 gennaio 1948 – 18 ottobre 2001)
Esordì in Serie C con la maglia della squadra della sua città, il Marsala, a 17 anni, per poi passare all'Entella e quindi all'Angri.
Qui disputò due ottime stagioni in Serie D, al punto da venire notato dal Napoli, che ne acquistò la comproprietà. Il 27 dicembre 1970 segnò il suo esordio in Serie A, al San Paolo contro il Verona, realizzando anche un goal. Di quella stagione si ricorda il pregevole goal segnato alla Lazio, oltre a quello contro il Vicenza. Queste tre reti, però, furono le uniche segnate da Umile quella stagione per il Napoli.
Visto la scarso rendimento, l'anno successivo fu ceduto al Varese.
E'scomparso all'età di 53 anni a causa di un male incurabile.

Giovanni Ferradini (Fucecchio, 9 maggio 1953)Il grande salto arriva nel Campionato 1971-1972 quando si trasferisce in Serie A nelle file dell'Atalanta con la quale il 26 marzo 1972 esordirà nel massimo campionato italiano in occasione della vittoria esterna contro il Varese, collezionando complessivamente 7 presenze in campionato.
Nelle tre stagioni successive, dal 1972 al 1975, è nelle file del Napoli, con il quale collezionerà soltanto 13 presenze anche a causa di infortuni, realizzando i suoi unici due gol nella massima serie (nel terzultimo e penultimo turno del campionato 1972-1973, reti utili a raggiungere il risultato di 1-1 nelle gare contro Cagliari e Sampdoria.
Giannantonio Sperotto (Breganze, 7 novembre 1950):Cresce nel Lanerossi Vicenza debuttando in Serie A a poco più di 18 anni il 29 gennaio 1969 in Torino-Lanerossi Vicenza (1-0); in quella stagione totalizzerà 3 presenze in massima serie.
Nel 1970 inizia a girare per i campi di Serie C: prima va all'Udinese (segnando 11 gol), poi al Siracusa (segna altre 11 reti) e poi alla Lucchese (8 gol).
Nel 1973 passa all'Avellino in Serie B dove segna 8 reti in 34 partite.
L'anno successivo torna a calcare i campi di Serie A: prima passa al Varese (5 gol in 26 incontri), poi al Napoli (10 gettoni ed una rete), al Catanzaro (2 gol in 20 partite) ed alla Roma (7 partite senza reti).

Emiliano Macchi (Ponsacco, 30 luglio 1951 – Pisa, 14 febbraio 2013
Nipote di Luciano Chiarugi ,esordisce con la maglia viola il 6 settembre 1970 in Fiorentina-Taranto (1-0) di Coppa Italia. L'8 novembre di quell'anno debutta in Serie A, nella partita Torino-Fiorentina (1-1), totalizzando a fine campionato 6 presenze ( perde due finali di coppe intercontinentali Coppa delle Alpi e Coppa Anglo-Italiana. A fine stagione viene dato in prestito al Napoli, dove disputa undici partite e realizzando anche il suo primo gol in Serie A, il 31 ottobre 1971, in cui i partenopei prevalsero in casa del Varese grazie alla sua rete. Quell'anno sempre con il Napoli, disputa anche la finale di Coppa Italia, persa contro il Milan 2-0, e il Torneo di Viareggio in cui si frattura la gamba nella partita contro la Fiorentina. E' morto a soli 62 anni.

Andrea Esposito (Sant'Arcangelo, 27 settembre 1950
Si mette in luce all'età di 20 anni nel Policoro in Serie D, dove con 18 reti segnate è il capocannoniere del girone H nel campionato 1970-1971.

Grazie a questi risultati viene prelevato dal Napoli che lo fa esordire in Serie A l'anno successivo; alla sua seconda gara in massima serie mette a segno una doppietta nella partita vinta 4-0 contro la Roma; la domenica successiva, nella partita contro il Torino, subisce un infortunio al menisco che lo tiene fermo per diversi mesi. Il Napoli credette di aver trovato finalmente il nuovo Gigi Riva, purtroppol le cose non andarono cosi'.Termina il campionato di Serie A 1971-1972 disputando altre quattro gare dopo il rientro, e l'anno seguente viene girato in Serie B alla Reggina. Poco dopo passa al Siracusa in Serie C, mentre nel campionato successivo il Napoli lo cede alla Juve Stabia; nel primo campionato di Serie C colleziona 29 presenze segnando 2 reti, con la squadra che retrocede e nella stagione seguente in Serie D mette a segno 12 reti nel campionato che vede la Juve Stabia arrivare allo spareggio promozione poi perso contro il Potenza.

Alessandro Abbondanza detto Sandro (Napoli, 8 gennaio 1949) per tutti era il nuovo Sivori.
Cresce calcisticamente nella società della sua città natale, la Società Sportiva Calcio Napoli. Dopo una breve esperienza in Serie B con la maglia del Monza, torna a Napoli nel novembre del '68. Esordisce in Serie A, con la maglia del Napoli, il 9 marzo del 1969, nella partita Napoli-Bologna 1-1. Nella stagione successiva gioca nel Pisa, appena retrocesso in Serie B, segnando il suo primo gol da professionista. Torna a vestire la maglia del Napoli nella stagione 1970-1971. Durante la sua permanenza a Napoli, riesce a siglare in campionato, gli unici due gol della carriera con la maglia della sua città. Nel novembre del '71 approda alla Lazio, appena retrocessa, e con le sue 25 presenze e 7 gol, contribuisce alla promozione della squadra capitolina, che tornerà in Serie A nella Stagione 1972-73. Conclusa l'avventura laziale, Abbondanza torna a Napoli, a giocare nella massima serie, ma durante quelli che saranno i suoi ultimi due anni in maglia azzurra, registra solamente 16 presenze e nessun gol.

Roberto Amodio (Castellammare di Stabia, 23 ottobre 1961)Cresce calcisticamente nelle giovanili del Napoli. Dopo una breve esperienza in C2 con il Messina fa il suo esordio in Serie A con i partenopei nella stagione 1981-1982. Molto dotato fisicamente , difensore arcigno , a Napioli si contava molto su di lui.Purtroppo le premesse non furono mantenute e nell'estate del 1983 passa alla Cavese in Serie B, disputando un ottimo campionato. Cosa che lo porta ad essere notato da molte società di Serie A per la stagione successiva.Nel 1990, ritorna a giocare in Serie A. Infatti passa a titolo definitivo al Lecce.Fece comunque una carriera dignitosa, ma non nel Napoli.

Massimo Mattolini(San Giuliano Terme, 29 maggio 1953 – Bagno a Ripoli, 12 ottobre 2009
Era considerato un portiere emeregente tanto che il Napoli lo prende dalla Fiorentina scambiandolo con Pietro Carmignani. Non fara' bene dopo appena un anno fu venduto al Catanzaro.Nel 1990 si è ammalato di insufficienza renale, dovendo ricorrere a continue dialisi, e nel 2000 ha subito un trapianto di reni. Mattolini ha ammesso di aver fatto uso di Cortex ma non è stato possibile dimostrare con certezza la relazione tra la malattia e l'uso del ricostituente.
La malattia lo porterà alla morte il 12 ottobre 2009, all'età di 56 anni

Antonio Albano (Napoli, 15 gennaio 1952)Cresciuto nel Napoli, debuttò in campionato con la Sessana, disputando 21 partite nella Serie D 1972-1973 durante le quali mise a segno 8 reti.

Tornò al Napoli, dove rimase nelle due stagioni successive, nelle quali i partenopei sfiorarono lo scudetto. Albano giocò in azzurro 15 partite, le uniche in massima serie della sua carriera, senza segnare reti.[1] In particolare, collezionò 11 presenze nel campionato 1973-1974, concluso dai partenopei al 3º posto, e 4 gettoni l'anno seguente, nel quale la squadra campana conquistò il 2º posto. Il debutto avvenne il 18 novembre 1973, subentrando a Riccardo Mascheroni al 61' della gara pareggiata per 1-1 sul campo della Fiorentina. si perse nei meandri dei campionati minori.

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QUANDO LA POLIZIA CERCAVA UN TIFOSO SENZA SCARPE
Un'altra storiella legata al mondo del calcio napoletano è quella di Domenico Fenuta , un tifoso un po' esagitato, che il 24 maggio 1931 mise in subbuglio tutto lo stadio Ascarelli.
Si sfidano il Napoli dell'italoparaguaiano Attila Sallustro (Asunción, 15 dicembre 1908 – Roma, 28 maggio 1983) e l'Internazionale di Peppino Meazza. Lo scudetto l'ha già vinto la Juventus, ma la partita è comunque importante e la folla gremisce le tribune.
La partita si mette bene per il Napoli: alla fine del primo tempo, proprio Sallustro con un gran tiro supera il portiere dell'Ambrosiana e deposita in rete l'1-0. Ma nella ripresa la classe di Meazza emerge su tutto e su tutti: il "Balilla" prima pareggia con un tiro dalla distanza, quindi, poco dopo, riceve palla a metà campo, evita in successione tre napoletani, invita all'uscita il portiere Cavanna, lo fa sedere con la sua caratteristica finta e entra in porta palla al piede. Quindi mette la palla sottobraccio e, senza esultare, ma a testa alta e petto virilmente in fuori si avvia sotto la tribuna, quasi a voler guardare in faccia i tifosi partenopei che fino a quel momento lo avevano fischiato e insultato.
Ovviamente, l'atteggiamento di Meazza finisce con l'infiammare il pubblico (alcune cronache riportano che, ad evitare ogni equivoca interpretazione della sua esultanza, il "Balilla" abbia anche completato l'opera con un inchino seguito dal gesto dell'ombrello, probabilmente eseguito con plastica eleganza). Fatto sta che la folla dà in escandescenze, prima verso Meazza, e quindi verso l'arbitro Scorzoni di Bologna, reo di non averlo espulso. Il direttore di gara sospende la partita, poi fa riprendere e prova a portarla a termine, ma non è aria. Timoroso per la sua incolumità, l'arbitro assegna al Napoli un calcio di rigore decisamente generoso, che l'ala Tansini trasforma, ma nemmeno il regalo basta a placare la folla, che comincia a tirare oggetti alla giacchetta nera (le tribune dell'Ascarelli erano vicinissime al campo).
Per la verità i tiratori si dimostrano generalmente maldestri, ma in tribuna laterale c'è un vero cecchino: si chiama Domenico Fenuta, per tutti "Mimì", che si toglie le scarpe, le lancia in rapida successione a Scorzoni e realizza un eccellente due su due: un colpo al petto, uno al mento.
L'arbitro fischia tre volte, poi si accascia, ma entra in scena l'inflessibile milizia fascista: la polizia infatti è decisa ad arrestare il colpevole e a punirlo esemplarmente, ché l'italica industria dell'olio di ricino non subisca flessioni produttive.
Come trovare il lanciatore? Semplice: si bloccano tutte le porte d'uscita tranne una, e si fanno uscire gli spettatori uno alla volta, finchè non si trova quello a piedi nudi.
Mimì Fenuta si rende conto che la situazione è seria. Ma è napoletano, perbacco, l'inventiva non gli manca. Incarica pertanto due suoi amici che abitano nei pressi dell'Ascarelli di uscire rapidamente, correre a casa e portargli un paio di scarpe. Per farle entrare nello stadio useranno le aste delle bandiere che dal settore "distinti" sporgono verso l'esterno.
Don Mimì fa passare qualche minuto e poi, lentamente, si sposta verso le aste e con gesti teatrali dà inizio all'ammaina-bandiera, come un qualunque inserviente dello stadio, ma in realtà approfitta dell'occasione per gettare all'esterno uno dei capi della corda che reggono il vessillo azzurro. L'amico aggancia le scarpe e a Fenuta non resta che ripescarle col verricello.
Ma c'è una brutta sorpresa: le scarpe sono di un numero in meno rispetto alle sue. Camminare è un trauma, ma l'astuto spettatore trasforma il problema in vantaggio: con passo lento e viso dolorante si avvia all'uscita, dove continuano i controlli della milizia, e con faccia sofferente apostrofa il gerarca che dirige le operazioni: "Eccellenza, faciteme 'o piacere e mme rà 'a precedenza: numme facite aspettà tutta chesta fila... Ie tengo certi calle che so' gruosse comme 'e cipolle e me fanno male assai".i gerarchi fascisti tengono "anema e core"; convinto dal viso sofferente, ordina ai miliziani di farlo passare, e mentre polizia e arbitro Scorzoni restano in speranzosa attesa di scoprire il lanciatore di scarpe, Domenico Fenuta se ne torna tranquillo a casa sua. Con le scarpe in mano e a piedi nudi. Sarà lui stesso, vent'anni dopo, a raccontare al quotidiano cittadino il gustoso aneddoto.


Aneddoti su Maradona raccontate dai protaganisti dell'epoca
Il primo aneddoto lo racconta l'ex presidente: «Quando chiusi l'affare che mi costò 13 miliardi, andai a prendermi un whisky e il barista, peraltro napoletano, che me lo servì, non accorgendosi chi fossi mi disse ("avete visto? Il Napoli si è preso a Maradona quello già è grasso l'anno prossimo diventa una balena e non può giocare più!")...dentro di me pensai ("Uh madonna! Ho buttato i soldi!") e invece....". Invece Diego diventò il giocatore più forte di tutti i tempi, anche se l'impatto con il campionato non fu felicissimo: «Il girone di andata fu disastroso - ricorda Ferlaino - tanto che costrinsi la squadra ad andare in ritiro a Vietri, ma Diego non voleva andare in ritiro e allora io gli dissi ("guarda, o cambiano le cose o te ne vai da Napoli"), lui mi promise che le cose sarebbero cambiate. Il girone di ritorno facemmo 33 punti (all'epoca una vittoria valeva due punti)».
Bruscolotti che di quel Napoli era il capitano, invece, racconta.
«Io sono orgoglioso di poter dire che ho vinto tanto con il Napoli, e questo grazie soprattutto a Maradona. Non mi piace quando Diego viene ricordato per la droga, io lo ricordo per tutto quello che ha dato alla squadra e ad un'intera popolazione. Ci ha insegnato a sognare e ci ha fatto sognare con lui. E io ancora oggi lo ringrazio». Gli aneddoti continuano anche con l'ex capitano del Napoli, a proposito del ritiro a Vietri, Bruscolotti risponde a Ferlaino che si vantava di aver segregato tutto il Napoli compreso Maradona in albergo: «Veramente presidente, noi eravamo in albergo, Maradona ci ha raggiunti solo sabato», la risata della platea viene interrotta solo dal seguito del racconto dell'ex capitano azzurro: «Diego mi chiese cosa fosse il ritiro e perchè dovevamo ritirarci, io gli spiegai che in Italia funziona così, se giochi male ti mandano in albergo ad aspettare la partita della domenica tutti insieme, e Maradona mi rispose ("no no, io aspetto la partita a casa, al massimo vi raggiungo sabato")».

Una storia vera ce la racconta Lello Magnetti, classe ’66, napoletano, juventino.
“Lavoravo presso un locale in provincia di Napoli, e spesso in questo locale veniva a cena Diego Armando Maradona”. Inizia così il suo racconto, che potete trovare qui.
“Una sera tutti i componenti e famiglia di Maradona festeggiavano il compleanno di Hugo fratello di Diego (con un passato all’Ascoli ndr) e tutto il personale del locale si recava nella sala dove c’era il campione del Napoli, per una foto, una parola o un coro”. Non serve precisare che erano anni in cui la rivalità con la Juventus degli Agnelli era particolarmente sentita a Napoli.
“Solo io”, prosegue Lello, “solo io, in fondo a quella sala, guardavo incredulo quello che stava accadendo rimanendo in silenzio e in disparte, quando, ad un certo punto, Maradona disse: “Perchè tutti qui festeggiano e quel ragazzo laggiù non festeggia con noi?”.Uno del personale si rivolse a lui dicendo: “Diego lascialo stare, non ci pensare quello è juventino”. A quel punto Maradona fece smettere la musica di sottofondo che proveniva dal piano bar e mi fece segno da lontano affinchè mi avvicinassi a lui”.
“In quel momento, non lo nascondo, mi venne il freddo adosso mi avvicinai, lui mi chiese il nome ed esclamò queste testuali parole: “La Juve è per me la squadra più grande del mondo, io voglio fare una foto con te”.

“Non credevo ai miei occhi e alle mie orecchie”, racconta emozionato Lello, “Tutto il personale intorno guardava in modo strano Diego Maradona che, dopo aver fatto la foto, mi invitò al suo tavolo personale per farmi brindare con lui”.
“Avevo timore, sembrava essere uno scherzo preparato invece era tutto reale e vero”. “Quella sera non potrò mai dimenticarla più nella vita mia: mi ricordo che dal locale usci verso le 3 di notte e il giorno dopo tutti parlavano di quello che era accaduto e, dopo quella sera, tutte le volte che Diego è venuto in quel locale domandava sempre di me, più di una volta mi ha fatto chiamare per salutarmi, e spesso ho ricevuto biglietti di invito gratis allo stadio San Paolo. Aspetto con ansia che possa ritornare in Italia per stringergli di nuovo la mano e dire grazie”.

continua




Edited by Pulcinella291 - 11/6/2013, 08:41
 
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LA SCALTREZZA DI CORRADO FERLAINO


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PER 33 anni, un mese e 12 giorni è stato 'O PRESIDENTE, timido, talvolta antipatico,Popolarissimo e popolarmente antipatico. Assumendo e licenziando 26 allenatori e 14 direttori sportivi, comprando 309 giocatori, da Frappampina a Maradona, da Palanca a Careca, fino a Calderon e Prunier, l' Ingegnere ha fatto e disfatto la tela azzurra cogliendo trionfi mai raggiunti da nessun altro. Prese il club gabbando Lauro e Fiore. Era il 1969. L' ha lasciato al tempo di Corbelli, che a lui e a Naldi vendette la bollentissima patata azzurra. Era il 2002. Dettagli memorabili: 370 miliardi di incassi in 32 stagioni, le finte dimissioni del ' 71 e dell' 83, il momentaneo abbandono del ' 93, quattro bombe sotto casa, cinque squalifiche, tre cani fedeli. Lasciando il Campo Paradiso non dette più notizie di sé fino al giorno in cui si seppe che si dedicava ad alberghi, ville, parchi e parcheggi. Il finale della storia gli tolse il sorriso per le due retrocessioni e il club che non si raddrizzava più, le folli campagne-acquisti con le casse vuote, le promesse, le illusioni e l' addio necessario. Si pentì di non avere tenuto fedea un giuramento: «Vinco lo scudetto e, ancora giovane, lascio il Napoli e fuggo su un' isola deserta». Il Napoli compì 76 anni di vita quando l' Ingegnere mollò. Della storia azzurra aveva vissuto quasi la metà. «Molti anni dopo Maradona avrei voluto prendere Henry e Trezeguet. Me li soffiò la Juventus». Memorabile la gita in barca a Positano con Mantovani. «Invitai il presidente della Samp perché volevo Vialli che facevai gol. Mancini non li faceva. Eravamo d' accordo. Mantovani era legato a Mancini, non a Vialli, non gli portavo via il figlio prediletto ma il gemello. Era fatta, ma i giornali scoprirono la gita a Positano e la trattativa saltò. Appena vinto il secondo scudetto eravamo al limite, stavamo per scoppiare. Il debito con le banche era di una trentina di miliardi. Che cosa dovevo fare? Fermarmi o correre dietro allo strapotere di Berlusconi? La sfortuna del Napoli era che i diritti televisivi, allora, erano bassi e divisi fra tutte le società. La nostra forza era il pubblico. Ma era una forza relativa. Con lo stadio pieno incassavamo 25 miliardi. Tolte le tasse, ne rimanevano 15 netti. Se avessi vinto gli scudetti con Sky...». L' Ingegnere riassume i tre migliori colpi portatia termine. «Maradona perché è stato il più caro e il più sofferto. Allodi perché è stato il più lungo: passarono dodici anni dalla promessa di venire a Napoli al suo arrivo. Savoldi perché è stato l' acquisto più rapido e contrastato». Ha dettato questa formazione ideale: Zoff; Bruscolotti, Vinyei; Colombari, Andreolo, Krol; Busani, Vojak, Vinicio, Maradona, Venditto. Una vita nel calcio, gioie e dolori. Ma, senza il calcio, non sarebbe stato Ferlaino. «Il calcio è stato la mia prigione per trent' anni. La domenica era un incubo. Nelle trasferte vedevo solo lo stadio». È stato un dittatore longevo, un impasto di intuizioni ed errori, di trionfi e cadute. Dopo avere toccato il cielo con Maradona non potendo andare più su è precipitato. Nel calcio apparve in abito azzurro alla fine degli anni ' 60, quando ne aveva 38, si arrese al tramonto e si accorse di avere 71 anni. Fuori dal calcio è stato un costruttore abile con la straordinaria capacità di comprare, vendere, ricomprare e rivendere. Più che meridionale, arabo. Frequentatore dei suk. «In quello di Marrakech tutti i mercanti mi conoscevano. Quando mi vedevano si eccitavano. Sono fatti della mia stessa pasta. Sapevano che ci saremmo divertiti. Io convinto di portargli via qualcosa che valeva più del prezzo pagato, loro convinti di avermi fregato». Un po' arabo lo era, nell' apparenza e nel cuore. Volto rotondo mediorientale, occhi bassi, ridenti e molto fuggitivi, anima inafferrabile. Sultano in amore e nel calcio. Padre calabrese e madre milanese, ebbero la prima abitazione in via Giorgio Arcoleo. Studente al "Giambattista Vico", la madre dava 5 lire al giorno al bidello Vincenzo perché non marinasse la scuola. Ma il ragazzo gliene dava 10e continuòa guadagnare l' uscita. Ottant' anni e non s' è ancora fermato. Costruisce, compra alberghi, ha cambiato casa, vive con Roberta, deliziosa signora milanese, fa vita notturna ballando come un ragazzino. Ah, Ferlaino!
Fonte: Repubblica Napoli

Achille Lauro di lui disse

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Ne ha viste e ne ha fatte di tutti i colori l'ingegnere che conquistò la stima di Achille Lauro pur avendo un portafogli molto poco gonfio. un giorno il comandante disse:"chillu guaglione nu poco busciardo ma quasi quasi più furbo di me"Corrado Ferlaino, padre padrone del Napoli per trentatrè anni, nella sua lunghissima vicenda ha toccato il cielo con Maradona ma è anche precipitato più volte nell'inferno della Serie B. Riuscendo sempre a venirne fuori. I tifosi, quelli sciolti e quelli organizzati, non lo hanno mai amato come ora amano De Laurentiis al quale perdonano anche di non aver valutato con prontezza la gravità del raid criminale a bordo dell'Intercity. Strano destino quello dell'ingegnere che per amore del Napoli ha ingoiato tutto: un assalto alla villa e l'incendio di due auto. «Bisteccone » Galeazzi gli dedicò un pezzo memorabile nel giorno del primo scudetto, anno di grazia 1987, ma anche in quella occasione che più gioiosa non poteva essere Ferlaino non riuscì a bucare l'audience. Su di lui è stato detto tutto il male possibile, insomma, ma neanche il suo peggior nemico calcistico ben s'intende - mettiamo Roberto Fiore appoggiandosi al quale aveva iniziato la scalata al Napoli ponendosi come obiettivo la conquista del cuore, peloso, del Comandante Lauro .


ROBERTO FIORE E IL TENTATIVO DI FAR FUORI LAURO

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Il 25 giugno del 1964, però, l' A.C. Napoli si era trasformata per atto del notaio Monda in Società Sportiva Calcio Napoli, con capitale di 120 milioni, ottanta dei quali interamente versati dai nuovi soci. Achille Lauro, sempre "dentro", non versò una lira, ottenendo ugualmente il quaranta per cento delle azioni per i crediti vantati. Tra i nuovi entrati suo figlio Gioacchino. Il Presidente fu Roberto Fiore eletto dopo una serie di incontri, scontri e tentativi di creare cordate alternative e, addirittura, un "nuovo" Napoli. Un sodalizio nuovo, in effetti, fu realmente fondato, su suggerimento di Gigino Scuotto, Presidente azzurro l'anno prima, e si chiamò Napoli Football Club: come Presidente ebbe Giovanni Proto. Proto era Consigliere Comunale Monarchico, e questo rendeva verosimile che stesse agendo d'accordo con il suo amico e compagno di partito Achille Lauro. Il quale, sulle prime, si mostrò molto interessato, al punto di far preparare in Federazione dal funzionario Perlasca le carte per il passaggio della proprietà, poi prese tempo e infine disertò l'incontro risolutivo. Giovanni Proto, quasi non avesse conosciuto il carattere del Comandante, se la prese al punto di strappare la tessera dell'Unione Monarchica e di dichiararsi indipendente nel Consiglio Comunale. E, a ulteriore dispetto, spostò gli interessi del neonato Napoli Football Club sulla Cirio che, cambiando il nome in Internapoli, militò nel Campionato di Serie D, prendendosi il gusto di lanciare in Serie A, nella Lazio, due calibri pesanti come Giorgio Chinaglia "Long John" e Pino Wilson.
Con Roberto Fiore i napoletani videro finalmente un gran bel Napoli.mise a segno, grazie anche alla furbizia di don Achille Lauro che restava Presidente Onorario, due clamorosi colpi di mercato: a distanza di qualche settimana prese dalla Juventus prima Omar Sivori poi Josè Altafini. Il tasso di qualità della squadra aumentò enormemente, in formazione azzurra c'erano il grande Totonno Juliano, Faustinho Canè, Vincenzo Montefusco, Postiglione, Panzanato, Bean, eccetera. Quel Napoli si classificò terzo, subito dopo Inter e Bologna, e prendendosi lo sfizio di rovinare la festa del decimo Scudetto all'Inter. Proprio nell'ultima di Campionato vinse sui nerazzurri al San Paolo per 3 a 1, con tripletta di Altafini. Prima di allora mai Napoli così vicino allo Scudetto.

Fiore non si fermò, pensava a Nils Liedholm per il settore giovanile, e per rinforzare ancora di più la squadra, al granata Gigi Meroni, il cui acquisto fu ostacolato, praticamente impedito, da Lauro e dai dirigenti Tardugno e Corcione, probabilmente invidiosi dei successi di don Roberto, che aveva anche arruolato 69 mila abbonati. Fiore dovette comunque lasciare le redini a Gioacchino Lauro



continua


Edited by Pulcinella291 - 13/6/2013, 09:29
 
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DOPO MARADONA IL CANTO DEL CIGNO E IL FALLIMENTO


Negli anni immediatamente seguenti alla partenza di Maradona,il Napoli ottenne discreti risultati, come il quarto posto del 1991-1992 con Claudio Ranieri in panchina e il sesto posto del 1993-1994, allenatore Marcello Lippi. La crisi finanziaria, tuttavia, costrinse il club a privarsi dei suoi uomini migliori: man mano vennero ceduti, tra gli altri, Gianfranco Zola, Daniel Fonseca, Ciro Ferrara e Fabio Cannavaro. Nei due anni successivi, con Vujadin Boškov in panchina, il Napoli ottenne un settimo e un decimo posto. Raggiunse la finale di Coppa Italia 1996-1997, venendo sconfitto per mano del Vicenza. Fu il canto del cigno: la crisi raggiunse l'apice nel 1997-1998, con l'ultimo posto in classifica e la retrocessione in Serie B dopo 33 anni consecutivi di massima serie. Il club azzurro ritornò in Serie A nel 2000, per poi retrocedere nuovamente dopo appena un anno.

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I cambiamenti societari, con l'entrata in società di Giorgio Corbelli prima e di Salvatore Naldi poi, non portarono benefici al club, con la squadra che ristagnò a metà classifica nella seconda serie italiana.Alla crisi di risultati si aggiunse l'ormai compromessa situazione finanziaria, che portò nell'estate del 2004 al fallimento del club ed alla conseguente perdita del titolo sportivo. Nelle settimane successive l'imprenditore cinematografico Aurelio De Laurentiis rilevò il titolo sportivo dalla curatela fallimentare del tribunale di Napoli e iscrisse la squadra, con la denominazione Napoli Soccer, al campionato di terza serie. Soltanto sfiorata nel primo anno, la promozione arrivò nel torneo successivo sotto la guida di Edoardo Reja. Dopo aver riacquisito la denominazione originaria di Società Sportiva Calcio Napoli, volutamente non utilizzata nei due campionati di terza serie, nel 2007 il club partenopeo conseguì l'immediata promozione in Serie A, tornando in massima serie dopo 6 anni di assenza.

I TIFOSI SI SCHIERANO:CARRARO INFAME


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Carraro vieta al Napoli di risolvere i problemi societari tramite il fitto del ramo d'azienda e costringe la società partenopea, nel frattempo rilevata da Aurelio De Laurentiis, ad iscriversi al campionato di serie C1, nel quale il Napoli non è mai retrocesso (2004). L'anno successivo si rifiuta di ripescare lo stesso Napoli nella serie cadetta, cambiando le regole in corso ed accettando le iscrizioni di squadre, tra cui il Messina che avevano saldato i propri debiti a tempo ormai scaduto.Alla Lazio, invece viene consentito di spalmare i debiti in 20 anni. Sono proprio i tifosi della squadra partenopea i principali contestatori di Carraro, oggetto di cori e striscioni polemici e a tratti offensivi durante gli incontri al San Paolo. Il resto è storia d'oggi.
 
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