Le stronzate di Pulcinella

STORIA DEL CALCIO NAPOLI-ANEDDOTI, CURIOSITA', INTRIGHI E MISTERI

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Pulcinella291
view post Posted on 22/5/2013, 08:06 by: Pulcinella291
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ANEDDOTI SU GIOACCHINO LAURO-PRESIDENTE DEL NAPOLI

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Gioacchino era molto legato al padre ma ne soffriva molto dell'atteggiamento dittatoriale . Il comandante, infatti, era solito mettere in ombra qualsiasi sua iniziativa ed aveva, in ogni caso, l'ultima parola su tutto. Forse non aveva tutto i torti, don Achille, ben conoscendo il carattere e la munificita' di suo figlio.
Gioacchino era il figlio maggiore, era talmente terrorizzato dal padre da non osare fumare in sua presenza. Tenuto a "stecchetto" sul piano economico (Lauro ha sempre dato ai suoi figli un semplice stipendio), chiedeva in famiglia continuamente del denaro alla sorella o alla madre. I soldi gli servivano a soddisfare la sua fama d'irresistibile playboy e d'impenitente gaudente, giorno e notte alla ricerca di donne e divertimenti.
Gioacchino si occupò prevalentemente delle sedi estere della flotta, per potere avere maggiore libertà di azione. Predilette erano le linee verso l'Australia, con capolinea a Sydney, dove lui era molto stimato per la puntualità e il funzionamento esemplare dei collegamenti, che davano lustro e denaro all'azienda.
S'interessò alla politica, per la quale era molto portato, divenendo sindaco di Sorrento e deputato.
Un bel giorno suo padre, forse, per distrarlo da ben altri affari, lo propose come presidente del Napoli (" o cumandante" regnava nell'ombra come "onorario".
Entrò in carica il 17 dicembre 1966, subentrando a Fiore e fu subito chiaro e accattivante con i giocatori, toccandoli in quello che hanno di più caro: il portafoglio."Premi e stipendi saranno sempre garantiti, nessuna preoccupazione economica".
A qualcuno regalo' anche la Porsche, gioielli alle signore, denari distribuiti ad ampie mani. Quando esordì al “Gallia” di Milano per il mercato calcistico, lievitarono i prezzi (anche quelli delle "gentildonne"). Ma gli acquisti furono eccellenti: arrivarono Pogliana, Claudio Sala, Barison e soprattutto dal Mantova Dino Zoff. Per poco fallì l’acquisto di Gigi Riva.
Da raccontare il caso Barison. L’attaccante era giunto a Napoli fortemente raccomandato da Altafini che voleva continuare a tenere affettuosamente unite le due famiglie. “Zio Josè” consigliò al suo amico di chiedere a Gioacchino Lauro non meno di 15 milioni e mezzo di ingaggio. “Sedici o diciassette – disse – andranno benissimo”. Barison fece tesoro della raccomandazione e tenne bene a mente le cifre da chiedere, ma si sentì proporre dal magnanimo neopresidente: “Guè, nun fa storie cu’ mme. O ti pigli ventidue milioni, o nun me scuccià. Non ne facciamo niente!”.
Accompagnava spesso i calciatori nelle trasferte e nel dopo partita li appestava benevolmente negli spogliatoi con i suoi inseparabili super sigari cubani, giunti in Italia espressamente per lui, attraverso il fornitore personale del barbuto leader maximo: Fidel Castro
Legherà il suo nome ad acquisti importanti, come quello di Dino Zoff ed a prestigiosi risultati come il secondo posto assoluto, un traguardo mai raggiunto prima.
Si comportò come un presidente patriarca, che teneva in gran conto il fattore umano e grande fu il rimpianto, quando un male incurabile lo strappò prematuramente alla vita.

Acquisti del ‘65, arrivarono Sivori e Altafini

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Il Napoli che risaliva dalla serie B trovò in Roberto Fiore un presidente determinato ed entusiasta. Al mercato del calcio esplosero faville azzurre. I due colpacci si chiamarono Sivori e Altafini due autentici fuoriclasse in litigio con le loro vecchie squadre la Juve e il Milan.
In citta' successe di tutto, tripudio generale, inferiore solo all'acquisto di Diego Maradona.
La stazione di Mergellina e il piazzale furono invasi da una folla enorme ed elettrizzata che accolse il grande Omar. Più di un milione di aficionados gremirono lo stadio di Fuorigrotta lungo la stagione che si concluse con un eccellente terzo posto, atteso da 32 anni (dall’era di Voyak e Sallustro).
Omar e Josè coniugarono entusiasmo e incanto. I dribbling e il tiro forte e felpato di Sivori; l’energia e l’astuzia di Altafini. Con i due fuoriclasse scendevano in campo Faustinho Canè il gran regista Juliano, l’efficace ala sinistra Gastone Bean e, in mediana, Stenti e Vincenzo Montefusco. Difesa affidata ai terzini Ronzon e Nardin e al roccioso centromediano Panzanato. Tra i pali il bravo Bandoni, predecessore di Zoff. E in panchina Bruno Pesaola, mitico allenatore dalle irrinunciabili scaramanzie (il cappotto di cammello, l’eterna sigaretta) e fortissimo motivatore dei giocatori. Ogni domenica di calcio, san Paolo gremito e fremente… Era di là da venire il “tradimento” di Josè. E non fu solo campionato. Il Napoli vinse anche una Coppa internazionale. Di scarsa risonanza, ma era la prima nella storia azzurra: coppa delle Alpi, in Svizzera.

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Proprio in quegli anni fu coniato dai tifosi, in onore di Faustinho Jarbas, quello che è stato giustamente definito come una straordinaria metafora “a dispetto”, nel paragone tra il nostro calciatore con tre assoluti campioni brasiliani dell’epoca: ”Vavà, Didì, Pelè…/ site ‘a uallera ‘e Canè!”


PESAOLA UN NAPOLETANO NATO ALL'ESTERO

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Da più di mezzo secolo il Petisso vive ai piedi del Vesuvio col suo immancabile cappotto di cammello portafortuna. A lui sono legate numerose storie ed aneddoti sia come giocatore che allenatore del Napoli.
Ha sempre amato la citta' tanto che un giorno ebbe a dire:"quando il Napoli soffre è Napoli stessa a soffrire perché “Il Napoli non è una squadra di calcio, è lo stato d’animo di una città".Regala al Napoli una coppa Italia quando erano ancora in serie b ed anche il suo primo trofeo internazionale, la Coppa delle Alpi e lo fa a modo suo, con uno stratagemma da vecchia volpe, da scugnizzo napoletano perché la coppa vedeva Napoli e Juventus in due giorni diversi con due squadre svizzere, il Napoli doveva vincere ma all’intervallo le due squadre italiane erano ancora a pari punti così dice allo speaker di annunciare al pubblico che la Juventus sta vincendo e va negli spogliatoi ad urlare in faccia a Sivori “Lasci la vittoria al tuo nemico Heriberto?! Bella figura!”. Missione compiuta perché far scatenare Omar “El Cabezon” Sivori equivaleva a vittoria certa difatti fece 3 assist per Bean, Canè e Montefusco.
Fumava una media di 40 sigarette a partita ed era un gran furbo.
Incitava l’esigente pubblico del San Paolo, agitava il braccio sinistro in avanti per spronare la squadra all’attacco mentre in segreto, col braccio destro, intimava i sui ragazzi a restare vigili in difesa.
Pesaola era il tipo d’uomo che in una conferenza stampa pre-partita, mentre era sulla panchina del Bologna, annunciò al mondo una zemaniana partita all’attacco mentre in gran segreto preparava il più italiano dei catenacci, al che un giornalista di Bergamo, tifoso dell’Atalanta che dominò quella partita pur non riuscendo a portare a casa il risultato, con la consueta cortesia che tanti bergamaschi dedicano alle persone del Sud gli disse che si sentiva preso in giro solo perché aveva annunciato un modulo tattico non messo in pratica. Il Petisso con la sua solita flemma gli rispose che lui aveva mantenuto le promesse ma che l’Atalanta gli aveva rubato l’idea.


SIVORI E LA MAXI RISSA CON LA JUVENTUS E L'ADDIO DEL CABEZON


Dopo due stagioni fantastiche, che ne avevano fatto il "re" del San Paolo, Sivori si infortunò a un ginocchio e giocò pochissimo nel torneo 1967-68, entrando in collisione con l'allenatore Bruno Pesaola, che a fine stagione, nonostante il brillante secondo posto alle spalle del Milan, fu ben lieto di accettare le proposte della Fiorentina, dove avrebbe vinto subito lo scudetto. Sivori restò a Napoli e la società ingaggiò l'allenatore Carlo Parola per curarne in esclusiva il recupero e mandò il giocatore a Grado a curarsi.
Al ritorno, Sivori mise le carte in tavola, dichiarando polemicamente che avrebbe rifiutato ogni impiego come tredicesimo.
Il 13 novembre 1968 l'argentino torna in campo contro il Leeds, in Coppa delle Fiere (sconfitta 0-2). Poi esordisce in campionato il 17 novembre, in casa contro il Palermo: entusiasma il San Paolo e segna il gol della vittoria di misura, salvando tra l'altro Chiappella, dato per ormai silurato.
La settimana dopo è in programma lo scontro con la Juventus, allenata da Heriberto Herrera. Il tecnico paraguaiano del "movimiento" (una sorta di teorizzazione ante litteram del pressing e del gioco a tutto campo) aveva a suo tempo preteso la cacciata dal club bianconero del "boss" Omar, che vi aveva dettato legge per otto campionati, grazie alla predilezione degli Agnelli. Insomma, la partita scotta, anche per la posizione precaria del Napoli. Favalli, l'uomo dedicato alla marcatura dell'argentino, non fa complimenti, cercando scopertamente di innervosirlo. Sivori cade nella trappola e all'ennesimo colpo non si trattiene, reagendo con violenza. Favalli crolla a terra, come folgorato. L'arbitro Pieroni indica a Sivori la via degli spogliatoi mentre si scatena la rissa, al termine della quale vengono espulsi il napoletano Panzanato, l'allenatore Chiappella e lo juventino Salvadore.

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I precedenti purtroppo sono contro Omar, recordman di squalifiche, e il giudice sportivo ci va pesante, appiedandolo per sei turni (nove peraltro se li becca lo stopper Panzanato).
venerdì 6 dicembre, mentre viene deferito assieme ai presidenti di Juve e Napoli, Catella e Fiore, Sivori annuncia, dopo un lungo colloquio con lo stesso Fiore, di aver deciso di abbandonare il calcioSivori, dopo gli anni d'oro della Juventus, vive a Napoli stagioni travagliate culminate poi con la fuga in Argentina
SIVORI: Fuga da NapoliLa vicenda del suo addio all'Italia è emblematica. Dopo due stagioni fantastiche, che ne avevano fatto il "re" del San Paolo, Sivori si infortunò a un ginocchio e giocò pochissimo nel torneo 1967-68, entrando in collisione con l'allenatore Bruno Pesaola, che a fine stagione, nonostante il brillante secondo posto alle spalle del Milan, fu ben lieto di accettare le proposte della Fiorentina, dove avrebbe vinto subito lo scudetto. Sivori restò a Napoli e la società ingaggiò l'allenatore Carlo Parola per curarne in esclusiva il recupero e mandò il giocatore a Grado a curarsi.
Al ritorno, Sivori mise le carte in tavola, dichiarando polemicamente che avrebbe rifiutato ogni impiego come tredicesimo.
Non accettava l'alternativa con Barison per la maglia numero 11 e voleva giocare titolare, perché si sentiva ancora il migliore di tutti. Il 27 ottobre, al San Paolo, un violento alterco tra Omar, Parola e il medico sociale Corvino e poi con l'amministratore delegato Roberto Fiore fa scoppiare il bubbone: l'allenatore sostiene che il giocatore ha nelle gambe solo sessanta minuti, il campione sostiene di voler giocare e di poter essere utile al Napoli. Viene convocato il consiglio di amministrazione.
Alla fine si decide per un milione di multa. Molti ne hanno abbastanza delle e di apprestarsi a tornare definitivamente in Argentina di lì a venti giorni, «per protestare contro le sei giornate di campionato ingiustamente inflittemi: una forzata pausa che compromette irrimediabilmente il mio campionato». Così Sivori lascia l'Italia. Approdato in Argentina, dichiara: «Se mi sentirò capace di sacrificarmi, di ritornare al mio miglior stato di forma per rendere al massimo, giocherò nel River Plate». Dopo qualche settimana decide di appendere definitivamente le scarpe al chiodo.

LE INVASIONI E LE INTEMPERNZE NELLA STORIA DEL CALCIO NAPOLI

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La pagina nera che vide coinvolta la partita con la Juve non fu la prima ma nemmeno l'ultima, purtroppo il Napoli sia in casa che in trasferta, è stato al centro di seri incidenti sul terreno di gioco e sugli spalti, per colpa dei suoi tifosi o per colpa dei sostenitori avversari. Invasioni di campo, guerriglie con la Polizia, attacchi agli arbitri, sassaiole, lanci di petardi, tutti validi motivi per l'intervento sanzionatorio del Giudice Sportivo che - tranne rari casi -ha applicato il 2-0 al tavolino .
Ricostruiamone qualche pagina.

1925-26 tra l’Internaples e l’Alba Roma:botte da orbi in campo e sugli spalti

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La prima vera invasione che si ricordi avvenne nella gara di ritorno della finalissima interregionale del torneo 1925-26 tra l’Internaples e l’Alba Roma. Nella notte che precedeva la gara d’andata, i tifosi romani si appostarono sotto le finestre dell’albergo che ospitava i napoletani e per ore ed ore infastidirono i giocatori con le loro stornellate. Gli azzurri dopo una notte ovviamente insonne, stanchi e nervosi, subirono poi un umiliante 6-1 tra il vergognoso comportamento dei tifosi capitolini, i quali durante la partita si distinsero per il lancio di ortaggi, oggetti e insulti. Nella partita di ritorno a Napoli, all’Arenaccia, dopo 10 giorni, la folla napoletana – in cerca di rivalsa - riuscì a contenersi anche perchè l’Internaples era andata in vantaggio ben presto su calcio di rigore, ma sul finire della gara, quando i giochi sembravano già fatti, l’Alba pareggiò con un penalty, dopo un’azione viziata da un fallo simulato. Botte da orbi in campo e sugli spalti, invasione di campo, caccia ai giocatori romani e al malcapitato arbitro Dani.
Al Napoli fu inflitta la squalifica di campo per un anno, che poi fu ridotta a due mesi, a seguito della riforma del torneo. Si andò a giocare al campo dell’Ilva Bagnoli.

CON L'AMBROSIANA INTER :L'ARBITRO COLPITO DA UNA SCARPA
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Tafferugli ed intemperanze avvennero anche il 24 maggio 1931, si giocava Napoli- Ambrosiana, una sfida anche tra i piu'grandi cannonieri dell'epoca Attila Salustro e Peppino Meazza. La partita si concluse sul 2 a 2, ma numerosi furono i tafferugli .
Mentre le squadre erano sull’1-1, l’ala milanese Visentin accompagnò il gol del 2-1 con un’esultanza insolita che dette l’impressione ai tifosi di aver fatto il gesto dell’ombrello, prettamente italico. Fu inscenata una violenta contestazione contro l’arbitro Scorzoni, colpevole di non aver espulso il reo. La partita fu sospesa per alcuni minuti, per sedare i tumulti, e quando il gioco riprese l’arbitro bolognese, a pochi minuti dalla fine permise al Napoli di pareggiare con Tansini, grazie ad un rigore concesso per placare la folla. Ciò non gli impedì di subire un nutrito lancio di oggetti ed una scarpa sul petto. La partita fu data vinta all’Ambrosiana per 2-0 ed il campo venne squalificato per una giornata .La partita successiva si giochera' a Salerno.

ANCHE A SALERNO VI FURONO INCIDENTI
(7 giugno 1931) – A seguito della squalifica per gli incidenti di Napoli - Ambrosiana, gli azzurri ospitarono il Milan sul campo neutro di Salerno. Ma anche qui, a seguito della sconfitta per 1-0, i tifosi azzurri provocarono incidenti, convinti che a danno del Napoli si stesse attuando una congiura a favore delle milanesi. Il risultato di 1-0 non venne mutato, anche perché il Napoli aveva già perso sul campo, ma il clima rimase tesissimo. Nella successiva partita interna con il Torino (21 giugno 1931) conclusasi col risultato di 1-0 per i granata, la concessione ai granata di un rigore inesistente provocò un’invasione. Conseguenza, il 2-0 a tavolino e la squalifica di campo fino al 30 settembre del 1931.

Campionato campano 1945 un arbitro si finse morto
Il Campionato campano 1945 fu una competizione calcistica che si disputò in Campania dal gennaio 1945 al giugno dello stesso anno. A causa della seconda guerra mondiale, sia al Nord che al Sud non si disputò un campionato nazionale ma si disputarono dei campionati regionali.
Al campionato presero parte due formazioni di serie B (Napoli e Salernitana), quattro squadre militanti allora in serie C (Stabia, Scafatese, Torrese e Casertana), due squadre allora militanti in Prima Divisione Campana (Frattese e Portici), la P.M.I. (una squadra composta da agenti della Polizia Militare) e una società appena rifondata (Internaples). A Napoli le gare furono giocate nel recinto dell'Orto Botanico, poiché lo Stadio Ascarelli era stato abbattuto durante la guerra. A Salerno invece fu utilizzato lo stadio "Littorio", sopravvissuto incredibilmente quasi intatto allo sbarco alleato e successivamente rinominato Stadio Donato Vestuti.
La prima giornata si disputò il 28 gennaio 1945. La squadra favorita era il Napoli per il suo blasone ma la squadra partenopea non iniziò bene il campionato anche a causa del fatto che in conseguenza della guerra molti forti giocatori rinforzarono le altre squadre campane rendendole più temibili (si pensi che nello Stabia militava Romeo Menti che in seguito verrà acquistato dal Torino e giocherà in nazionale, e che la Frattese aveva ingaggiato giocatori come Busani e Nicolosi.
Durante la partita Salernitana-Napoli al Vestuti accadde un incidente deplorevole: al 35° sul punteggio di 1-1 l'arbitro Stampacchia fischiò un rigore a favore del Napoli; i tifosi salernitani inferociti per la controversa decisione arbitrale invasero il campo e anche tra i giocatori avvenne una rissa; Stampacchia per calmare giocatori e tifosi dovette fingersi morto, sfruttando un colpo di arma da fuoco sparato sugli spalti.
In seguito a questa partita il Giudice Sportivo squalificò il campo alla Salernitana che disputò le rimanenti partite in campo neutro e soprattutto ordinò che il campionato venisse sospeso per un mese. Il campionato riprese in giugno e venne vinto a tavolino dallo Stabia.

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11 gennaio 1948 arbitro assediato nello spogliatoio

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Terza partita della stagione ’47-’48 caratterizzata da sassaiole. Gol del solito Di Benedetti contro il Bologna al Vomero. Sembrava fatta e, invece, a pochi minuti dalla fine l’arbitro triestino Pieri, in nera giornata, convalidò la rete del pareggio di Biavati, preceduta da un fallaccio dell’ala nazionale ai danni di Pretto. I tifosi napoletani si sentirono defraudati della vittoria e a fine partita, secondo la moda di quella stagione, lanciarono una fitta sassaiola , completata dall’assedio all’arbitro, costretto per varie ore nello spogliatoio. Una giornata di squalifica al campo. Contro il Milan si giocò sul “neutro” di L’Aquila. Autogol di Rosi, raddoppio di Raccis, espulsioni degli azzurri Di Benedetti e Verrina e del milanista Cerri. Alla fine (0-2), tentativo di invasione di campo da parte dei tifosi del Napoli, accorsi in gran numero, e assedio all’arbitro Pera negli spogliatoi. Ma il Napoli pagò fino all’ultimo il rapporto ormai incrinato con gli arbitri e col “palazzo”. Famosa fu la scandalosa direzione di gara di Bonivento a San Siro il 20 giugno nella partita-spareggio per la retrocessione tra l’Inter ed il Napoli. Due falli da rigore ai danni di Krieziu e Barbieri non furono puniti, un gol regolare di La Paz venne annullato dopo una vera aggressione dei nerazzurri all’arbitro (ultima direzione della sua carriera). A fine partita, vinta dall’Inter per un gol di Lorenzi, la Polizia fu costretta a intervenire per proteggere Bonivento dalla reazione inviperita degli azzurri. Stagione segnata. Il veleno finale fu costituito poi dall’accertata corruzione operata dal Napoli per la partita vinta a Bologna. Conseguente il declassamento all’ultimo posto e retrocessione.

10 gennaio 1954 vittoria a tavolino al Genoa
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Protagonista assoluto allo Stadio del Vomero l’arbitro Righi di Mestre, autoritario, ma per niente preciso. Il Napoli di Jeppson, Amadei e Bugatti affrontava il Genoa bisognoso di punti per la salvezza. L’arbitro non seppe contenere il gioco duro dei liguri. Falli plateali del Genoa non puniti, gol in fuorigioco dei rossoblu, nonostante lo sbandieramento del guardalinee, rigori non concessi al Napoli: mai vista una serie così lunga di errori, mentre sugli spalti la folla era in fermento. Righi arrivò persino a ritenere in gioco un pallone ribattuto in campo da un fotografo, appostato dietro la porta di Bugatti. Inevitabile il tentativo di invasione di campo, prontamente respinto dalla Forza pubblica, con partita sospesa per cinque minuti. Ma dopo la ripresa del gioco, uno spettatore riuscì a ad entrare sul terreno, nell’intento di arrivare all’arbitro; sulla sua strada, però, trovò Comaschi, che prima lo stese con un violento huppercut e poi consegnò l’invasore ancora incosciente ai poliziotti. Da quel momento l’arbitro cambiò: diventò più “morbido” nei confronti degli azzurri e in pieno recupero assegnò un rigore al Napoli per una carica inesistente ai danni di Vinjei in area: gol di Amadei, 3-2 per gli azzurri. Evidente la falsa vittoria. I giocatori del Genoa furono rassicurati subito da Righi: la partita era stata da lui considerata chiusa prima della fine per le intemperanze del pubblico. “Non fate storie in campo, la partita ve la do vinta nel referto” dichiarò ai genoani. Righi inopportunamente ribadì la sua decisione anche dopo la partita, quando accettò di fare il viaggio di ritorno con i liguri. E nelle dichiarazioni alla stampa, i genoani confermarono di aver avuto in anticipo e in confidenza l’assicurazione del 2-0 a tavolino. Provocarono così polemiche e reazioni anche nella Federcalcio. Il Giudice puntualmente fu costretto ad assegnare la vittoria al Genoa (art. 58), ma evitò di aggiungere la squalifica del campo al Napoli. Solo 300 mila lire di multa.

6 novembre 1955 Finale Western al Vomero
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Oramai a Napoli si era diffuso il il preconcetto della sudditanza psicologica e quindi di un certo atteggiamento condizionato della classe arbitrale nei confronti delle squadre più importanti del calcio italiano, e spesso , a dire la verita' anche a ragione.
Ma quello che accadde il 6 novembre 1955 è senza dubbio da ricordare.
Preceduta da due arbitraggi negativi per gli azzurri (contro la Roma in casa e a Bergamo contro l’Atalanta), la partita con il Bologna al Vomero fu tra le più drammatiche che la storia del Napoli ricordi. Un quarto d’ora d’inferno, protagonista l’arbitro Maurelli di Roma, autore di un arbitraggio “tecnicamente imperfetto e psicologicamente insufficiente”, scrissero le cronache del tempo. Ad un quarto d’ora dalla fine, il Napoli vinceva per 3-0, nonostante falli e scarponerie dei felsinei passati inosservati. Sul finire due gol del Bologna. Dunque 3-2. Mentre tutti guardavano l’orologio, l’arbitro si trastullava, prolungando di qualche minuto la gara, giusto il tempo per fischiare al 47’ un rigore contro il Napoli molto dubbio. Un dipendente del Napoli, Piccolo, andò a protestare, ma incontrò sulla sua strada il massaggiatore del Bologna, che gli piombò addosso, tramortendolo con un colpo di bottiglia in testa. Al masseur bolognese un poliziotto mise sul momento persino le manette. Inevitabile l’invasione dai Distinti mentre Maurelli, protetto da un poliziotto, guadagnava gli spogliatoi ed uno dei guardalinee veniva percosso. Di fronte alle centinaia di tifosi entrati in campo, incontenibili, la Polizia commise l’errore di ingaggiare una vera guerriglia con gli invasori, con lanci e rilanci, da entrambe le parti, di pietre e lacrimogeni. La situazione diventò tragica, quando i tutori dell’ordine cominciarono a sparare in alto a scopo intimidatorio. Oltre un’ora di assedio, centoquaranta i feriti, tra cui sette gravissimi, 92 medicati e curati nell’infermeria azzurra, trenta fermi, quindici arresti. Un’inchiesta fu predisposta dal ministro degli Interni, Tambroni. Maurelli dichiarò di essere pronto a ritirarsi. Il Giudice omologò il 3-3, con tre giornate di squalifica, poi ridotte a due . A Bari la Juve e a Roma la Fiorentina. Questa partita con i viola (2-4) il 31 dicembre 1955, fu la prima trasmessa in diretta Tv dalla Rai con anticipo al sabato. Quell'infelice arbitraggio consigliò o costrinse Maurelli a dare le dimissioni



L'ARBITRO BRUNO DE MARCHI da Pordenone fugge nell'auto di Achille Lauro:Lauro. “Vienetenne cu mme
Era il 4 ottobre 1959, partita col Genoa al Vomero, arbitro Bruno De Marchi da Pordenone, non all’altezza di una partita così importante per la classifica. Dopo il gol di Barison che aveva portato in vantaggio il Genoa, l’arbitro commise due errori, uno dopo l’altro, non tecnici, ma psicologici, dovuti all’inesperienza. De Marchi fischiò un rigore per fallo su Vinicio proprio mentre Luis cadendo riusciva a colpire egualmente la palla e a segnare (!). Niente gol, ma penalty da battere. De Marchi irremovibile di fronte alle proteste degli azzurri e dei tifosi. Tiro del nervosissimo Comaschi, palo, il terzino riprendeva la palla (vietato dal regolamento) e la passava a Di Giacomo, gol annullato. 1-0 per il Genoa, e Napoli ultimo a zero punti. Immaginarsi la tensione sugli spalti. Una vera bolgia, mentre i giocatori guadagnavano il sottopassaggio sotto una fitta pioggia di pietre. A questo punto, entrò in scena la Polizia, indirizzando gli idranti verso le gradinate, quelle vicine al sottopassaggio, dove le reti erano state divelte. Ma dopo un po’ la pressione dell’acqua venne meno (chissà come e perché…) e la “Celere”, fu costretta prima al lancio dei lacrimogeni, poi intrecciò con i tifosi una vera, ignominiosa sassaiola. Bilancio: sessanta agenti feriti, di cui alcuni gravemente, trenta tifosi contusi, venti fermi, dodici arresti. L’arbitro lasciò lo stadio , ben accucciato, protetto nella macchina del Comandante Lauro. “Vienetenne cu mme – gli disse – debbono passare sul mio corpo” e fuori le auto della Polizia erano ancora impegnate in pazzeschi caroselli. Per il Giudice fu 2-0 a tavolino a favore del Genoa, accompagnato da una giornata di squalifica al campo ( a Livorno contro l’Atalanta)

COL MODENA DISTRUTTE ANCHE LE PORTE

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(28 aprile 1963) - Un’altra partita con esito drammatico. Fu la prima invasione nel nuovo stadio San Paolo, nel giorno in cui si votava per il rinnovo della Camera e del Senato. Arbitro il pur famoso Campanati. Di scena il Modena, diretto avversario nella lotta per la salvezza. Due gol dei canarini, il secondo con una vistosissima aggiustatine di mano di Bruells. Pochi minuti dopo su calcio d’angolo, il difensore modenese Balleri deviava la palla con le mani, impedendo a Fanello di segnare. Fischio dell’arbitro: ma anziché il rigore l’arbitro fischiava una punizione contro il Napoli. Quindi nuovo fallo di rigore non visto su Tomeazzi. Era la scintilla. Prima una pioggia di oggetti, poi un’invasione solitaria invasione bloccata dalla Polizia, quindi una marea di esagitati in campo, costrinsero giocatori ed arbitro a fuggire negli spogliatoi. Ma non era finita: la folla inferocita, anche per il comportamento deludente degli azzurri, si impadronì del campo, approfittando anche della carenza di Forza Pubblica impegnata soprattutto nei seggi per le votazioni. Impossibile impedire gravi atti di vandalismo. Furono divelti i tabelloni pubblicitari che servirono da ponte dagli spalti per invadere il terreno di gioco. Spaccati i marmi, asportati i travertini delle gradinate e distrutte totalmente le due porte in campo. I danni allo stadio superarono i 130 milioni dell’epoca. 148 furono i fermi, 62 i feriti. Un pomeriggio di vergogna. Si parlò di invasione organizzata. Le scene furono altamente drammatiche. Alla fine, due a zero del Giudice Sportivo e retrocessione ormai acquisita. Quattro le giornate di squalifica al campo, poi ridotte a tre, di cui una scontata nello stesso campionato (col Bologna sul neutro di Bari) e le altre riversate nella successiva stagione in Serie B.

QUANDO IL SAN PAOLO FU SQUALIFICATO PER DUE ANNI
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La Coppa Anglo-Italiana del 1970 fu la prima edizione del torneo, vinta dallo Swindon Town.

L'atto conclusivo del torneo è tristemente noto per essere stato una delle prime finali di una competizione calcistica ad essere sospesa per violenze dei tifosi.
A Napoli si giocava la finale tra gli azzurri e lo Swindon town. Era il 28 maggio 1970 e fu un giorno di ordinaria follia.
Questa data è stata purtroppo rimossa dalla memoria collettiva, non solo dei napoletani, ma anche da chi si occupa di calcio: eppure dovrebbe essere ricordata, a causa dei gravi fatti che accaddero in quella occasione, per evitare che si ripeta in futuro. All’epoca non esistevano ancora gli ultras o quantomeno non esisteva nulla di paragonabile al fenomeno odierno del tifo organizzato.
Il Napoli aveva già affrontato la formazione inglese: gli azzurri avevano vinto a Swindon 2 a 1 e avevano perso in casa per 1 a 0. Nella formazione partenopea mancavano le due stelle, Dino Zoff e Antonio Juliano: entrambi erano stati convocati in Nazionale dal commissario tecnico Ferruccio Valcareggi per i mondiali di Messico ’70. A sostituire in porta il Dino nazionale (in quel periodo riserva di Enrico Albertosi) c’era Trevisan. Ad eccezione dei due nazionali e di Altafini, Hamrin e Barison, il "ciuccio" non aveva grandi nomi nella sua formazione, a causa delle croniche difficoltà economiche. C’erano anche Ottavio Bianchi, che aveva fatto faville nel suo ruolo a centrocampo nel campionato 1969/70 ma non era stato convocato in Nazionale per la spedizione messicana, e Gianni Improta, all’epoca giovane promessa, amatissimo dai tifosi. Gli altri erano erano Floris, Monticolo, Zurlini, Panzanato e Montefusco. Dall’altra parte c’era lo Swindon Town, che, nonostante la squillante vittoria con la Roma nella Coppa Anglo-italiana, restava sulla carta una formazione più debole, considerata la sua perdurante militanza nella terza serie inglese. I suoi undici nomi (Jones, Thomas, Trollope, Butler, Burrows, Harland, Smith, Smart, Horsfield, Noble, Rogers) non erano certo al livello dei mostri sacri dell’allora formazione nazionale (come Bobby Moore, Jack Charlton e Geoffrey Hurst) che si accingeva a difendere in Messico il titolo mondiale conquistato a Wembley nel 1966. Eppure, sin dalle prime battute dell’incontro si vide che lo Swindon era una formazione molto agile e compatta: il suo allenatore, Fred Ford, aveva creato un gruppo vincente che dava filo da torcere agli avversari. Il Napoli, oltre alle sue lacune difensive, soffriva la mancanza del suo capitano Juliano, che sapeva guidare il gioco della squadra: mancando il suo faro di centrocampo la formazione napoletana piombò ben presto nella notte più nera. Invece la forza della squadra inglese era evidente proprio nella linea mediana: e così dopo soli 24 minuti Noble segna la prima rete per gli inglesi. La reazione degli azzurri è impacciata e incosistente: all’epoca non erano ancora consentite le sostituzioni, che sarebbero state introdotte ufficialmente ai mondiali messicani. L’allenatore Giuseppe Chiappella non avrebbe potuto quindi porre rimedi dal punto di vista tattico. Viste le premesse del primo tempo non si poteva pretendere che nella ripresa il Napoli potesse fare miracoli: così giunse la disfatta. Lo Swindon Town realizzò altri due gol: al 58' ancora con Noble e al 63' con Horsfield solo davanti a Trevisan: fu il giusto coronamento della netta superiorità della squadra inglese, contro un Napoli formato vacanza da fine stagione. Intanto, sugli spalti la situazione stava progressivamente degenerando. I tifosi montarono una feroce contestazione, che passò dai fischi, dalle urla e dalle invettive lanciati dopo i primi due gol inglesi, alle vie di fatto più vergognose della storia del "ciuccio". Proprio dopo il terzo gol, mio padre intuì quel tremendo clima di rabbia: "Marco andiamo!" esclamò prendendomi ancora per mano, ma stavolta in modo fermo e deciso. Quella decisione improvvisa, ma provvidenziale, mi risparmiò la visione dell’avvilente e denigrante spettacolo che si sarebbe scatenato poco dopo.
a poco più di 10 minuti dalla fine al San Paolo si scatenò l’inferno. Come novelli cavernicoli del XX secolo, i tifosi napoletani divelsero le panche di travertino, dov’erano seduti, poste nella parte bassa delle due curve e dei distinti e le frantumarono in piccoli pezzi: così iniziarono un fitto lancio di pietre verso il campo, accompagnato (come se non fosse bastato) da bottiglie di vetro.Correva il 79° minuto: l’arbitro austriaco Paul Schiller decise di interrompere la partita e mandò subito le squadre negli spogliatoi. Nonostante la pronta disposizione del direttore di gara, Horsfield, autore del terzo gol, fu centrato sulla coscia da una pietra e riportò una brutta ferita. Secondo le cronache dei quotidiani inglesi, il lancio del travertino dagli spalti durò a lungo, anche durante la carica della polizia, che riuscì a domare la rivolta dei tifosi soltanto dopo molto tempo. Intanto, nel "bunker" degli spogliatoi l’arbitro decideva la sospensione definitiva e l’assegnazione della coppa del torneo allo Swindon Town. La battaglia sugli spalti e all’esterno dello stadio proseguiva tra la folla rabbiosa e le forze dell’ordine: alla fine si conteranno 40 feriti tra i poliziotti e 60 tra i tifosi. Le persone arrestate furono 30, quelle fermate 11. Il Napoli venne squalificato per due anni dalle competizioni internazionali.

SETTEMBRE 2003 DERBY CON L'AVELLINO:LA MORTE DI UN GIOVANE NAPOLETANO

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Era la serata del 20 settembre 2003, quando allo stadio comunale Partenio di Avellino si sarebbe dovuto disputare l’incontro di calcio tra le squadre di Avellino e Napoli valevole per il campionato di calcio di serie B anno 2003/04. L’evento sportivo in realtà non ebbe mai luogo, poichè, pochi minuti prima dell’inizio dell’incontro, si verificarono gravi incidenti. Anzi, una vera e propria tragedia. Anche perchè l’invasione nello stadio da parte di un folto gruppo di tifosi del Napoli, aveva scatenato una vera e propria ressa. E’ così accadde che nella ressa creatasi, un giovane tifoso napoletano, tale Sergio Ercolano, spinto dalla calca, è precipitato in un corridoio di accesso al locale dello stadio.
Così si era scatenato un vero e proprio inferno. A scatenarlo i tifosi napoletani. Una serie di danni che non solo erano stati accertati dalle riprese della Digos, ma anche da una perizia effettuata dai tecnici del Comune. Erano stati violentemente fracassati i cartelloni pubblicitari presenti nello stadio, strappate le reti delle porte, distrutti gli idranti, rubati i palloni, danneggiate le panchine, gettati innumerevoli oggetti dagli spalti, danneggiati i servizi igienici in parte addirittura divelti, messi fuori uso gli altoparlanti e gli apparecchi di ripresa a circuito chiuso, fracassate numerose vetrate, distrutti gli scalini e i seggiolini posti sugli spalti.Alle 24 il bilancio è di 30 feriti, 15 agenti (uno accoltellato). Ma la notizia più terribile è quella sulle condizioni di Sergio Ercolano: i medici non hanno più speranze per lui. I tifosi azzurri stringono d' assedio l' ospedale Moscati dove è ricoverato.
CONTINUA


Edited by Pulcinella291 - 27/5/2013, 08:17
 
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