Le stronzate di Pulcinella

STORIA DEL CALCIO NAPOLI-ANEDDOTI, CURIOSITA', INTRIGHI E MISTERI

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Pulcinella291
view post Posted on 4/6/2013, 18:03 by: Pulcinella291
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QUANDO MARADONA SCAPPO' DALLA PROCURA
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Da qualche giorno sulle pagine dei giornali sono finite le immagini del capitano del Napoli "ospite" della famiglia Giuliano, i ras di Forcella. E allora il 28 settembre del 1989. Diego è convocato nel vecchio tribunale di Castelcapuano dal pubblico ministero Federico Cafiero de Raho. Non è indagato nè imputato di alcunchè. Ma l'inquirente, all'epoca sostituto procuratore di punta dell'anticamorra ,vuol sentirlo come testimone anche perchè Dieguito aveva ritardato il suo rientro in Italia, lanciando strani messaggi e, in sostanza, si dice spaventato dalla camorra.
In Procura, Maradona diventa incerto e spaurito. Cafiero de Raho inizia l'interrogatorio, prima domanda scontata: "Signor Maradona, perchè in un comunicato ha annunciato di voler restare in Argentina spaventato dalle minacce camorristiche? Quali sono queste intimidazioni?". La risposta, con voce flebile: "Giudice, quel comunicato l'ho fatto perchè la stampa diceva cose incredibili sul mio mancato rientro ma io, in realtà, volevo dire un'altra cosa: volevo sottolineare la mia paura per il comportamento dei tifosi. Era un appello alla società del Napoli affinchè mi tutelasse prendendo adeguate misure per evitare la reazione incontrollata dei tifosi". Il numero 10 pensa di averla chiusa lì, Non è così. Arrivano altre domande e l'argentino viene assalito dal panico. Sgrana gli occhi, farfuglia qualcosa e con uno sprint inatteso imbocca la porta e prova una serpentina per sfuggire al magistrato negli angusti corridoi della Procura. Cafiero de Raho resta di sasso. Fortuna vuole che, ad attenderlo in quegli uffici ci sia anche il suo avvocato di fiducia, Vincenzo Maria Siniscalchi. E' lui a convincerlo a ritornare davanti al pm.Angosciato, Maradona siede ancora in Procura e prova a rispondere agli interrogativi del magistrato. Non è proprio convincente. Dice e si contraddice. "Il ritardo nel tornare a Napoli? La camorra non c'entra. Le foto con i Giuliano? Sì, quel Carmine lo conosco. Lo vidi in una casa in cui fui portato da Palummella, come è chiamato il nostro capotifoso della curva B, Gennaro Montuori. Ricordo vagamente quel giorno: finito l'allenamento del pomeriggio Palummella mi condusse in un club di tifosi dove mi fermai a parlare con alcuni di loro e fui invitato a cena da un tale". Cafiero lo interrompe e gli mostra le foto. "Sono io in una casa con certe persone...voi mi dite che si tratta di gente della famiglia Giuliano...io, io riconosco i posti in cui venni portato quella sera dopo l'allenamento. Anzi, ecco la foto della vasca a forma di ostrica dove compaio con un ragazzo dal pullover rosso: beh, mi hanno detto che quello era un altro capotifoso del Napoli, un altro di quelli che mi invitarono a cena. Oltre a lui riconosco Carmine Giuliano. Poi nessun altro". Vi siete rivisti?, chiede Cafiero. "Con Carmine sì, sei mesi fa, al ristorante Rosolino. C'era un matrimonio a cui Palummella mi aveva chiesto di intervenire. D'altronde mi capita spesso di essere invitato dai tifosi a manifestazioni di vario genere. Non prendo soldi per tutto ciò, però mi danno premi, targhe e regali. Comunque ero all'oscuro di chi si sposava quel giorno e incontrai Giuliano casualmente. Con lui non ho avuto altri rapporti".
Signor giudice, da quando sono rientrato a Napoli continuano a chiamarmi: telefonate anonime in cui mi insultano pesantemente e dove mi dicono di tornarmene in Argentina. Ma per quanto riguarda la camorra vi assicuro di non aver mai chiesto protezione ad alcun delinquente famoso o meno famoso. Io non tratto napoletani camorristi. Anche se conosco moltissime persone a causa della mia notorietà". Diego non fornisce elementi utili per proseguire l'indagine. La vicenda finisce lì. (da repubblica napoli.it)

MARADONA CHIESE AIUTO ALLA CAMORRA PER RECUPERARE OGGETTI CHE GLI AVEVANO RUBATO?

Salvatore Lo Russo, capo dell’omonimo clan di Miano che da qualche tempo è andato a ingrossare le fila dei collaboratori di giustizia, in una delle sue tante deposizioni ha anche dichiarato di conoscere bene Diego.
Per il pentito ’asso rgentino sapeva perfettamente quale fosse il ‘lavoro’ di Lo Russo, al punto da chiedere il suo aiuto in occasione di un furto subito nel 1990. “Maradona si rivolse a me nell’occasione in cui subì il furto di una ventina di orologi e del Pallone d’Oro. Gli feci recuperare gli orologi tramite Peppe ‘o biondo che li trovò presso i Picuozzi dei Quartieri Spagnoli, mentre non fu possibile recuperare il Pallone d’Oro che avevano già sciolto. Mandai ai Quartieri 15.000.000 di lire che, però, mi furono poi mandati indietro. Ricordo che uno tra gli orologi che mi mandarono non apparteneva a Maradona e questi non volle tenerlo per sé, tanto che lo regalai a Pugliese”.

IPOTESI SULLA PERDITA DI UNO SCUDETTO
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Ed è proprio Pietro Pugliese che parlo' di una presunta combine organizzata da Maradona e da altri calciatori per fare in modo che il Napoli non vincesse lo scudetto regalato in extremis dal Napoli al Milan, nel 1988, perché le cosche che controllano il Toto clandestino volevano così. A fine anno, il “Giornale di Napoli” e “Il Sole-24 Ore” avevano titolato in prima pagina: «Lo scudetto del Napoli sbanca la camorra». La spiegazione è semplice: sulle ali dell’entusiasmo, migliaia di napoletani si erano precipitati a puntare forti somme sulla vittoria della squadra azzurra presso i bookmaker del Totonero, che da quelle parti è gestito direttamente da alcune cosche camorristiche. Le quali, a fine stagione, avevano dovuto pagare molti miliardi di vincite. La stagione seguente, nel solo girone di andata, la camorra aveva accettato scommesse per 20 miliardi sulla nuova vittoria del Napoli, con quote fino a “uno a tredici” (chi punta un milione ne vince 13): in pratica, se lo scudetto l’avesse rivinto il Napoli, i bookmaker della malavita avrebbero dovuto sborsare qualcosa come 260 miliardi. Una prospettiva che atterriva i capiclan, i quali proprio dal Totonero (oltre che dalla droga) ricavano gran parte dei loro guadagni. Per questo “era necessario” che il Napoli perdesse lo scudetto 1987-88: per recuperare i quattrini perduti l’anno precedente, e per evitare un nuovo salasso. A dicembre l’auto di Maradona, sebbene supersorvegliata, era stata danneggiata; negli stessi giorni Salvatore Bagni – l’altro calciatore simbolo della squadra scudettata – aveva subìto due furti in casa e uno in auto. Messaggi camorristici? Chi può dirlo. Sta di fatto che, dopo 25 giornate da primato, la trionfale galoppata del Napoli verso la riconquista dello scudetto si era interrotta nella primavera 1988 in modo brusco e inspiegabile. Intervistato dal “Corriere della Sera” nel marzo del 1994, un anonimo scommettitore rivelerà: «Già prima della sconfitta con il Milan, quella del 1° maggio, fu chiaro tutto. Quando il Napoli cominciò a perdere punti di vantaggio in poche partite, dopo averne accumulati così tanti durante il campionato, noi del giro intuimmo che si era venduto lo scudetto. La vittoria del Napoli veniva data a mezzo quando la squadra di Maradona aveva ancora 5 punti di vantaggio. Una quota bestiale, folle: giocando un milione te ne davano cinque. Era chiaramente un regalo. Tutti lo giocavano, ci mettevano milioni su milioni, il rischio sembrava minimo». Un sistema che pareva fatto apposta per attirare schiere di polli da spennare; poi l’improvviso crollo del Napoli: «Moltissime persone ci rimisero decine di milioni». I bookmaker, invece, guadagnarono decine di miliardi.
Nei primi anni ’90, però, le dichiarazioni di Pugliese riguardanti una presunta ‘combine’ organizzata da Maradona e da altri calciatori per fare in modo che il Napoli non vincesse lo scudetto furono ritenute poco credibili dagli inquirenti che non trovarono alcuna conferma alle sue parole.

continua
 
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12 replies since 14/5/2013, 08:52   6768 views
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