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copione: Il sindaco del rione Sanità ( Eduardo de Filippo) tre atti
Personaggi Antonio Barracano, il « Sindaco» Armida, sua moglie Geraldina, sua figlia Gennarino ,Amedeo,suoi figli
Dottor Fabio Della Ragione
Arturo Santaniello, ricco panettiere
Rafiluccio Santaniello, suo figlio
Rita, fidanzata di Rafiluccio
Immacolata, governante in casa Barracano
Vicienzo 'O Cuozzo, falegname
'O Palummiello
'O Nait
Catiello, guardiano di Terzigno
Pascale 'O Nasone, strozzino
La moglie di Pascale
Peppe Ciucciù ,Zibbacchiello,guappi fedeli a don Antonio Luigi, portiere
Vicenzella, sua f iglia
ATTO PRIMO Uno stanzone gradevole, luminoso, il soggiorno di un grande appartamento a pian terreno, situato ai piedi del Vesuvio, verso Terzigno o Somma Vesuviana. L'ar¬redamento è costituito da oggetti vistosi e mobili mas¬sicci. Da un'ampia vetrata si scorge il rigoglioso agrume¬to e i filari d'uva che si stagliano sul turchese argenteo del mare di Napoli. Alba imminente di una serena not¬te dei primi di settembre. Immacolata Campese, in ca¬micia da notte e infilandosi una vestaglia, entra per rag¬giungere la parete centrale della stanza e nel frattempo stride il trillio soffocato di un campaneikxicala. Il suo¬no si ripete e diventa più irritante non appena la donna stacca un quadro dalla parete anzidetta. Nella piccola nicchia che il quadro nascondeva, oltre al campanello-ci-cala c'è pure un portavoce antico: di quelli di latta a forma di imbuto. Immacolata preme prima un bottone, poi avvicina l'orecchio al portavoce. IMMACOLATA (da una parola che le è stata trasmessa ha compreso e risponde) Va bene. (Raggiunge un altro punto della stanza, stacca un altro piccolo quadro, pre¬me un altro bottone: una seconda cicala stride, imme¬diatamente la donna trasmette, avvicinando la bocca a un secondo portavoce simile al primo) Aprite il cancel¬lo. (Ora accende una candela, la infila in una bugia, poi con passo affrettato entra in una stanza attigua. Dopo poco torna, apre un'altra porta e scompare. Il giucco si ripete ancora con un'altra stanza). Finalmente da quella in cui è entrata Immacolata la prima volta, vediamo giungere Geraldina. Costei è la mi¬nore dei figli di Don Antonio Barracano. Come carat¬tere assomiglia al padre: istintiva, generosa, fiera, stoi¬ca, decisa: per un atto di giustizia non si piegherebbe nemmeno di fronte al plotone d'esecuzione. È bella: bruna, slanciata, piedi e mani di buona razza. Negli oc¬chi grandissimi e neri ha uno sguardo sconcertante per la sua impenetrabilità. La ragazza è stata svegliata al¬l'improvviso; infatti è assonnata, ma presente a se stes¬sa. Anche lei, come Immacolata, indossa una vestaglia. Ammucchiando i capelli e fermandoli con una forcinella raggiunge un mobile lo apre e prende un ampio qua¬drato di mussola bianca e un camice da intervento chi¬rurgico; il primo lo stende sul tavolo centrale, come per imbandire una mensa, il secondo lo adagia sulla spal¬liera di una sedia. Da un'altra stanza entra Gennarino, suo fratello, ventitré anni, capelli in disordine e pigia¬ma. Un po' più pigramente di sua sorella, apre un secon¬do mobile e prende un grande scatolone di latta rettan¬golare che contiene ferri chirurgici, una pila sterilizzatri-ce cromata, due grandi bottiglie, una piena di iodio, l'altra di sublimato, e un fornello ad alcool. Intanto tor¬na Immacolata recando due bacinelle di ferro smaltato bianco, una certa quantità di bende arrotolate, un gran¬de pacco di cotone idrofilo e una pila di candidi asciuga¬mani di lino. Da questo momento i tre, muti e compre¬si della gravita del momento, con movimenti ritmati e precisi in ogni particolare, improvvisano una vera e pro¬pria camera operatoria. Non mancano quattro resisten¬ti sedie da cucina che fanno da base a due tavole da letto, sulle quali le due donne hanno steso un candido lenzuolo, mentre Gennarino vi ha sistemato accanto un lume a stelo di fortuna.Dall'ingresso sopraggiunge Fa¬bio Della Ragione, il dottore. È un uomo sui sessanta-cinque anni di aspetto piacevole: volto espressivo, oc¬chi furbissimi, carattere freddo, fatalista. È in giacca di pigiama e pantalone, si avvicina al tavolo dando una rapida occhiata a tutto quello che c'è sopra per vedere
se manca qualcosa; aiutato da Immacolata indossa il camice bianco. Geraldina versa una certa quantità di alcool nella bacinella. Gennarino raccoglie tutti i ferri chirurgici che sono nella scatola di latta e li lascia cade¬re nella bacinella. Immacolata accende un fiammifero e brucia l'alcool che divampa improvviso e illumina di riverbero i quattro personaggi facendo danzare sinistra¬mente le loro lunghe ombre sulle pareti. Dall'interno, a distanza, giunge il vocio sommesso di tré uomini assie¬me a uno scalpiccio pesante e trascicato. I tré uomini sono: 'o Palummiellò, 'o Nait e Catiello, custode e por¬tinaio fedele della tenuta Barracano. PALUMMIELLÒ Mamma d' 'o Carmene... Mamma d' 'o Carmene! (Si tappa egli stesso la bocca per soffocare il grido di dolore a cui si abbandona. Ha una ferita d'ar¬ma da fuoco alla gamba destra). CATIELLO E zitto... e zitto! Siamo arrivati. PALUMMIELLÒ Mannaggia 'a Culonna... nun pozzo cammenà. 'o NAIT Fatte curaggio. CATIELLO Ma sei uomo o figliola zetella? PALUMMIELLO Fatemi riposare un poco. Il calpestio cessa. CATIELLO Ma che, si' pazzo? 'o NAIT 'A ferita fa infezione CATIELLO 'O dottore sta aspettando, PALUMMIELLÒ Mamma d' 'o Carmene... Mamma d' 'o Carmene! Il calpestio riprende e si avvicina sempre più. CATIELLO Nun ce penzà: si ce pienze è peggio. 'o NAIT Canta, canta... PALUMMIELLÒ E chi se fida 'e canta. Mamma d' 'o Car¬mene! Finalmente vediamo entrare i tré. Il ferito viene adagia¬to sul tavolo operatorio, con sistemi e accorgimenti da ricordare gli infermieri più esperti di un pronto soccor¬so. Ognuno ha il suo compito e sa quello che deve fare. Immacolata chiude le imposte della veranda. Gennari-no preme l'interruttore del lume a stelo per illuminare il campo operatorio, e infatti una violenta luce investe il corpo di 'o Palummiello. Geraldina porge al dottore i guanti di gomma. Immacolata, con passo svelto, se ne va in cucina. FABIO (rivolto a 'o Nait) Tu chi sei? 'o NAIT Sono il feritore, 'o Nait. FABIO (rivolto a Geraldina} La siringa. Geraldina prepara la siringa e poi la riempie con il medi¬cinale che Fabio stesso le ha indicato. PALUMMIELLO (grida come colto all'improvviso da una fit¬ta lancinante) Mamma d' 'o Carmene! FABIO Non gridare perché sta dormendo don Antonio. (Si rivolge di nuovo a 'o Nait) Gli hai sparato tu? 'o NAIT Sissignore, Dotto'. FABIO (mentre prende dalle mani di Geraldina la siringa pronta) E che fai qua? 'o NAIT Perché il fatto è successo verso l'una e tré quarti alla fine di via Marina, in prossimità dell'incrocio che a destra porta a San Giovanni a Teduccio e a sinistra all'autostrada di Pompei. PALUMMIELLO (e. s.) Aiutatemi! FABIO (flemmatico) Ti ho detto di non gridare. (Rivolto a Gennarino) Abbassagli il pantalone. (Dopo che Gen-narino ha eseguito l'ordine, Fabio con mano sicura prati¬ca la puntura a Palummiello) Adesso vedrai che il dolo¬re si calma. Geraldi', le forbici. (Geraldina ha compre¬so: si munisce di un paio di forbici adatte allo scopo e incomincia a tagliare dal basso in alto la gamba destra del pantalone di Palummiello. Velia bacinella la fiam¬ma dell'alcool si accorcia. Fabio ne approfitta per intro-
durvi una pinza, con la quale sceglie e raccoglie a uno a uno i ferri adatti per l'intervento. Frattanto si rivolge di nuovo a 'o Nait) E allora? 'o NAIT E allora... Quando ci siamo sparati... perché pu¬re lui ha sparato. (Trae di tasca una pistola) Questa è la sua. (La mostra intorno come per consegnarla a qualcu¬no). ^ FABIO (consapevole di certe insidie ammonisce pron¬to) Non la toccate. L'hai raccolta accanto a lui? 'o NAIT Sissignore. FABIO E tè la tieni in tasca tu: a chi la vuoi dare? ('O Nait intasca di nuovo l'arma) Dunque? PALUMMIELLO (con le mascelle serrate, come per sopraffa¬re il dolore acuto che lo tormenta) Perdevo sangue e cercavo aiuto: ma non passava anima viva. Lui, quan¬do ha capito che io ero caduto, se n'è scappato. 'o NAIT E che dovevo aspettare, che m'arrestassero? Ho voltato un vicolo che porta alla Ferrovia e m'allontana¬vo a passo normale. Più m'allontanavo e più sentivo che lui gridava: «Aiuto... Aiuto...» Nel cuore della not¬te fa impressione. E poi, che Madonna! Siamo amici. Ho fatto una corsa, professore mio, che tengo ancora il cuore che mi batte. Finalmente ho trovato un taxi e di tutta velocità sono tornato da lui. L'ho preso in brac¬cio, l'ho caricato a bordo e l'ho portato qua. PALUMMIELLO Io non l'ho riconosciuto: l'ho scambiato per un passante volenteroso. Se no ti sparavo. 'o NAIT Ma io ti potevo lasciare a terra senza sapere la gravita della ferita? PALUMMIELLO Grazie. (Con uno sforzo tende la mano a 'o Nait). 'o NAIT (gliela stringe affettuosamente) Per carità, è dove¬re. Adesso devi pensare solo a guarire. PALUMMIELLO Quando guarisco ti sparo. 'o NAIT E perché, io so' fesso? FABIO Finitela! E sono sicuro che la sparatoria è avvenu¬ta per motivi insignificanti. 'o NAIT No, no: la ragione è importante. Dovete sapere che lui... FABIO (sgarbato) Non m'affliggere, non voglio sapere niente. (Biasimando la condotta dei due che è poi quel¬la dell'intera categoria di uomini a cui essi appartengo¬no) Bei sistema: «Ci spariamo», «Ti sparo»... Già, non è colpa vostra. Ignoranti siete e ignoranti resterete. Immacolata entra recando un vassoio con la cuccuma del caffè e tutto l'occorrente. La donna serve prima il dottore, poi gli altri. PALUMMIELLO (implorante) Un sorso d'acqua... FABIO Non puoi bere. PALUMMIELLO (grida per il dolore) Mamma d' 'o Car-mene! FABIO Ti ho pregato, stai zitto. Adesso ti lamenti? Ci pensavi prima della sparatoria. PALUMMIELLO (alludendo a 'o Nait) Questo è un feten¬te ricchione... 'o NAIT 'O ricchione si' tu. FABIO (sorseggiando il caffè) Va bene, siete ricchioni tut¬ti e due. 'o NAIT Sapete la questione com'è nata? FABIO Non m'interessa. La bacinella! (Infanto Geraldi-na ha -denudato la gamba di Palummiello, ripiegando la stoffa dal pantalone fino alla sommità della coscia, met¬tendo in mostra la ferita d'arma da fuoco. L'intervento ha inizio. Geraldina, Immacolata e Gennaro funziona¬no da assistenti. Tutti e tré immergono le mani in un recipiente pieno d'alcool, poi le sollevano per lasciarle asciugare. Fabio mette via la taluna vuota, calta i guan¬ti ài gomma e immerge le mani nel recipiente dell'al¬cool. Chi prepara l'ovatta e i tamponi di garza; chi spen¬nella di tintura di iodio la zona da operare; chi, più pra¬tico, porge a Fabio i ferri che il caso richiede, tutto que¬sto senza battere ciglio, e con gesti appropriati. Il muto intervento avrà la durata di cinque minuti scarsi. Palum¬miello si contorce ma le forti broccia di Gennarino lo costringono all'immobilità. Il giovane si lamenta; pron¬ta, Immacolata gli tappa la bocca con una mano. Fabio
opera con calma e perizia professionale. Ora è sul pun¬to di introdurre nella ferita un ferro adatto per estrarre il proiettile. Prima di farlo chiede) II fazzoletto. Immacolata ne prende uno candido di bucato, lo spie¬gazza e, svelta, lo introduce tutto intero, appallottolan¬dolo via via, nella bocca di Palummiello. Fabio opera, nessuno fiata. Dalla strada provinciale giunge il suono chioccio di sonagliere sospese al collo di denutriti caval¬li che stentano a tirare i carretti colmi di ortaggi destina¬ti ai mercati generali, e roche voci di conducenti asson¬nati che ripetono i monotoni canti popolari tramandati di padre in figlio. Fabio ha messo via il proiettile estrat¬to dalla ferita. Dopo la medicazione, Immacolata e Ge¬raldina provvedono alla fasciatura. Subito dopo Imma¬colata va ad aprire le imposte della veranda. È più chia¬ro fuori; dalla veranda, oltre la distesa d'alberi, la luce bianca dell'alba scolora e respinge il blu cobalto della notte. Palummiello è svenuto, ma il polso è gagliardo. Gennarino molla la stretta con cui ha immobilizzato il paziente e ne approfitta per sorseggiare il suo caffè. 'o NAIT (ansioso) Come sta? FABIO (invece di risponderai gli mostra il proiettile affer¬mando) Calibro sei. 'o NAIT (evasivo) Embé... (Alludendo al miracolo di cui si è giovato l'amico, sentenzia misticamente) Lo deve portare a Pompei. FABIO Ma non al Santuario. Non credo che la Madonna vuole arricchire di un altro esemplare la collezione di pallottole che tiene. (Ironico) La deve mettere fra gli scavi, a dimostrazione dei passi giganteschi che sta fa¬cendo la civiltà. (Alludendo a Palummiello) Portiamo¬lo fuori... piglia un poco d'aria. Immacola', mettete una poltrona fuori. (Immacolata esegue). Gli mettete una coperta addosso. Appena rinviene se ne va. PALUMMIELLO (con un filo di voce) Ma... io voglio parla¬re col sindaco. 'o NAIT Io pure, IMMACOLATA (fermamente, come per far capire ai due che il sonno di don Antonio è sacro} Don Antonio sta an¬cora dormendo! GENNARINO E più tardi si sveglia meglio è. FABIO (a Immacolata) Si è addormentato subito, ieri sera? IMMACOLATA Lui non parla, ma da come si muove io capisco quello che pensa. Il fuoco è cominciato alle un¬dici e mezza. GENNARINO Ci stavano tré fuochisti in gara: 'o Turrese, Pachialone e 'o Nano d' 'a Siberia. GERALDINA (.ammirata) 'O Turrese è stato entusiasmante. GENNARINO Pure Pachialone. GERALDINA E lo vuoi mettere con il primo? Le granate del primo fuochista erano veramente guappe. Prima di tutto salivano a un'altezza che ti faceva male il collo qua dietro per seguirle, e poi si aprivano a ventaglio e a rosa, con una precisione che sembravano disegnate; e quando ti credevi che era finito, se ne apriva un'altra, e poi un'altra ancora... Verso la fine ne ha sparate tré o quattro a sei aperture e tré botte finali che hanno fatto tremare i vetri: sembrava che se ne cadeva la casa. IMMACOLATA E don Antonio si consolava. Quando si apriva una granata tutti gli amici guardavano a lui per vedere che faccia faceva, e lui muoveva la testa così (tentenna il capo imitando il gesto di approvazione di don Antonio) come per dire: «È buono, è buono». CATIELLO Quando è entrato in gara Pachialone, don An¬tonio già ha incominciato a fare la faccia schifata. Dopo due o tré granate del terzo poi, 'o Nano d' 'a Siberia, ha detto: «Buonanotte», come se avesse voluto dire: «Questo è un fetente», ha salutato gli amici e se ne è andato a letto. . - IMMACOLATA Naturalmente, per rispetto se ne sono an¬dati tutti quanti. Poteva essere la mezza. Dopo dieci minuti, un quarto d'ora, sono andata e ho aperto la porta piano piano, come faccio sempre, e ho visto che già dormiva a scialacore.
FABIO Sicché non è a conoscenza del fatto di donna Ar-mida? IMMACOLATA E no. Don Antonio se n'era andato a letto da più di un'ora. FABIO E come sta? Avete saputo niente? IMMACOLATA L'hanno medicata al pronto soccorso, a Na¬poli: dice che ha avuto dodici punti. FABIO Cose da pazzi. E io, proprio stanotte, sono torna¬to da Napoli dopo che era successo il fatto... Se no la medicavo io. GENNARINO L'abbiamo accompagnata io e Amedeo. FABIO E l'hanno ricoverata? GENNARINO No. Dopo la medicazione, siccome mammà soffriva e non ce la faceva a tornare un'altra volta in macchina fino a qua, Amedeo ha pensato bene di portar¬sela a casa sua. Ha detto: «Domani, appena si sente meglio, la metto in automobile e l'accompagno». Pure perché mammà si lamentava e se tornava qua, subito dopo il pronto soccorso, si svegliava papa e buonasera. IMMACOLATA Verso le tré Amedeo ha telefonato dicen¬do che 'a signora Armida si sentiva meglio e che s'era assopita. FABIO Ma io gliel'ho detto tante volte a don Antonio... Lui tiene la passione per quelle bestie, le alleva, ci per¬de la salute e non vuole capire il pericolo che rappresen¬tano per una famiglia: quelli sono animali feroci. Ci sta Malavita che non è un cane, è una belva. IMMACOLATA Quando apre la bocca sembra l'inferno: quant'è brutto! GENNARINO Ma io lo mando all'altro mondo con un col¬po di rivoltella in mezzo alla fronte. Questa volta o Munaciello o Malavita devono fare i conti con me. GERALDINA Se ti sente papa stai fresco. GENNARINO Quando appura che ha ridotto mammà in quelle condizioni, piglia lui stesso la rivoltella e lo am¬mazza. FABIO Di questo ne sono sicuro. IMMACOLATA Don Antonio tiene un'adorazione per don¬na Armida: figuriamoci se il cane la passa liscia. Durante questo dialogo i tré uomini hanno sollevato Palummiello a braccia e lo hanno sistemato nella poltro¬na che Immacolata ha messo fuori, oltre la veranda. Poi, insieme alle donne, hanno smontato l'improvvisa¬to tavolo operatorio, e rimesso in ordine la stanza. GENNARINO Mo me faccio una doccia, mi vesto, poi mi met¬to in macchina e me ne vado a Napoli, al negozio. Im¬macolata, preparami due uova sbattute col caffè e latte. IMMACOLATA Va bene. GENNARINO Permettete, dotto'. FABIO Prego. Gennarino esce. GERALDINA Io voglio un caffè e latte. (E se ne va in camera sua}. IMMACOLATA E voi, dottore, volete niente? FABIO Ho preso adesso il caffè. IMMACOLATA Più tardi, allora? FABIO Quando si sveglia don Antonio, insieme alla cola¬zione che portate per lui, portate un bicchiere di latte freddo per me. Così gli faccio compagnia. IMMACOLATA E porto pure qualche biscotto. FABIO Fate voi. CATIELLO Io me ne vado. Mi voglio mangiare qualche cosa perché mi è venuto un poco di languidezza di sto¬maco... Tengo nu piattiello di pasta e fagioli di ieri al giorno... State servito? FABIO Buon appetito. CATIELLO (indicando il quadro sulla parete di destra) Se mi volete, mi chiamate. FABIO Stamattina viene gente? CATIELLO Poca. Sarebbero stati una decina, ma don An¬tonio ieri mattina mi ha fatto cancellare dalla lista sette persone. Ha detto che lui quando viene a Terzigno vie¬ne per riposare. FABIO Ha ragione. Quando penso che fra una ventina di giorni ce ne torneremo a Napoli mi viene il freddo.
CATIELLO Ma è naturale. Lui, nel quartiere Sanità, rap¬presenta una potenza. FABIO Certi giorni si fa la folla sul portone. CATIELLO Stamattina devono essere ricevute tré perso¬ne: Pascale 'o Nasone. FABIO Chi è? CATIELLO Na carta 'e munnezze. Ma si tratta di una cosa sbrigativa. Non appena ha saputo che don Antonio si occupava del fatto si è precipitato. Non ci saranno com¬plicazioni. Con lui viene pure la parte avversaria: Vin¬cenzo 'o Cuozzo. Si stringono la mano in presenza di don Antonio e tutto è fatto. Il terzo è Rafiluccio Santa-niello, il figlio del panettiere che sta in una traversa di via Giacinto Albino, don Arturo, quello che si è sposa¬to due volte. È venuto ieri e l'altro ieri, e stamattina finalmente don Antonio lo riceve. Come vedete, giorna¬ta liscia. FABIO Meno male. CATIELLO (indicando 'o Naif e 'o 'Palummiello) Ci stan¬no quei due. FABIO Mo che tè ne vai chiudi. Se vogliono aspettare, aspettano fuori. CATIELLO Permettete. FABIO Sfatte buono. CATIELLO (nell'uscire si rivolge a 'o Nait) Se mi date una mano, mettiamo l'amico... (allude a Palummiello) un poco più in qua. (Indica un punto più lontano, ver¬so il pergolato a destra) II primo sole là arriva. (E tutti e due trasportano la poltrona su cui è seduto 'o Palum¬miello nel punto indicato. Il punto è nascosto, per cui i tré scompaiono. Dopo poco Gattello torna e si affaccia alla veranda per dire a Fabio) Io vado. FABIO Chiudi. Infatti Catiello chiude la veranda. IMMACOLATA (entrando) Don Antonio si è svegliato. FABIO Cosi presto? Sono le cinque e tré quarti. IMMACOLATA Ha suonato tré volte, una appresso all'al- tra: significa che stava già sveglio da più di un quarto d'ora. (E fila diritto verso la camera di don Antonio, ma si ferma perché lo vede arrivare) Uh, sta venendo qua fuori. FABIO Stanotte ha fatto caldo. Don Antonio compare sulla soglia. I settantacinque an¬ni dell'uomo sono invidiabili: è alto di statura, sano, asciutto, nerboruto. La schiena inarcata gli conferisce un'andatura regale; il colorito bronzeo della sua pelle darebbe più risalto al bianco vivo degli occhi, se un senso di difesa istintiva non lo costringesse a sorveglia¬re, più che a guardare, intorno a sé appesantendogli le palpebre, come se avesse perennemente sonno; ma nei rari momenti in cui quegli occhi si aprono e si increspa¬no ai lati per sorridere con voluta bonomia si scorge in essi uno sguardo agghiacciante che ricorda molto da vici¬no quello apparentemente mansueto della belva intristi¬ta perché costretta a vivere in cattività. Indossa con dignitosa disinvoltura una vestaglia di taglio perfetto e di colore sobrio, verde scurissimo. Dagli ampi risvolti di questa appare il candido collo della camicia da not¬te, bordato di galloncino vermiglio; i legacci dei mutan-doni all'antica pendono dalle caviglie e sfiorano i piedi nudi infilati in comode pantofole. Il dottore scatta in piedi alla vista di don Antonio e lo saluta rispettosamen¬te con un mezzo inchino. Immacolata indietreggia di qualche passo accennando un timido sorriso all'indiriz¬zo del suo padrone per dargli l'augurio di buona giorna¬ta, ma rimane sul chi vive, in attesa di una parola, un segno qualunque di don Antonio, che le possa chiarire di quale natura sia l'umore della «bestia», ai fini di prendere, con la certezza di non incorrere in errori irre¬parabili, un atteggiamento adeguato. Don Antonio, enigmatico, ricambia il saluto ad entrambi con un dop¬pio cenno del capo, poi si avvicina lentamente al tavolo e vi siede accanto. Lunga pausa durante la quale si svol¬ge una scena muta, piena di interrogativi, fra Immacola¬ta e il dottore. Finalmente Antonio fissa Fabio per un attimo indicandogli col mento la sedia che si trova all'al¬tro capo del tavolo, come per dire: «Sedetevi». Fabio capisce e siede.
ANTONIO (si massaggia un piede e domanda al dottore, sen¬za guardarlo) Vi siete svegliato presto, stamattina? (Fabio e Immacolata si guardano, non avendo ben capi¬to chi dei due sia stato interrogato. Don Antonio, sem¬pre massaggiandosi il piede, ha girato impercettibilmen¬te gli occhi sotto le palpebre pesanti e ha capito l'incer¬tezza dei due. Per un attimo sorride appena, poi chiari¬sce) Immacolata si sveglia sempre presto la mattina. Dovete rispondere voi, professo'. FABIO Già, avete ragione: devo rispondere io. ANTONIO Allora? FABIO C'è stato un intervento. ANTONIO (indifferente) Ah... FABIO Arma da fuoco. Si sono sparati 'o Nait e 'o Palum-miello. (Come per iniziare il racconto) Verso le quattro e mezza... IMMACOLATA Erano le quattro meno un quarto... FABIO Si, si. Dunque... ANTONIO (solleva appena la mano sinistra per interromper¬lo} Sss... Professo', ne parliamo dopo. (Il dottore si tappa la bocca con la destra, mentre con la sinistra fa un gesto come per dire: «non parlo più»), Mmacula'! IMMACOLATA (pronta) Dicite, don Anto'. ANTONIO Purtateme 'o scostumato. IMMACOLATA (che non ha compreso) 'O scostumato...? ANTONIO 'O parlanf accia. IMMACOLATA^. s. chiede spiegazione al dottore) Dotto'...? Fabio non può aiutarla perché neanche lui ha capito, ANTONIO L'unica cosa di questo mondo che quando parla dice la verità: 'o specchio. IMMACOLATA Ah! E io non avevo capito. (Esce svelta). ANTONIO (dopo un momento di meditazione) No, mi sba- glio: c'è un'altra cosa che non dice mai bugie: 'a mor¬te. L'uomo che appartiene alla streppegna schifosa e fal¬sa dell'umanità, per commettere ingiustizie si può finge¬re sordo, muto, cecato, malato 'e core, paralitico, tisi¬co, pazzo... se po' fa credere in punto di morte... e i medici, compreso voi professo', devono fare prove e controprove per assodare se l'infortunio o la malattia sono veraci o no; ma quanno è morto, 'o core dice 'a verità: se ferma. E allora è l'unico momento che il medi¬co curante è sicuro di quello che dice, senza paura di sbagliare: il decesso è avvenuto per paralisi cardiaca. Ve truvate, professo'? FABIO Eh... come no. IMMACOLATA (torna recando uno specchio portatile) Qua sta il parlanfaccia. (E lo porge ad Antonio). ANTONIO (specchiandosi e rivolgendosi direttamente allo specchio) Neh, scustumatone! E se dice chesto? E che tengo sittantacinc'anne c'aggia da' cunto a qualche-duno? Questo? (Indica a se stesso il solco profondo che si trova tra le sopracciglia) E questo non ha niente a che vedere con l'età. Questo si chiama Giacchino, 'o guardiano d' 'a tenuta Marvizzo, a Scafati... T' 'o ricuor-de? (Poi si rivolge a Fabio, pronunciando ancora una volta quel nome, con la mascella inferiore protesa e le palpebre completamente abbassate) Giacchino... FABIO (ironico) Sta bene dove sta. ANTONIO A diciott'anni già tenevo questa ruga in mezzo alla fronte. Queste altre qua (ne indica altre) pure si ricordano qualche cosa. Professo', i settantacinque an¬ni si vedono da questo, guardate: se faccio cosf col dito sulla faccia e spingo, quando lo tolgo rimane un incavo, come se lo avessi affondato in una pagnotta di pane crudo, e ci vuole un po' di tempo per rimettersi la car¬ne a posto. , - FABIO (convinto) Don Anto', voi avete una fibra d'ac¬ciaio e una salute di ferro. ANTONIO Possiamo aprire un'officina. (Porgendo lo spec¬chio a Immacolata) Tie', tie'. Le verità non sempre fan¬no bene. (Immacolata ripone lo specchio). Mmacula'!
IMMACOLATA Dicite. ANTONIO Me voglio vestì. IMMACOLATA Pronto. E a doccia non ve la fate? ANTONIO Già fatta. IMMACOLATA (delusa) E nun m'avete chiamata? ANTONIO Non l'ho creduto necessario, e poi volevo stare solo. Voglio fare colazione e poi mi vesto. IMMACOLATA Subito vi servo. (Esce). ANTONIO (sbadigliando) Prufesso', con tutta la pillola che mi avete dato, ho dormito precisamente tré ore... A me basterebbero cinque ore di sonno: tré ore so' poche. FABIO Di quelle pillole ne potete prendere anche due: una prima di cena e una dopo. ANTONIO Ho sentito pure quando è arrivata la macchina al cancello, la voce di Catiello, il traffico qua fuori. Ho capito che si trattava di un intervento, ma ho pensato: se hanno bisogno di me mi chiamano. FABIO Non ce n'era bisogno. Abbiamo fatto tutto da noi. ANTONIO Ci stava pure Geraldina? FABIO Geraldina, Gennaro e Immacolata. ANTONIO E Amedeo? FABIO Amedeo no. ANTONIO E perché? FABIO È andato a Napoli. ANTONIO Ieri sera, dopo i fuochi, siccome si fece tardi, disse che dormiva qua... FABIO Poi c'è stato l'incidente. ANTONIO L'incidente? FABIO Fate prima colazione e poi parliamo. ANTONIO Tanto che è grave? FABIO Grave no, altrimenti vi avrebbero svegliato, ma fastidioso si. Io non c'ero e m'è dispiaciuto assai. ANTONIO (lievemente preoccupato, come un presentimen¬to, domanda) Armida addò sta? Immacolata entra recando un vassoio ovale, fine seco¬lo, decorato a fiori variopinti, con sopra una brocca di latte, due bicchieri, un coltello da cucina con lama affila-tissima e una pagnotta di pane casareccio, fresco. IMMACOLATA Ecco servito. (Colloca il vassoio al centro del tavolo) Adesso vi porto prosciutto e fichi. ANTONIO Aspetta. (Rivolto al dottore) Allora? FABIO Immacola', voi eravate in casa: parlate voi. IMMACOLATA 'E che cosa? ANTONIO (gelido) Insomma, è successo qualche cosa a mia moglie? FABIO La signora Armida è stata morsicata da un ma¬stino. ANTONIO Quando? [Impugna il coltello e affetta la pa¬gnotta). IMMACOLATA (versando il latte nei bicchieri) Verso l'u-na dopo mezzanotte. Ce ne eravamo andati a letto tutti quanti. (Porge i bicchieri colmi ai due uomini) L'ulti¬ma è sempre donn'Armida, perché le piace di mettere a posto la casa senza scocciature... di preparare qualche cosa per il giorno appresso. Ho sentito strillare, e quan¬do sono arrivata l'ho trovata più morta che viva, col vestito stracciato e sporco di sangue. (Antonio ascolta come se il fatto non lo riguardasse direttamente: intin¬ge il pane nel latte e mangia. Fabio mangia e beve an¬che lui). Gennarino e Amedeo l'hanno accompagnata a Napoli con la macchina, al pronto soccorso. Io vi vole¬vo chiamare, ma donn'Armida ha detto: «No, no: quel¬lo dorme, se lo svegliate perde pure quelle tré o quat¬tro ore di sonno che si fa». ANTONIO (gelido, ma intimamente colpito) È buono, stu latte... Pane e latte, la mattina, è la più migliore co¬lazione. IMMACOLATA E questo è genuino. FABIO Ne dovreste bare- un bicchiere pure la sera. ANTONIO No, la sera no. (Alludendo alla moglie) E mo addò sta? IMMACOLATA A Napoli, a casa di Amedeo. Dopo la medi-cazione l'ha portata là. ANTONIO Ha telefonato?
IMMACOLATA Come no. Ha telefonato verso le due e mez¬za dicendo che donn'Armida s'era assopita e che appe¬na si sentiva meglio la metteva in macchina e la riporta¬va qua. ANTONIO Chi è stato, Munaciello o Malavita? IMMACOLATA No, questo la signora non me l'ha detto. ANTONIO (dopo breve meditazione) Munaciello no. Muna¬ciello è giudizioso e tiene una certa affezione per Armi¬da. Malavita è una selvaggia: non conosce a nisciuno. FABIO Sono cani pericolosi. Immacolata esce e poi torna a suo tempo. ANTONIO (come per autorizzare Fabio a riprendere il rac¬conto di Palummiello) Poi c'è stato l'intervento? FABIO Già. ANTONIO E 'O fatto? FABIO Stanno qua fuori. (Indica la veranda) So' due fe¬tenti, 'o Nait e 'o Palummiello. Si sono sparati per moti¬vi equivoci. Secondo me il caso non vi potrà interes¬sare. ANTONIO E perché stanno qua fuori? FABIO Vogliono parlare con voi, evidentemente per appia¬nare la questione. Immacolata torna recando un attaccapanni portatile, di quelli con le rotelle, con sopra il vestito di don Anto¬nio, ben stirato; e tutto l'occorrente per completare il-suo abbigliamento: cravatta, fazzoletto, camicia e scar¬pe; reca pure una scatola rettangolare coi gioielli: cate¬na d'oro, orologio, polsini e anelli. ANTONIO (aiutato da Immacolata si libera della veste da camera e poi della camicia da notte) E voi, professo', avete deciso? FABIO Don Anto', voi conoscete la mia natura. Sono un uomo sincero dalla punta dei piedi a quella dei capelli. ANTONIO Vi ho domandato se avete deciso. FABIO Don Anto', non ci burliamo: la mia partenza v'ad- dolora. Dopo trentacinque anni e più di collaborazione, diciamo, e mi permetto dire, di amicizia, si capisce che la mia decisione vi mette in imbarazzo, in quanto rende più difficile il compito che vi siete prefisso di portare a termine e che finora abbiamo svolto insieme. Sarò pre¬suntuoso, ma dovete ammettere che vi viene a mancare il braccio destro della funzione pratica di un'idea che ha impegnato nella sua attuazione quasi tré quarti della vostra vita. Siamo d'accordo? ANTONIO (sempre aiutato da Immacolata, si è infilato i pan¬taloni, ha calzato i pedalini e le scarpe. Ora si accorge che Immacolata prende dalla scatola i gemelli d'oro per infilarli ai polsi della camicia) Mmacula', vi ho detto che questo non è servizio che dovete fare voi: tenite 'e mmane sudate e sporche 'e cucina. IMMACOLATA (mostrando le mani aperte ) Cheste so' spor¬che? ANTONIO (taglia corto} Chiamate Geraldina. IMMACOLATA (si rassegna} E mo vi chiamo Geraldina. (Esce svelta). ANTONIO (ripigliando il discorso interrotto) Siamo d'ac¬cordo. E allora? FABIO (riassumendo in una sola frase la sua intima convin¬zione) Sono stanco di girare a vuoto. ANTONIO Quando partite? FABIO Dopodomani. ANTONIO Con l'aeroplano? FABIO Ho fatto pure il biglietto. ANTONIO (ambiguo) Dopodomani è venerdf. Vi conviene partire di venerdì? Di Venere e di Marte... mah! Se avete deciso... Ad ogni modo, qualunque aeroplano prendete, nella giornata di sabato siete arrivato a Nuo¬va York. FABIO (sospettoso) E che significa? ANTONIO (e. s.) Che è mio dovere farvi trovare all'aero¬porto degli amici che vi riceveranno come si conviene. FABIO (si rende conto dell'insidia e impallidisce. Dopo una breve pausa balbetta) Don Anto', questa è una minaccia.
ANTONIO Un avvertimento, volete dire. (Sincero e convin¬to della legittimi/,', del particolare senso di giustizia con cui ha sempre affrontato e risolto i casi umani della vita) Prufesso', io la notte devo mettere la testa sul cuscino e devo dormire. Per fare questo devo tenere la coscienza a posto. Quando piglio un provvedimento de¬finitivo nei confronti di una persona, in questo caso nei confronti vostri, prima di tutto devo essere convinto che non potevo agire altrimenti; secondariamente deb¬bo avvertire l'interessato. E mi spiego... Geraldina entra seguita da Immacolata. GERALDINA Papa, buongiorno! (Corre dal padre e lo ab¬braccia con infinito amore), ANTONIO (intenerito) Geraldi', bella 'e papa, tengo 'a cam-misa stirata... GERALDINA Allora, tanti baci. (Lo bacia ripetutamente) Avete dormito bene? ANTONIO Non c'è male. GERALDINA (mostrando le mani) Guardate come sono pu¬lite. 'E gemelli v' 'e mett'io. (Comincia ad infilare i gemelli nella camicia). ANTONIO E Gennaro? IMMACOLATA Vi sta scegliendo la cravatta. Ha voluto sa-pé 'o culore d' 'o vestito, e ha ditto che 'a cravatta che avevo preparato io (la mostra) non è adatta. ANTONIO (compiaciuto) Gennarino tiene gusto. Mo ne porta quattro o cinque per farmi scegliere... po', tanto fa e tanto dice fino a che me fa mettere chella che piace a isso. Entra Gennarino, reca infatti sei cravatte differenti, ma tutte adatte al vestito che indosserà Antonio quel giorno. GENNARINO Buongiorno papa. ANTONIO Buongiorno. Damme nu bacio. Si baciano.
GENNARINO (mostrando le sei cravatte al padre) Vedete quale vi piace. IMMACOLATA (mostrando quella scelta da lei) Pecche, questa non è buona? GENNARINO La cravatta è una cosa personale, e uno se la deve scegliere a gusto proprio. Papa non ha mai avuto bisogno di consigli. (Rivolto al padre) Scegliete. ANTONIO A tè quale ti piace? GENNARINO Se vi devo dire la verità; mi piacerebbe que¬sta. (Indica la più vistosa delle sei). ANTONIO Gennari', io tengo sittantacinc'anne... T' 'o vuó mettere ncapa, sf o no? Faccio fa' e nummere cu' sta cravatta! GENNARINO Vuie ve site fissato cu' sti sittantacinc'anne: dove si vedono? ANTONIO Nun se vedono, ma m' 'e sento. GERALDINA Papa mio è giovane. (Abbraccia con slancio il padre e lo bacia come prima). GENNARINO Per conto mio questa è la cravatta che vi do¬vete mettere con quel vestito, e nessuno vi può dire niente. ANTONIO E va be', me metto chesta, abbasta che tè staie zitto. (Prende la cravatta indicata dal figlio e la fa scor¬rere sotto il collo della camicia e comincia ad annodar¬la) A che ora tè ne vai? GENNARINO Se vi sbrigate ce ne andiamo assieme. ANTONIO No, io non esco. Tengo che fa' in casa. GENNARINO E io tengo che fa' a Napoli. Aggio combinato tré arredamenti completi per tré matrimoni. Contratto • fatto. M'hanno dato pure l'anticipo. Prezzo chiuso. Sa¬pete quanto guadagno? ANTONIO So' affari tuoi. GENNARINO Ma pure per soddisfazione. ANTONIO 'A soddisfazione mia è che tu sei soddisfatto. GENNARINO E 'a mia è quando vi vedo allegro e di buona salute. ANTONIO (rivolto a Immacolata} 'E cane hanno man¬giato? IMMACOLATA Non ancora.
GERALDINA Avete saputo 'o fatto 'e mammà? IMMACOLATA Sì, l'ha saputo. GENNARINO Papa, se mi date il permesso, il cane lo soppri¬mo io. GERALDINA Povera bestia! IMMACOLATA M' 'a chiamme povera bestia? Chella pove¬ra signora n'ato poco moriva di paura. GENNARINO Ma io ve l'ho detto: un colpo di rivoltella in fronte non ce lo leva nessuno. IMMACOLATA Sia lodato Iddio! Mi dispiace perché certa¬mente uno s'è affezzionato, ma nu bestione 'e chillo è meglio ca more. Don Anto', io non l'aggio fatto mangia ancora perché voglio sapere da voi se devo preparare due zuppe o una sola. ANTONIO (rivolto al figlio) 'E cane so' 'e miei. Tu fatte 'e fatte tuoie. (A Immacolata) E voi preparate le due zup¬pe, come avete fatto sempre. IMMACOLATA Va bene. Don Antonio è completamente vestito. Ora Geraldina gli porge l'orologio d'oro con la catena e gli anelli. GERALDINA (ammirata) Quanto site bello, papa! (L'ab¬braccia e lo bacia di nuovo) La gente poi dice: «Ma tu quando ti sposi?» E addò se trova n'ommo comm' a papa? (Intanto raccoglie le pantofole, ripiega la vesta¬glia, e riporta tutto in camera di Antonio). Immacolata sbarazza il tavolo, mentre Gennarino ripor¬ta in camera sua le cinque cravatte. FABIO (timido) Don Anto', mi stavate spiegando... ANTONIO In merito alla partenza? FABIO In merito alla partenza. ANTONIO Prufesso', voi siete padrone tanto di vivere gli anni che vi ha concesso nostro Signore, tanto di chiude¬re la vostra esistenza fra dieci minuti. Se ve ne partite, ve lo dice Antonio Barracano: avete chiuso. (Fabio im¬pallidisce). Secondo voi questa è una minaccia? Mi sie- tè stato vicino per tanti anni... Conoscete la mia natu¬ra... come potete pensare una cosa simile? L'omino 'e niente minaccia, siamo d'accordo. Lo fa per intimidire la persona e ottenere lo scopo, e se non l'ottiene può essere pure che rinunzia di mettere in esecuzione la mi¬naccia, e tutto torna come prima. Cioè, non come pri¬ma, perché la persona ha fatto una bella figura in quan¬to non ha mollato, e quello che ha minacciato conferma la sua qualifica d'omino 'e niente. Ma io ho deciso. Adesso dovete decidere voi. Come vedete non è una minaccia, ma un avvertimento. FABIO E non avete nessun dubbio sui fatti che si sono svolti da trentacinque anni in qua, che vi potrebbe far modificare la decisione che avete preso? ANTONIO (dopo una breve meditazione) Sf, ce l'ho. Mi dovete spiegare che significa: «Sono stanco di girare a vuoto». FABIO (fissa don Antonio con uno sguardo timido e accora¬to; finalmente decide di vuotare il sacco una volta per tutte) Don Anto', finalmente ho capito. Ho capito chi siamo io e voi: io un incosciente fesso, e voi un de¬mente. ANTONIO (calmo) Che so'? FABIO (esasperato da quella calma diventa più aggressi¬vo) Siete un pazzo, un illuso. Questo siete. E io sono uno sventurato che a trentadue anni ha avuto la disgra¬zia d'incontrarvi, di credere in quello che dicevate, di seguirvi, di aiutarvi, e che ora si trova, a sessantaquat-tro anni, vecchio, deluso e rincoglionito; trent'anni rap¬presentano la vita di un uomo, e noi li abbiamo spesi per proteggere una rete di delinquenti che fa vergogna al nostro paese; abbiamo rischiato la galera, io e voi, non una ma milioni di volte, per agevolare una classe di uomini spregevole e abietta, che è poi la vera" piaga di una società costituita. ANTONIO La vera vittima, volete dire. FABIO Vittima? ANTONIO È naturale. Perché si tratta di gente ignorante, e la società mette a frutto l'ignoranza di questa gente.
Professo', sui delitti e sui reati che commettono gli igno¬ranti si muove e vive l'intera macchina mangereccia del¬la società costituita. L'ignoranza è un titolo di rendita. Mettetevi un ignorante vicino e campate bene per tutta la vita. Ma l'ignorante ha capito. Ha capito che «chi tiene santi va in Paradiso », e dice: « Se vado in tribuna¬le per appianare questa vertenza, con tutto che ho ragio¬ne, può darsi che la parte avversaria o si serve dei " san¬ti" che probabilmente tiene in paradiso, o presenta tré o quattro testimoni falsi...» I quali si pagano, lo sape¬te: stanno all'entrata del tribunale stesso: si affittano. «Non dire falsa testimonianza! » questo l'ha detto Ge¬sù Cristo. Per dirlo lui vuoi dire che si faceva... e si fa ancora, prufesso'! (imita il tono severo di un magistra¬to) «Giurate di dire la verità, tutta la verità, nient'al-tro che la verità», e i quattro fetentoni giurano. Allora c'è il mezzo, dite voi: si attaccano di falso. Prove non ce ne sono, e se ce ne sono spariscono perché 'e denare teneno 'e piede, 'e denare teneno 'e rote e l'ignorante non solo perde la causa ma si piglia pure quattro quere¬le per diffamazione. Ora mo, l'ignorante invece di corre¬re il pericolo di andare in tribunale va direttamente, di persona, dalla parte avversaria per farsi giustizia con le sue mani. Lui va carcerato lo stesso, è vero, ma la parte avversaria se ne va al camposanto. Professo', e io non sono un assassino? Giacchino, 'o guardiano d' 'a tenuta Marvizzo chi l'ha ucciso, non l'ho ucciso io? E la ragio¬ne la conoscete? FABIO No, e non ve l'ho mai chiesta. ANTONIO Se vi dico che la ragione era dalla parte mia mi dovete credere. Avevo diecimila volte ragione. Quel¬la carogna doveva morire. Mi creai tutti gli alibi, pre¬sentai otto testimonianze false. Fui assolto per legit¬tima difesa, e oggi sono incensurato e tengo il porto d'arme. FABIO E che significa? ANTONIO Che chi tiene santi, va in paradiso, e chi non ne tiene... FABIO ... va all'inferno. ANTONIO No, viene da me. FABIO E mentre noi ci adoperiamo per mettere pace con giustizia, gli ignoranti continuano ad amma2zarsi come tanti conigli. ANTONIO Ma in trent'anni quanti ferimenti e delitti abbia¬mo evitati. FABIO Sono assai: è un mare di gente. Come potete pre¬tendere di portare a termine un'impresa cosi sproporzio¬nata, assurda! E poi, io sono stanco di aggiustare teste, ricucire pance, estrarre proiettili da gambe, braccia, spalle... (Comincia a perdere il controllo dei suoi gesti. Un tremito nervoso si impossessa del braccio destro e si propaga pian piano in tutto il corpo, la voce gli si altera via via fino a caratterizzare quella stridula e scroc¬cante di coloro che sono attanagliati da veri e propri attacchi d'isterismo) Ho pagato a caro prezzo il giorno maledetto che vi ho conosciuto. Mi tenete con voi da trent'anni come un prigioniero, in ostaggio. È la terza volta che mio fratello mi paga il biglietto per farmi andare in America con lui, dove troverei finalmente ri¬poso e vita dignitosa, ed è la terza, volta che mi fate perdere l'occasione. Invece di farmi uccidere in Ameri¬ca, uccidetemi qua... (Spalanca le braccia e mostra il petto a don Antonio) Avanti, uccidetemi, così non se ne parla più. (Ora grida con tutte le sue forze) Ero un professionista onorato. Mio padre, Oreste Della Ragio¬ne, ottenne la cattedra e fu insegnante all'Università di Napoli per quarant'anni. (Pesta i piedi e piange come un bambino) Ho disonorato un cognome... Faccio schi¬fo, sono una chiavica! Un fetente! (Barcolla e cade a sedere, miracolosamente, sulla sedia) Un fetente fottu¬to, questo sono! GERALDINA (accorrendo allarmata) Ch'è stato, papa? Immacolata sopraggiunge e si mette in ascolto. GENNARINO (accorrendo) Geraldi' che c'è? FABIO (come preso da un irresistibile freddo nervoso, bat¬te i denti per cui stenta a pronunciare le parole) Mi
devo mettere a lett-tto... (Si tasta il polso) Fra cin-n-que minu-ti mi scoppia la fe-b-bre... IMMACOLATA (premurosa) Prufesso'... GENNARINO Volete un bicchierino di cognac? FABIO Prepa-ra-temi il le-t-to e una borsa d'acqua ca-l-da... (Immacolata esce svelta). Accom-pagna-te-mi in ca-mera mia. Geraldina e Gennaro gli si avvicinano per aiutarlo. ANTONIO (che è rimasto impassibile, interviene ambiguo e fermo nella sua idea) Se vi scoppia la febbre, per parti¬re dovete aspettare che state bene, non vi pare? FABIO Già... (Aiutato dai due si sta avviando alla sua stanza). ANTONIO E se vi passa la febbre, che fate... partite? FABIO (dopo una breve pausa) Non lo so. Per ora speria¬mo che mi passi la febbre. (Esce sostenuto dai due ra¬gazzi). Gattello spinge garbatamente la porta a vetri della ve¬randa e la richiude dietro di sé. Scorge don Antonio e gli si avvicina togliendosi il berretto. CATIELLO Don Anto', se state comodo... ANTONIO (bofonchia appena) Chi è? CATIELLO È venuto Pascale 'o Nasone, Vicienzo 'o Cuoz-zo... Poi ci sta pure Rafiluccio Santaniello con una ra¬gazza. ANTONIO Rafiluccio Santaniello? CATIELLO 'O figlio d' 'o panettiere. ANTONIO Ah. E po'? CATIELLO Qua fuori poi, ci stanno 'o Nait e 'o Palum-miello che pure vogliono conferire con voi. ANTONIO (rivolto a Geraldina che sopraggiunge) Geral¬di'. GERALDINA Papa? ANTONIO Piglia l'incartamento e trova la pratica Cuozzo-Nasone. GERALDINA {prende da un mobile dei grossi fascicoli, siede al tavolo e comincia a cercare la pratica. Scorrendo i nominativi) Nasone, Nasone, Nasone... Cuozzo, Cuoz-zo, Cuozzo... e addo sta? ANTONIO {a Gattello} Fa entrare questa gente. CATIELLO Tutti quanti? ANTONIO Gnorsi. CATIELLO Pronto. (Esce per la veranda). GERALDINA {ha trovato la pratica) Eccola qua. ANTONIO Di che si tratta? GERALDINA Una cambiale di trecentomila lire che si tro¬va nelle mani di Pascale 'o Nasone, a firma di Vicienzo 'o Cuozzo. ANTONIO Ah, sì, con l'interesse del dieci per cento alla settimana, che diventa il quaranta dopo un mese. GERALDINA Già. ANTONIO E Santaniello? GERALDINA Di Santaniello non c'è scritto niente, perché non ha ancora parlato con tè. ANTONIO E 'o Nait e 'o Palummiello? GERALDINA Sono i due che si sono sparati stamattina. ANTONIO Quelli dell'intervento. Ho capito. Embè, vengo¬no da me dopo che si sono sparati? Catiello spalanca tutt'e due le porte a vetro della veran¬da e introduce le persone che ha annunciate nella scena precedente. CATIELLO Entrate. Uno dopo l'altro entrano: Vicienzo 'o Cuozzo, Pascale 'o Nasone, 'o Nait, 'o Palummiello, per ultimi entrano Rafiluccio Santaniello e Rita Amoroso. La ragazza è ve¬stita di poveri indumenti che rendono più commovente il suo stato di avanzata gravidanza. Ha il volto di un pallore cadaverico e sono evidenti in lei i segni di una vita stentata fatta di continue rinunzie e privazioni del cibo. Per fortuna ha due grandi occhi neri per sorri¬dere ancora. E lo fa volentieri, continuamente, per evi¬
tare agli altri il disagio di sentirsi responsabili del suo stato miserevole. Il suo passo è malfermo; ma Rafiluc¬cio, il suo uomo, un bei ragazzo povero come lei, la sostiene amorosamente. VICIENZO (e un falegname, veste decorosamente. Si nota in lui un certo umore nero: infatti l'amarezza che ha dentro gli si legge in faccia, dell'entrare si toglie il berretto e si rivolge rispettosamente a don Anto¬nio) Don Antonio, i miei rispetti. PASCALE (è un uomo privo di moralità. Lo si potrebbe inquadrare tra il biscazziere e il tenutario di bordello. Indossa abiti sofisticati e ostenta preziosi; se parla, si ascolta; se c'è uno specchio, è suo. Verso Don Antonio si scappella da vigliacco e untuoso) Don Antonio, vi sono servo devoto. RAFILUCCIO Don Antonio, buongiorno. ANTONIO (a tutti i saluti ha risposto con un breve cenno del capo) Tu sei Santaniello? RAFILUCCIO A servirvi. (.Indicando Rita) La mia fidan¬zata. ANTONIO (dopo una breve pausa durante la quale avrà pun¬tato un occhio sul pancione di Rita, mastica un incom¬prensibile monosillabo) Uhm... Se aspettate un altro poco fate matrimonio e battesimo tutto assieme. RAPILUCCIO {apparentemente compiaciuto) Già. ANTONIO Dice che mi devi parla... RAFILUCCIO Veramente la faccenda mia è un poco com¬plicata e... ANTONIO Ho capito, è una cosa lunga. Allora vattene cu' a fidanzata fuori 'a masseria, ve fate na passeggiata, pigliate un poco d'aria; io mi sbrigo queste piccole fac¬cende e poi ti chiamo. RAFILUCCIO Come volete voi, don Anto'. (A Rita) Vie¬ne. (Esce con Rita). ANTONIO Tu si' 'o Nait e tu 'o Palummiello? 'o NAIT A servirvi. PALUMMIELLO A servirvi. ANTONIO Sedetevi là, 'o NAIT Col vostro comodo. (Siede in disparte con Palum-miello). ANTONIO (rivolto a 'o Nasone) Che si dice a Napoli? PASCALE La solita vita. Mia sorella ha avuto un altro bambino... e con questo sono la bellezza di sei; due maschi e quattro femmine. ANTONIO Dove ci sono figli c'è provvidenza. PASCALE Facciamo la volontà di Dio, sempre sia lodato. Non ci potiamo lamentare. ANTONIO (indicando Vicienzo} E vogliamo aggiustare que¬sta faccenda? PASCALE Quale faccenda? ANTONIO Pure Vicienzo tiene i figli. VICIENZO Sei. PASCALE Vuoi dire che la Provvidenza non mancherà nemmeno in casa sua. ANTONIO Pasca', a me nun me piace 'e parla assai, e po', la giornata è corta. Il fatto è andato cosi: l'altro giorno sono stato a Napoli per fare certe spese. Al Rettifilo ci siamo incontrati io e lui. (Indica Vicienzo} «Vicienzo bello», «Caro don Antonio». Io conoscevo il padre, un grande galantuomo e amico. «Vicie', ch'è stato? Tie¬ne na brutta faccia». Basta, per parlare brevemente, Vicienzo qui presente mi dice che era venuta la distru¬zione della sua famiglia, in quanto lui, per causa di una cambiale di trecentomila lire, sulla quale stava pagando un interesse di trentamila lire alla settimana da sette mesi... per farla finita, doveva sparare a Pascale 'o Na¬sone. PASCALE A me? VICIENZO (in uno scatto di sincera disperazione) M'ha di¬strutto, don Anto'... Ha distrutto 'e figlie mieie. Cento-ventimila lire al mese io nun 'e guadagno, m'avita crede¬re, e sto pagando 'da' sette mesi... E tengo sempre un debito 'e trecentomila lire ncopp' 'e spalle. 'E figlie mieie se mòreno 'e famme! E sta carogna nun sente pietà... Ogne fine 'e mese, nu guaio. Mia moglie ha ven¬duto pure 'e materazze. Tenevo nu bello vestito nuovo
nuovo, m' 'o mettevo 'a domenica: me so' venduto pu¬re chillo! PASCALE Ma io non capisco. Quando ti servivano i soldi tè li sei saputi pigliare? Non lo sapevi quello che dove¬vi pagare? Se me li restituivi dopo una settimana, fa¬cevi un affare, perché trecentomila lire ti sarebbero co¬state trenta. Don Anto', è gente che non si sa regolare. VICIENZO 'E solde m' 'e pigliale pe' fa' fa' l'operazione a mia figlia. PASCALE Hai ragione, ma se mi vengono meno i paga¬menti mi devo fermare... e io pure tengo famiglia. VICIENZO Tu si' nu Dio. 'e fetente! E tiene 'a macchina pecche affitte 'e cammere a ore, e tua moglie riceve clien¬ti in casa pure quando ce staie tu. PASCALE Tu dammi i soldi che mi devi e poi discuti e ti metti all'altezza. ANTONIO Vogliamo concludere? PASCALE Eh... concludere... lui ha detto che mi vuole spa¬rare... se la sente di pigliarsi trent'anni di galera? ANTONIO L'altro giorno mi disse che ti voleva sparare. Ma poi ha cambiato idea, e ieri è venuto da me per mettermi al corrente del nuovo programma. VICIENZO (cadendo dalle nuvole} Ieri sono venuto da voi? ANTONIO (freddo} Sfatte zitto. Ieri sei venuto da me e mi hai portato le trecentomila lire. VICIENZO (più meravigliato di prima) Io...? ANTONIO Stavamo dicendo. Vicienzo ha consegnato nelle mie mani le trecentomila lire. PASCALE Don Anto', mai per diffidenza: ma perché non le ha portate a me? ANTONIO Perché gli interessi dell'ultimo mese non li vor¬rebbe pagare, e allora ha pregato me di intercedere pres¬so di voi. Naturalmente e umanamente, se voi tenete presente che in sette mesi le vostre trecentomila lire vi hanno fruttato lire ottocentoquarantamila, a mio avvi¬so potete chiudere un occhio. PASCALE (rabbonito e soddisfatto, soprattutto d'incassare le trecent mabilità di don Antonio Barracano? Una vostra preghie¬ra è un comando per me. ANTONIO Avete portato il titolo? PASCALE Eccolo qua. (Lo estrae dal portafoglio e lo mo¬stra). ANTONIO (glielo toglie delicatamente di mano) Facciamo qua le pezze e qua il sapone. PASCALE Precisamente. ANTONIO Vi dovete accontentare di tutti biglietti da die¬cimila... PASCALE Non vi preoccupate. Io tengo la tasca segreta nella fodera della giacca. ANTONIO E allora siamo a posto. (A Geraldina) Bella 'e papa, apri 'o tiretto. GERALDINA Quale tiretto, papa? (Guarda il tavolo che non ha ombra di cassetti). ANTONIO Questo tiretto qua, figlia mia. (finge di aprire un cassetto al centro del tavolo) Ecco qua, questi sono tré pacchi da centomila lire ognuno, (finge di prendere i tré pacchi) Uno, due e tré. (Li mette sul tavolo con lo stesso sistema) Don Pasqua', io li ho contati: volete avere l'amabilità di contarli voi, adesso? PASCALE (non avendo ancora capito il gioco, guarda Anto¬nio non sapendo se dubitare delle proprie o delle facol¬tà mentali dell'altro) Don Anto', e che conto? ANTONIO Le trecentomila lire. PASCALE (e. s.) Ma... Don Anto'... ANTONIO Contate. (E punta con insistenza negli occhi del¬l'uomo il suo sguardo d'acciaio). PASCALE (impaurilo e quasi affascinato da quello sguardo tremendo, capisce che l'unica via di salvezza per lui è quella di contare l'immaginaria somma. E sotto gli oc¬chi vigili di Antonio e quelli divertiti degli altri, Pasca¬le, con la morte nel cuore, finge di mettere l'uno sull'al¬tro trenta fogli da 'diecimila) Uno, due, tré, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci... ANTONIO E sono cento. Contate. PASCALE Uno, due, tré, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci.
ANTONIO Duecento. Contate. PASCALE Uno, due, tré, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci. ANTONIO Trecento. Siete soddisfatto? PASCALE Sissignore. ANTONIO Stringetevi la mano, e la pace è fatta. VICIENZO Per me sono pronto. (Stende la mano a Pasca¬le). PASCALE Come volete. (Stringe la mano a Viciemo). ANTONIO Molto bene. PASCALE Io me ne andrei... (E infatti muove per andarse¬ne). ANTONIO E le trecentomila lire le lasciate qua? Pigliate-ve 'e soldi. PASCALE (come dire «finiamola») Don Anto',.. ANTONIO Pigliateve 'e soldi. (Pascale si avvicina al tavo¬lo e finge di prendere i tré pacchi da centomila, poi esce lentamente. Antonio prende la cambiale dal tavolo e la mostra a Viciemo) II titolo è questo? VICIENZO Sissignore. ANTONIO E allora si può strappare. (Esegue). VICIENZO (è fuori di sé dalla gioia: non riesce a pronuncia¬re con facilità le parole) Don Anto', avita campa cien-t'anne. Don Anto', avete salvato la mia famiglia... 'e figlie mieie... (S'inginocchia ai piedi di don Antonio, gli prende una mano fra le sue e gliela bacia ripetutamen-te) Cheste so' 'e mane 'e nu santo! (Non pago, si china con la faccia verso terra, s'aggrappa ai piedi di don An¬tonio e glieli bacia). ANTONIO Ma che m' 'e pigliato, pe' San Pietro? Geraldina e Catiello a viva forza strappano Vicienzo da quella posizione. VICIENZO (commosso fino alle lagrime) Don Antonio è 'o paté nuosto! È 'o paté 'e Napule! E tè vulimmo be¬ne, Totò... tè vulimmo bene! CATIELLO (accompagnando Viciemo verso l'uscita) Don Antonio ha capito. Vattènne, mo. omila lire) E si può negare qualche cosa all'a- GERALDINA {seguendo il gioco di Gattello) Papa tiene da fare. C'è altra gente che aspetta. VICIENZO (ancora una volta riesce a ripetere, prima di usci¬re) Tè vulimmo bene Totò! (Poi esce, e dall'interno grida ancora due o tré volte, da esaltato) Don Antonio è 'o paté nuosto. È 'o paté 'e tutte quante! È 'o paté 'e Napule! ANTONIO E andiamo avanti. (Rivolto a Geraldina) Chi ci sta? GERALDINA (consultando il fascicolo) Santaniello. 'o NAIT Ci siamo pure noi. ANTONIO Tu chi sei? 'o NAIT 'O Nait. ANTONIO (scorgendo Palummiello che avanza zoppican¬do) Tu sei stato sparato nella gamba? PALUMMIELLO Sissignore. 'O Palummiello, a servirvi. 'o NAIT Io sto al Porto. Quando arrivano gli americani, li avvicino, e quando trovo l'elemento adatto l'accompa¬gno al «Colorado», il locale notturno che sta a via Mari¬na. Ora mo, io sono un poco cagionevole di salute... la vita di notte, l'umidità... sono stato a letto venticinque giorni con bronchite e polmonite. (Indicando 'o Palum¬miello) Stu f etentone s'è presentato alla dirczione del «Colorado» e si è proposto per fare il lavoro che face¬vo io. Don Anto', la pagnotta è pagnotta. PALUMMIELLO Non mi sono presentato: mi hanno invi¬tato. ANTONIO (rivolto a Palummiello) Di quale rione sei tu? PALUMMIELLO Montecalvario. ANTONIO E tu? 'o NAIT Sanità. ANTONIO (a 'o Nait) Tiene 'a rivoltella dint' 'a sacca? 'o NAIT Sissignore, don Anto'. ANTONIO Miettele ncopp' 'a tavola. ('O Nait esegue). Le mancanze sono due: una l'ha commessa 'o Palummiel¬lo nei confronti d' 'o Nait. (Rivolto a Palummiello) 'O «Colorado» è zona sua. (Indica 'o Nait) Non ti avvicina¬re più da quella parte. 'A pagnotta è pagnotta. Siamo intesi?
PALUMMIELLO Sissignore. ANTONIO Ti devo far sorvegliare? PALUMMIELLO Non c'è bisogno. ANTONIO E un'altra l'ha commessa 'o Nait nei confronti miei. 'o NAIT (preoccupato) Don Anto'... ANTONIO 'O Palummiello ha «sgarrato», ma il suo «sgar¬ro», diciamo, non si punisce con un colpo di rivoltella. Tu sei del rione Sanità? E perché non sei venuto da me prima di sparare? E perché dopo sparato non l'hai por¬tato al pronto soccorso? Tè si' miso paura d' 'o referto medico? 'o NAIT Nossignore don Anto': perché se lui vuole soddi¬sfazione... ANTONIO Spara isso a tè? E nun fernesce cchiù? 'O vuli-te capi che 'a vita se rispetta? Io sparo a tè, tu spari a me... poi escono in mezzo i fratelli, i cognati, 'e paté, 'e zie... una carneficina: 'a guerra! Non ti permettere più se no ti faccio andare in galera. Tu sei del rione Sani¬tà... non ti faccio arrivare nemmeno un sorso d'acqua là dentro... nemmeno un fazzoletto pulito; ti faccio fa¬re i pidocchi nella camicia. L'incidente tra voi due è chiuso: stringetevi la mano. (I due si guardano per un attimo, poi si stringono le mani con sincera effusione), E mo sienteme buono... (Si toglie dalla mano destra un anello con una grossa pietra dura e lo tiene nella sini¬stra). 'o NAIT Dite a me? ANTONIO (repentinamente assesta a 'o Nait uno schiaffane da togliergli il fiato, mentre lo ammonisce dicendo) E n'ata vota, si vuó spara pe' conto tujo, scordate 'o nom-me 'e Totonno Barracano. Ma si t' 'o ricuorde, primma 'e spara devi cerca permesso a me. (Prende la rivoltella dal tavolo e la porge a 'o Nait) Pigliate 'a rivoltella e vatténne. 'O Nait mezzo intontito prende l'arma dalle mani di Don Antonio.
PALUMMIELLO (dopo una lunga pausa, azzarda sommessa¬mente all'orecchio di 'o Nait) Vogliamo andare? (E senza attendere risposta sospinge verso l'uscita l'amico che si lascia trascinare macchinalmente come in un so¬gno). Don Antonio è rimasto indifferente alla scena e pare che non si accorga dei due. Con calma rimette l'anello al dito. 'o NAIT (giunto sul limitare della veranda si ferma, ha un attimo di esitazione, poi con un mezzo giro su se stesso si volge verso Antonio e gli fissa lo sguardo ad¬dosso. 'O Palummiello, guardingo, studia ogni movi¬mento del compagno. Infatti 'o Nait, con un gesto va¬go, solleva lentamente il braccio destro come se volesse puntare la rivoltella verso il suo schiaffeggiatore, ma poi la volge verso se stesso per osservarla e restare un attimo in muta considerazione dei fatti. Una coscienza nuova è forse nata in lui. Infatti intasca la rivoltella mentre dice un po' a tutti, con un mezzo sorriso all'an¬golo della bocca) Buona giornata. (Esce seguito da 'Pa¬lummiello). ANTONIO Chiamate Santaniello. Entra Rafiluccio dalla veranda, seguito da Rita. RAFILUCCIO Sto qua, don Anto'. ANTONIO Siediti e fammi sentire questo fatto complicato. RAPILUCCIO Grazie. (Porge una sedia a Rita e siede a sua volta, accanto a lei). ANTONIO Dunque? RAFILUCCIO Voi non vi ricordate di me. GERALDINA Io si. Vostro padre tiene la panetteria in via Giacinto Albino... RAFILUCCIO Adesso ne tiene due. GERALDINA Ah, si è ingrandito? RAFILUCCIO La panetteria a Giacinto Albino è rimasta com'era; ma quella che ha aperto due anni fa a via Roma è un locale moderno, a due entrate; fa affari d'o¬ro... serve la migliore clientela di Napoli. GERALDINA Io andavo a scuola a Giacinto Albino, e la mattina compravo sempre il panino per la merenda da voi. Non vi ricordate di me? RAFILUCCIO Comme no. GERALDINA E quella bella donna bruna che serviva al ban¬co, che portava un bei laccio d'oro al collo? RAPILUCCIO Quella era mia madre. Mi lasciò quando io tenevo sei anni. Durante la guerra i bombardamenti erano forti... lei soffriva di cuore e non poteva resistere nel ricovero. Abitavamo al primo piano - il palazzo ac¬canto a noi fu colpito da tré bombe... Quando si dice il destino... una scheggia entrò dalla finestra e colpi mia madre qua (indica la gola} alla ortica. In tré minuti se ne andò all'altro mondo. GERALDINA Povera donna! ANTONIO Vogliamo venire al busillis? RAFILUCCIO Don Anto', io vorrei parlare con voi da solo a solo: la cosa è molto delicata. IMMACOLATA (entrando) 'A signora. È arrivata 'a signo¬ra Annida. GERALDINA È arrivata mammà! (Si alza e corre verso la veranda chiamando) Mammà! In quel momento Armida entra sorretta dal figlio Amedeo. Armida è una donna di quarantacinque anni ancora pia¬cente. È in sottoveste, sottana e golf di lana sulle spal¬le. Ha il volto pallido e gli occhi arrossati dal sonno. La folta capigliatura nera se l'è ravviata in fretta con le mani e fermata di fortuna con qualche forcina e qual¬che pettine di tartaruga. Una benda di garza le fascia il torace fino a proteggere la mammella sinistra. Nel vede¬re Geraldina si commuove. ARMIDA Figlia mia! (Geraldina vorrebbe stringere la ma¬dre fra le broccia, infatti le si avvicina di più, ma Armi¬da con un gesto opportuno ferma quel moto istintivo)
No... no... per carità... (Geraldina si ritrae comprensi¬va). Tengo 'o ffuoco ccà. (ìndica il seno sinistro, poi scorge il marito e si rivolge a lui, implorante, chiaman¬dolo col diminutivo del suo nome) Totò...! ANTONIO Armi'... mannaggia 'a capa toia. IMMACOLATA Che faccia bianca che tene! AMEDEO Ha avuto dodici punti, (insieme alla madre si è avvicinato ad Antonio). ARMIDA Totò, 'e visto? (Trattiene il pianto abbozzando un sorriso per dare coraggio al marito). AMEDEO Questo è stato servizio 'e Malavita. GENNARINO (che è entrato assieme agli altri) Papa, se mi date il permesso, a Malavita la sparo io. (Trae di tasca la rivoltella). AMEDEO Se non ti dispiace, questo sfizio lo vorrei avere io. (Estrae anch'egli la rivoltella). ARMIDA (seriamente e maternamente preoccupata) Nun ve fate male con queste rivoltelle... ANTONIO Un momento! Armi', bella 'e Totonno, voglio sapere una cosa e poi la rivoltella che deve servire per Malavita è una sola: 'a mia. Quando Malavita t'ha fat¬to 'o malamente, t'è venuta a truvà dint' 'a cammera toja? ARMIDA No. ANTONIO A che ora è successo il fatto? ARMIDA All'una dopo mezzanotte. Mentre pigliavo le uo- va dal gallinaio. ANTONIO Armi', bella 'e Totonno, quanto ti voglio bene io? ARMIDA (convinta) Assale. ANTONIO E tu a me, me vuó bene? ARMIDA (come per dire «puoi metterlo in dubbio?») To¬tò... ANTONIO Tu stanotte hai sofferto, ma in questo momen¬to chi sta suffrendo cchìù assale, io o tu? ARMIDA (convinta) Tu. ANTONIO E 'a cicatrice ca tè resta ncopp' 'a mammella sinistra, addò me resta a me? ARMIDA (e. s.) Ncopp' 'o core.
ANTONIO Malavita sta nella Masseria per difendere la ca¬sa, la famiglia e le galline. Sei stata tu che hai provoca¬to Malavita. (Rivolto ai figli) Mettetevi la rivoltella in tasca. (I figli ubbidiscono). 'Ave ragione 'o cane. (Nessu¬no fiata, Armida rimane soddisfatta di quella conclusio¬ne). Adesso come ti senti? ARMIDA (minimizzando la sua sofferenza) Meglio. Me vu-lesse mettere ncopp' 'o lietto. IMMACOLATA Venite, Signo', ve pigliate pure na bella taz¬za 'e brodo. Si avviano tutti per accompagnare Armida in camera sua. ARMIDA M'hanno detto che debbo fare la cura antirab-bica. AMEDEO Nossignore, nun l'avit' 'a fa'. Perché io oggi deb¬bo esibire la dichiarazione del veterinario che i cani stanno bene. Sono usciti tutti, tranne Antonio che è rimasto per ultimo. RAFILUCCIO Don Anto'... ANTONIO Santanie', mi dispiace, ma come vedi oggi non è cosa: ci vediamo domani. RAFILUCCIO Don Anto': è una cosa urgente e seria. ANTONIO Ventiquattr'ore non sono la fine del mondo. (S'avvia per uscire). RAFILUCCIO Don Anto', domani mattina devo uccidere mio padre. ANTONIO (si ferma a un passo dall'uscio, si gira verso i due e fissa sul ragazzo lo sguardo incredulo. Dopo una lun¬ga pausa dice) Non ho capito bene. RAFILUCCIO (con più distacco) Domani mattina devo uc¬cidere mio padre. Rita sbotta in un pianto che ormai non è altro che un lamento sommesso e rassegnato, che ne il ragazzo ne Antonio raccolgono.
ANTONIO {si accorge finalmente di quell'insieme pietoso, e in un lungo silenzio ne studia i dettagli. Lo colpiscono soprattutto la dolcezza dello sguardo del ragazzo e il tono innocente del lamento di Rita. Poi dice convin¬to) Secondo me, hai deciso. RAFILUCCIO (sereno) Si. ANTONIO E allora il discorso è lungo. Puoi tornare fra due ore? RAFILUCCIO Fra due ore, si. Rita sente un braccio di Rafiluccio che le striscia amoro¬samente per le spalle e cosi capisce che se ne devono andare. Il suo lamento s'interrompe a momenti, ma poi riprende prolungato e senza alterazione di tono, lungo tutto il percorso che dalla veranda conduce i due giù giù, lontano dalla tenuta Barracano, ma Antonio non aspetta che quel pianto si disperda completamente. Ri¬mane in ascolto per poco, poi a passo lento e a capo chino, se ne va in camera di sua moglie. fine i atto continua
ATTO SECONDO Siamo sempre in casa di Antonio Barracano, nella mede¬sima stanza del primo atto, poco meno di due ore do¬po. Con le spalle ben coperte da uno scialle di lana, sprofondata in una poltrona, Armida prende aria e sole sul limitare della veranda; Geraldina e Immacolata seg¬gono presso di lei per farle compagnia. Fabio sta sedu¬to accanto al tavolo, di fronte alle tré donne, volgendo le spalle alla quarta parete. ARMIDA Che ore so'? FABIO (dando un'occhiata all'orologio) Le nove meno un quarto. ARMIDA E che fa Totonno... quanno torna? GERALDINA Ma il tempo ci vuole per andare e venire dal canile municipale. IMMACOLATA È lontano. Non è nemmeno un'ora che so¬no venuti a prendere il cane. ARMIDA Ma pecche nun l'ha accompagnato Gennaro? GERALDINA Tu lo sai che se Gennaro non va al negozio la mattina, gli manca la terra da sotto i piedi. S'è messo in macchina e se n'è andato. ARMIDA E Amedeo? IMMACOLATA Don Antonio l'ha fatto correre a Napoli per una commissione urgente. Non ho potuto capire di che si trattava, ma ho sentito che ha detto: «Mi racco¬mando, Amede': t' 'o miette dint' 'a macchina e t' 'o puorte ccà». ARMIDA A chi? IMMACOLATA Questo non lo so.
ARMIDA (rivolta a Fabio} E perché non l'avete accompa¬gnato voi? FABIO Donna Armi', io ho avuto un attacco di febbre violentissimo, mi battevano i denti... è vero. Immaco¬la'? IMMACOLATA Ho dovuto correre con le borse di acqiu calda. FABIO Solamente un quarto d'ora fa mi sono ripreso e mi sono alzato dal letto. GERALDINA Voi ogni volta che dovete partire vi sentite male, pure l'altra volta vi scoppiò la febbre. FABIO Si vede che l'aria americana non mi giova, la sen¬to a distanza e mi fa male. ARMIDA (sempre in pena per il marito) 'O canile munici¬pale sta luntano? FABIO Ma di che avete paura? Non è la prima volta che i cani di Don Antonio finiscono in quarantena. ARMIDA Ma voi lo sapete Totonno com'è fatto. Tiene nu core quanto a na casa, è buono, ma vede la legge a modo suo. Se succede che là sopra maltrattano 'o cane, perde 'a capa, non considera addo se trova, non calcola che si tratta di autorità, anze, se calcola chesto, s'imbe¬stialisce peggio, e fernesce malamente. FABIO Allora, mi permetto di dire, non conoscete bene Antonio Barracano. Conoscerete bene vostro marito, ma Antonio Barracano lo conosco meglio io. Lo avete visto mai in Tribunale quando s'inchina e dice: «Illu¬strissimo Signor Presidente»? (E finge di scappellarsi, imitando l'inchino servile con cui don Antonio si acchi¬to alla presenza di un magistrato). ARMIDA (giustificando il marito) Ma quello è il magi¬strato. FABIO No, no... lo fa pure con l'usciere, lo fa con tutte le persone che occupano una carica nel campo legale, autorevole o modesta che sia. Lui capisce, per esempio, che l'usciere non è un uomo libero da trattarsi da pari a pari, ma è un funzionario che ha la sua parte di dovere e di responsabilità. Don Antonio sa benissimo come de-
ve comportarsi. Può darsi pure che riesce a riportarsi il cane. GERALDINA No, questo no, l'altra volta se lo tennero in esperimento per due settimane. Rafiluccio entra quasi correndo e si ferma, ansimando, presso il gruppo delle donne. RAFILUCCIO Scusate... ARMIDA Chi è? IMMACOLATA È un giovanotto ch'è venuto pure n'ora fa; ha parlato cu' don Antonio. GERALDINA È Rafiluccio Santaniello, mammà. RAFILUCCIO A servirvi, signo'. GERALDINA Ma vi è successo qualche cosa? RAPILUCCIO (sorride per nascondere il disagio che pro¬va) Quella giovane che stava con me... IMMACOLATA Ah, sf... e non è uscita con voi? RAFILUCCIO Si, perché don Antonio mi ha detto di torna¬re dopo due ore. Siamo usciti insieme e ci siamo tratte¬nuti nella masseria perché non sapevamo dove andare. Le due ore non sono passate, ci vogliono ancora una ventina di minuti. Sarà stato il sole... Rituccia è delica¬ta. Si è sentita male, mi sono messo una paura... IMMACOLATA Povera figlia! GERALDINA Dove sta? RAFILUCCIO Dietro il secondo frutteto, a destra. IMMACOLATA (esortando Fabio a intervenire) Dotto'... FABIO E portatela qua. Io pure sono stato male, e il sole non mi fa bene. GERALDINA (avviandosi) Immacola', venite. (Ed esce). IMMACOLATA Andiamo, giovano'. (Ed esce appresso a Ger aldina seguita da Rafiluccio). FABIO Questo dev'essere il figlio del panettiere che sta a Napoli, in via Giacinto Albino. ARMIDA E 'a giovane? FABIO Non la conosco. Donn'Armi', come vi sentite? ARMIDA Un poco meglio, grazie. FABIO Mi è dispiaciuto tanto che non mi sono trovato qua, stanotte. Più tardi mandiamo in farmacia e vi fac¬cio prendere delle gocce calmanti, caso mai stanotte vi dovesse far male la ferita. ARMIDA Grazie professo'. IMMACOLATA {dall'interno) Nenne'... siamo arrivati. GERALDINA Piano, piano e appoggiatevi a me. RITA Grazie. Ma adesso sto bene. Quello è stato un gira¬mento di testa. Immacolata entra sorreggendo Rita che si appoggia pu¬re al braccio di Geraldina. IMMACOLATA Questo e niente è una cosa. (Le donne avanzano verso il centro della stanza, e fanno sedere Rita accanto al tavolo). È stato il sole, come ha detto quel giovanotto. Adesso vi riposate un poco qua, al fresco, e subito vi ripigliate. ARMIDA Ma non è meglio che 'o professore le fa na visi¬ta? A me, me pare che 'a ragazza è incinta. RITA (fiera, col solito sorriso, e spalancando i grandi occhi consapevoli) Di setti mesi. ARMIDA (rivolta a Rafiluccio) È vostra moglie? RAPILUCCIO (rettifica, con virile senso di responsabili¬tà) È 'a femmena mia. IMMACOLATA Prufesso', e visitatela. FABIO E che la visito a fare? Il fatto che sia incinta non significa niente, qua si tratta di denutrizione. (Avvi¬cinandosi a Rita) Non vedete com'è pallida? Che razza di occhiaie che tiene? (Le prende una mano) Guarda qua... questa povera figlia muore di freddo (controlla il polso) e lo credo: il polso si avverte appena. (Rivolto alla ragazza) A che ora hai mangiato? (Rita abbassa gli occhi evadendo una risposta precisa, poi viene colta di sorpresa dal suo solito pianto lamentoso). Non hai man¬giato? • • RAFILUCCIO (dalla veranda, senza muoversi dal suo posto, afferma con infinita amarezza) No, professo'. FABIO Ma questo è appetito arretrato. Sono mesi che la ragazza manca di nutrizione adeguata.
RAFILUCCIO Proprio cosf. FABIO Embè, tu poco fa hai detto con tanta spavalderia: «È 'a femmena mia» e poi mi vieni a dire che sta digiuna? RAPILUCCIO (avanza con passo sicuro, poi si ferma di fron¬te a Fabio) Professo', quella ragazza che avete visita¬ta, la vedete? Nunn'è niente. So' quattro ossa messe insieme che una persona sbadata può fare così con le mani (fa un gesto come per raccogliere dei rifiuti), e dice: «Questa è roba inutile, non serve». E senza pen¬sarci sopra le butta in un angolo, in mezzo ai rifiuti e non ci pensa più. Veste alla moda? Nossignore. Porta le calze di seta? Non le porta. Va dal parrucchiere? Non ci va. Eppure, quelle quattro ossa messe insieme proprio come sono state messe, in quella posizione, cu' chille duie uocchie, cu' chella pelle, 'e chillo stesso culo-re... sta cosa 'e niente, 'a vedite? È 'a femmena mia. E a me, guardate a me. Tengo 'e scarpe rotte. (Solleva un piede e mostra una scarpa con la suola a pezzi) E guardate 'o vestito... (Piega il braccio e lo solleva mo¬strando il gomito della giacca sdrucito) E volete vedere la camicia? (Si toglie la giacca per mostrare gli innume¬revoli rammendi e le diverse toppe che vi sono state applicate) E pur'io che rappresento? Quattro ossa schi¬fose che chiunque farebbe col piede così... (Muove velo¬cemente la gamba destra in avanti strisciando il piede sulle mattonelle come per allontanare da sé qualche co¬sa di nauseabondo) per farle finire nell'immondizia. Ma per lei queste quattro ossa schifose sapete che rappre¬sentano? L'ornino suio. RITA (rapita, in uno slancio d'amore, quasi tra sé) Quan- t'è bello! RAFILUCCIO Lavoro al porto come facchino, saltuaria¬mente... e quando non entro in quota, perché siamo as¬sai, mi chiudono il cancello in faccia. Mi propongo co¬me mancale, come portabagagli, come uomo di fatica, guardiano, guardacesso... faccio qualunque cosa. Quan¬do guadagno una lira 'a porto mmano a essa. Un pezzo di pane si divide in due, quando ci sta... e quando non ci sta: niente per lei, niente per me. FABIO E morite di fame tutti e due? RAFILUCCIO No: tutti e tré. Perché la creatura che Rita tiene nella pancia è figlio a me. FABIO Questa paternità che senti con tanto orgoglio ti fa onore e va bene, ma signori miei, qua se la ragazza non mangia subito qualche cosa perde completamente i sensi. ARMIDA (premurosa) Immacula'... IMMACOLATA (coglie a volo l'intenzione di Armida e s'av¬via svelta in cucina} Ma che si deve vedere sulla fac¬cia di questa terra. (Ed esce}. FABIO (strappa il foglietto del ricettario tascabile su cui ha scritto le indicazioni di un medicinale adatto al caso di Rita, e si rivolge a Rafiluccio} Andate in farmacia e fatevi dare questo. RAFILUCCIO (un po' impacciato, col foglietto in mano} A- desso? FABIO Adesso. Hai paura di lasciare la «femmina tua» qua? RAFILUCCIO No, ma... RITA (apparentemente disinvolta} Lui non porta mai i sol¬di. Dice ca si no li perde... li fa portare a me. (Trae dal corpetto un piccolo involto fatto con un fazzoletto anno¬dato, tenta di snodarlo, ma non vi riesce: vede doppio; un secondo tentativo fallisce come il primo). RAFILUCCIO Faccio io, damme ccà. (Scioglie abilmente quei nodi e rovista fra le povere cose che il logoro fazzo¬letto racchiude} Questi sono i biglietti della Circumve¬suviana. Per venire qua abbiamo fatto i biglietti di anda¬ta e ritorno. Se si perdono questi restiamo a Terzigno. (Ripone di nuovo i due biglietti) Questo è 'o braccialet¬to tuo. (Mostra un braccialetto di variopinti corallini spaiati e falsi). RITA S'è spezzato 'o filo, nun fa' perdere 'e curalle. RAFILUCCIO I soldi dove stanno? Ah, eccoli qua. (Pren¬de le uniche tré monete da cento che trova e si rivolge al dottore} Trecento lire abbastano?
FABIO E che ne so? ARMIDA Dite che siete persona della signora Barracano, noi paghiamo il conto a fine mese. RAFILUCCIO E per quale motivo dovete pagare voi la me¬dicina? ARMIDA Una sciocchezza. RAFILUCCIO Mi dovete scusare, ma non lo posso permet¬tere. GERALDINA E io tengo un debito con voi. RAFILUCCIO Un debito? GERALDINA Quando andavo a scuola e venivo a compra¬re il panino, voi mi davate sempre un tarallo di nasco¬sto di vostro padre. Io me lo mangiavo con una gioia! Fate il conto di quanti tarallini mi avete dati e vedrete che oltre la medicina vi dobbiamo dare pure il resto. ARMIDA Andate, e fate presto. RAFILUCCIO (un poco commosso} Permettete. (Ed esce svelto}.
Edited by Pulcinella291 - 24/8/2016, 17:47
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